Nel caso di violenza sessuale nei confronti di un minore di dieci anni è competente la Corte d’Assise

Nei processi ove sia contestato, tra gli altri, il delitto di violenza sessuale commesso in danno di minore di anni 10, l’articolo 13, lett. b , legge numero 69 del 2019, attribuisce competenza alla Corte d’Assise, che giudica anche altre imputazioni se sussiste connessione.

Con questa sentenza, la S.C. affronta un tema relativamente nuovo, in quanto introdotto nell'ordinamento dalla prima legge c.d. Codice rosso, che ha attribuito alla Corte d'Assise la competenza a occuparsi di violenza sessuale aggravata. Il punto delicato però si individua nel termine per eccepire tale competenza. La decisione impugnata L'imputato di maltrattamenti e violenze sessuali, commesse in danno di moglie e figli tra il 2015 e il 2018, condannato ad anni 14 di reclusione dalla Corte d'Appello di Caltanissetta, previa riforma della sentenza del locale Tribunale, resa il 10 gennaio 2023, ricorre avverso la decisione lamentando alcune violazioni. La più rilevante, che forma oggetto poi di specifica massimazione tratta dalla decisione della Suprema Corte, concerne la competenza a decidere del reato più grave, ossia la violenza sessuale in danno di minore di anni 10, ora attribuita alla Corte d'Assise. Le doglianze minori Giova ricordare, prima di passare all'argomento più importante di cui la sentenza ora in esame tratta, che è stato dichiarato inammissibile il secondo motivo, concernente la qualifica in capo alla moglie dell'imputato non tanto e non solo di parte lesa, ma di imputata in procedimento connesso, visto che la stessa, in sede di sommarie informazioni alla Polizia Giudiziaria, avrebbe ammesso di essere a conoscenza degli abusi che il marito perpetrava in danno dei loro figli. A detta del ricorrente, la stessa doveva essere immediatamente interrotta, essendo emersi gli estremi della sua violata posizione di garanzia, e riassunta in presenza del difensore in ordine alla ipotesi di cui agli articolo 40 cpv,  609-bis c.p. e ss. La Corte risponde ricordando che le dichiarazioni autoindizianti non possono essere utilizzate contro chi le ha rese ma solo contro terzi, visto che la garanzia di cui all'articolo 63 comma 1 c.p.p. è posta a tutela del solo dichiarante da ultimo, Cass. penumero , sentenza numero 28583 del 18 giugno 2021 . Il terzo motivo di ricorso è, del pari, dichiarato inammissibile perché, dietro una apparenza di legittimità, nasconderebbe una doglianza in fatto, preclusa avanti alla Cassazione. Il principio giuridico è il seguente la valutazione della testimonianza della persona offesa non riguarda la colpevolezza del ricorrente bensì l'attendibilità della signora, e pertanto il relativo motivo è inammissibile nel giudizio di legittimità. Violenza sessuale e competenza a deciderne Ai fini della determinazione della competenza per materia, l'articolo 5 c.p.p. attribuisce alla Corte d'Assise quella a decidere in primo grado sui reati per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo ad anni 24. Sempre in linea molto generale, l'articolo 4 c.p.p. stabilendo le regole per determinare la competenza, fa rinvio alla pena stabilita per ciascun reato, consumato o tentato, non ad eventuali aumenti derivanti da continuazione, recidiva e circostanze del reato, fatta eccezione per le aggravanti che comportano una specie diversa da quella ordinaria del reato e per quelle c.d. a effetto speciale quindi quelle che comportano un aumento di pena superiore a un terzo, ex articolo 63 c.p. . L'aggravante di cui all'articolo 609-ter, comma 2, c.p., contestata nel caso in esame, raddoppia la pena prevista dall'articolo 609-bis c.p. da 6 a 12 anni di reclusione quando la parte lesa non abbia compiuto gli anni 10 al momento del fatto, e ciò grazie alle modifiche introdotte dall'articolo 13, comma 2, lett. b , l. 19 luglio 2019, numero 69. Tempus regit actum Il tema riguarda quindi il momento in cui commesso il reato nel caso in esame abbiamo già evidenziato si trattasse in tutti i casi di epoca precedente all'entrata in vigore del primo codice rosso. Il punto giuridico chiarito dalla Corte è, anzitutto, che la data da cui partire non è tanto il tempus commissi delicti ma quella in cui il Pubblico Ministero esercita l'azione penale. Lì si cristallizza il focus, e da lì, grazie alla mancanza di una norma