La Cassazione è intervenuta in tema di configurabilità dell’aggravante ex articolo 12 comma 3 lett. c d.lgs. 186/1998 nel reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ribadendo come «è inumano il trattamento che abbia inflitto alla persona trasportata una sofferenza fisica o psicologica prolungata e di particolare intensità, capace di suscitare nella vittima sentimenti di paura e angoscia [ ]».
«[ ] Ed è degradante il trattamento tale da cagionare una lesione particolarmente grave della dignità umana, umiliando o svilendo l’individuo e suscitando sentimenti di inferiorità capaci di infrangerne la resistenza morale e fisica». L'applicazione delle circostanze aggravanti previste dall'articolo 12, comma 3 lett. c , del d.lgs. numero 286/1998, si configura quando il fatto riguarda l'ingresso o la permanenza illegale di cinque o più persone, l'esposizione dei migranti a pericolo per la loro vita o incolumità, il trattamento inumano e degradante degli stessi, nonché la partecipazione di tre o più persone nell'organizzazione del reato. La Corte di Cassazione ha confermato tali aggravanti, evidenziando le condizioni disumane e pericolose a cui sono stati sottoposti i migranti durante il trasporto. La Corte d'Appello di Reggio Calabria aveva confermato la sentenza con la quale, in data 11 gennaio 2023, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Locri aveva condannato gli imputati alla pena di anni 4 e mesi 8 di reclusione ed € 1.333.333 di multa, per li reato di cui agli articolo 110 c.p.p. e 12, commi 1, 3 bis - in relazione al comma 3, lettere a, b, c, d - e 3 ter d.lgs. 25 luglio 1998, numero 286, per aver organizzato ed effettuato, in concorso tra loro e con altri soggetti non identificati, il trasporto di 78 cittadini extracomunitari nel territorio dello Stato, a mezzo di un natante partito dalle coste turche. Avverso detta sentenza, entrambi gli imputati, per mezzo dei rispettivi difensori, proponevano ricorso per Cassazione deducendo sei motivi di doglianza. In particolare il secondo motivo contestazione dell'affermato riconoscimento delle circostanze aggravanti di cui all'articolo 12, comma 3, del d.lgs. numero 286 del 1998 quella di cui alla lettera a perché «non è stata fornita nessuna prova sulla effettiva nazionalità dei 78 migranti presenti a bordo dell'imbarcazione in quanto gli stessi sono stati tutti dichiarati sedicenti ed identificati sommariamente con generalità fornite dagli stessi in assenza di perquisizione sulla persona» quelle di cui alla lettere b e c perché non vi è alcuna prova del fatto che i soggetti trasportati a bordo del natante siano stati esposti a pericolo per la vita o l'incolumità e siano stati sottoposti ad un trattamento inumano o degradante, non avendo i migranti riferito di avere subito o assistito ad episodi di violenza, ed in ogni caso le persone presenti a bordo dell'imbarcazione erano nelle stesse condizioni dei due imputati e perfettamente consapevoli delle condizioni del viaggio che hanno accettato, pagando, peraltro, una considerevole somma di denaro ai trafficanti, veri e unici responsabili dell'organizzazione del viaggio» quella di cui alla lettera d perché secondo la stessa prospettazione accusatoria i responsabili del reato sono solamente i predetti imputati. La Suprema Corte ha ritenuto entrambi i ricorsi inammissibilia cagione della manifesta infondatezza dei motivi a sostegno. In punto di diritto, il Collegio ha ritenuto la sussistenza delle condotte poste in essere dai ricorrenti, avendo costoro costretto i migranti a subire condizioni degradanti e contro la dignità umana. Infatti, è stato pacificamente ritenuto che al bordo del natante vi erano 78 persone a bordo viarie nazionalità afgana, irachena ed iraniana , sicché risulta senz'altro integrata la circostanza aggravante di cui alla lettera a dell'articolo 12, comma 3, del d.lgs. 286/1998, rimanendo irrilevante che i soggetti potessero essere sedicenti solo perché privi del documento di identità. L'eccessivo sovraffollamento dell'imbarcazione ha portato a ritenere che i migranti, costretti ad un lunghissimo viaggio in mare ed in condizioni particolarmente avverse, furono esposti a pericolo per la loro vita, ovvero alla loro incolumità questo fatto inconfutabile integra pertanto la circostanza aggravante di cui al comma 