La natura della confisca nel reato di infedeltà patrimoniale

«Nel delitto di infedeltà patrimoniale, l'atto negoziale stipulato dall'amministratore in conflitto di interessi verso la società costituisce reato-contratto dove lo stesso negozio giuridico stipulato si immedesima nella fattispecie di reato l’ingiusto profitto, rappresentato dall’oggetto dell’atto dispositivo, viene pertanto sottoposto al regime della confisca diretta ai sensi dell'articolo 2641, comma primo, c.c.»

La qualificazione dogmatica del delitto di infedeltà patrimoniale nella categoria dei “reati-contratto” non è di certo ininfluente. Il contratto stipulato dall'amministratore, essendo il frutto di una determinazione illecita ab origine, non influisce sulla formazione della volontà contrattuale o sull'esecuzione dello stesso programma negoziale. Secondo la Cassazione, tale circostanza implica che l'ingiusto profitto del delitto di cui all'articolo 2634 c.c. si identifica nello stesso oggetto del contratto illecito. Devono quindi trovare applicazione le norme che disciplinano la confisca diretta. I fatti La Corte di Appello di Roma, in parziale riforma al giudizio di prime cure, dichiarava l'estinzione del reato di infedeltà patrimoniale per intervenuta prescrizione e confermava le relative statuizioni civili, disponendo ai sensi dell'articolo 2641 c.c. la confisca dell'ingiusto profitto. Nel luglio 2007 si concludeva fra due differenti società la compravendita di un immobile. L'imputato, che aveva concluso l'accordo negoziale, risultava essere amministratore di fatto sia della società alienante che di quella acquirente. Secondo i giudici di merito l'atto traslativo avveniva in pieno conflitto di interessi con il soggetto venditore dal momento che buona parte del corrispettivo veniva pattuito nell'accollo di debiti da parte dell'acquirente e non nella dazione di capitale. Si evidenziavano ulteriori aspetti a riprova dell'illeceità dell'accordo come il vantaggio conseguito dall'alienante era nettamente inferiore al valore immobiliare si trattava dell'unico immobile della società e la sua vendita avveniva in assenza di previa ricerca di migliori offerenti non vi erano esigenze liquidatorie l'acquirente altro non era che una società di giovanissima costituzione e priva di minime garanzie.   Il ricorso per Cassazione Ricorrevano per Cassazione gli imputati dogliandosi di come la Corte territoriale, ai fini dell'individuazione del danno cagionato con l'atto dispositivo, aveva illegittimamente sovrapposto la nozione di patrimonio netto della società con quella del capitale sociale, non considerando che l'immobile rientrava nella prima categoria e pertanto ab origine era destinato alla vendita, e che avrebbe saldato vari debiti sociali. Lamentavano inoltre che l'intervenuta prescrizione del reato non aveva consentito un accertamento sulla penale responsabilità dell'odierno imputato tipica della sentenza di condanna tale per cui non poteva disporsi la confisca dell'immobile. Infine, a dire dei ricorrenti il delitto ex articolo 2634 c.c. deve qualificarsi alla stregua di un “reato in contratto”, dal momento che l'accordo stipulato fra le parti non è illecito di per sé, ma per il sol fatto di essere stato concluso in conflitto di interessi. Tale definizione, avrebbe circoscritto l'individuazione dell'ingiusto profitto, e per l'effetto limitato la confisca al netto del vantaggio ottenuto dal danneggiato e non sull'intero immobile. L'operatività dell'articolo 578-bis c.p.p., confisca ripristinatoria o sanzionatoria?   La Corte di Cassazione chiarisce i rapporti tra la sentenza di prescrizione e l'istituto della confisca. L'invocata applicazione dell'articolo 578-bis c.p.p. da parte degli imputati che, ai fini della confisca, imporrebbe l'accertamento della penale responsabilità del reo secondo i criteri tipici di una sentenza di condanna e pertanto non compatibili con una sentenza dichiarativa di intervenuta prescrizione, non tiene conto dei reali perimetri applicativi della stessa norma. Secondo la Corte, la confisca dell'immobile oggetto della compravendita rientra nell'ipotesi di c.d. “confisca diretta”, e pertanto avente non natura sanzionatoria ma ripristinatoria, essendo l'articolo 2641, comma 1, c.c. una delle “altre disposizioni di legge che prevedono la confisca obbligatoria” così richiamato dello stesso articolo 578-bis c.p.p. Tale tipologia di confisca, al contrario di quella “per equivalente” dall'intrinseco carattere sanzionatorio, può trovare applicazione in caso di estinzione del reato per intervenuta prescrizione ove via sia stata una precedente pronuncia di condanna «e che l'accertamento relativo alla sussistenza del reato, alla penale responsabilità dell'imputato e alla qualificazione del bene da confiscare come prezzo o profitto sia rimasto inalterato nel merito nei successivi gradi di giudizio». L'ingiusto profitto nei “reati contratto” e nei “reati in contratto” I Giudici di Cassazione, ritenuta la legittimità della confisca ripristinatoria al caso di specie, delineano altresì i confini dell'ingiusto profitto nel reato di infedeltà patrimoniale. La sua definizione presupporrebbe un preciso inquadramento dogmatico dello stesso reato di cui all'articolo 2634 chiarendo se lo stesso possa definirsi un “reato contratto” dove il delitto si immedesima con lo stesso negozio giuridico concluso o viceversa un “reato in contratto” «dove il comportamento penalmente rilevante non coincide con la stipulazione del contratto in sé, ma va ad incidere unicamente sulla fase di formazione della volontà contrattuale o su quella di esecuzione del programma negoziale» . L'articolo 2634 c.c. e l'illegittimità dell'accordo contrattuale Il reato di infedeltà patrimoniale viene pertanto qualificato dai giudici di legittimità come un “reato contratto”. L'atto dispositivo di cui all'articolo 2634 c.c. stipulato dall'amministratore in conflitto con l'interesse della società, con dolo specifico di profitto ingiusto, cagionante l'evento del danno patrimoniale alla società, è ritenuto dagli Ermellini di per sé illecito e oggetto della fattispecie delittuosa. Nella formazione dello stesso contratto non si riscontrano né vizi nella formazione della volontà negoziale né alcun vizio che incide nella stessa esecuzione del contratto si realizza pertanto «un'immedesimazione del reato col negozio giuridico e quest'ultimo risulta integralmente contaminato da illiceità, con l'effetto che il relativo profitto è conseguenza immediata e diretta della medesima ed è, pertanto, assoggettabile a confisca diretta ai sensi dell'articolo 2641, comma primo, c.c.». Pertanto, nel caso di specie, la confisca va correttamente applicata verso l'intero dell'immobile oggetto di compravendita.

Presidente De Marzo – Relatore Cananzi Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Roma, con la sentenza emessa il 20 dicembre 2022, riformava parzialmente quella del Tribunale di Latina, per quanto qui di interesse in ordine agli attuali ricorrenti, dichiarando l'estinzione del reato di infedeltà patrimoniale previsto dall'articolo 2634 cod. civ. per intervenuta prescrizione e confermando le statuizioni civili - consistenti nella condanna generica al risarcimento del danno in favore delle parti civili - e la confisca dell'immobile in sequestro ex articolo 2641 cod. civ. In particolare, gli attuali ricorrenti rispondevano del menzionato delitto, in quanto F.P., quale amministratore di fatto della OMISSIS S.r.l. e della società OMISSIS S.r.l., e C.P., quale finanziatore dell'operazione, in data 31 luglio 2007 concorrevano nella compravendita dell'immobile sito in Latina, stipulato tra le citate società, agendo F.P. in conflitto di interessi con la società OMISSIS S.r.l., e provocando con tale condotta un danno patrimoniale alla società venditrice - la citata OMISSIS S.r.l. - rappresentato dal fatto che il vantaggio conseguito per effetto dell'operazione era significativamente inferiore al valore dell'immobile. La Corte di appello confermava l'impianto della sentenza di primo grado, che aveva ritenuto fondata l'ipotesi d'accusa in ordine alla circostanza che si trattasse dell'unico bene immobile della società, che lo stesso veniva venduto senza nessuna previa attività volta alla ricerca del migliore offerente e senza che vi fosse alcuna necessità liquidatoria e in assenza della previsione di alcun interesse in relazione all'ampia quota di corrispettivo significativamente dilazionata nel tempo, a mezzo di effetti cambiari emessi dalla acquirente, società quest'ultima, sottocapitalizzata