transitoria nella legge del 2019, secondo il principio tempus regit actum si individua il giudice competente. Nel caso concreto il Pubblico ministero aveva esercitato l'azione penale chiedendo, in data 15 luglio 2021, l'emissione di decreto di giudizio immediato, quando pienamente già vigente il novellato sistema attributivo di competenza alla Corte d'Assise, e non al Tribunale in composizione collegiale. Sotto questo profilo preliminare, quindi, la Cassazione condivide la doglianza della difesa, già fatta propria dal Procuratore generale che aveva infatti chiesto l'annullamento senza rinvio della decisione impugnata l'incompetenza per materia del giudice integra una nullità assoluta ex articolo 179 c.p.p., rilevabile ed eccepibile anche in sede di legittimità. La connessione Peccato però che l'uomo rispondesse anche di maltrattamenti e violenza sessuale contro la moglie, reati questi che rimanevano di spettanza del Tribunale in composizione collegiale. Sotto questo profilo, quindi, la competenza a decidere del caso, non potendo essere separati i capi di imputazione, aveva seguito le regole della connessione. La vis atractiva degli abusi sessuali sui figli minori, in linea teorica, avrebbe riportato il caso avanti alla Corte d'Assise, di nuovo, perché l'articolo 15 c.p.p. così stabilisce. Quale il vulnus individuato dalla Cassazione allora? L'articolo 21, comma 3, c.p.p. prevede che le questioni di competenza derivanti da connessione vadano rilevate o eccepite, a pena di decadenza, prima della conclusione dell'udienza preliminare e, ove questa manchi come nel caso allo studio, dove si era proceduto con giudizio immediato , entro il termine di cui all'articolo 491, comma 1, c.p.p, ergo il primo accertamento della costituzione delle parti e non, in definitiva, nel ricorso per Cassazione per la prima volta. Una bella questione, per concludere, proposta tardivamente.

Presidente Aceto - Relatore Scarcella Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 24 ottobre 2023, la Corte appello di Caltanissetta, in riforma della sentenza del Tribunale di Caltanissetta del 10 gennaio 2023, appellata da A.G., riduceva la pena al medesimo inflitta a 14 anni di reclusione, confermando nel resto l'appellata sentenza che lo aveva riconosciuto colpevole del reato di maltrattamenti in famiglia capo 1 nonché dei reati di violenza sessuale ai danni della moglie capo 2 e dei due figli minori di anni 10 capi 3 e 4 e del reato di produzione di materiale pedopornografico utilizzando la figlia minore di anni 16, contestati come commessi secondo le modalità esecutive e spazio - temporali meglio descritte nelle imputazioni. 2. Avverso la sentenza impugnata nel presente procedimento, il predetto ha proposto ricorso per cassazione tramite il difensore di fiducia, deducendo tre motivi, di seguito sommariamente indicati. 2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge processuale attesa l'incompetenza per materia del tribunale di Caltanissetta e della Corte d'appello di Caltanissetta, in quanto competente a decidere in primo grado era la Corte d'assise e, in appello, la Corte d'assise d'appello della stessa città. In sintesi, si premette che il reato di violenza sessuale., ove commesso ai danni di minori di anni 10, è attualmente punito con la pena della reclusione nel massimo di anni 24. Poiché in base all'articolo 5 del codice di procedura penale, la Corte d'assise è competente, per quanto qui clii interesse, per i reati per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 24 anni, nel caso di specie, a giudicare avrebbe dovuto essere la Corte d'assise in primo grado e, di conseguenza, la Corte d'assise d'appello in secondo grado. Richiamato il principio statuito da Sez. U. numero 3821/2006, si sostiene che la sentenza impugnata sarebbe viziata da nullità assoluta per incompetenza per materia dei giudici che l'hanno, nei rispettivi gradi, emessa e parzialmente confermata, atteso che, nel presente processo, erano stati emessi la richiesta di giudizio immediato e il decreto di giudizio immediato nel luglio 2021, dunque in epoca di piena vigenza della novella normativa. Trattandosi di nullità assoluta, riconducibile all'articolo 179 del codice di procedura penale, detta nullità sarebbe rilevabile ed eccepibile per la prima volta anche in sede di legittimità. 