La ricorrente del caso in esame è una detenuta, nata uomo, che aveva avviato il percorso per essere riconosciuta donna terminato nel 2023. La CEDU ha stigmatizzato il rifiuto del carcere di farle proseguire le cure ormonali necessarie per la transizione, malgrado «elementi forti dinanzi alle autorità nazionali che indicavano che la terapia ormonale era un trattamento medico appropriato per lo stato di salute della ricorrente con un effetto benefico su di lei».
In questo modo hanno leso la sua libertà di definire la propria identità di genere, uno degli elementi essenziali del principio dell’autodeterminazione personale. Infine, essendo un soggetto vulnerabile, in quanto trans, aveva diritto ad una maggiore tutela da parte dello Stato che le è stata rifiutata violato l’articolo 8 Cedu, assorbite le altre censure ex articolo 2,3, 13 e 14. La vicenda È quanto deciso l’11 luglio dalla CEDU nel caso W.W. c. Polonia ric.31842/20 . La ricorrente, il cui sesso alla nascita era maschile, sin dall’infanzia si è riconosciuta nel genere femminile ed nel 2023 ottenne il riconoscimento della sua nuova identità di genere. Dal 2013 però risulta detenuta in diverse carceri maschili per scontare varie pene per rapina, furto e furto con scasso. Posto che, qualche anno prima, a seguito di un atto autolesionista orchiectomia bilaterale era stata ricoverata, le fu prescritta per la sua salute mentale e fisica una terapia ormonale sostitutiva per la transizione. Le autorità carcerarie però le rifiutarono la prosecuzione di tali cure che peraltro si è sempre pagata . Per proseguire le cure si sarebbe dovuta sottoporre ad approfondita visita medica specialistica da un sessuologo, uno psichiatra, un endocrinologo, un ginecologo o un urologo ed a test endocrinologici molto pericolosi. Vani i ricorsi. Il farmaco necessario le è stato dato solo dal 31/7/2020. Quadro internazionale sul divieto di tortura e tutela dei diritti umani I Comitati per la prevenzione della tortura e di altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti e quelli per la tutela dei diritti fondamentali dell’ONU e del COE nei vari dossier, nelle raccomandazioni hanno sempre evidenziato l’onere per gli Stati di adottare misure protettive più stringenti per i detenuti, soggetti vulnerabili, ancor di più se appartenenti ai LGBT, nonchè il divieto di discriminarli. Tutti i detenuti devono essere protetti da violenze, anche sessuali e abusi, e soprattutto devono esser rispettate le loro privacy e dignità. «Le norme minime standard delle Nazioni Unite per il trattamento dei detenuti in prosieguo le «regole di Nelson Mandela» , A/RES/70/175, in qualità di norme chiave globali per il trattamento dei detenuti, adottate dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 17 dicembre 2015» alla Regola 7 prevedono il rispetto dell’identità di genere del detenuto così come auto percepita. «Nell'ottobre 2009 il Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa ha pubblicato un documento dal titolo Diritti umani e identità di genere , in cui ha affermato quanto segue in merito all'accesso alla terapia ormonale per i detenuti transgender pag. 16, nota 60 Problemi simili sono affrontati dalle persone transgender in carcere che possono affrontare periodi di tempo senza terapia ormonale. Ciò può comportare un lungo periodo senza trattamento e può causare gravi problemi di salute, come lo sviluppo dell'osteoporosi negli uomini transessuali e cambiamenti fisiologici irreversibili come lo sviluppo della calvizie nelle donne transessuali. Le persone transessuali avranno spesso difficoltà ad accedere alla valutazione, alle terapie ormonali o agli interventi chirurgici, poiché molte prigioni o sistemi penitenziari ritengono di non avere le strutture per gestire i detenuti transessuali, o in alcuni casi sono visti come se [rinunciassero] al loro diritto a tali trattamenti a causa della loro condanna » neretto,nda . Queste carenze ed il mancato supporto psicologico sono stati riscontrati nel corso degli anni anche da vari rapporti del CTP del COE. Le cure per la transizione di genere non sono un capriccio, ma una necessità medica La CEDU, nel costatare che questi principi sopra descritti sono stati sistematicamente violati nella fattispecie, ricorda che «sebbene l'articolo 8 abbia essenzialmente lo scopo di proteggere il singolo da ingerenze arbitrarie da parte delle autorità pubbliche, esso non si limita a costringere lo Stato ad astenersi da tali ingerenze oltre a questo impegno principalmente negativo, possono sussistere obblighi positivi inerenti all'effettivo rispetto della vita privata. Tali obblighi possono comportare l'adozione di misure volte a garantire il rispetto della vita privata anche nell'ambito dei rapporti tra gli individui» neretto, nda . In breve da un lato la disforia di genere è un disturbo psichico che ha pesanti ripercussioni sulla persona che ne soffre avente bisogno della dovuta assistenza medica e psicologica, sì che, come comprovato dalla sua prassi costante e recente Van Kück c. Germania del 2003 e Fenech c. Malta dell’1/3/22 , la richiesta di cure ormonali e di interventi per la riassegnazione del genere non son capricci velleitari, ma sono interventi invasivi e dolorosi volti ad ottenere un cambiamento nel ruolo sociale di genere. In breve, si tratta di rispettare la libertà di definire la propria identità di genere che rientra nel diritto fondamentale all’autodeterminazione. Lo Stato, pur avendo discrezionalità in materia, non poteva rifiutare le cure, subordinandone il proseguimento a test e visite mediche specialistiche è un onere eccessivo imposto ad un soggetto vulnerabile bisognoso di protezione rafforzata. Non vi è stato alcun dovuto giusto equilibrio tra i contrapposti interessi ed il rifiuto è stata un’ingerenza sproporzionata e non necessaria in una società democratica.
CEDU, sentenza 11 luglio 2024, caso W.W. comma Polonia ricomma 31842/20