Manifestazioni ed eventi estivi intollerabili per i proprietari delle seconde case: il Comune dovrà risarcire il danno

Confermata in Cassazione la sentenza che condanna un Comune della riviera ligure al risarcimento a favore dei residenti che hanno agito in giudizio per l’intollerabilità dei rumori dovuti agli eventi e alle manifestazioni tenute nella piazza durante l’estate.

Durante il periodo estivo, i Comuni della riviera ligure organizzano diverse manifestazioni ed eventi. I residenti di uno di questi Comuni hanno però deciso di agire in giudizio contro l'ente locale per l'intollerabilità dei rumori che si protraevano fino a tarda notte, con superamento del limite di tollerabilità, pregiudicando così il godimento dell'appartamento destinato a residenza estiva. Il Tribunale, accertato con CTU il superamento della soglia massima di decibel consentiti, ha liquidato equitativamente la somma di mille euro per ciascuno a titolo di risarcimento. Il Comune ha impugnato la pronuncia in appello, dove però il risarcimento è stato innalzato a 3mila euro in accoglimento dell'impugnazione incidentale dei residenti. La pronuncia di seconde cure è dunque stata impugnata in Cassazione dal Comune. In primo luogo, il Comune ha tentato di contestare la validità della CTU svolta in primo grado in base alle previsioni del DPCM del 1997, mentre avrebbe dovuto farsi riferimento al regolamento delle attività rumorose adottato dal consiglio comunale nel 2004 che consente, per manifestazioni e spettacoli all'aperto, di arrivare fino al limite di 70 decibel . La censura non coglie però nel segno posto che «i limiti posti dai singoli regolamenti, compreso dunque quello richiamato dal Comune, e dallo stesso Comune approvato, sono puramente indicativi in quanto anche immissioni che rientrino in quei limiti possono considerarsi intollerabili nella situazione concreta, posto che la tollerabilità è, per l'appunto, da valutarsi tenendo conto dei luoghi, degli orari, delle caratteristiche della zona e delle abitudini degli abitanti». La Cassazione ricorda inoltre che l'ente pubblico soggetto all'obbligo di non provocare immissioni rumorose ed «è responsabile dei danni conseguenti alla lesione dei diritti soggettivi dei privati, cagionata da immissioni provenienti da aree pubbliche, potendo conseguentemente essere condannata al risarcimento del danno, così come al facere necessario a ricondurre le dette immissioni al di sotto della soglia della normale tollerabilità, dal momento che tali domande non investono – di per sé – atti autoritativi e discrezionali, bensì un'attività materiale soggetta al richiamato principio del neminem laedere » Cass. civ. numero 14209/2023 . Nessun dubbio anche sulla cifra accordata dalla Corte d'appello come risarcimento del danno. I giudici hanno infatti correttamente tenuto conto dell'interesse pubblico, osservando che quest'ultimo non può giustificare il sacrificio del diritto del privato oltre la normale tollerabilità. Il ricorso viene dunque definitivamente rigettato.

