La Cassazione fa il punto su una questione specifica, ma che ha interesse generale l’ipotesi di ius superveniens che abbrevi un termine di prescrizione.
La fattispecie riguardava l'inadempimento e la responsabilità dello Stato italiano, con conseguente diritto al risarcimento del danno a favore degli specializzandi, per ritardo nel recepire direttive comunitarie, che nella specie prevedevano un'adeguata retribuzione da corrispondere. Nel 2017 degli specializzandi, laureati in medicina ed in possesso di diploma di specializzazione post lauream, convennero in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri e tre Ministeri dell'Università e della Ricerca della Salute e dell'Economia e delle Finanze , chiedendone la condanna al risarcimento del danno per tardiva attuazione delle Direttive 75/362 e 75/363. Queste direttive imponevano agli Stati membri di prevedere che ai frequentanti le scuole di specializzazione fosse corrisposta un'adeguata retribuzione. Lo Stato italiano ha dato attuazione alle Direttive europee solo nel 1991 con la l. numero 257/1991. Da qui il contenzioso per accertare l'inadempimento e la responsabilità dello Stato italiano, nonché il conseguente diritto al risarcimento del danno a favore degli specializzandi. La questione specifica attiene all'individuazione del termine di prescrizione decennale o quinquennale? Infatti, solo con l'articolo 4, comma 43°, della l. 12/11/2011 numero 183 legge di stabilità per il 2012 , il Legislatore intervenne e stabilì che «la prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da mancato recepimento nell'ordinamento dello Stato di direttive o altri provvedimenti obbligatori comunitari soggiace, in ogni caso, alla disciplina di cui all'articolo 2947 del codice civile e decorre dalla data in cui il fatto, dal quale sarebbero derivati i diritti se la direttiva fosse stata tempestivamente recepita, si è effettivamente verificato». Prima della legge di stabilità 2012, la prescrizione del diritto al risarcimento del danno causato dallo Stato a causa della tardiva attuazione d'una direttiva comunitaria non era disciplinata da alcuna norma espressa. Nel silenzio della legge la giurisprudenza ritenne applicabile il termine di prescrizione decennale. Quale scelta politica, la mancata o tardiva attuazione d'una direttiva comunitaria non poteva equipararsi ad un “fatto illecito” ai sensi dell'articolo 2043 c.c. Conseguiva che l'obbligazione dello Stato di risarcire il danno causato dalla tardiva attuazione d'una direttiva comunitaria veniva equiparata all'inadempimento di un'obbligazione ex lege di natura indennitaria , riconducibile come tale all'area della responsabilità contrattuale Cass. civ., Sez. Un, 17/04/2009, numero 9147, a componimento di precedenti contrasti giurisprudenziali . Inquadrato nell'area della responsabilità contrattuale, l'obbligazione risarcitoria soggiaceva al termine decennale di prescrizione. La legge di stabilità 2012 articolo 4, comma 43, della l. 183/11 fissò il termine di prescrizione quinquennale. Gli effetti di una legge che abbrevia un termine di prescrizione sono disciplinati dall'articolo 252, comma primo, disp. att. c.c., ritenuto espressione di un principio generale applicabile, dunque, a qualunque ipotesi di ius superveniens che abbrevi un termine di prescrizione sia dalla Corte Costituzionale Corte cost., 3.2.1994 numero 20 , sia dalle Sezioni Unite Sez. U, Sentenza 07/03/2008, numero 6173 , stabilendo due regole quando una nuova legge stabilisce un termine di prescrizione più breve di quello previsto dalle leggi anteriori, il nuovo termine si applica anche all'esercizio dei diritti sorti anteriormente all'entrata in vigore della nuova legge, con decorrenza dall'entrata in vigore di quest'ultima il termine di prescrizione introdotto dalla legge posteriore non s'applica, se ha per effetto di prolungare la scadenza del termine previgente già in corso. In sostanza, dall'entrata in vigore d'una legge abbreviatrice d'un termine di prescrizione in corso, si applica il minor termine tra quello nuovo e quel che residua del termine originario. La Suprema Corte enuclea, dall'articolo 