e priva di capacità patrimoniale, costituita per altro solo cinque giorni prima dell'atto. La contestazione indicava come il risultato di cassa, ottenuto dalla venditrice, risultasse irrisorio, essendo pari ad euro 100.311,64, mentre altra parte del prezzo, pari ad euro 508.928,62, era stato corrisposto tramite l'accollo di debiti della OMISSIS S.r.l. nei confronti di F.P., C.P. e C.F. peraltro una parte del debito nei confronti di C.P. pari ad euro 198.319,46 non appariva in alcun modo giustificabile infine, in capo alla società OMISSIS S.r.l. permaneva la responsabilità solidale con OMISSIS S.r.l. per i debiti accollati della società OMISSIS e pari ad euro 899.688,36, con evidente pregiudizio per la società venditrice. Successivamente, si legge ancora nell'imputazione, nel dicembre 2007, OMISSIS cedeva le quote sociali ad una società lussemburghese, OMISSIS s.a. intestazione in realtà fiduciaria, in quanto i titolari delle quote di partecipazione della OMISSIS erano F.P. e C.P., giusta scrittura privata del 4 dicembre 2007 e stipulava un contratto preliminare di compravendita con la società OMISSIS s.p.a., partecipata da una società di diritto lussemburghese OMISSIS s.p.a., in tal modo operando affinché venisse preclusa la possibilità di riacquisizione dell'immobile da parte di OMISSIS S.r.l. Il delitto era contestato in Latina il 31 luglio 2007 e in epoca successiva. 2. I ricorsi per cassazione proposti nell'interesse di F.P. e C.P. constano di motivi che saranno enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'articolo 173 disp. att. cod. proc. penumero 3. Quanto al ricorso nell'interesse di F.P., lo stesso si articola in cinque motivi. 3.1 Con il primo motivo deduce il ricorrente violazione di legge in relazione agli articoli 76,78,100 e 122 cod. proc. penumero Il ricorrente lamenta che i Giudici del merito abbiano ritenuto valida la costituzione di parte civile da parte della OMISSIS S.r.l., nonostante il G.u.p. avesse nominato dapprima il socio di minoranza della società, L.M., quale curatore speciale, che conferiva al difensore procura speciale per costituirsi parte civile, il che avveniva il 17 novembre 2010. Successivamente lo stesso Giudice, a seguito dell'opposizione dell'imputato, revocava il decreto con il quale aveva disposto la nomina del curatore speciale, disponendo l'audizione dell'amministratore di diritto, escusso all'udienza del 31 gennaio 2011 e all'esito, il 14 febbraio 2011, il G.u.p. disponeva la nomina del medesimo curatore speciale, ammettendo la costituzione di parte civile. Argomenta il ricorrente che la revoca del provvedimento di nomina del curatore determinava l'invalidità ex tunc della stessa, e travolgeva anche la procura speciale rilasciata, cosicché la costituzione della parte civile avrebbe richiesto il rilascio di una ulteriore procura speciale, non intervenuta. Pertanto, il ricorrente censura la sentenza ora impugnata che ha ritenuto valida - perché autonoma dalla nomina del curatore - la procura speciale rilasciata, avendo invece la revoca del curatore speciale determinato l'invalidità degli atti dello stesso, fra i quali quelli prodromici alla costituzione in giudizio, quindi viziata. 3.2 Il secondo motivo lamenta violazione di legge in relazione all'articolo 2476 cod. civ. quanto ai soci M., C. e T In sostanza, rileva il ricorrente come nonostante la propria opposizione in primo grado e il motivo di impugnazione, anche la Corte di appello abbia erroneamente ritenuto compatibile l'azione civile dei soci, nonostante quella della società. Argomenta il ricorrente che il danno che legittima i soci a costituirsi deve essere un danno diretto, ai sensi dell'articolo 2476 cod. civ. ma nel caso in esame per un verso lo stesso non viene prospettato, e dunque difetta la legittimazione, per altro verso, quanto alla prova del danno, i soci lo hanno calcolato operando una valutazione in tutto sovrapponibile a quella della società, limitandosi alla ripartizione del danno sociale pro-quota. Ne dovrebbe conseguire l'annullamento della sentenza quanto alle statuizioni di condanna generica in favore dei soci e in ordine alle spese di costituzione e giudizio, non sussistendo alcun danno morale nella fattispecie in esame da imputare alla condotta contestata, meramente patrimoniale. 3.3. Il terzo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione rispetto alla valutazione della Corte di appello che ha ritenuto sussistenti elementi adeguati a escludere l'assoluzione nel merito degli imputati, in funzione della confisca. Nel fare ciò, però, per un verso la Corte territoriale avrebbe confuso il capitale sociale con il patrimonio, annoverando la cessione dell'immobile nella riduzione del primo, valorizzando quale ragione di danno la circostanza che la cessione dell'immobile determinava la perdita dell'unico bene di proprietà, senza considerare che l'immobile era invece destinato fin dall'origine alla vendita, che la stessa non aveva inciso sul capitale sociale, che la sostituzione dello stesso con un credito di pari valore - la stessa sentenza impugnata non attribuisce rilievo alla contestata sottostima del prezzo pattuito rispetto al reale valore di mercato - non avrebbe determinato alcun danno, che la scelta operata dall'amministratore non fu distrattiva ma finalizzata a recuperare risorse per saldare i debiti societari, non avendo i soci provveduto a nuovi finanziamenti della società. Per altro, il ritenuto conflitto di interessi non determinava in sé l'illiceità dell'atto dispositivo, in assenza di danno per società e soci, necessario ai sensi dell'articolo 2634 cod. civ. La sentenza impugnata si sarebbe quindi limitata a una indagine non sufficientemente penetrante quanto alla sussistenza del delitto, solo in funzione della pretesa risarcitoria e della alternativa di proscioglimento nel merito ex articolo 129, comma 2, cod. proc. penumero rispetto a quella per estinzione del reato. 3.4 Il quarto motivo lamenta violazione di legge in relazione alla confermata confisca, osservando come nel caso in esame l'articolo 2641 cod. civ. richieda, per la confisca conseguente ai reati societari, la sussistenza degli elementi del reato necessari per la condanna, richiesta esplicitamente dalla norma del codice civile a differenza del mero accertamento di responsabilità, richiesto ad esempio dall'articolo 44, lett. c , d.P.R. 380 del 2001. In sostanza, il ricorrente richiama la necessità del rispetto del principio di legalità, data la natura sanzionatoria della confisca, fondandosi su pronunce di questa Corte, quali Sez. Unite De Maio e Lucci, della Corte costituzionale, e sul principio di prevedibilità della decisione ablatoria, anche per il caso di intervenuta estinzione per prescrizione del reato. In tal senso, quindi, la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione non può consentire la disposta confisca e comunque, anche a voler ritenere ciò possibile, l'articolo 578-bis cod. proc. penumero richiede un accertamento effettivo sulla responsabilità dell'Imputato e non solo quello funzionale ad evitare il proscioglimento ex articolo 129 cod. proc. penumero come richiesto in caso di prescrizione. Inoltre, il ricorrente richiama anche le Sez. U, Esposito Sez. U, numero 4145 del 29/09/2022, dep. 31/01/2023, Rv. 284209 - 01 , che attribuendo natura sostanziale alla disposizione processuale dell'articolo 578-bis cod. penumero ne hanno escluso l'applicazione retroattiva in relazione a fatti antecedenti l'entrata in vigore della norma medesima. In vero, lamenta il ricorrente, la Corte di appello avrebbe esclusivamente valutato la responsabilità ai fini delle statuizioni civili e, quindi, del risarcimento del danno che soggiace a criteri di valutazione diversi rispetto a quelli propri dell'accertamento della responsabilità penale. 