Presidente Scrima – Relatore Cricenti Fatti di causa 1.- Il Comune di omissis organizza periodicamente, nel periodo estivo, manifestazioni culturali che si svolgono in piazza omissis . Alcuni abitanti, residenti in quella piazza, hanno lamentato tuttavia che, sia per l'allestimento del palco che poi per lo svolgimento degli spettacoli, che si protraevano fino a tarda notte, si verificavano rumori che superavano la normale tollerabilità e che rendevano difficile il soggiorno pregiudicando il godimento dell'appartamento che costoro avevano destinato a loro residenza estiva. 1.1-  M.G. e B.G., per l'appunto proprietari degli immobili insistenti su piazza omissis , hanno citato in giudizio il Comune di omissis per accertare che gli spettacoli producevano immissioni intollerabili e per ottenere la condanna del comune al risarcimento del danno. Il tribunale ha effettuato una consulenza tecnica dalla quale è emerso che quei rumori superavano la soglia dei decibel consentiti, e dunque ha liquidato equitativamente la somma di 1.000 € ciascuno, oltre accessori, a ristoro del pregiudizio subito. Il Comune di omissis ha impugnato questa decisione con appello principale, mentre i due attori hanno proposto appello incidentale relativamente all'ammontare del danno loro liquidato. 1.2.- La Corte di appello di Genova ha rigettato l'appello principale ed ha accolto quello incidentale, riconoscendo ai due appellanti la somma di 3.000 € anziché quella di 1.000 € inizialmente liquidata. 1.3-Questa sentenza è oggetto di ricorso per Cassazione da parte del Comune di omissis con due motivi. Per contro si sono costituiti B.G. e M.G. per chiedere il rigetto del ricorso. Ragioni della decisione 2.-La Corte di appello ha confermato la decisione di primo grado. Nel corso del giudizio di primo grado infatti era stata espletata una consulenza tecnica, che aveva rilevato il rumore sia a finestre chiuse che a finestre aperte, e comunque in diverse ore del giorno, ed erano state altresì assunte prove testimoniali sulle immissioni rumorose e sull'attività che le produceva. La Corte di appello ha inoltre rigettato l'argomento del comune appellante in base al quale il CTU avrebbe fatto riferimento, per le misurazioni, al DPCM del 1997 relativo invece alle attività produttive, e che non poteva applicarsi alle manifestazioni culturali, quali erano quelle che il comune organizzava in quella piazza. A tale riguardo, la Corte di appello ha osservato che il tribunale non ha fatto applicazione di quel DPCM, quanto piuttosto ha usato il metodo comparativo indicato dalla giurisprudenza secondo cui la tollerabilità va valutata caso per caso in relazione alle circostanze concrete. Ha inoltre osservato che l'interesse pubblico allo svolgimento degli spettacoli non poteva comportare il sacrificio del diritto del privato oltre il limite della tollerabilità. Infine, quanto al danno, la corte di merito ha ritenuto che quello non patrimoniale era stato provato per via presuntiva dalla impossibilità di utilizzare la casa per le vacanze, ed, in accoglimento dell'appello incidentale, ha rideterminato in 3.000 € l'ammontare del risarcimento sulla base della considerazione che quel risarcimento deve essere integrale e non limitato ai soli giorni di effettivo probabile utilizzo dell'immobile, ma deve tener conto della circostanza che l'immobile diventa per i ricorrenti inutilizzabile comunque. 3.- Questa ratio è contestata con due motivi. Con il primo motivo si eccepisce l'illegittima applicazione del DPCM del 1997 e dell'articolo 844 del codice civile. Il motivo contiene due censure. Quanto alla prima censura, la tesi del ricorrente è che il CTU ha erroneamente preso a base delle sue valutazioni le immissioni considerate dal DPCM del 1997, senza tener conto però che tale provvedimento è relativo alle attività produttive, commerciali e professionali, tra le quali certamente non rientra lo svolgimento di manifestazioni culturali e di spettacoli. Secondo i ricorrenti l'eccezione non ha tenuto conto del regolamento delle attività rumorose adottato dallo stesso consiglio comunale nel 2004, che consente, nell'ipotesi, per l'appunto di manifestazioni e spettacoli all'aperto, di arrivare fino al limite di 70 decibel. La seconda censura attiene alla liquidazione del danno e mira a dire che erroneamente esso è stato liquidato equitativamente e ritenuto sussistente. Il motivo va disatteso. Quanto alla prima censura, le ragioni di infondatezza sono due in generale, i limiti posti dai singoli regolamenti, compreso dunque quello richiamato dal comune, e dallo stesso comune approvato, sono puramente indicativi in quanto anche immissioni che rientrino in quei limiti possono considerarsi intollerabili nella situazione concreta, posto che la tollerabilità è, per l'appunto, da valutarsi tenendo conto dei luoghi, degli orari, delle caratteristiche della zona e delle abitudini degli abitanti Cass. 28201/ 2018 , che è ciò che il consulente ha fatto. In secondo luogo, anche un ente pubblico è soggetto all'obbligo di non provocare immissioni rumorose ed «è responsabile dei danni conseguenti alla lesione dei diritti soggettivi dei privati, cagionata da immissioni provenienti da aree pubbliche, potendo conseguentemente essere condannata al risarcimento del danno, così come al facere necessario a ricondurre le dette immissioni al di sotto della soglia della normale tollerabilità, dal momento che tali domande non investono – di per sé – atti autoritativi e discrezionali, bensì un'attività materiale soggetta al richiamato principio del neminem laedere » Cass. 14209/ 2023, in caso analogo La seconda censura, invece, è del tutto insufficiente a costituire motivo di ricorso apoditticamente si contesta la prova e la stima del danno, senza indicare quali criteri legali siano stati in concreto violati ed in che termini lo siano stati. Il secondo motivo prospetta omesso esame di un fatto decisivo e controverso e rimprovera alla decisione impugnata di non aver tenuto in alcuna considerazione l'interesse pubblico allo svolgimento di tali manifestazioni ove la Corte lo avesse fatto avrebbe potuto verificare che un tale interesse può costituire deroga al limite di tollerabilità delle emissioni. Il motivo è inammissibile. La Corte ha tenuto conto dell'interesse pubblico, ed ha correttamente osservato che non può giustificare il sacrificio del diritto del privato oltre la normale tollerabilità. Dunque, la questione è stata oggetto di esame. La circostanza secondo cui le immissioni sono state imposte dal perseguimento di un interesse pubblico è stata esaminata. Va da sé che l'apprezzamento circa la prevalenza dell'uno o dell'altro interesse, ossia l'apprezzamento circa la tollerabilità delle immissioni, soglia entro la quale è tutelato l'interesse pubblico, è rimessa al giudice di merito ed è incensurabile in cassazione. Il ricorso va dichiarato inammissibile, e le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, nella misura di 1600,00, oltre 200,00 euro di esborsi, ed oltre spese generali. Ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. numero 115 del 2002, inserito dall'articolo 1, comma 17 della l. numero 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.