3 lettera b dell'articolo 12. È altresì ritenuta sussistente la circostanza di cui alla lettera d , che aggrava il reato quando il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro, indipendentemente dalla mancata identificazione degli altri soggetti. In ultimo, i Giudici di legittimità, hanno evidenziato come la circostanza aggravante concorra con quella di cui alla lettera b dell'articolo 12 comma 3, riguardando l'una le modalità del viaggio - costituente trattamento inumano e degradante - e l'altra le conseguenze del viaggio tali da esporre il migrante a pericolo per la propria vita o per la propria incolumità. Alla stregua di ciò è stato ritenuto integrato il trattamento “inumano” e “degradante” nel caso in cui le presone trasportate, viste le condizioni del natante, erano state stivate per giorni in uno stato igienico sanitario pessimo oltretutto privi di cibo e acqua, ritenendo “inumana” a la condotta illecita in capo ai ricorrenti. Pertanto, in tema di immigrazione clandestina, ai fini della circostanza aggravante di cui alla lettera c , la granitica giurisprudenza della Corte ha sempre ritenuto «inumano il trattamento che abbia inflitto alla persona trasportata una sofferenza fisica o psicologica prolungata e di particolare intensità, capace di suscitare nella vittima sentimenti di paura e angoscia ed è degradante il trattamento tale da cagionare una lesione particolarmente grave della dignità umana, umiliando o svilendo l'individuo e suscitando sentimenti di inferiorità capaci di infrangerne la resistenza morale e fisica» fattispecie, questa, del tutto sovrapponibile alla questione in esame. Infatti, nel caso di specie, considerata la natura e la durata della condotta, nonché le particolari condizioni di debolezza e soggezione dei migranti, è stato ritenuto che le condotte contestate abbiano senz'altro integrato un trattamento inumano e degradante comportando per gli stessi migranti la prolungata sottoposizione a condizioni lesive della loro dignità ed idonee a cagionare sofferenze fisiche acute, ovvero un verificabile trauma conseguente a sentimenti di paura ed angoscia. Nella sentenza in esame la Suprema Corte ha ribadito come il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina integri altresì le condotte previste dalle aggravanti ex articolo 12, comma 3, del d.lgs. 286/1998, in linea con quanto pronunciato dalle Corte EDU in attuazione dell'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, nonché dell'articolo 5 della Dichiarazione universale dei diritti umani. Alla luce dei principi di diritto e delle considerazioni enunciate, la Corte ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili, con conseguente condanna per i ricorrenti a sostenere le spese del procedimento, nonché il versamento di euro 3000 cadauno in favore della Cassa delle ammende.
Presidente Stefano Mogini – Relatore Michele Toriello Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Reggio Calabria ha confermato quella con la quale, in data 11 gennaio 2023, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Locri aveva condannato M.S. e S.I.K. alla pena di anni 4 e mesi 8 di reclusione ed € 1.333.333 di multa, per il reato di cui agli articolo 110 cod. penumero e 12, commi 1, 3 bis - in relazione al comma 3, lettere a, b, c, d - e 3 ter d.lgs. 25 luglio 1998, numero 286, per aver organizzato ed effettuato, in concorso tra loro e con altri soggetti non identificati, il trasporto di 78 cittadini extracomunitari nel territorio dello Stato, a mezzo di un natante partito dalle coste turche reato accertato in OMISSIS , il OMISSIS . 2. Il difensore di fiducia del M.S., Avv. Giancarlo Liberati, ha impugnato la sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria, articolando quattro motivi. Con il primo motivo si duole dell'affermazione di responsabilità del M.S., contestando la «totale assenza di motivazione in relazione alla ricostruzione alternativa fornita dalla difesa e dall'imputato stesso in fase di spontanee dichiarazioni scritte depositate all'udienza dell'11/01/2023, idonea a scalfire e ad elidere l'elemento soggettivo del reato in contestazione» il M.S. aveva invero sostenuto di essere stato costretto a mettersi alla guida dell'imbarcazione al solo fine di salvaguardare la propria e l'altrui incolumità, mentre, per converso, nessun