3.5 Il quinto motivo lamenta violazione dell'articolo 2641 cod. civ. e vizio di motivazione in ordine alla perimetrazione del profitto del reato. La Corte territoriale ha ritenuto il profitto coincidente con l'immobile compravenduto, senza tenere in conto che nell'ambito di un contratto a prestazioni corrispettive il profitto sia invece da valutarsi al netto del vantaggio ottenuto dal danneggiato. In tal senso rileva la distinzione fra reato contratto e reato in contratto, dovendo ritenersi errata la valutazione della Corte territoriale, che deliba irrilevante perché civilistica tale distinzione, mentre il Tribunale riconduceva al caso del reato contratto la fattispecie in esame. Nel caso di specie, secondo il ricorrente, la distinzione fra le due classificazioni dovrebbe essere risolta in favore del reato in contratto, in quanto non si tratta di contratto illecito in sé, ma di contratto connotato da illegittimità per essere stato stipulato con rimozione degli ostacoli alla sua conclusione, connessi al conflitto di interessi. Il reato in contratto esclude la confiscabilità del profitto, riabilitando gli strumenti civilistici di tutela, fermo restando che comunque il profitto non può coincidere, in un contratto sinallagmatico, se non con quella parte del risultato economico che non trova ragione nella causa del contratto medesimo, non potendo così ritenersi il danno conseguente alla perdita di chance, nel caso in esame relativamente all'utilizzo e alla redditività preclusi dell'immobile da parte della società venditrice. 4. Quanto al ricorso nell'interesse di C.P., lo stesso si articola in tre motivi. 4.1. Il primo motivo lamenta violazione di legge in relazione agli articolo 2641, primo comma, cod. civ. e 240, secondo comma, cod. penumero nonché vizio di motivazione. La Corte territoriale si sarebbe limitata a una analisi dei motivi di appello in funzione della responsabilità aquiliana, non anche in relazione alla verifica della sussistenza del reato ex articolo 2634 cod. civ., come invece richiesto da Sez. U, Lucci, per la confisca, limitandosi ad escludere le ragioni del proscioglimento nel merito rispetto alla pronuncia di estinzione per prescrizione. In tale prospettiva, il ricorrente evidenzia come la Corte territoriale abbia omesso una valutazione in ordine alle censure mosse alla sentenza di primo grado, rilevanti ai fini della sussistenza del reato. Quanto al pregiudizio che la società avrebbe subito, la sentenza ritiene erroneamente che esso consista nella cessione dell'unico immobile del quale era proprietaria la cedente. Inoltre, la pronuncia non si confronta con gli argomenti seguenti l'operazione di vendita era necessaria in ragione dell'indebitamento, che diversamente avrebbe condotto al fallimento della società la vendita integrava un mutamento solo qualitativo del patrimonio aziendale, consentendo alla società di reinvestire il prezzo il danno non può coincidere con la chance di un possibile diverso utilizzo del bene immobile. La Corte territoriale, inoltre, non avrebbe dato adeguata risposta in relazione alla responsabilità personale di C.P., che risulterebbe dover rispondere come concorrente extraneus di un intraneus senza cariche formali, essendo F.P. ritenuto amministratore di fatto. C.P., infatti, non aveva rapporti se non con F.P. e, dunque, la sentenza impugnata avrebbe dovuto dimostrare anche la piena consapevolezza da parte dell'attuale ricorrente della illiceità dell'operazione di compravendita e della sua funzione liquidatoria, nonché della qualità di amministratore di fatto di F.P. a fronte di tali obiezioni illogica e apparente risulterebbe la motivazione impugnata. 4.2 Il secondo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'articolo 2641 cod. civ. Il motivo ripropone argomentazioni sovrapponibili al quinto motivo del ricorso F., riconducendo il caso in esame ad un reato in contratto, come la truffa, risultando la compravendita dannosa per la società, ma non essendo illecito in sé l'atto di disposizione, cosicché il profitto non poteva - come invece ha ritenuto la Corte territoriale - individuarsi in non consentite utilità future, solo attese o sperate, eludendo il tema della differenza fra reato contratto e in contratto, definizione quest'ultima che avrebbe condotto a una individuazione del profitto diversa da quella operata dalla sentenza impugnata. 4.3 Il terzo motivo lamenta violazione di legge in relazione all'articolo 2641, terzo comma, cod. civ. e 240, quarto comma, cod. penumero in quanto la Corte territoriale non si è confrontata con il tema per cui la società acquirente, OMISSIS , sia terza estranea al reato e anche al processo, non potendo far valere le proprie ragioni, né risultando la stessa indicata come uno schermo formale utilizzato dagli autori del reato. 5. Il ricorso è stato trattato con intervento delle parti, ai sensi dell'articolo 23, comma 8, d.l. numero 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell'articolo 7, comma 1, d.l. numero 105 del 2021, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dall'articolo 94 del d.lgs. 10 ottobre 2022 numero 150, come modificato dall'articolo 5-duodecies d.l. 31 ottobre 2022, numero 162, convertito con modificazioni dalla l. 30 dicembre 2022, numero 199, nonché entro il 30 giugno 2024 ai sensi dell'articolo 11, comma 7, del d.l. 30 dicembre 2023, numero 215, convertito in legge 23 febbraio 2024, numero 18. 6. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale dott. Nicola Lettieri, ha concluso riportandosi alla memoria depositata in atti, con la quale ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi. In particolare, ha rappresentato come la Corte di appello abbia dato risposta a tutte le censure reiterate con i ricorsi, in ordine alla sussistenza del reato in contestazione, e ha sollecitato questa Corte a rilevare d'ufficio, ai sensi dell'articolo 609, comma 2, cod. proc. penumero , per un verso come la confisca dell'immobile non sia consentita in quanto in proprietà della società terza estranea al reato, per quanto affermato dalla Cedu con la sentenza Giem contro Italia, non essendo il delitto per cui si procede titolo per la responsabilità amministrativa da reato per l'ente acquirente per altro verso, dichiararsi la nullità del contratto perché in frode alla legge e con motivo illecito, per quanto previsto dagli articolo 1343,1344 e 1345 cod. civ., con la restituzione dell'immobile alla società venditrice, mentre la confisca andrebbe disposta in via diretta e per equivalente in ordine al bene utilizzato per commettere il reato, vale a dire il prezzo, nonché sul profitto ottenuto, pari al vantaggio economico tratto dall'utilizzo temporaneo. 7. I difensori dei ricorrenti hanno illustrato i rispettivi ricorsi chiedendone l'accoglimento, e l'avvocato Luca Giudetti per C.P. si è riportato anche alla memoria depositata, in replica alle conclusioni della Procura generale, con la quale rappresentava l'ammissibilità dei ricorsi, fondati su argomentazioni analoghe a quelle proposte dalla Procura generale per giungere a dichiarare la nullità del contratto e l'inestensibilità della confisca al terzo estraneo al reato e al processo. Considerato in diritto 1. Il primo motivo del ricorso F.P. è aspecifico. A ben vedere, dalla sola ricostruzione operata dagli atti di impugnazione in appello e in cassazione, risulta che il G.u.p. ebbe a nominare curatore speciale ex articolo 77 cod. proc. penumero della società OMISSIS il socio M. in data 15 giugno 2010, il quale in tale veste rilasciava procura speciale al difensore per la costituzione di parte civile, intervenuta all'udienza del 17 novembre 2010. Il G.u.p., a seguito delle eccezioni difensive, riteneva fondate quelle relative alla mancata audizione delle persone interessate, ex articolo 77, comma 3, cod. proc. penumero , e pertanto revocava il decreto di nomina del curatore, procedeva all'audizione e il 14 febbraio 2010 ne emetteva uno nuovo che confermava l'attribuzione dell'incarico allo stesso M., ammettendo poi la costituzione di parte civile proposta sulla scorta della procura speciale rilasciata in precedenza e, quindi, secondo le censure del ricorrente, invalida a seguito della revoca intervenuta. Va evidenziato come il motivo di ricorso sia aspecifico, in quanto non sostiene le argomentazioni con l'allegazione dei verbali dell'udienza preliminare e con i provvedimenti assunti dal G.u.p., oltre che con lo stesso atto di costituzione di parte civile. Se in questa sede di legittimità alla Corte di cassazione il controllo degli atti per la verifica della fondatezza dei motivi inerenti ad asseriti errores in procedendo è pacifico cfr. Sez. U., 31 ottobre 2001, Policastro, Rv. 220092 , non di meno ciò non esonera il ricorrente dalla specifica indicazione, secondo quanto previsto dall'articolo 187, comma 2, cod. proc. penumero , degli elementi dai quali dedurre le caratteristiche dell'atto Sez. 6, numero 36612 del 19/11/2020, Gresta, Rv. 280121 - 01 conf. numero 25310 del 2004, Rv. 228953 - 01, numero 34351 del 2005, Rv. 232508 - 01 . Ciò vale anche per il giudizio di appello, e nel caso in esame l'atto di impugnazione non adempie a tale onere di allegazione specifica, tenuto in conto che la deduzione della invalidità non può limitarsi a denunciare