2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in quanto la parte civile avrebbe dovuto rivestire la qualità di coimputata e/o di imputata in procedimento connesso o collegato. In sintesi, premesso che la parte civile venne sentita in incidente probatorio dal gip, si osserva come la stessa aveva ammesso di essere andata via di casa per coltivare una delle sue tante relazioni sentimentali, pur avendo già contezza degli abusi del marito sui due figli. Alla luce del suo ammesso timore, si sarebbe dovuto fermare l'esame ai sensi dell'articolo 63 del codice di procedura penale ed invitarla a nominare un difensore, con tutte le conseguenze processuali del caso, a partire dalla necessità di individuare un riscontro a quanto testimoniato, nel caso in cui fosse scaturita un'indagine o un processo a suo carico. Lasciare casa ed i figli in balia di un uomo considerato autore di tutti i reati per cui è processo, avrebbe postulato la responsabilità della madre ai sensi dell'articolo 40 del Codice penale, per non avere impedito che il marito abusasse dei figli, sicché andava indagata e poi processata sulla base di quanto da lei stessa raccontato. 2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di mancanza della motivazione per non essere stato rispettato il principio dell'ogni oltre ragionevole dubbio. In sintesi, si sostiene che il giudice avrebbe dovuto fare i conti con il dato assai curioso di una testimone, madre, unica teste relativamente alle violenze subite personalmente e dai figli, che più volte aveva sostenuto e ribadito che il marito aveva abusato davanti ai suoi occhi dei minori e che, nonostante ciò, aveva più volte, dopo la scoperta di tali abusi, abbandonato i figli in compagnia del padre. Si censura, in particolare, l'assoluta assertività della motivazione sulla credibilità della testimone in quanto in entrambe le sentenze ci si sarebbe limitati a definirla come credibile a dispetto della sua condotta di vita. L'inadeguatezza della motivazione deriverebbe dall'assenza di confronto del giudice con tale incoerenza, disapplicando la regola di giudizio secondo cui la responsabilità penale è possibile solo quando la colpevolezza emerga al di là di ogni ragionevole dubbio. 3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, con requisitoria scritta del 3 maggio 2024, ha chiesto l'annullamento senza rinvio della sentenza. Rileva il PG che il ricorrente, con motivo di ricorso a carattere assorbente, lamenta violazione della normativa processuale in tema di attribuzione della competenza, atteso che è contestato al capo 4 il reato di violenza sessuale per il quale ha riportato condanna - commesso in danno di persona minore di anni dieci nell'anno 2006 - e ai fini della determinazione della competenza - con la modifica introdotta dall'articolo 13, lett. b , della legge numero 69 del 2019, è stata attribuita la cognizione di fatti di tale gravità alla Corte di assise. La competenza per materia a giudicare per il delitto di cui all'articolo 609-bis c.p. appartiene al Tribunale in composizione collegiale articolo 33-bis, lett. c, cod. proc. penumero , rinviando, quanto alla determinazione della pena, ai criteri fissati dall'articolo 4 cod. proc. penumero ed alla stregua di tale ultima norma, ai fini della determinazione della competenza, occorreva tener conto, oltre che della pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato, altresì delle circostanze aggravanti, per le quali la legge stabilisce una pena diversa da quella ordinaria del reato, nonché delle aggravanti ad effetto speciale, tali ultime essendo quelle circostanze aggravanti che comportano un aumento di pena superiore ad un terzo articolo 63 cod. penumero . E poiché, nella specie, è stata contestata l'aggravante di cui all'articolo 609-ter c.p., la quale è in grado di comportare il raddoppio della pena prevista da sei a dodici anni di reclusione , la competenza a giudicare i reati spettava alla Corte di assise. Se anche il fatto, nella sua materialità, è stato commesso in epoca antecedente alla modifica normativa, è applicabile la regola secondo cui non rileva l'epoca di consumazione del reato, in quanto l'individuazione del giudice competente va effettuata sulla base della normativa vigente al momento in cui il Pubblico Ministero esercita l'azione penale in una qualsiasi delle forme previste dal sistema processuale. In applicazione del principio tempus regit actum che