252 disp. att. c.c., quattro ipotesi il termine di prescrizione è spirato prima dell'entrata in vigore della nuova legge che lo abbia abbreviato in tal caso ovviamente non si pone alcuna questione di successione di legge nel tempo, dal momento che la legge posteriore non potrebbe far rivivere diritti già estinti. la nuova legge stabilisce un termine di prescrizione che, calcolato a decorrere dalla sua entrata in vigore, accorci la durata della prescrizione di cui il creditore avrebbe beneficiato secondo la legge previgente. In tal caso il credito si prescriverà non più nel termine originario, ma nel minor termine previsto dalla nuova norma, che inizierà a decorrere dall'entrata in vigore di quest'ultima. al momento di entrata in vigore della legge abbreviatrice del previgente termine di prescrizione, manca allo spirare di quest'ultimo un arco di tempo minore rispetto al nuovo termine introdotto dal ius superveniens, calcolato con decorrenza dall'entrata in vigore della nuova legge. In tal caso il credito si prescriverà nel termine originario, e resterà insensibile al jus superveniens. dopo l'entrata in vigore della legge abbreviatrice del termine di prescrizione, ma prima che sia spirato il termine applicabile, il creditore interrompa la prescrizione. In tal caso si applicherà il nuovo termine, con decorrenza non dall'entrata in vigore della legge di riforma, ma dal compimento dell'atto interruttivo. Nel caso concreto, la prescrizione era stata interrotta nel 2008 ed il giudizio di primo grado è iniziato il 5 luglio 2017. Alla data di entrata in vigore della l. 183/11, pertanto, il credito azionato, secondo le regole previgenti, si sarebbe prescritto entro 6 anni e mezzo. Tuttavia, dal 1° gennaio 2012 quel termine fu ridotto, ai sensi del combinato disposto dell'articolo 4, comma 43, l. 183/11, e 252 disp. att. c.p.c., a cinque anni decorrenti dal 1° gennaio 2012. Pertanto, il credito azionato si era prescritto il 1° gennaio 2017 ed era già estinto al momento della successiva azione giudiziaria. La prescrizione del diritto al risarcimento del danno causato dalla tardiva attuazione d'una direttiva comunitaria è soggetto alla prescrizione quinquennale a partire dal 1° gennaio 2012, a nulla rilevando che il fatto generatore del danno, od il danno stesso si sia verificato in epoca anteriore. Se alla data del 1° gennaio 2012 il tempo mancate al compimento della prescrizione fosse inferiore al quinquennio, continuerà ad applicarsi il previgente termine decennale. Se dopo il 1° gennaio 2012, ma prima del maturare della prescrizione, il creditore ne abbia interrotto il corso, a partire dall'atto interruttivo si applicherà il termine quinquennale.
Presidente Frasca – Relatore Rossetti Fatti di causa 1. Nel 2017 S.C. ed altri soggetti, tutti laureati in medicina ed in possesso di diploma di specializzazione post lauream, convennero dinanzi al Tribunale di Roma la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed i tre ministeri indicati in epigrafe, chiedendone la condanna al risarcimento del danno per tardiva attuazione delle Direttive 75/362 e 75/363. 2. Con sentenza 8613/20 il Tribunale per quanto ancora rileva rigettò la domanda proposta da S.C. ritenendo prescritto il diritto. 3. Con sentenza 30.9.2021 numero 6405 la Corte d'appello di Roma accolse il gravame e condannò la Presidenza del Consiglio al pagamento in favore di S.C. di euro 46.997,58. La Corte d'appello ritenne che - il termine di prescrizione da applicare era quello decennale - decorresse dal 27.10.1999 - l'interessato aveva interrotto la prescrizione nel 2008 - il decennio non era dunque spirato al momento di introduzione del giudizio di primo grado, avvenuto nel 2017 - non poteva applicarsi il termine quinquennale introdotto dalla l. 183/11, perché concernente i soli “fatti verificatisi successivamente” alla sua entrata in vigore. 6. La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione dalla Presidenza del Consiglio. S.C. ha resistito con controricorso illustrato da memoria. Ragioni della decisione 1. Va esaminato per primo, ai sensi dell'articolo 276, comma secondo, c.p.c., il secondo motivo di ricorso. 