l'inosservanza della norma processuale, e «deve eventualmente avvalorare l'affermazione con elementi che la rendano credibile. Infatti, in un processo basato sulla iniziativa delle parti è normale che anche l'esercizio dei poteri officiosi del giudice sia mediato dall'attività delle parti, quando dagli atti non risultano gli elementi necessari per l'esercizio di quei poteri e solo le parti sono in grado di rappresentarli al giudice e di procurarne l'acquisizione» Sez. U, numero 119 del 27/10/2004, dep. 07/01/2005, Palumbo, Rv. 229541 - 01. conf. Sez. 1, numero 20989 del 23/06/2020, Barsotti, Rv. 279320 - 01 . Nel caso in esame, gli atti resi disponibili per questa Corte non consentono la verifica di quanto affermato dal ricorrente, anche perché l'invalidità denunciata si sarebbe verificata nella fase dell'udienza preliminare, con la conseguenza che la relativa documentazione è contenuta nel fascicolo del pubblico ministero, non essendo stata esercitata alcuna opzione per un rito alternativo a quello dibattimentale. In sostanza, spettava al ricorrente fornire la prova, in quanto l'onere in ordine al fatto processuale, dal quale dipende l'accoglimento dell'eccezione procedurale, grava sulla parte che ha sollevato l'eccezione stessa Sez. 5, numero 1915 del 18/11/2010, dep. 21/01/2011, Durantini, Rv. 249048 - 01, in un caso in cui il ricorrente aveva eccepito l'improcedibilità dell'azione penale per violazione del principio di specialità in materia di estradizione Sez. 5, numero 600 del 17/12/2008, dep. 2009, Cavallaro, Rv. 242551 - 01 . Nello stesso senso, in relazione alla diversa tipologia di invalidità quale è l'inutilizzabilità - cfr. Sez. U, numero 45189 del 17/11/2004, Esposito, Rv. 229245 - verificatasi nel diverso procedimento, è rilevabile dal giudice del procedimento in cui le intercettazioni vengono utilizzate, solo quando essa risulti dagli atti, diversamente non essendo tenuto il giudice a ricercarne d'ufficio la prova. Nel caso in esame, quindi, il motivo di ricorso risulta aspecifico, in quanto non mette in condizione questa Corte di verificare il maturare della invalidità dedotta, non essendo stati allegati al ricorso gli atti processuali decisivi per valutare la doglianza difensiva, né risultando provata la richiesta rivolta alla cancelleria della Corte di appello, degli atti indicati nel ricorso per cassazione, ai fini della allegazione ai sensi dell'articolo 165-bis disp. att. cod. proc. penumero , fermo restando che comunque gravi sul difensore un onere di diligenza nel verificare l'effettiva trasmissione degli atti e nel provvedere spontaneamente alle allegazioni ritenute necessarie Sez. 3, numero 32093 del 04/04/2023, Curti, Rv. 284901 - 01 . Per altro, anche a voler seguire la ricostruzione difensiva e a ritenere fondata la denuncia di invalidità della costituzione di parte civile per difetto di una seconda procura speciale, nulla emerge - né questa Corte ha la possibilità di verificarlo, difettando l'allegazione degli atti - quanto alla eventuale presenza in udienza del M. all'atto della rinnovata costituzione di parte civile, che evidentemente avrebbe integrato la personale costituzione del danneggiato in udienza così Sez. U, numero 12213 del 21/12/2017, dep. /2018, Zucchi, Rv. 272169 - 01 . Con quest'ultima decisione, le Sezioni Unite richiamano e condividono, in motivazione, gli orientamenti maturati per la costituzione di parte civile in mancanza di procura speciale al difensore o al sostituto designato «la presenza in udienza della persona offesa recte, danneggiato va considerata come esercizio personale della facoltà di costituirsi parte civile, modalità espressamente prevista dall'articolo 76 cod. proc. penumero Sez. 4, numero 41790 del 11/06/2009, Valerio, Rv. 245534 Sez. 4, numero 24455 del 22/04/2015, Plataroti, Rv. 263730 , ovvero che «l'assenza di legittimazione all'esercizio dell'azione civile da parte del difensore, per difetto di procura speciale, ovvero da parte del sostituto processuale, per difetto dei relativi poteri sostanziali, è sanata mediante la presenza in udienza della persona offesa, che consente di ritenere la costituzione di parte civile come avvenuta personalmente» Sez. 4, numero 49158 del 26/10/2017, Sanapo, non mass. . E ciò anche in linea con l'orientamento in generale improntato nel senso della irrilevanza del conferimento della procura speciale laddove il difensore ponga in essere delle attività in presenza della parte interessata si veda, in particolare con riguardo alla richiesta di rito abbreviato in assenza di procura speciale ma in presenza della parte interessata, Sez. U, numero 9977 del 31/01/2008, Morini, Rv. 238680 ». Ne consegue l'aspecificità del primo motivo di ricorso. 2. In relazione al secondo motivo del ricorso F.P., deve rilevarsi come il motivo risulti aspecifico fin dall'atto di appello, in quanto non si confronta con parte della motivazione resa dal Tribunale. Infatti, la sentenza di primo grado osservava come la legittimazione ad agire in sede penale con l'azione civile per i soci fosse giustificata dal danno non patrimoniale connesso al reato ex articolo 185 cod. proc. penumero fol. 46 . A ben vedere, rispetto a tale ultimo argomento l'appellante, ora ricorrente F.P., si limitava a rilevare che la categoria del danno morale sia caratterizzata da improbabile compatibilità rispetto a una operazione squisitamente patrimoniale. D'altro canto, la censura è manifestamente infondata, in quanto il danno non patrimoniale è conseguenza del reato ex articolo 185 cod. penumero in ragione della riserva di legge dell'articolo 2059 cod. civ., cosicché è ben possibile che l'azione civile sia legittimamente proposta anche dal socio e non solo dalla società. Nel caso del delitto di evento ex articolo 2634 cod. civ. il bene tutelato è il patrimonio sociale e, dunque, la società è certamente persona offesa non di meno lo è anche il socio, per pacifico e consolidato orientamento di questa Corte. Di fatti va condiviso da questo Collegio il principio - affermato da Sez. 5, numero 22495 del 18/11/2015, dep. 27/05/2016, Marchionni, Rv. 267139 - 01, tratto da da Sez. 5, numero 39506 del 24/06/2015, Pedrali, Rv. 264919 - in forza del quale anche i soci sono persone offese del delitto in esame, tanto che la legittimazione alla proposizione della querela per il reato di infedeltà patrimoniale dell'amministratore spetta non solo alla società nel suo complesso essendo l'incriminazione volta alla tutela dell'integrità patrimoniale della società , ma anche - e disgiuntamente - al singolo socio il singolo socio è persona offesa del reato di infedeltà patrimoniale, e non solo danneggiato dallo stesso, in quanto la condotta dell'amministratore infedele è diretta a compromettere le ragioni della società, ma anche, principalmente, quelle dei soci o quotisti della stessa, che per l'infedele attività dell'amministratore subiscono il depauperamento del proprio patrimonio Sez. 5, numero 37033 del 16/6/2006, Rv. 235282 , orientamento consolidatosi in seguito Sez. 2, numero 24824 del 25/2/2009, Rv. 244336 Sez. 5, numero 35080 del 7/5/2014, Rv. 260468 . Diversamente la specificità dell'oggetto della tutela nell'incriminazione ex articolo 2634 cod. civ., tutto interno alla compagine sociale, esclude che sia possibile estendere la qualifica di persona offesa dal reato ad altra generica categoria di soggetti quali i creditori sociali i cui interessi sull'integrità del patrimonio sociale trovano differenti modalità di tutela, nelle situazioni di patologia della società Sez. 5, numero 13110 del 5/3/2008, Rv. 239394 idonee a determinare la definitiva lesione del loro interesse. Ad ogni buon conto, anche a non voler condividere tale orientamento consolidato, che riconosce al socio la qualità di persona offesa, comunque lo stesso sarebbe legittimato all'esercizio dell'azione civile nel processo penale, in quanto soggetto danneggiato, essendo principio altrettanto consolidato quello che legittima non solo il soggetto passivo del reato, ma anche chiunque abbia riportato un danno eziologicamente riferibile all'azione od omissione del soggetto attivo Sez. 2, numero 31295 del 31/05/2018, La Montagna, Rv. 273698 - 01 mass. conf. numero 46084 del 2014, Rv. 261482 - 01, numero 4380 del 2015, Rv. 262371 - 01 . D'altro canto, il dualismo della tutela della società e del socio contro l'amministratore infedele è anche garantito dal potere di iniziativa concorrente assicurato a entrambi i soggetti per l'azione di responsabilità contro l'amministratore, al quale si aggiunge, per il