governa la successione nel tempo delle norme processuali, la competenza per materia va determinata sulla base della normativa in vigore al momento in cui il P.M. esercita l'azione penale e la competenza, così determinata, rimane ferma in forza dell'ulteriore principio della perpetuatio jurisdictionis , anche in caso di sopravvenuta modifica della normativa, a meno che la nuova legge non introduca una specifica disciplina transitoria. Resta peraltro salva l'applicazione da parte del giudice competente delle disposizioni sanzionatorie più favorevoli al reo, in considerazione della data di consumazione del reato, ai sensi dell'articolo 2, comma terzo, cod. penumero Fattispecie in tema di modifiche introdotte all'articolo 186 C.d.S. dal D.L. numero 151 del 2003 conv. in L. numero 214 del 2003 - Sez. 1, Sentenza numero 12148 del 02/03/2005, Rv. 231844 Sez. U, Sentenza numero 3821 del 17/01/2006, Rv. 232592 . 4. In data 13 giugno 2024, il difensore Avv. Laura Alfano, in difesa di L.C.F., costituita parte civile ed ammessa al patrocinio a spese dello Stato, ha fatto pervenire le proprie conclusioni scritte. 5. In data 13 maggio 2024 l'Avv. Andrea Di Salvo, nell'interesse del ricorrente, ha fatto pervenire le proprie conclusioni scritte, insistendo per l'accoglimento del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso, trattato cartolarmente in assenza di richiesta di trattazione orale ex articolo 94, comma 2, D.lgs. numero 150 del 2022, è inammissibile. 2. Il primo motivo è inammissibile. Ed invero, risulta che l'eccezione di incompetenza per materia è stata dedotta per la prima volta davanti a questa Corte e che la stessa, integrando un'ipotesi di nullità assoluta è deducibile per la prima volta anche in sede di legittimità. Che si tratti di nullità assoluta non vi è infatti motivo di dubitare, atteso che al ricorrente sono contestati sia al capo 3 che al capo 4 i reati cli violenza sessuale per i quali il ricorrente ha riportato condanna - commessi entrambi in danno di persona minore di anni dieci dal 2015 al 2018, quanto al reato sub 3 e nel corso dell'anno 2016, quanto al reato sub 4 - e ai fini della determinazione della competenza - con la modifica introdotta dall'articolo 13, lett. b , della l. numero 69 del 2019, è stata attribuita la cognizione di fatti di tale gravità alla Corte di assise. La competenza per materia a giudicare per il delitto di cui all'articolo 609-bis c.p. appartiene al Tribunale in composizione collegiale articolo 33-bis, lett. c, cod. proc. penumero , rinviando, quanto alla determinazione della pena, ai criteri fissati dall'articolo 4 cod. proc. penumero ed alla stregua di tale ultima norma, ai fini della determinazione della competenza, occorre tener conto, oltre che della pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato, altresì delle circostanze aggravanti, per le quali la legge stabilisce una pena diversa da quella ordinaria del reato, nonché delle aggravanti ad effetto speciale, tali ultime essendo quelle circostanze aggravanti che comportano un aumento di pena superiore ad un terzo articolo 63 cod. penumero . E poiché, nella specie, è stata contestata l'aggravante di cui all'articolo 609-ter c.p., la quale è in grado di comportare il raddoppio della pena prevista da sei a dodici anni di reclusione , la competenza a giudicare i reati spetta in effetti alla Corte di assise, essendo prevista nel massimo la pena di anni 24 di reclusione, rientrante nella competenza della Corte d'assise ex articolo 5, cod. proc. penumero , non essendo peraltro stata prevista dalla citata l. 69 del 2019 una normativa transitoria come, invece, avvenuto, ad esempio, in relazione all'attribuzione della competenza per materia al tribunale per i delitti comunque aggravati di cui all'articolo 416-bis, cod. penumero per il quale, in caso di associazione armata, come è noto, la pena è della reclusione di anni 26 articolo 2, co. 1, co. 1, numero 10 del 2010, conv. con modd. in l. 52 del 2010 . Se anche il fatto, nella sua materialità, è stato commesso in epoca antecedente alla modifica normativa, è peraltro applicabile la regola secondo cui non rileva l'epoca di consumazione del reato, in quanto l'individuazione del giudice competente va effettuata sulla base della normativa vigente al momento in cui il Pubblico Ministero esercita l'azione penale in una qualsiasi delle forme