Oggetto della controversia in esame è l’appello proposto dal Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale MAECI contro la sentenza del Tribunale di Roma con la quale, in accoglimento della domanda di Tizia, era stata dichiarata la nullità della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per tre mesi inflittale, con condanna della PA a pagare, in restituzione, € 2.330.
Il MAECI contesta la violazione e falsa applicazione degli articolo 112,345,421 e 437 c.p.c. sotto il profilo dell'inesistenza della motivazione. La doglianza è fondata. La Corte territoriale ha dichiarato l'inammissibilità della documentazione prodotta dal MAECI in appello, atteso che la PA era rimasta contumace in primo grado. E il giudice di appello «deve esercitare il proprio potere-dovere di integrazione probatoria ex officio, con l'acquisizione della documentazione offerta contestualmente all'atto di impugnazione, ove tale documentazione sia indispensabile ai fini della decisione, valutandone la potenziale idoneità dimostrativa in rapporto al thema probandum, avuto riguardo allo sviluppo assunto dall'intero processo» Cass. numero 7883/2019 . Per essere precisi, la Cassazione evidenza che nel rito del lavoro, «il giudice deve vagliare l'ammissibilità di nuovi documenti prodotti in appello ex articolo 437 c.p.c. sotto il profilo della rilevanza degli stessi in termini di indispensabilità ai fini della decisione, valutandone la potenziale idoneità dimostrativa in rapporto al thema probandum, avuto riguardo allo sviluppo assunto dall'intero processo». Tali documenti vanno presi in considerazione alla luce delle questioni oggetto del giudizio di primo grado e, poi, di quello di appello, «ma questo requisito, nella specie, sussiste, in quanto l'individuazione del dies a quo rilevante per la contestazione disciplinare è stata posta a fondamento della sentenza del Tribunale di Roma». Risulta, quindi, privo di pregio, che l'appellante fosse stato contumace in primo grado. Anche la seconda doglianza, inerente la violazione e falsa applicazione dell'articolo 55-bis d.lgs. numero 165 del 2001 e la terza doglianza, inerente la violazione dell'articolo 132 c.p.c., sono fondate. Ne consegue che «nel rito del lavoro, il giudice di appello deve vagliare l'ammissibilità dei documenti prodotti dall'appellante contumace in primo grado ex articolo 437 c.p.c. sotto il profilo della rilevanza degli stessi in termini di indispensabilità ai fini della decisione, valutandone la potenziale idoneità dimostrativa in rapporto al thema probandum, avuto riguardo allo sviluppo assunto dall'intero processo».
Presidente Tria – Relatore Cavallari Svolgimento del processo Con ricorso depositato il 1° marzo 2017 il Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale da ora MAECI ha proposto appello contro la sentenza del Tribunale di Roma con la quale, in accoglimento della domanda di L.A.R.C., era stata dichiarata la nullità della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per tre mesi inflittale, con condanna della P.A. a pagare, in restituzione, € 2.330,07, e rigetto delle altre domande. L.A.R.C. ha proposto appello incidentale. La Corte d'appello di Roma, con sentenza numero 1025/2019, ha rigettato l'appello principale e accolto in parte quello incidentale, con riferimento alla valutazione dei comportamenti organizzativi espressa dal MAECI. Il MAECI ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. L.A.R.C. si è difesa con controricorso e ha depositato memoria. Motivi della decisione 1 Con il primo motivo il MAECI contesta la violazione e falsa applicazione degli articolo 112,345,421 e 437 c.p.c. sotto il profilo dell'inesistenza della motivazione. La P.A. ricorrente denuncia che la corte territoriale avrebbe errato nel dichiarare l'inammissibilità della documentazione da lei prodotta in appello, in quanto sarebbe rimasta contumace in primo grado. In questo modo, la Corte d'appello di Roma non avrebbe esaminato il documento, posteriore al Telespresso numero 373 del 1° aprile 2015, indicato nell'appello principale e costituente parte integrante della contestazione di addebiti del 9 giugno 2015 che lo avrebbe citato , ossia la Comunicazione UPD del 2 aprile 2015 numero 70821. Tale documento non sarebbe stato depositato in primo grado, ma sarebbe stato rilevante in quanto avrebbe dimostrato che, al momento dell'adozione del Telespresso del 1° aprile 2015, essa P.A. non aveva alcuna contezza della sussistenza di condotte disciplinarmente rilevanti addebitabili in via definitiva a controparte. Detto atto, quindi, sarebbe stato indispensabile per correttamente individuare il