socio direttamente danneggiato da atti dolosi o colposi degli amministratori, il diritto al risarcimento, non pregiudicato dall'azione di responsabilità posta in essere dalla società o da altro socio, né dalla rinuncia o transazione conseguente articolo 2476, comma settimo, cod. civ. . Pertanto, l'articolo 2476, comma settimo, cod. civ. consente di far valere pretese risarcitorie ulteriori, rispetto a quelle proprie della società, come quelle afferenti al danno non patrimoniale morale da reato. E dunque, il motivo di ricorso per un verso non si confronta adeguatamente con il danno non patrimoniale richiamato dal Tribunale né, per altro, con il principio per cui non è in sede di costituzione della parte civile che tutto ciò va verificato, in quanto la legittimazione all'azione civile nel processo penale va correlata esclusivamente alla fattispecie giuridica prospettata dalla parte a fondamento dell'azione, in relazione al rapporto sostanziale dedotto in giudizio ed indipendentemente dalla effettiva titolarità del vantato diritto al risarcimento dei danni, il cui accertamento riguarda il merito della causa, investendo i concreti requisiti di accoglibilità della domanda e, perciò, la sua fondatezza, ed è collegato all'adempimento dell'onere deduttivo e probatorio incombente sull'attore Sez. 4, numero 14768 del 18/02/2016, Spalletti, Rv. 266899 - 01 mass. conf. numero 49038 del 2014, Rv. 261143 - 01 . Il motivo è, pertanto, per un verso aspecifico fin dall'atto di appello, per altro infondato. 3. Quanto ai motivi terzo e quarto del ricorso F.P., nonché al primo motivo del ricorso C.P., che vanno trattati congiuntamente in quanto per buona parte sovrapponibili, occorre premettere quanto segue. 3.1 L'articolo 578-bis cod. proc. penumero risulta avere portata realmente innovativa quanto ai rapporti fra la confisca e la sentenza dichiarativa della prescrizione, esclusivamente in relazione ai casi di confisca per equivalente. In sostanza, è ben possibile procedere alla confisca in presenza di una sentenza di estinzione del reato per prescrizione, come già valutato dalle Sezioni Unite Lucci, che a loro volta distinguevano fra la confisca del prodotto o del profitto, a contenuto ripristinatorio, e la confisca per equivalente a contenuto sanzionatorio. 3.2 Sez. U, numero 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264435 - 01, infatti, affermavano che il giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, non può disporre, atteso il suo carattere afflittivo e sanzionatorio, la confisca per equivalente delle cose che ne costituiscono il prezzo o il profitto. Diversamente, il giudice, nel dichiarare l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione, può disporre, a norma dell'articolo 240, comma secondo, numero 1 cod. penumero , la confisca del prezzo e, ai sensi dell'articolo 322-tercod. penumero , la confisca diretta del prezzo o del profitto del reato a condizione che vi sia stata una precedente pronuncia di condanna e che l'accertamento relativo alla sussistenza del reato, alla penale responsabilità dell'imputato e alla qualificazione del bene da confiscare come prezzo o profitto, rimanga inalterato nel merito nei successivi gradi di giudizio. A tale distinzione le Sezioni Unite giungevano chiarendo come la confisca del prezzo del reato, il che vale anche per il profitto, non si atteggi alla stregua di una pena e non presuppone «un giudicato formale di condanna, quale unica fonte idonea a fungere da titolo esecutivo , dal momento che, ciò che risulta convenzionalmente imposto , alla luce delle richiamate pronunce della Corte EDU, e costituzionalmente compatibile , in ragione delle linee-guida tracciate dalla Corte costituzionale, in particolare nella [ .] sentenza numero 49 del 2015, è che la responsabilità sia stata accertata con una sentenza di condanna, anche se il processo è stato definito con una declaratoria di estinzione del reato per prescrizione. L'obbligo della relativa immediata declaratoria, infatti, lungi dallo stemperare il già accertato , ne cristallizza gli esiti sostanziali , sia pure nella circoscritta e peculiare dimensione della confisca del prezzo del reato, dal momento che - altrimenti - al giudice incomberebbe un onere di conformazione costituzionale della interpretazione, attenta a salvaguardare anche i controlimiti che la pronuncia della Corte costituzionale ha implicitamente, ma chiaramente, evocato. In altri termini, l'opposta tesi dovrebbe fare i conti con la gamma non evanescente di valori costituzionali che verrebbero ad essere ineluttabilmente coinvolti da un sistema che, dopo aver accertato la sussistenza del reato, la responsabilità del suo autore e la percezione da parte di questi di una somma come prezzo del reato, non consentisse l'ablazione di tale prezzo, esclusivamente per l'intervento della prescrizione, che giustifica l'oblio ai fini della applicazione della pena, ma non impone certo la inapplicabilità della misura di sicurezza patrimoniale». Le Sezioni Unite chiarivano poi - ma, si ripete, con riguardo alla sola confisca per equivalente - come non possa ritenersi sufficiente, ai fini della confisca, «un mero accertamento incidentale della responsabilità, dal momento che ciò si tradurrebbe in una non consentita trasformazione della confisca in una tipica actio in rem, lumeggiata nel corso del complesso procedimento di approvazione, ma poi non recepita dalla direttiva 2014/42/UE del 3 aprile 2014 relativa «al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell'Unione europea», dal momento che anche tale strumento della Unione Europea continua a prevedere la condanna come base per la confisca, anche per equivalente, dei beni strumentali e dei proventi da reato». La conseguenza di ciò, per le Sezioni Unite, è che l'accertamento della responsabilità debba dunque confluire in una pronuncia che, non solo sostanzialmente, ma anche formalmente, la dichiari, richiedendo che Inesistenza del reato, la circostanza che l'autore dello stesso abbia percepito una somma e che questa abbia rappresentato il prezzo del reato stesso, devono aver formato oggetto di una condanna, i cui termini essenziali non abbiano, nel corso del giudizio, subito mutazioni quanto alla sussistenza di un accertamento al di là di ogni ragionevole dubbio ». Sez. U., Lucci, poi, estende i principi descritti anche al caso di confisca del profitto previsto da previsioni speciali di confisca obbligatoria, prezzo e profitto da ricondurre «all'interno di un nucleo per così dire unitario di finalità ripristinatoria dello status quo ante, secondo la medesima prospettiva volta a sterilizzare, in funzione essenzialmente preventiva, tutte le utilità che il reato, a prescindere dalle relative forme e dal relativo titolo, può aver prodotto in capo al suo autore, e con specifico riferimento a figure di reato per le quali il legislatore ha ritenuto necessario optare per una simile scelta». 3.4 A fronte delle critiche rivolte al metro di valutazione operato dalla Corte di appello, va premesso come Sez. U, Perroni approfondiva ulteriormente la qualità dell'accertamento di responsabilità sottostante la confisca in caso di prescrizione - tema già esaminato da Sez. U., Lucci - richiedendo che la sussistenza del fatto sia stata già accertata, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell'ambito di un giudizio che abbia assicurato il pieno contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati la confisca non richiede «[ .] la necessità di una sentenza di condanna formale , permettendo di fondare la legittimità del provvedimento ablatorio su un accertamento del fatto che, pur assumendo le forme esteriori di una pronuncia di proscioglimento, equivale, in forza della sua necessaria latitudine estesa alla verifica, oltre che dell'elemento oggettivo, anche dell'esistenza di profili quantomeno di colpa sotto l'aspetto dell'imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza e delle sue modalità di formazione caratterizzate da un giudizio che assicuri il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati , ad una pronuncia di condanna come tale rispettosa ad un tempo dei principi del giusto processo e dei principi convenzionali, proprio come riconosciuto, da ultimo, anche dalla Corte EDU» Sez. U, numero 13539 del 30/01/2020, Perroni, Rv. 278870 . Anche Sez. U, Esposito confermano che si possa disporre, a norma dell'articolo 240, secondo comma, numero 1 cod. penumero , la confisca del prezzo e, ai sensi dell'articolo 322-ter cod. penumero , la confisca diretta del prezzo o del profitto del reato a condizione che in caso di estinzione del reato per prescrizione vi sia stata una precedente pronuncia di condanna e che l'accertamento relativo alla sussistenza del reato, alla penale responsabilità dell'imputato e alla qualificazione del bene da confiscare come prezzo o profitto sia rimasto inalterato nel merito nei successivi gradi di giudizio Sez. U, numero 31617 del 26/06/2015, cit., Rv. 264434 - 01 . 