adeguato elemento aveva riscontrato quanto riferito dai tre migranti assunti a sommarie informazioni nell'immediatezza dei fatti. Con il secondo motivo contesta l'affermato riconoscimento delle circostanze aggravanti di cui all'articolo 12, comma 3, del d.lgs. numero 286 del 1998 quella di cui alla lettera a perché «non è stata fornita nessuna prova sulla effettiva nazionalità dei 78 migranti presenti a bordo dell'imbarcazione in quanto gli stessi sono stati tutti dichiarati sedicenti ed identificati sommariamente con generalità fornite dagli stessi in assenza di perquisizione sulla persona» quelle di cui alla lettere b e c perché non vi è alcuna prova del fatto che i soggetti trasportati a bordo del natante siano stati esposti a pericolo per la vita o l'incolumità e siano stati sottoposti ad un trattamento inumano o degradante, non avendo i migranti «riferito di avere subito o assistito ad episodi di violenza, ed in ogni caso le persone presenti a bordo dell'imbarcazione erano nelle stesse condizioni dei due imputati e perfettamente consapevoli delle condizioni del viaggio che hanno accettato, pagando, peraltro, una considerevole somma di denaro ai trafficanti, veri e unici responsabili dell'organizzazione del viaggio» quella di cui alla lettera d perché secondo la stessa prospettazione accusatoria i responsabili del reato sono solamente il M.S. e il S.I.K Con il terzo motivo contesta l'affermato riconoscimento della circostanza aggravante di cui all'articolo 12, comma 3-ter, del d.lgs. numero 286 del 1998, «non essendo stato minimamente dimostrato un contatto di natura economica tra l'imputato e gli altri passeggeri e quindi non vi è alcuna prova del presunto passaggio di somme di denaro, tant'è che sulla persona dell'odierno ricorrente nel corso della perquisizione non è stata rinvenuta alcuna somma di denaro che in qualche modo potrebbe essere ricondotta al pagamento del prezzo del viaggio». Con il quarto motivo, infine, si duole del mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'articolo 114 cod. penumero configurabile atteso che il M.S. «non ha spontaneamente deciso di condurre la barca destinata a raggiungere le coste europee, ma vi è stato costretto al fine di evitare conseguenze per la sua incolumità e per quella degli altri soggetti trasportati senza ottenere nessun vantaggio personale o patrimoniale» , del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche alla luce della penale incensuratezza e del comportamento collaborativo , che i giudici di merito hanno peraltro escluso valorizzando impropriamente «comportamenti processuali dell'imputato che costituiscono esercizio del suo diritto di difesa nel caso in esame, infatti, il M.S. si era prima dichiarato completamente estraneo ai fatti contestati e poi, con le dichiarazioni spontanee scritte, ha ammesso in parte le proprie responsabilità fornendo la sua versione dei fatti », e dell'applicazione della sanzione accessoria dell'espulsione, avvenuta senza valorizzare elementi sintomatici della pericolosità sociale del M.S 2. Anche il difensore di fiducia del S.I.K., Avv. Maria Marilena Barbera, ha presentato tempestivo ricorso per cassazione avverso l'indicata sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria, articolando due motivi. Con il primo motivo si duole della mancata esclusione della circostanza aggravante di cui all'articolo 12, comma 3-ter, lett. b , del d.lgs. numero 286 del 1998 non essendo stata raggiunta prova adeguata del fatto che il S.I.K. «fosse a conoscenza del fatto che il prezzo pagato dallo stesso per il viaggio fosse inferiore a quello pagato dagli altri migranti», era ravvisabile «una carenza di motivazione che colpisce l'elemento soggettivo del reato che essendo, invece, un reato a dolo specifico, avrebbe richiesto l'accertamento in capo all'agente della consapevolezza del fine di trarre ingiusto profitto dalla situazione di illegalità degli stranieri». Con il secondo motivo si duole del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche che non potevano essere escluse per la sola gravità del reato, dovendosi comunque modulare la dosimetria della pena in ragione delle peculiari caratteristiche della condotta, e dovendosi attribuire rilievo alla circostanza «che la condotta attribuita nel presente giudizio al ricorrente non si è mai caratterizzata per l'impiego di un metodo intimidatorio o per il compimento di atti di violenza nei confronti dei migranti» e del mancato contenimento della pena in misura prossima al minimo edittale difettando un'adeguata motivazione, al di là di «mere clausole rituali», che giustifichi le severissime scelte sanzionatorie dei giudici di merito, sia con riferimento alla pena base, che in relazione agli aumenti di pena per le contestate circostanze aggravanti . 