dies a quo ai fini della tempestiva adozione dell'atto di contestazione di addebiti, atteso che solo dopo di esso sarebbe stato adottato il successivo e definitivo Appunto del Centro Visti del 15 maggio 2015 nel quale, per la prima volta, si sarebbe dato conto compiutamente delle irregolarità riscontrate. Al contrario, parte ricorrente espone che il Telespresso del 1° aprile 2015 sarebbe stato solo la risultanza di una prima, sommaria, verifica, mancando ancora sia le pratiche dei visti che si ritenevano irregolari sia una disamina dettagliata delle singole pratiche. La corte territoriale, pertanto, avrebbe errato nell'affermare che, per dare avvio all'azione disciplinare, sarebbero bastate semplici segnalazioni di irregolarità da parte del superiore gerarchico e dei suoi collaboratori. Ulteriore errore della Corte d'appello di Roma sarebbe consistito nel non motivare la decisione di inammissibilità dei documenti, avendo fatto riferimento esclusivamente alla contumacia in I grado di essa P.A. Ciò a maggior ragione nella presente circostanza, in cui la controricorrente non avrebbe prodotto in primo grado il documento in esame. L'assenza di motivazione non avrebbe riguardato, però, solo la mancata acquisizione del documento in questione, ma pure la valutazione del Telespresso del 1° aprile 2015, fondata sulla generica considerazione che lo stesso segnalasse numerose irregolarità. In particolare, la corte territoriale non avrebbe motivato in ordine alla riferibilità o meno alla controricorrente delle riscontrate irregolarità. Il documento del 2 aprile 2015, invece, avrebbe contenuto una richiesta di ulteriori informazioni, dati e atti, indispensabili a individuare le specifiche responsabilità e il relativo grado. Dalla mancata acquisizione del documento del 2 aprile 2015 sarebbe disceso, altresì, l'omesso esame del contenuto della relazione del 15 maggio 2015 del Centro Visti del MAECI, che avrebbe ribadito una gestione non regolare dell'ufficio visti, quale emersa a seguito dell'ispezione. La doglianza è fondata nei termini che seguono. La corte territoriale ha dichiarato l'inammissibilità della documentazione prodotta dal MAECI in appello, atteso che la P.A. era rimasta contumace in primo grado. Peraltro, il giudice di appello deve esercitare il proprio potere-dovere di integrazione probatoria ex officio, con l'acquisizione della documentazione offerta contestualmente all'atto di impugnazione, ove tale documentazione sia indispensabile ai fini della decisione, valutandone la potenziale idoneità dimostrativa in rapporto al thema probandum, avuto riguardo allo sviluppo assunto dall'intero processo Cass., Sez. 6-L, numero 7883 del 20 marzo 2019 . Per l'esattezza, nel rito del lavoro, il giudice deve vagliare l'ammissibilità di nuovi documenti prodotti in appello ex articolo 437 c.p.c. sotto il profilo della rilevanza degli stessi in termini di indispensabilità ai fini della decisione, valutandone la potenziale idoneità dimostrativa in rapporto al thema probandum, avuto riguardo allo sviluppo assunto dall'intero processo. Ovviamente, detti documenti vanno presi in considerazione alla luce delle questioni oggetto del giudizio di primo grado e, poi, di quello di appello, ma questo requisito, nella specie, sussiste, in quanto l'individuazione del dies a quo rilevante per la contestazione disciplinare è stata posta a fondamento della sentenza del Tribunale di Roma. Risulta privo di pregio, quindi, che l'appellante fosse stato contumace in primo grado. Il giudice del gravame aveva, comunque, l'obbligo di motivare espressamente sulla ritenuta attitudine, positiva o negativa, della nuova produzione ad essere ammessa. Neppure potrebbe ritenersi la detta motivazione implicita nell'esame e nella valutazione del documento del 1° aprile 2015. Infatti, la Corte d'appello di Roma non ne ha riportato il contenuto, se non limitatamente a un riassunto molto breve dello stesso, non rendendo evidenti le ragioni per le quali tale documento sarebbe stato di per sé idoneo a giustificare l'avvio del procedimento disciplinare. Dalla fondatezza della censura relativa alla violazione dell'articolo 437 c.p.c. discende l'accoglimento del motivo di ricorso con riferimento al profilo dell'assenza di motivazione della sentenza perché la corte territoriale, a fronte della richiesta della P.A. di tenere conto di quanto da lei depositato in appello, non poteva limitarsi a rilevare la contumacia della stessa in primo grado. Essa avrebbe dovuto, invece, eventualmente pure negare l'indispensabilità degli atti, espressamente o anche in modo implicito, in quest'ultimo caso riportando, però, parti più consistenti, rispetto a ciò che ha fatto, del Telespresso del 1° aprile e della relazione del Cons. di legazione Walter Ferrara, sufficienti a palesare come fosse inutile un'ulteriore istruttoria in ordine all'individuazione del dies a quo in esame. 