3.5 Inoltre, in relazione al rinvio dell'articolo 578-bis alla confisca prevista da altre disposizioni di legge , formulato senza ulteriori specificazioni, le Sezioni Unite, da ultimo anche Sez. U, numero 4145 del 29/09/2022, dep. 31/01/2023, Esposito, Rv. 284209 - 01, ribadivano che deve riconoscersi al richiamo contenuto carattere generale, capace di ricomprendere anche le confische disposte da fonti normative poste al di fuori del codice penale, in ciò riprendendo quanto già ritenuto da Sez. U, numero 6141/19 del 25/10/2018, Milanesi, Rv. 274627, per le quali il rinvio alle altre disposizioni di legge riguardi «le plurime forme di confisca previste dalle leggi penali speciali», in tal modo condividendo la legittimità di una lettura ad ampio raggio, non limitata alla sola confisca per sproporzione . Infine, Sez. U, Esposito hanno affermato che nel caso in cui il giudice abbia dichiarato la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, il diritto vivente si è stabilizzato, prima della previsione dell'articolo 578-bis cod. proc. penumero , nel ritenere che non si possa disporre, atteso il suo carattere afflittivo e sanzionatorio, la confisca per equivalente delle cose che ne costituiscono il prezzo o il profitto Sez. U, numero 31617 del 26/06/2015, cit., Rv. 264435 - 01 , mentre possa essere disposta la confisca diretta già prevista dall'articolo 240 o da altre norme speciali. 3.6 Tanto premesso, venendo alle doglianze in esame, l'articolo 2641 cod. civ. al comma primo prevede la confisca obbligatoria diretta del «prodotto o del profitto e dei beni utilizzati per commetterlo» con riferimento ai reati societari fra i quali il delitto di infedeltà patrimoniale ex articolo 2634 cod. civ. Il comma secondo, invece, prevede la confisca per equivalente «quando non è possibile l'individuazione o l'apprensione» del prodotto, del profitto e dei beni in precedenza indicati. La confisca dell'immobile oggetto della compravendita rientra nel caso della confisca diretta, quindi di natura non sanzionatoria ma ripristinatoria, alle quali l'articolo 578-bis rinvia, essendo l'articolo 2641, primo comma, cod. civ. una delle «altre disposizioni di legge» che prevedono la confisca obbligatoria. Pertanto, a differenza di quanto rappresentano i ricorrenti, il principio evocato di Sez. U. Esposito - per cui la disposizione di cui all'articolo 578-bis cod. proc. penumero , introdotta dall'articolo 6, comma 4, d.lgs. 1 marzo 2018, numero 21, ha, con riguardo alla confisca per equivalente e alle forme di confisca che presentino comunque una componente sanzionatoria, natura anche sostanziale e, pertanto, è inapplicabile in relazione ai fatti posti in essere prima della sua entrata in vigore Sez. U, numero 4145 del 29/09/2022, dep. 31/01/2023, Esposito, Rv. 284209 - 01 - non trova applicazione per la confisca oggetto del presente giudizio, di natura diretta e già consentita allorché sia intervenuta una sentenza di condanna alla quale sia seguita l'estinzione per prescrizione del reato. Nel caso in esame, infatti, la confiscabilità del profitto e del prezzo era già consentita anche per il caso di declaratoria di estinzione del reato, alla condizione che la misura di sicurezza fosse stata disposta con la sentenza di primo grado già prima dell'introduzione dell'articolo 578-bis cod. proc. penumero in ragione del 'diritto vivente' accertato da Sez. U., Lucci, ribadito poi anche dalle esaminate successive sentenze delle Sezioni Unite di questa Corte. Pertanto, il limite all'effetto retroattivo, sancito da Sez. U. Esposito e richiamato dai ricorrenti, non trova applicazione nel caso in esame in quanto riguarda esclusivamente i casi di confisca sanzionatoria e non anche ripristinatoria come è quella diretta che afferisca al prodotto o al profitto. Inoltre, deve anche rilevare questo Collegio che la Corte territoriale richiama, relativamente alla confisca fol. 15 e s. la giurisprudenza delle Sezioni Unite e la necessità di un accertamento «mediante una sentenza di condanna», come parametro di valutazione. Poi si rifà, in astratto, ai fini delle statuizioni civili, al criterio del cd. «più probabile che non», richiamando alla sentenza della Corte costituzionale numero 182 del 2021, in relazione al rapporto fra prescrizione e determinazioni risarcitorie e però tale affermazione non rileva a fronte della circostanza che, in concreto, la sentenza impugnata si impegna, per 'sostenere' la confisca, in un'articolata valutazione secondo i criteri penalistici più penetranti e più esigenti di quelli propri dell'illecito civile. Difatti, ai fini dell'esame delle doglianze, la Corte territoriale ha provveduto ad una oltremodo dettagliata analisi dei motivi di appello, in ordine alla sussistenza del reato, riconducibili proprio alla latitudine della valutazione richiesta per sostenere la confisca, come emerge da quanto si leggerà a seguire. 3.7 A tal proposito deve evidenziarsi come si verta in tema di doppia conforme. La Corte di appello certamente erra riferendo il danno procurato dalla condotta di reato al capitale sociale, errore che le difese correttamente richiamano, in quanto il danno fu portato al patrimonio della società. Non di meno si tratta di errore non decisivo, sia perché vengono evocati come lesi sia il capitale sociale che il patrimonio «sul capitale e quindi sul patrimonio sociale», fol. 12 della sentenza impugnata , il che riconduce l'argomentazione almeno in parte alla correttezza, sia anche perché tutta la complessiva argomentazione valorizza le ragioni di danno al patrimonio, elencate in modo puntuale nella sentenza di appello al trasferimento dell'immobile non corrispose il pagamento dell'intero prezzo, che invece fu dilazionato nel tempo senza garanzia e senza interessi fu scelta quale acquirente una società priva di capitale sociale adeguato, che quindi in sé non offriva garanzie di recupero del credito la parte limitata del prezzo corrisposto risultava impiegato in scopi che la Corte di appello indica non «cristallini», comunque non fu destinato al patrimonio sociale, mentre la venditrice OMISSIS era rimasta obbligata anche in relazione ai debiti che l'acquirente si era accollata, quale parte del prezzo. La Corte di merito evidenzia anche, rispondendo alla censura difensiva relativa alla esposizione debitoria della società OMISSIS , che la necessità della vendita dell'immobile per sanare la situazione debitoria non garantiva sulla finalità di tutela dell'interesse sociale, che avrebbe dovuto condurre la società allo scioglimento, tanto più che dalla complessiva motivazione ora impugnata emerge anche che l'intento di sanare la situazione debitoria avrebbe richiesto ben altre garanzie – e soprattutto ben altri tempi di adempimento - quanto al pagamento del prezzo da parte della acquirente. D'altro canto, anche la situazione debitoria viene indicata dalla Corte di merito come artatamente simulata dall'amministratore formale S. Inoltre, la Corte esamina anche il tema del conflitto di interessi, ravvisandone la sussistenza in quanto F.P., amministratore di fatto delle due società, la cedente e la cessionaria, concorse nella assunzione di un atto dispositivo che spogliava la OMISSIS dell'unico bene disponibile, con la finalità, attraverso la società acquirente, artatamente costituita qualche giorno prima dell'operazione, che fungeva da schermo, di divenirne unitamente a C.P. il proprietario finale. Si tratta di una motivazione congrua, espressiva di una delibazione di merito piena, propria di una sentenza di condanna, ispirata ai principi del «oltre ogni ragionevole dubbio», oltremodo adeguata a rispondere ai motivi che sostanzialmente vengono reiterati dinanzi a questa Corte di cassazione. 3.8 Pertanto i motivi esaminati sono complessivamente infondati. 4. Il quinto motivo del ricorso F.P. e il secondo motivo del ricorso C.P. riguardano l'ampiezza e il perimetro della nozione di profitto. 