3. All'odierna udienza il Sostituto Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi, ritenendo la manifesta infondatezza dei motivi. Il difensore del M.S. ha illustrato i motivi posti a fondamento del ricorso, ed ha concluso chiedendone l'accoglimento con conseguente annullamento con rinvio della sentenza impugnata. Considerato in diritto 1. I ricorsi sono inammissibili a cagione della manifesta infondatezza dei motivi che li sostengono. 2. Il primo motivo di ricorso del M.S. è manifestamente infondato. L'affermazione di responsabilità del predetto si fonda, come è agevole evincere dalle due sentenze di merito, sulla circostanza che tre migranti trasportati, escussi a sommarie informazioni nell'immediatezza dei fatti, abbiano concordemente individuato nei due odierni ricorrenti i conducenti del natante approdato sulle coste italiane, descrivendone le fattezze fisiche in modo corrispondente alla loro fisionomia, indicandoli come gli unici soggetti di origine russofona a bordo del natante, e riferendo che gli stessi, all'arrivo delle forze dell'ordine, avevano intimato ad alcuni dei soggetti trasportati di mettersi ai comandi della nave ed erano andati a confondersi sottocoperta con gli altri passeggeri. Si tratta di deposizioni che i giudici di merito hanno valutato - con argomentazioni che i motivi di ricorso non riescono in alcun modo a scalfire - intrinsecamente attendibili, nonché sufficientemente riscontrate, per un verso, dall'esito della perquisizione conseguentemente disposta dagli inquirenti che consentì di rinvenire, occultati sotto al plantare delle scarpe indossate dagli stessi, il passaporto dei due ricorrenti, e, quindi, di accertare che essi non erano gli iracheni M.A.S. e M.K., come dagli stessi falsamente dichiarato al momento dello sbarco, ma erano i soggetti russofoni poi tratti in arresto e condannati , e, per altro verso, dalle dichiarazioni che lo stesso M.S. rese al giudice della convalida ed invero, l'odierno ricorrente, come può leggersi nella sentenza del Tribunale di Locri pag. 4 , «ha ammesso di aver condotto il natante ma ha rappresentato di non essere stato informato dai trafficanti che trattavasi di un'attività illegale. Costoro gli avevano prospettato la possibilità di fare anche più viaggi dalla Turchia all'Italia guadagnando $ 3.000 al mese» identica ricostruzione è compiuta a pagina 4 della sentenza di appello . Il motivo di ricorso non si confronta in alcun modo con le granitiche argomentazioni dei giudici di merito, limitandosi ad invocare un fideistico affidamento «alla ricostruzione alternativa fornita dalla difesa e dall'imputato stesso in fase di spontanee dichiarazioni scritte depositate all'udienza dell'11/01/2023» ricostruzione tardiva, interessata, contrastante con quanto lo stesso M.S. ebbe a dichiarare nell'immediatezza dei fatti e platealmente smentita dalle emergenze istruttorie trascura, inoltre, di considerare che nel giudizio di legittimità non può essere messa in discussione l'attendibilità che i giudici di merito abbiano riconosciuto al testimone o alla persona offesa, a meno che non emergano disarmonie o incongruenze considerevoli tra le dichiarazioni e le altre prove situazione che, per quanto si è innanzi illustrato, certamente non ricorre nel caso di specie , essendosi ripetutamente ribadito che «In tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante , su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che attaccano la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento» Sez. 2, numero 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747 - 01 . 