previste dal sistema processuale. Nella specie, la richiesta di giudizio immediato risulta depositata dal PM in data 15/07/2021, mentre il decreto di giudizio immediato è stato emesso dal GIP del tribunale di Caltanissetta in data 30/07/2021. In applicazione del principio tempus regit actum che governa la successione nel tempo delle norme processuali, la competenza per materia va determinata sulla base della normativa in vigore al momento in cui il P.M. esercita l'azione penale e la competenza, così determinata, rimane ferma in forza dell'ulteriore principio della perpetuatio jurisdictionis , anche in caso di sopravvenuta modifica della normativa, a meno che la nuova legge non introduca una specifica disciplina transitoria. Resta peraltro salva l'applicazione da parte del giudice competente delle disposizioni sanzionatorie più favorevoli al reo, in considerazione della data di consumazione del reato, ai sensi dell'articolo 2, comma terzo, cod. penumero Fattispecie in tema di modifiche introdotte all'articolo 186 C.d.S. dal D.L. numero 151 del 2003 conv. in L. numero 214 del 2003 Sez. 1, numero 12148 del 02/03/2005, Rv. 231844 Sez. U, numero 3821 del 17/01/2006, P.G. in proc. Timofte, Rv. 232592 . 3. Deve, pertanto, essere affermato il seguente principio di diritto «A seguito della modifica introdotta dall'articolo 13, comma 2, lett. b , l. 19 luglio 2019, numero 69, in vigore dal 9 agosto 2019, competente per materia a giudicare del reato di violenza sessuale aggravata a norma dell'articolo 609-ter, u. co., cod. penumero , ove il fatto sia stato commesso nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni dieci, è la Corte d'assise e non il Tribunale in composizione collegiale». 4. Nel caso di specie, tuttavia, tale principio non può trovare applicazione, in quanto si versa nell'ipotesi di competenza per materia determinata da ragioni di connessione, disciplinata dall'articolo 15, cod. proc. penumero Non v'è dubbio, infatti, che per le residue imputazioni, diverse da quelle per le quali vi è la competenza della Corte d'assise, la competenza spettava al tribunale in composizione collegiale. Tuttavia, trattandosi di competenza per materia determinata da ragioni di connessione, trova applicazione la norma di cui all'articolo 21, comma 3, cod. proc. penumero , a norma del quale l'incompetenza derivante da connessione, tra cui rientra l'ipotesi dell'articolo 15, cod. proc. penumero , è rilevata o eccepita, a pena di decadenza, entro i termini previsti dal comma 2 , ossia prima della conclusione dell'udienza preliminare o, se questa manchi, entro il termine previsto dall'articolo 491, comma 1 . Trattandosi, nel caso di specie, di competenza per materia determinata da ragioni di connessione, in base al disposto del comma 3 dell'articolo 21 cod. proc. penumero il ricorrente è decaduto dalla possibilità di eccepirla, avendola sollevata per la prima volta dinanzi a questa Corte, né è consentito al Collegio cli rilevarla d'ufficio, essendo ciò precluso dalla stessa disposizione processuale ''è rilevata o eccepita . Ciò, del resto è confermato da quella giurisprudenza assolutamente dominante salva l'isolata pronuncia di Sez. 1, numero 40879 del 03/10/2012, Rv. 253473 - 01 , secondo la quale, nei procedimenti con udienza preliminare, la questione dell'incompetenza derivante da connessione, anche quando la stessa incida sulla competenza per materia, può essere proposta o rilevata d'ufficio subito dopo il compimento per la prima volta dell'accertamento della costituzione delle parti in dibattimento, a condizione che la parte abbia ,già formulato senza successo la relativa eccezione dinanzi al giudice dell'udienza preliminare da ultimo Sez. 1, numero 30964 del 28/05/2019, Rv. 276439 - 01 . Ne consegue, pertanto, che, una volta superato lo sbarramento temporale individuato dal comma 2 dell'articolo 21, cod. proc. penumero , richiamato dal comma 3 della stessa disposizione, l'incompetenza per materia derivante da ragioni di connessione non può più essere né eccepita né rilevata d'ufficio. 5. Deve, pertanto, essere affermato il seguente principio di diritto «L'incompetenza per materia o per territorio derivante da connessione, ai sensi degli articolo 15 e 16 cod. proc. penumero , non rilevata d'ufficio od eccepita prima della conclusione dell'udienza preliminare o, quando questa manchi, subito dopo il compimento per la prima volta dell'accertamento della costituzione delle parti in dibattimento, non può essere né eccepita né rilevata per la prima volta in sede di legittimità, ostandovi il disposto dell'articolo 21, comma 3, cod. proc. penumero ». 