4.1 Va premesso che nel caso in esame la Corte di appello ha ritenuto correttamente che il profitto fosse del tutto da confiscarsi e che lo stesso coincidesse con l'immobile compravenduto. A ben vedere, pur escludendo la rilevanza ai fini della decisione dei parametri strettamente civilistici, la decisione impugnata risulta comunque corretta, oltre che conforme a quella assunta in primo grado. Le sentenze di merito fanno buon governo del principio per cui «nel caso in cui la legge qualifica come reato unicamente la stipula di un contratto a prescindere dalla sua esecuzione, è evidente che si determina una immedesimazione del reato col negozio giuridico c.d. reato contratto e quest'ultimo risulta integralmente contaminato da illiceità, con l'effetto che il relativo profitto è conseguenza immediata e diretta della medesima ed è, pertanto, assoggettabile a confisca. Se, invece, il comportamento penalmente rilevante non coincide con la stipulazione del contratto in sé, ma va ad incidere unicamente sulla fase di formazione della volontà contrattuale o su quella di esecuzione del programma negoziale c.d. reato in contratto , è possibile enucleare aspetti leciti del relativo rapporto, perché assolutamente lecito e valido inter partes è il contratto eventualmente solo annullabile ex articolo 1418 e 1439 c.c. , con la conseguenza che il corrispondente profitto tratto dall'agente ben può essere non ricollegabile direttamente alla condotta sanzionata penalmente» Sez. U., numero 26654 del 27/03/2008, Fisia Italimpianti S.p.a., Rv. 239926 - 01, in motivazione . Inoltre, le Sezioni Unite chiarivano la nozione di profitto, che è il vantaggio di natura economica , il beneficio aggiunto di natura patrimoniale , l'”utile conseguito dall'autore del reato in seguito alla commissione del reato cfr. Sez. U, 24/05/2004, Focarelli, numero 29951 Sez. U, 25/10/2005, Muci, numero 41936 . Nel caso in esame il contratto di compravendita atto di disposizione ex articolo 2634 cod. civ. stipulato dall'amministratore avente un interesse in conflitto con l'interesse della società, con dolo specifico di profitto ingiusto, cagionante l'evento del danno patrimoniale alla società, è in sé contratto reato , in quanto non si riscontra alcun vizio nella formazione della volontà, perché alcuna trattativa viene effettivamente svolta, né alcun vizio che incida sull'esecuzione del contratto, in quanto si determina un'immedesimazione del reato col negozio giuridico e quest'ultimo risulta integralmente contaminato da illiceità, con l'effetto che il relativo profitto è conseguenza immediata e diretta della medesima ed è, pertanto, assoggettabile a confisca cfr. Sez. 6, numero 9988 del 27/01/2015, Moioli, Rv. 262794 - 01, in motivazione . Ne consegue che se il vantaggio è nella sua interezza collegato all'an della disposizione e non al quomodo della esecuzione dello stesso, ne consegue che il profitto coincide con l'intero vantaggio patrimoniale, senza alcuno scomputo della controprestazione eventualmente effettuata. Diversamente accade, come osserva Sez. U, Fisia, cit., nelle ipotesi di reato in contratto ove il profitto deve essere concretamente determinato al netto dell'effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato, nell'ambito del rapporto sinallagmatico con l'ente da ultimo, in questo senso, Sez. 2, numero 40765 del 21/10/2021, Carotenuto, Rv. 282194 - 01 . Ciò esclude la fondatezza delle argomentazioni dei ricorrenti quanto al perimetro del profitto. 4.2 D'altro canto, per completezza, deve anche evidenziare questa Corte che l'immobile oggetto dell'atto di disposizione contestato ai ricorrenti si identifica, oltre con il vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell'illecito Sez. U, Lucci , ponendosi in linea con le affermazioni di Sez. U, numero 9149 del 03/07/1996, Chabni, Rv. 205707 - 01, anche con il prodotto del reato, che rappresenta il risultato, cioè il frutto che il colpevole ottiene direttamente dalla sua attività illecita. In tale ultimo senso si è già espressa questa Corte proprio in ordine ad un caso sovrapponibile a quello in esame. Sez. 5, numero 21458 del 18/05/2005, Marchionni, Rv. 232289 - 01 affermava essere soggetto a confisca di cui all'articolo 2641 cod. civ. e, pertanto, al sequestro preventivo, ai sensi dell'articolo 321, comma secondo, cod. proc. penumero , ove sussista il fumus commissi delicti della fattispecie criminosa di cui all'articolo 2634 cod. civ. il bene, oggetto della appropriazione-distrazione che costituisce il prodotto del reato e quindi, il risultato della condotta criminosa, fatta salva la previsione dell'articolo 240, comma terzo, cod. penumero Il caso riguardava il compimento, quale atto di disposizione dei beni di una società, da parte dell'amministratrice della stessa, in concorso con il padre socio della predetta società e titolare dell'impresa acquirente, di un immobile a prezzo irrisorio, sussistendo l'interesse in conflitto, come anche il fine di cagionare al padre l'ingiusto profitto rappresentato dalla disponibilità esclusiva del detto bene immobile, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale pari alla differenza tra valore effettivo e prezzo concordato per la vendita. La Corte di cassazione rilevava che «allo stato, il terreno non appartiene alla società e costituisce il prodotto del reato, cioè il risultato dell'attività criminosa ottenuto da M., e, in quanto tale, a norma dell'articolo 2641 cod. civ. è soggetto a confisca, fermo rimanendo che - come ha rilevato il p.m. ricorrente - la misura non sarà applicabile se la società riacquisterà la proprietà del terreno articolo 240 comma 3 c.p. ». 4.3 Ne consegue la complessiva infondatezza delle doglianze sull'ampiezza del profitto. Può dunque affermarsi che in tema di delitto di infedeltà patrimoniale, ex articolo 2634 cod. civ. l'atto di disposizione negoziale stipulato dall'amministratore, avente un interesse in conflitto con quello della società, con dolo specifico di profitto ingiusto, cagionante l'evento del danno patrimoniale, è in sé reato-contratto, in quanto, essendo frutto di una determinazione illecita ab origine, non verte in tema di vizio che indica sulla formazione della volontà, in quanto alcuna trattativa viene effettivamente svolta, o sull'esecuzione del contratto si verifica, invece, l'immedesimazione del reato col negozio giuridico e quest'ultimo risulta integralmente contaminato da illiceità, con l'effetto che il relativo profitto è conseguenza immediata e diretta della medesima ed è, pertanto, assoggettabile interamente a confisca diretta ai sensi dell'articolo 2641, comma primo, cod. civ. 5. Quanto al primo motivo del ricorso C.P., in ordine al concorso da parte di costui nella condotta di F.P., va evidenziato come la sentenza di primo grado rilevi che C.P. abbia agito in concorso, in quanto detentore del 40 per cento - mentre F.P. ne deteneva il 60 per cento - del capitale sociale della OMISSIS , società alla quale fu ceduto il capitale sociale della OMISSIS dopo che la stessa aveva acquisito l'immobile dalla OMISSIS . Inoltre, il Tribunale di Latina richiamava anche l'impegno di C.P., in uno a F.P., per far ottenere finanziamenti alla OMISSIS , pur non essendone soci, come anche la circostanza che i due ricorrenti divennero soci della OMISSIS inoltre evidenziava il Tribunale come il teste P. avesse riferito che, a occuparsi del preliminare di vendita tra la OMISSIS e la OMISSIS , altra società facente capo ai due imputati, furono proprio C.P. e F.P., insieme a B.G. fol. 33 e 34 della sentenza di primo grado . Tale motivazione evidenziava la partecipazione attiva e la cointeressenza di C.P. nell'operazione dispositiva dell'immobile e il suo concorso quale extraneus rispetto a di F.P. che della società OMISSIS era amministratore di fatto fol. 38 . A fronte di tale ampia motivazione, l'atto di appello lamentava per un verso la circostanza che già F.P. avesse un ruolo frutto di una estensione, quale amministratore di fatto, come anche il deficit di prova quanto alla conoscenza da parte di C.P. delle vicende della OMISSIS srl. La Corte di appello ritiene, senza incongruenze motivazionali, che C.P. abbia agito d'accordo con F.P., il che risponde ai fatti come ricostruiti dalla sentenza di primo grado, che giungeva alla conforme conclusione. D'altro canto, che l'accordo dei due imputati fosse comprovato dalle condotte descritte dal primo grado è coerente con il principio per cui ai fini della configurabilità del concorso dell1 extraneus nel reato proprio di cui all'articolo 2634, non è sufficiente che la condotta di quest'ultimo sia stata anche solo lato sensu ausiliatrice rispetto all'azione dell'autore qualificato, ma occorre che in essa sia ravvisabile un quid pluris, ricavabile