3. Sono manifestamente infondati il primo motivo di ricorso del S.I.K. ed il terzo motivo di ricorso del M.S Le sentenze di merito hanno ricostruito in maniera ineccepibile il fine di profitto che animò le condotte dei due odierni ricorrenti, ed hanno valorizzato quanto riferito dallo stesso M.S., che dichiarò al giudice della convalida che gli organizzatori dell'illecito traffico di migranti gli prospettarono, quale corrispettivo della sua attività di scafista, un guadagno di tremila dollari al mese sicché è del tutto irrilevante la circostanza, enfatizzata nel ricorso del M.S., che non sia stato accertato alcun contatto di natura economica tra gli odierni imputati ed i migranti, non essendo revocabile in dubbio né che i migranti abbiano corrisposto ai trafficanti cospicue somme di denaro per il viaggio in Italia tredicimila dollari a testa, secondo quanto riferito dai migranti escussi nell'immediatezza dei fatti cfr. pag. 4 della sentenza di primo grado e pag. 4 della sentenza di appello , né che, come si è detto, i due odierni ricorrenti agirono al fine di trarre un vantaggio economico, che, in tutta evidenza, avevano pattuito non con i migranti ma con gli ignoti complici. Nessuna illogicità può, pertanto rilevarsi a proposito del fine di profitto, da riferirsi a tutti i soggetti che, anche con mansioni esecutive, hanno concorso nella realizzazione del reato, dovendo, peraltro, rammentarsi, per un verso, che l'ipotesi dell'articolo 12, comma 3-ter, del d.lgs. numero 286 del 1998 è integrata anche nel caso di profitto «indiretto», avendo in proposito chiarito questa Corte che per tale deve intendersi «un'aspettativa di arricchimento anche non di natura economica ma comunque identificabile in un vantaggio apprezzabile, non necessariamente connesso all'ingresso contra ius dello straniero favorito» Sez. 1, numero 15939 del 19/03/2013, Alcu, Rv. 255637 - 01 e, per altro verso, che la norma in oggetto a differenza di quella di cui al successivo quinto comma, relativa al favoreggiamento della permanenza dello straniero nel territorio italiano non richiede l'ingiustizia del profitto, e, dunque, non implica un approfittamento della situazione di debolezza dello straniero, ma presuppone semplicemente che il reo abbia inteso trarre un qualsiasi vantaggio dalla propria attività delittuosa situazione senz'altro ricorrente nel caso di specie, come si è appena illustrato. 4. Il secondo motivo di ricorso del M.S. è manifestamente infondato. Anche in questo caso il motivo non si confronta in alcun modo con l'analitica ricostruzione dei giudici di merito, che, alla luce del compendio probatorio in atti, hanno ritenuto accertato, al di là di ogni ragionevole dubbio, ognuno degli elementi che inducono a riconoscere la sussistenza delle circostanze aggravanti previste dal terzo comma dell'articolo 12 del Testo Unico sulla cui natura, nonostante il lessico normativo richiami quello tipico delle fattispecie incriminatrici, non residua alcun dubbio all'indomani della pronuncia di Sez. U, numero 40982 del 21/06/2018, P., Rv. 273937 - 01, che ha chiarito che «In tema di disciplina dell'immigrazione, le fattispecie previste nell'articolo 12, comma 3, d.lgs numero 286 del 1998 configurano circostanze aggravanti del reato di pericolo di cui al comma 1 del medesimo articolo» ed è appena il caso di evidenziare che si tratta di elementi che hanno riguardato in modo precipuo la fase del trasporto, ossia quella che ha visto quali unici protagonisti proprio i due odierni ricorrenti, che, dunque, con le loro condotte hanno direttamente determinato quegli elementi. E' stato accertato che a bordo del natante vi erano 78 soggetti di nazionalità irachena, iraniana e afghana cfr. pag. 3 sentenza del Tribunale di Locri e pag. 3 della sentenza di appello , sicché deve ritenersi senz'altro integrata la circostanza aggravante di cui all'articolo 12, comma 3, lett. a del d.lgs. numero 286 del 1998 che sussiste quando «il fatto riguarda l'ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone» , rimanendo del tutto irrilevante l'aspetto, enfatizzato nel motivo di ricorso, che si trattasse di soggetti per lo più sedicenti perché privi di documenti di identità. E' stato accertato che si trattava di un numero di passeggeri di gran lunga esorbitante l'ordinaria capienza dell'imbarcazione, sicché il plateale sovraffollamento impone di ritenere che i migranti, costretti ad un lunghissimo viaggio intrapreso con «condizioni del mare particolarmente avverse» cfr. pag. 4 della sentenza di primo grado e pag. 4 della sentenza di appello , furono senz'altro esposti a pericolo per la loro vita o comunque per la loro incolumità tanto ha integrato la circostanza aggravante di cui all'articolo 12, comma 3, lett. b del d.lgs. numero 286 del 1998, che sussiste quando «la persona è stata esposta a pericolo per la sua vita o per la sua incolumità, per procurarne l'ingresso o la permanenza illegale». E' stato ineccepibilmente argomentato che, oltre che dai due odierni ricorrenti, il reato per il quale è intervenuta condanna è stato certamente perpetrato dagli altri soggetti coinvolti nel traffico internazionale dei quali, peraltro, lo stesso M.S. ha riferito al giudice della convalida sicché certamente sussiste anche la circostanza di cui alla lettera d della norma incriminatrice che aggrava il reato quando «il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro» , indipendentemente dalla mancata identificazione dei soggetti che gli stessi imputati hanno riferito essere intervenuti prima della partenza del natante, la cui conduzione veniva affidata dagli ignoti complici agli odierni ricorrenti, così pienamente realizzandosi le condizioni del loro concorso nel reato come ideato e poi eseguito. E' stato, infine, accertato che, pur avendo i responsabili dell'illecito messo a disposizione dei migranti acqua e cibo, le condizioni del viaggio hanno integrato un trattamento inumano e degradante. Possono, a tal proposito, rammentarsi le plurime pronunce con le quali la Corte EDU ha dato attuazione all'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, norma che, ribadendo quanto già sancito dall'articolo 5 della Dichiarazione universale dei diritti umani, prescrive, senza alcuna possibile deroga o eccezione, che «Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti» non è infrequente che la Corte - che in più occasioni ha definito il divieto in questione «un principio fondamentale delle società democratiche» Corte Edu, 7 luglio 1989, Soering c. Regno Unito - utilizzi l'espressione «trattamento inumano e degradante» quasi si trattasse di un'endiadi, così facendo residuare zone d'ombra sulla linea di confine fra i trattamenti inumani e quelli degradanti in altre occasioni, tuttavia, i giudici di Strasburgo, chiamati a riempire di contenuti un precetto solennemente declamato ma non accuratamente definito, hanno chiarito che il trattamento inumano è quello che infligge una sofferenza fisica o psicologica, se non una vera e propria violenza sul corpo della persona, di particolare intensità, capace di suscitare nella vittima sentimenti di paura e angoscia Corte Edu, 18 gennaio 1978, Irlanda c. Regno Unito , premeditato e prolungato nel tempo Corte Edu, 15 luglio 2002, Kalashnikov c. Russia , e che, invece, il trattamento degradante è quello che cagiona una lesione particolarmente grave della dignità umana Corte Edu, 16 marzo 2010, Orsus c. Croazia , che umilia o svilisce l'individuo suscitando sentimenti di paura, angoscia o inferiorità capaci di infrangerne la resistenza morale e fisica cfr. Corte Edu, 15 giugno 2010, Harutyunyan c. Armenia . Tralasciando la copiosa giurisprudenza comunitaria ed interna sulla tutela dell'integrità psico-fisica delle persone ristrette basti qui ricordare che la Corte EDU, dopo avere per lungo tempo ritenuto la limitazione dei diritti delle persone recluse una conseguenza necessaria - inherent features - dell'applicazione di una misura detentiva, con conseguente dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi connessi alla violazione dei diritti subiti dai detenuti, statuì con la sentenza 21 febbraio 1975, Golder c. Regno Unito, che la privazione della libertà personale non comporta di per sé il venire meno dei diritti riconosciuti dalla Convenzione hanno fatto seguito le numerosissime sentenze con le quali si è ribadito che la detenzione non comporta per il soggetto ristretto la perdita delle garanzie e dei diritti affermati dalla Convenzione, che, al contrario, assumono particolare rilevanza proprio a causa della situazione di particolare vulnerabilità in cui la persona si trova e perché si trova interamente sotto la responsabilità dello Stato l'articolo 3 CEDU pone, dunque, a carico degli stati contraenti un obbligo positivo di intervento, al fine di assicurare ad ogni detenuto condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana cfr., ex plurimis, Corte Edu, Grande Camera, 26 ottobre 2000, Kudla c. Polonia , e concentrando l'attenzione sulla più recente giurisprudenza di legittimità consolidatasi a proposito del delitto oggi in contestazione, si può rilevare che, in casi del tutto sovrapponibili a quello di specie, questa Corte ha chiarito che la circostanza aggravante in parola concorre con quella di cui all'articolo 12, comma 3, lett. b del d.lgs. numero 286 del 1998, «riguardando, l'una, le modalità del viaggio tali da costituire trattamento inumano e degradante e, l'altra, le conseguenze del viaggio tali da aver esposto il migrante a pericolo per la sua vita o per la sua incolumità » Sez. 1, numero 41553 del 13/06/2023, Andone, non massimata sul punto , ha ritenuto integrato il trattamento inumano e degradante in un caso in cui «le persone trasportate, viste le dimensioni del natante - come accertato dalla polizia giudiziaria subito dopo l'abbordaggio - erano state stivate in spazi angusti per vari giorni ed in condizioni igienico sanitarie pessime» Sez. 1, numero 26211 del 22/04/2024, Dabous, numero m. , ha ritenuto «inumana» la condotta illecita del soggetto al quale era ascritto il delitto di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina «alla luce delle indicazioni offerte dai migranti circa le condizioni di soggezione e di trasporto cui sono stati sottoposti» Sez. 1, numero 7863 del 19/01/2024, Botun, numero m. , ed ha chiarito che «Posto che il trattamento inumano e degradante, rilevante ai fini dell'aggravante di cui all'articolo 12, comma 3, lett. c , T.U. imm., è quello idoneo a ledere la personalità morale e la dignità della persona trasportata [ ], incensurabilmente la sentenza impugnata ha riscontrato una tale offesa aggiuntiva nelle accertate condizioni del trasporto. I migranti erano stipati in uno spazio palesemente insufficiente a contenerli ed erano stati tenuti, per la durata del trasferimento, necessariamente principiato fuori dei confini dell'Unione europea, in stato di abbrutimento e degrado igienico-personale, privi oltretutto di acqua e di cibo. La riconduzione dell'occorso alla fattispecie non è, di certo, inficiata dalle manifestazioni di giubilo registrate al passaggio della frontiera. Basti considerare che la dignità umana è un valore assoluto, non negoziabile, tutelato al di là del punto di vista dei singoli e del loro stato d'animo contingente» Sez. 1, numero 20526 del 30/01/2024, Jovanovic, numero m. . Può, dunque, concludersi, in armonia con le chiarissime e condivisibili indicazioni fornite dalla giurisprudenza comunitaria e da quella interna, nel senso che, in tema di immigrazione clandestina, ai fini dell'integrazione della circostanza aggravante di cui all'articolo 12, comma 3, lett. c , d.lgs. 25 luglio 1998, numero 286, è inumano il trattamento che abbia inflitto alla persona trasportata una sofferenza fisica o psicologica prolungata e di particolare intensità, capace di suscitare nella vittima sentimenti di paura e angoscia, ed è degradante il trattamento tale da cagionare una lesione particolarmente grave della dignità umana, umiliando o svilendo l'individuo e suscitando sentimenti di inferiorità capaci di infrangerne la resistenza morale e fisica. Nel caso di specie, considerando la natura e la durata della condotta e le particolari condizioni di debolezza, ed anzi di vera e propria soggezione dei migranti, deve ritenersi che le condotte in contestazione hanno senz'altro integrato un trattamento inumano e degradante, in quanto l'esser stati costretti ad un lunghissimo viaggio sottocoperta, in condizioni di sovraffollamento in uno spazio ristretto, in assenza dei presidi di salvataggio e in presenza di condizioni meteo-marine avverse cfr. pag. 8 sentenza di appello ha senz'altro comportato per i migranti la prolungata sottoposizione a condizioni lesive della loro dignità ed idonee a cagionare sofferenze fisiche acute ovvero un verificabile trauma psichico conseguente a sentimenti di paura e di angoscia. 