6. Anche il secondo motivo è inammissibile. E' sufficiente a tal fine richiamare la giurisprudenza di questa Corte secondo cui le dichiarazioni rese innanzi alla polizia giudiziaria da una persona non sottoposta ad indagini, ed aventi carattere autoindiziante dunque, a maggior ragione, quelle rese dinanzi al GIP in sede di incidente probatorio, svolto nel contraddittorio tra le parti , non sono utilizzabili contro chi le ha rese ma sono pienamente utilizzabili contro i terzi, posto che la garanzia di cui all'articolo 63, comma 1, cod. proc. penumero è posta a tutela del solo dichiarante da ultimo Sez. 2, numero 28583 del 18/06/2021, Rv. 281807 - 01 . In tal senso si è anche chiarito che in tema di prova dichiarativa, le dichiarazioni aventi contenuto anche autoindiziante rese innanzi alla polizia giudiziaria da persona non sottoposta ad indagini - quando ancora non sussistano elementi per ritenere la medesima indagabile - non sono utilizzabili contro chi le ha rese, ma sono pienamente utilizzabili contro i terzi, atteso che la qualità di teste-parte offesa del reato in relazione al quale si indaga, prevale rispetto a quella di possibile coindagato in reato connesso Sez. 2, numero 23894 del 11/06/2020, Rv. 279804 - 01 . Ne discende, pertanto, la piena utilizzabilità nei confronti del ricorrente di quanto riferito dalla persona offesa, quand'anche la stessa avesse reso dichiarazioni contra se, secondo la ipotetica ricostruzione difensiva. 7. Infine, anche il terzo motivo è inammissibile. La censura, sotto l'apparente deduzione del vizio di mancanza della motivazione, tende in realtà a proporre una rivalutazione in fatto della vicenda, censurando la valutazione espressa dai giudici territoriali di attendibilità del narrato della persona offesa. La violazione del principio dell'ogni oltre ragionevole dubbio è dunque evocata senza alcuna ragione giuridica apprezzabile, in quanto il dubbio prospettato, non riguarda certo la colpevolezza del ricorrente quanto, piuttosto, l'attendibilità intrinseca ed estrinseca della persona offesa, ciò che rende all'evidenza inammissibile il relativo motivo. Del resto, questa Corte ha già affermato che in sede di legittimità, perché sia ravvisabile la manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. e cod. proc. penumero , è necessario che la ricostruzione dei fatti prospettata dall'imputato che intenda far valere l'esistenza di un ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza, contrastante con il procedimento argomentativo seguito dal giudice, sia inconfutabile e non rappresentativa soltanto di una ipotesi alternativa a quella ritenuta nella sentenza impugnata, dovendo il dubbio sulla corretta ricostruzione del fatto-reato nei suoi elementi oggettivo e soggettivo fare riferimento ad elementi sostenibili, cioè desunti dai dati acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali seppure plausibili Sez. 2, numero 3817 del 09/10/2019, dep. 2020, Rv. 278237 - 01 . E, nella specie, la prospettazione è all'evidenza meramente ipotetica e congetturale, se pur in astratto plausibile. 8. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella proposizione. 9. Quanto alla condanna alle spese relative all'azione civile, non ricorrono le condizioni per disporla, essendo state tardivamente depositate le conclusioni per via telematica, ossia solo il 13 giugno 2024, giorno antecedente l'udienza. In tema di disciplina emergenziale per la pandemia da Covid-19, il termine del quinto giorno antecedente all'udienza, per il deposito delle conclusioni nel giudizio di legittimità, previsto dall'articolo 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, numero 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, numero 176, ha natura perentoria, sicché la parte civile che presenti le proprie conclusioni oltre tale termine non può ritenersi ritualmente costituita in detto giudizio Sez. 6, numero 13434 del 26/01/2021, Rv. 281148 - 01 v. anche Sez. 1, numero 35305 del 21/05/2021, Rv. 281895 - 01 . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'articolo 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.