2. Col secondo motivo di ricorso la Presidenza del Consiglio censura la sentenza d'appello nella parte in cui ha rigettato l'eccezione di prescrizione. Deduce che la Corte territoriale avrebbe dovuto applicare il termine di prescrizione quinquennale, e non decennale, giusta la previsione dell'articolo 4, comma 43, l. 183/11. Afferma che questa norma, prevedendo che il diritto al risarcimento del danno da tardiva attuazione d'una direttiva comunitaria si prescriva in cinque anni, ha dettato una regola sì irretroattiva, ma applicabile comunque ai termini già in corso al momento della sua entrata in vigore, ed a partire da tale momento in poi. La Presidenza del Consiglio ne trae la conclusione che dal 1° gennaio 2012, data di entrata in vigore della l. 183/11, ha iniziato a decorrere un termine prescrizionale di cinque anni, ormai spirato alla data dell'introduzione della lite 5.7.2017 . 2.1. Il motivo è fondato. La prescrizione del diritto al risarcimento del danno causato dallo Stato a causa della tardiva attuazione d'una direttiva comunitaria fino a dieci anni fa non era disciplinata da alcuna norma espressa. Nel silenzio della legge la giurisprudenza di questa Corte si orientò a ritenere che a quel diritto dovesse applicarsi il termine di prescrizione decennale. L'adeguamento dell'ordinamento interno a quello comunitario, infatti, deve avvenire per mezzo d'una legge ma la scelta del Parlamento di adottare o non adottare una legge, così come lo stabilire quale contenuto darle, sono atti politici. Essi sono perciò liberi nel fine ed insuscettibili di essere qualificati come “dolosi” o “colposi” Sez. 3, Sentenza numero 4915 del 01/04/2003 . Se ne trasse la conclusione che la mancata o tardiva attuazione d'una direttiva comunitaria non può equipararsi ad un “fatto illecito” ai sensi dell'articolo 2043 c.c., e che di conseguenza l'obbligazione dello stato di risarcire il danno causato dalla tardiva attuazione d'una direttiva comunitaria andasse equiparata “all'inadempimento di un'obbligazione ex lege di natura indennitaria , riconducibile come tale all'area della responsabilità contrattuale” così Sez. U, Sentenza numero 9147 del 17/04/2009, la quale compose in tal guisa i precedenti contrasti giurisprudenziali, ed i cui princìpi sono stati costantemente ribaditi dalla giurisprudenza successiva da ultimo, ex aliis, Sez. 1, Ordinanza numero 17936 del 22.6.2023 . Inquadrato il c.d. “illecito comunitario” nell'area della responsabilità contrattuale, ne discese l'applicazione, al credito vantato da quanti avessero subito danno per effetto dell'inerzia del legislatore, del termine decennale di prescrizione. 2.2. A disciplinare la materia intervenne in seguito l'articolo 4, comma 43, della l. 12/11/2011 numero 183 legge di stabilità per il 2012 , il quale stabilì che “la prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da mancato recepimento nell'ordinamento dello Stato di direttive o altri provvedimenti obbligatori comunitari soggiace, in ogni caso, alla disciplina di cui all'articolo 2947 del codice civile e decorre dalla data in cui il fatto, dal quale sarebbero derivati i diritti se la direttiva fosse stata tempestivamente recepita, si è effettivamente verificato”. L'articolo 4, comma 43, della l. 183/11 fu dunque una norma che abbreviò il termine di prescrizione precedentemente ritenuto applicabile. 2.3. Gli effetti di una legge che abbrevii un termine di prescrizione sono disciplinati dall'articolo 252, comma primo, disp. att. c.c Questa norma, sebbene dettata per disciplinare gli effetti dei nuovi termini di prescrizione introdotti dal codice civile, è stata ritenuta espressione di un principio generale applicabile dunque a qualunque ipotesi di ius superveniens che abbrevi un termine di prescrizione sia dalla Corte costituzionale Corte cost., 3.2.1994 numero 20 , sia dalle Sezioni Unite di questa Corte Sez. U, Sentenza numero 6173 del 07/03/2008 . 