5. Sono, infine, manifestamente infondati i residui motivi di ricorso, afferenti al trattamento sanzionatorio. La circostanza attenuante di cui all'articolo 114 cod. penumero non può trovare spazio nel caso di specie, atteso che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, «La circostanza attenuante della partecipazione di minima importanza nella preparazione o nell'esecuzione del reato, prevista dall'articolo 114 cod. penumero , non trova applicazione - oltre che nella ipotesi aggravata di cui all'articolo 112 cod. penumero numero dei concorrenti pari almeno a cinque - quando il numero dei partecipanti al reato sia considerato come circostanza aggravante speciale, come previsto, in materia di immigrazione clandestina, dall'articolo 12, comma terzo, lett. d , d.lgs. numero 286 del 1998. In motivazione, la S.C. ha precisato che la clausola di riserva salvo che la legge disponga altrimenti , contenuta nell'articolo 112 cod. penumero , non solo sta ad indicare la prevalenza delle norme speciali sulla regola generale, ma consente anche di escludere l'applicabilità dell'attenuante in presenza di siffatte norme speciali » Sez. 1, numero 37277 del 23/04/2015, Sclafani, Rv. 264565 - 01 . Quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, è noto che «Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'articolo 133 cod. penumero , quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all'entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all'uopo sufficiente» Sez. 2, numero 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 - 02 e che «In tema di diniego della concessione delle attenuanti generiche, la ratio della disposizione di cui all'articolo 62 bis cod. penumero non impone al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l'indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti» Sez. 2, numero 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826 - 01 indicazione certamente presente tanto nella sentenza del primo giudice cfr. pag. 9 della sentenza quanto in quella dei giudici di appello cfr. pag. 9 della sentenza , imperniata, in termini tutt'altro che illogici, sull'insufficienza della penale incensuratezza peraltro ben poco significativa, trattandosi di soggetti stranieri che, prima della perpetrazione dell'illecito per il quale è processo, non risiedevano nel territorio dello Stato , sulla gravità del fatti e sulla capacità a delinquere rivelata dagli imputati né può essere in alcun modo valorizzato, come invocato dai ricorrenti, il loro «comportamento collaborativo», avendo il M.S. e il S.I.K. ammesso ciò che non era più possibile negare, ed avendo comunque essi cercato di allontanare da sé la responsabilità con dichiarazioni almeno in parte certamente mendaci. Quanto alla dosimetria della pena, è sufficiente osservare che la pena base è stata individuata in misura - anni cinque di reclusione ed € 15.000 di multa per ogni migrante trasportato - coincidente con il minimo edittale vigente all'epoca dei fatti che l'aumento per l'aggravante a effetto speciale di cui al comma 3-ter della norma incriminatrice è stato operato nella misura minima possibile un terzo della pena base , e che, all'esito dell'aumento per la continuazione con l'ulteriore reato in relazione al quale non sono stati proposti motivi di ricorso articolo 495 cod. penumero , si è giunti alla pena finale di anni 7 di reclusione ed € 2.000.000 di multa, infine ridotta di un terzo in virtù del rito abbreviato. Le doglianze dei ricorrenti appaiono, dunque, manifestamente infondate. Infine, quanto all'applicazione della misura di sicurezza dell'espulsione, essa è stata esaurientemente motivata dai giudici di merito con la pericolosità sociale degli odierni ricorrenti, «avuto riguardo alle concrete modalità di realizzazione della condotta, posta in essere in spregio dei più elementari principi volti al rispetto della dignità umana» motivazione sufficiente ed adeguata, che resiste alle generiche censure del difensore del M.S 6. Alla stregua delle considerazioni che precedono, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con conseguente onere per i ricorrenti di sostenere, ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. penumero , le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale numero 186 del 13 giugno 2000 e considerato che non v'è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», si dispone che il ricorrente versi, in favore della Cassa delle ammende, la somma, determinata in via equitativa, di € 3.000 per ciascun ricorrente. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000 in favore della Cassa delle ammende.