dalle modalità e circostanze del fatto, ovvero dai rapporti personali intercorsi con le parti, che dimostri concretamente il raggiungimento di un'intesa con il concorrente qualificato o, quanto meno, una pressione diretta a sollecitarlo o persuaderlo al compimento dell'atto illecito Cass. numero 35767/2017 . E nel caso in esame certamente la sentenza di primo grado, confermata da quella ora impugnata, ha evidenziato una serie di condotte convergenti che non sono state censurate dall'appellante se non in modo generico, cosicché la prova della consapevolezza e del dolo del progetto, teso a sottrarre l'immobile alla società e a trasferirlo nella propria disponibilità a basso costo, con indubbio profitto ingiusto, da parte di entrambe i ricorrenti, si trae dalla concretezza delle condotte poste in essere. D'altro canto, deve anche evidenziarsi come correttamente la Corte di appello rileva che sia suggestiva la tesi della doppia estensione soggettiva, ma infondata a riguardo deve essere evidenziato che chi ricopre le funzioni di amministrazione, di fatto, ha comunque il dovere di adempiere agli obblighi nell'interesse della società. Infatti, in base alla disciplina dettata dall'articolo 2639 cod. civ., la qualifica di amministratore di fatto di una società è da ritenere gravato dell'intera gamma dei doveri cui è soggetto l'amministratore di diritto , per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, è penalmente responsabile per tutti i comportamenti a quest'ultimo addebitabili, anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in applicazione della regola dettata dall'articolo 40, comma secondo, cod. penumero Sez. 5, numero 26542 del 19/03/2014, Riva, Rv. 250844 Sez. 5, numero 15065 del 02/03/2011, Rv. 250094 . In sostanza, l'amministratore di fatto è penalmente responsabile come l'amministratore di diritto e il concorrente esterno può certamente concorrere, secondo i consueti principi propri del concorso di persona, propri dell'extraneus, nel caso in esame ben governati dalle sentenze di merito. 6. Quanto al terzo motivo del ricorso C.P. del secondo si è detto supra sub 4 , deve rilevarsi come il motivo di appello non si confronta con la circostanza che la sentenza di primo grado aveva già escluso la estraneità della OMISSIS S.r.l. al reato, «tenuto conto che la medesima fu proprio il soggetto di diritto attraverso il quale gli imputati commisero il delitto accertato» fol. 44 della sentenza di primo grado . Sul punto l'appello fol. 26 non si confronta con la tale motivazione. A riguardo, quindi, il motivo è aspecifico, il che consente a questa Corte di rilevare l'inammissibilità del motivo di appello e del coincidente motivo di ricorso, in quanto le Sez. U., numero 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Gattelli, Rv. 268822 - 01, in motivazione, hanno precisato come la declaratoria di inammissibilità possa essere adottata anche d'ufficio in sede di legittimità, qualora l'inammissibilità stessa non sia stata rilevata dal giudice d'appello. Dagli articolo 591, comma 4, e 627, comma 4, cod. proc. penumero , infatti, emerge che l'inammissibilità può essere dichiarata in ogni stato e grado del processo, se non rilevata dal giudice dell'impugnazione, salvo che nel giudizio conseguente ad annullamento con rinvio, in cui è invece preclusa la rilevazione delle inammissibilità verificatesi nei precedenti giudizi o nel corso delle indagini preliminari. Per altro sulla esclusa estraneità della OMISSIS al reato i motivi di censura non si soffermano in modo specifico, a fronte della motivazione esplicita della sentenza di primo grado, e di quella implicita di appello, in ordine alla natura di 'schermo' della società, utilizzata dagli imputati per la commissione del reato. Inoltre, va anche richiamata - a proposito della censura fondata sulla giurisprudenza convenzionale - che in tema di lottizzazione abusiva, ma il principio va applicato anche al caso in esame, le questioni relative alla conformità della confisca al principio di protezione della proprietà di cui all'articolo 1 del Prot. numero 1 CEDU, come interpretato dalla pronuncia della Grande Camera della Corte EDU del 28 giugno 2018, OMISSIS S.r.l. contro Italia, possono essere proposte dagli interessati al giudice dell'esecuzione, anche chiedendo la revoca della misura limitatamente alle aree o agli immobili estranei alla condotta illecita così Sez. U, numero 13539 del 30/01/2020, Perroni, Rv. 278870 - 04 in motivazione, la Corte ha precisato che, in tale fase, al fine di compiere l'accertamento richiesto, il giudice gode di ampi poteri istruttori ai sensi dell'articolo 666, comma 5, cod. proc. penumero . Alle Sezioni Unite era stata richiesta dall'ordinanza di rimessione di valutare l'eventuale illegittimità della statuizione della confisca, per effetto della decisione della Corte EDU 26/06/2018, G.I.E.M. S.r.l. c. Italia, posto che lo stesso ricorrente, con l'unico motivo riguardante la confisca, aveva dedotto una questione, ovvero quella della buona fede di soggetti terzi proprietari dell'area e di beni lottizzati, del tutto estranea alla propria posizione. Dopo avere verificato la correttezza della individuazione dell'oggetto della confisca, le Sezioni Unite hanno chiarito che «nulla potrebbe condurre a far ritenere che la confisca sia stata adottata in contrasto con i principi affermati dalla Corte EDU e, segnatamente, con il principio di proporzionalità della misura finendo per riguardare aree ed immobili estranei alla condotta lottizzatoria. Sicché, anche sotto tale profilo, l'annullamento con rinvio effettuato in assenza di elementi fattuali deponenti per il mancato rispetto dei principi anche sovranazionali, si risolverebbe nella specie in un annullamento ad explorandum, evidentemente del tutto estraneo al ruolo e ai compiti del giudice di legittimità tenuto conto che il presupposto del corretto esercizio dei poteri della Corte è rappresentato dalla necessaria emersione, nelle sentenze del merito, dei relativi elementi di fatto che lo giustifichino nel senso che un annullamento con rinvio in funzione meramente esplorativa non può ritenersi consentito , v. Sez. U, numero 25887 del 26/03/2003, Giordano, Rv. 224606 . E tale presupposto non può che restare fermo anche con riguardo a quanto previsto dall'articolo 609, comma 2, cod. proc. penumero in relazione alla possibilità per la Corte di decidere le questioni che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello si veda, infatti, sia pure con riferimento all'applicabilità dell'articolo 129 cod. proc. penumero , Sez. 3, numero 394 del 25/09/2018, Gilardi, Rv. 274567 . [ ] Ciò, peraltro, non significa che la relativa questione sia definitivamente preclusa è proprio l'ampio impiego, da parte dei giudici di merito, della formula di legge relativa alla confisca urbanistica a consentire all'interessato di proporre ogni doglianza sul punto in sede esecutiva anche, ove ne ricorrano i presupposti, nella prospettiva, segnalata dalla sentenza G.I.E.M. S.r.l. c. Italia, e di cui va valutata la compatibilità con l'attuale assetto normativo, del mancato utilizzo di misure diverse, e di invasività inferiore, rispetto a quella della confisca e di chiedere, conseguentemente, anche la revoca della confisca limitatamente alle aree o agli immobili che dovessero essere ritenuti estranei alla condotta illecita, secondo una modalità di impiego dello strumento dell'incidente di esecuzione, nel quale il giudice gode di ampi poteri istruttori ai sensi dell'articolo 666, comma 5, cod. proc. penumero , del tutto consueta anche nell'applicazione giurisprudenziale nel senso che in sede esecutiva può farsi questione anche sulla estensione e sulle modalità esecutive della confisca stessa, cfr. Sez. 1, numero 30713 del 03/07/2002, Merlo, Rv. 222157 e Sez. 4, numero 2552 del 20/04/2000, El Yamini, Rv. 216491 ». Non v'è motivo, con il che trova risposta anche l'argomentazione della Procura generale, per ritenere che in questa sede debba trovare ingresso il tema sollecitato dal ricorrente, sia perché la OMISSIS S.r.l. viene indicata come intranea al reato, quindi non in buona fede, sia anche perché il ricorrente non risulta legittimato a far valere la posizione della società, sia, infine, perché ogni ulteriore doglianza da parte del terzo, se fosse comprovata la estraneità, potrebbe trovare ingresso in sede di incidente di esecuzione. 8. Ne consegue il complessivo rigetto dei ricorsi, con condanna alle spese processuali dei ricorrenti. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.