Con la sentenza qui esaminata la Corte Costituzionale risolve a favore del giudice dell’udienza preliminare di Roma il conflitto di attribuzioni con il Senato della Repubblica relativamente all’utilizzabilità di alcune intercettazioni di un senatore della Repubblica.
In particolare, il Senato formula un triplice ordine di rilievi a sostegno della negata autorizzazione. Il primo, non spettava al giudice dell'udienza preliminare, ma il giudice delle indagini preliminari la proposizione del conflitto. In secondo luogo, per il Senato mancavano i presupposti sostanziali per l'utilizzazione delle intercettazioni. In terzo luogo, secondo il Senato, non si trattava di intercettazioni occasionali, sottratte al conflitto, ma di intercettazioni indirette per le quali era necessaria la preventiva autorizzazione della Camera di appartenenza del soggetto interessato. Con la decisione numero 117 del 2024 i giudici costituzionali ritengono di non condividere nessuna delle tre eccezioni. Invero per quanto attiene alla legittimazione la Corte Costituzionale fa notare che il riferimento al giudice delle indagini preliminari che figura nell'articolo 6 comma 2 della l. 140 del 2003 non deve ritenersi preclusiva della legittimazione degli altri giudici che intendono utilizzare le intercettazioni suscettibili di conflitto. Nel caso di specie si tratta del giudice che ai fini delle determinazioni in ordine alla richiesta del PM di rinvio a giudizio è chiamato ad esprimere le sue valutazioni. Se il riferimento al giudice delle indagini può legittimarsi in relazione a quanto previsto dagli articolo 266 e seguenti c.p.p., ciò non può escludere il più ampio riferimento al giudice che intenda utilizzare il riferito materiale frutto di intercettazioni. In secondo luogo, la Corte esclude che spetti al Senato di valutare il merito della “necessità” ai fini decisori del materiale intercettato, trattandosi di valutazioni rimesse alle attribuzioni esclusive del giudice che intenda avvalersene. Sotto questo aspetto la Corte non accoglie il conflitto del Senato nella parte in cui fa notare che parte dell'attività ritenuta illecita era stata svolta dall'intercettato prima dell'assunzione del ruolo di sottosegretario, ma piuttosto in quella di semplice parlamentare nel cui contesto una certa attività di lobbismo potrebbe essere considerata legittima e comunque non riconducibile ad illiceità. Infine l'aspetto più delicato è rappresentato dalla natura delle intercettazioni di cui il giudice chiede l'utilizzabilità. Come anticipato a giudizio del Senato si tratterebbe di intercettazioni indirette, mentre per il giudice dell'udienza preliminare ci si troverebbe in presenta di intercettazioni occasionali. Il dato si innesta in quegli elementi fattuali sui quali il giudice opponente si dilunga cercando di escludere che il bersaglio, nonostante fossero presenti elementi indiziari, fosse individuato risultando decisivo il fatto che il senatore non fosse stato iscritto nel registro delle notizie di reato. Tuttavia non può negarsi che elementi sintomatici di una sua identificazione fossero individuabili senza soverchie difficoltà. La Corte ha ritenuto di non condividere le riserve del Senato reputando le argomentazioni fattuali del giudice soprattutto in quanto mancava l'indicazione del nome del senatore nelle intercettazioni svolte. In termini fattuali come si intuisce – spesso – si tratta di una linea di demarcazione sottile come emerge dal caso di specie, nella quale la occasionalità costituisce il limite minimo di operatività, sfiorando il limite minimo di attività indiretta.