2 Con il secondo motivo parte ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione dell'articolo 55 bis d.lgs. numero 165 del 2001 in quanto la corte territoriale avrebbe errato nell'applicare, nella specie, il termine di venti e non di quaranta giorni per la contestazione disciplinare in esame e dalla sentenza non sarebbe stato chiaro se la comunicazione in questione fosse arrivata all'UPD o al superiore gerarchico. La doglianza è fondata nei termini che seguono. In ordine all'autorità che avrebbe ricevuto il Telespresso del 1° aprile 2015, a pagina 4 della sentenza è espressamente affermato che questa è l'UPD. Con riferimento, invece, al termine da prendere in considerazione, la censura va accolta. Infatti, il comma 4 dell'articolo 55 bis del d.lgs. numero 165 del 2001, nel testo ratione temporis applicabile, stabilisce che ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento, individua l'ufficio competente per i procedimenti disciplinari ai sensi del comma 1, secondo periodo. Il detto ufficio contesta l'addebito al dipendente, lo convoca per il contraddittorio a sua difesa, istruisce e conclude il procedimento secondo quanto previsto nel comma 2, ma, se la sanzione da applicare è più grave di quelle di cui al comma 1, primo periodo, con applicazione di termini pari al doppio di quelli ivi stabiliti e salva l'eventuale sospensione ai sensi dell'articolo 55 ter … . Considerato che la sanzione in esame la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per tre mesi è superiore a quelle di cui al comma 1, primo periodo, del menzionato articolo 55 bis, il termine per contestare l'illecito disciplinare è raddoppiato rispetto a quello, di venti giorni, indicato dal comma 2 dello stesso articolo 55 bis e, quindi, è pari, nella presente controversia, a quaranta giorni, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d'appello di Roma. 3 Con il terzo motivo parte ricorrente lamenta la violazione dell'articolo 132 c.p.c. perché la corte territoriale non avrebbe motivato o avrebbe motivato in maniera manifestamente illogica in ordine all'accoglimento dell'appello incidentale di controparte con riferimento alla valutazione negativa espressa quanto ai comportamenti organizzativi della controricorrente. La doglianza è fondata. In effetti, la Corte d'appello di Roma ha motivato la sua decisione, chiarendo di averla presa perché detta valutazione negativa era “basata esclusivamente sui fatti oggetto della contestazione disciplinare”. Non ha tenuto conto, però, che il procedimento disciplinare e quello relativo alla valutazione dei comportamenti organizzativi sono fra loro distinti e che nulla impedisce alla P.A. di tenere conto degli stessi fatti per differenti finalità. Nella specie, la Corte d'appello di Roma aveva ritenuto tardivamente esercitata l'azione disciplinare, ma non aveva escluso nel merito l'effettivo verificarsi delle circostanze in esame. Ne deriva che il giudice di appello aveva il dovere di valutarne l'incidenza in ordine alla valutazione de qua, non potendo ricavare dall'accoglimento, per ragioni attinenti al rito, del ricorso della dipendente concernente i profili disciplinari l'automatico accoglimento della doglianza che interessava la menzionata valutazione. La Corte d'appello di Roma, quindi, ha motivato la sua decisione sul punto in maniera totalmente illogica, attribuendo alla statuizione sul provvedimento disciplinare un effetto automatico sull'altro procedimento che non trova giustificazione né logica né normativa. 4 Il ricorso è accolto nei termini di cui in motivazione. La sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, la quale deciderà la causa nel merito anche in ordine alle spese di legittimità, applicando il seguente principio di diritto “Nel rito del lavoro, il giudice di appello deve vagliare l'ammissibilità dei documenti prodotti dall'appellante contumace in primo grado ex articolo 437 c.p.c. sotto il profilo della rilevanza degli stessi in termini di indispensabilità ai fini della decisione, valutandone la potenziale idoneità dimostrativa in rapporto al thema probandum, avuto riguardo allo sviluppo assunto dall'intero processo”. P.Q.M. La Corte, - accoglie il ricorso, nei termini di cui in motivazione - cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, la quale deciderà la causa nel merito anche in ordine alle spese di lite.