2.4. L'articolo 252, comma primo, disp. att. c.c., così come interpretato dalle decisioni appena ricordate, detta due regole. La prima regola è che quando una nuova legge stabilisca un termine di prescrizione più breve di quello previsto dalle leggi anteriori, il nuovo termine si applica anche all'esercizio dei diritti sorti anteriormente all'entrata in vigore della nuova legge, con decorrenza dall'entrata in vigore di quest'ultima. La seconda regola è che il termine di prescrizione introdotto dalla legge posteriore non s'applica, se ha per effetto di prolungare la scadenza del termine previgente già in corso. L‘articolo 252 disp. att. c.c., in definitiva, fissa il principio per cui dall'entrata in vigore d'una legge abbreviatrice d'un termine di prescrizione in corso, s'applicherà il minor termine tra quello nuovo e quel che residua del termine originario. 2.5. La regola dettata dall'articolo 252 disp. att. c.c. consente dunque di prefigurare quattro ipotesi. La prima eventualità è che il termine di prescrizione sia spirato prima dell'entrata in vigore della nuova legge che lo abbia abbreviato in tal caso ovviamente non si pone alcuna questione di successione di legge nel tempo, dal momento che la legge posteriore non potrebbe far rivivere diritti già estinti. 2.6. La seconda eventualità è che la nuova legge stabilisca un termine di prescrizione che, calcolato a decorrere dalla sua entrata in vigore, accorci la durata della prescrizione di cui il creditore avrebbe beneficiato secondo la legge previgente. In tal caso il credito si prescriverà non più nel termine originario, ma nel minor termine previsto dalla nuova norma, che inizierà a decorrere dall'entrata in vigore di quest'ultima. 2.7. La terza eventualità è che al momento di entrata in vigore della legge abbreviatrice del previgente termine di prescrizione, mancasse allo spirare di quest'ultimo un arco di tempo minore rispetto al nuovo termine introdotto dal ius superveniens, calcolato con decorrenza dall'entrata in vigore della nuova legge. In tal caso il credito si prescriverà nel termine originario, e resterà insensibile al jus superveniens. 2.8. La quarta eventualità è che, dopo l'entrata in vigore della legge abbreviatrice del termine di prescrizione, ma prima che sia spirato il termine applicabile secondo quanto indicato ai precedenti §§ 2.6 e 2.7 ovvero il minor termine tra quello nuovo e quello originario residuo , il creditore interrompa la prescrizione. In tal caso si applicherà il nuovo termine, con decorrenza non dall'entrata in vigore della legge di riforma, ma dal compimento dell'atto interruttivo. 2.9. Esula dall'oggetto del presente giudizio, e non è quindi mestieri occuparsene, lo stabilire se le regole appena elencate debbano applicarsi quando la nuova legge allunghi, anziché accorciare, il termine di prescrizione in corso. 2.10. I princìpi sin qui esposti sono già stati ripetutamente applicati da questa Corte in molti casi in cui una legge posteriore abbreviò un termine di decadenza o di prescrizione previgente, ed in particolare da - Sez. U, Sentenza numero 6173 del 07/03/2008, in merito all'applicabilità della norma che ridusse da 10 a 5 anni il termine di prescrizione del credito dell'INPS per contributi previdenziali - Sez. U, Sentenza numero 15352 del 22/07/2015, in merito all'applicabilità della norma che introdusse un termine di decadenza triennale al diritto all'indennizzo spettanti ai soggetti emotrasfusi con sangue infetto nella motivazione di tale sentenza si legge, in particolare, che “in materia di prescrizione … l'entrata in vigore di una nuova normativa che introduce un termine che prima non era previsto, [si deve] ritenere applicabile anche a coloro che già si trovavano nella situazione prevista dalla legge per esercitare il diritto ora sottoposto a decadenza, con l'unica differenza, che la decorrenza del termine inizia con l'entrata in vigore della legge che lo ha introdotto” - Sez. L, Ordinanza numero 19173 del 6.7.2023, in tema di abbreviazione del termine di decadenza dei lavoratori dall'opposizione alla cessione del rapporto di lavoro in caso di cessione di ramo d'azienda ad essa sono conformi Sez. L, Ordinanza numero 15651 del 5.6.2023 Sez. L, Sentenza numero 32165 del 5.11.2021 Sez. L, Sentenza numero 22820 del 12.8.2021 - Sez. L, Sentenza numero 17430 del 17.6.2021, in tema di abbreviazione del termine di decadenza per la richiesta di riliquidazione del supplemento di pensione di quiescenza - Sez. L, Sentenza numero 33553 del 15.11.2022, in tema di abbreviazione del termine di decadenza per richiedere all'INPS le prestazioni di invalidità civile - Sez. L, Ordinanza numero 3166 del 2.2.2022, in tema di abbreviazione del termine di decadenza per richiedere all'INPS gli interessi sulle prestazioni già erogate - Sez. 3, Sentenza numero 15315 del 6.6.2019, sull'introduzione del termine annuale di decadenza in sostituzione della prescrizione decennale per mettere in esecuzione l'ordinanza di assegnazione pronunciata dal giudice dell'esecuzione a favore del creditore esecutante nel pignoramento presso terzi in danno della pubblica amministrazione e di enti previdenziali - Sez. L, Sentenza numero 23893 del 2.10.2018, in tema di abbreviazione del termine di impugnazione del licenziamento - Sez. 1, Sentenza numero 6705 del 19/03/2010, in tema di introduzione del nuovo termine di 30 giorni ai fini della proposizione del ricorso per cassazione, dall'articolo 18, quattordicesimo comma, della legge fall., come riformato dal d.lgs. numero 169 del 2007. 2.11. Così ricostruito il quadro normativo, ne discende che i princìpi appena esposti debbano applicarsi anche per disciplinare gli effetti della previsione contenuta nell'articolo 4, comma 43, l. 183/11, come già ritenuto da questa Corte in identica fattispecie Sez. 3, Ordinanza numero 35571 del 20/12/2023, alla cui ulteriore motivazione può qui rinviarsi ex articolo 118 disp. att. c.p.c. . 2.12. Il secondo motivo di ricorso deve dunque essere accolto in applicazione dei seguenti princìpi di diritto “La prescrizione del diritto al risarcimento del danno causato dalla tardiva attuazione d'una direttiva comunitaria è soggetto alla prescrizione quinquennale a partire dal 1° gennaio 2012, a nulla rilevando che il fatto generatore del danno, od il danno stesso si sia verificato in epoca anteriore. Se alla data del 1° gennaio 2012 il tempo mancate al compimento della prescrizione fosse inferiore al quinquennio, continuerà ad applicarsi il previgente termine decennale. Se dopo il 1° gennaio 2012, ma prima del maturare della prescrizione, il creditore ne abbia interrotto il corso, a partire dall'atto interruttivo si applicherà il termine quinquennale”. 2.12. La ritenuta erroneità, su questo punto, della sentenza impugnata non ne impone la cassazione con rinvio. Infatti, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, è possibile decidere la causa nel merito. 2.13. Dal fascicolo di primo e di secondo grado emerge ma lo ammette lo stesso controricorrente a p. 11 del controricorso che la prescrizione è stata interrotta con atto del 14.6.2008, ed il giudizio di primo grado è iniziato il 5 luglio 2017. Alla data di entrata in vigore della l. 183/11, pertanto, il credito di S.C. secondo le regole previgenti si sarebbe prescritto entro 6 anni e mezzo. Dal 1° gennaio 2012 tuttavia quel termine fu ridotto, ai sensi del combinato disposto dell'articolo 4, comma 43, l. 183/11, e 252 disp. att. c.p.c., a cinque anni decorrenti dal 1° gennaio 2012. Pertanto, il credito di S.C. si prescrisse il 1° gennaio 2017, ed era già estinto al momento del successivo preteso atto interruttivo della prescrizione come s'è detto, 5.7.2017 . 2.14. Decidendo nel merito, va dunque rigettato l'appello proposto da S.C., previa correzione nei termini sopra indicati della motivazione della sentenza di primo grado. 3. La novità della questione decisa costituisce un grave motivo per compensare integralmente sia le spese del giudizio di legittimità e di quelli di merito. P.q.m. - accoglie il secondo motivo di ricorso dichiara assorbito il primo cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo la causa nel merito, rigetta l'appello proposto da S.C. - compensa integralmente le spese del presente giudizio di legittimità e dei due giudizi di merito - ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater, del d.P.R. numero 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.