Corruzione e cause di non punibilità: sul potere di iniziativa d’ufficio conferito al giudice dal legislatore

In tema di corruzione, il Giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione ex articolo 129 comma 2 c.p.p. esclusivamente nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile.

Tuttavia, il Giudice di seconde cure, pur prendendo atto della causa estintiva del reato verificatosi nel corso del giudizio di impugnazione, è tenuto a pronunciarsi sull'azione civile ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 578 c.p.p. Come noto, in merito al potere di iniziativa d'ufficio conferito al giudice dal legislatoreex articolo 129 c.p.p.di pronunciare l'immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità, quest'ultimo è dettato da esigenze di economia processuale, oltre che, in secondo piano, dal principio del favor rei. Tale potere impone, infatti, di arrestare l'andamento naturale del processo penale e di far cessare la qualità di imputato, non appena si manifesti la possibilità di pronunciare una sentenza di proscioglimento. Nondimeno, la sentenza in commento prende in considerazione il caso in cui, all'esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, nel caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità. Ora, nell'interpretare tale previsione, occorre tenere conto che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo «non appartenga più al concetto di ‘contestazione', ossia di percezione ‘ictu oculi', che a quello di ‘apprezzamento' e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o approfondimento». È di tutta evidenza che la Corte della Legittimità ritiene che in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice è legittimato a pronunciarsi ai sensi di cui all'articolo 129 comma 2 c.p.p.esclusivamente nei casi in cui le circostanze idonee – da valutarsi ut supra – ad escludere non solo l'esistenza del fatto, ma anche la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile. Il ricorrente, difatti, ha eccepito, tra i vari motivi, anche la violazione di legge e vizio di motivazione «quanto alla prova della promessa di dazione o dazione di utilità in favore del pubblico funzionario». Ebbene, ciò che secondo i Giudici di Piazza Cavour avrebbe dovuto essere provato è «la prova del patto corruttivo che, nella specie, involgeva anche la prova del modo con cui la utilità sarebbe stata corrisposta al pubblico ufficiale infedele». Posto che il reato di corruzione integra un reato a forma libera, plurisoggettivo, a concorso necessario, di natura bilaterale e fondato sul c.d. pactum sceleris tra privato e pubblico ufficiale ovvero incaricato di pubblico servizio, il reato si configura e si manifesta, in termini di responsabilità, «solo se entrambe le condotte, del funzionario e del privato, in connessione indissolubile, sussistano probatoriamente e la perfezione dell'illecito avviene alternativamente con l'accettazione della promessa o con il ricevimento effettivo dell'utilità». Ma v'è di più. La Corte di Legittimità, nella sentenza in commento, ha anche preso in considerazione il tema dell'interferenza della disciplina di cui all'articolo 578 del Codice di rito rispetto a quella prevista nell'articolo 129. Vero è che la disposizione di cui al secondo comma di cui all'articolo 129 c.p.p. deve necessariamente coordinarsi non solo con la presenza della parte civile nel processo, ma anche con l'esistenza di una pronuncia di condanna in primo grado. Il giudice dell'appello, infatti, pur prendendo atto della causa estintiva del reato verificatosi nel corso del giudizio di impugnazione, è tenuto, in ogni caso, a pronunciarsi sull'azione civile ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 578 del Codice di rito. Dunque, attesa la presenza di parti civili nel processo, il proscioglimento nel merito sarà doveroso in tutti quei casi in cui, sebbene il reato sia estinto per prescrizione, esista un dubbio sulla responsabilità dell'imputato. Di conseguenza, richiamando una storica sentenza delle Sezioni Unite cfr. Sez. U., numero 35490 del 28.05.2009, Tettamanti, Rv. 244274 , i Giudici di Piazza Cavour confermano che il giudice d'appello deve compiere «una valutazione approfondita dell'acquisito compendio probatorio, senza essere legato ai canoni di economia processuale che impongono la declaratoria della causa di estinzione del reato quando la prova della innocenza non risulti ictu oculi… e non sussiste alcuna ragione per la quale, in sede di appello… non debba prevalere la formula assolutoria nel merito rispetto alla causa di estinzione del reato».

Presidente Fidelbo Relatore Silvestri Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Ancona, in riforma della sentenza di condanna, ha dichiarato non doversi procedere nei riguardi di M.D. e L.D.G. per il reato di corruzione di cui all'articolo 318 cod. penumero contestato al capo a , in quanto estinto per prescrizione i fatti sono precedenti alla entrata in vigore della legge 6 settembre 1990, numero 190 . La Corte ha confermato le statuizioni civili. L'assunto accusatorio è che C.L. dirigente del servizio regionale territorio e Ambiente, posizione funzionale rete elettrica regionale, autorizzazioni energetiche, gas e idrocarburi e, dunque, quale pubblico ufficiale, avrebbe asservito la propria funzione in relazione alle procedure relative alla istruzione e al rilascio di atti autorizzativi nell'ambito della propria competenza ad alcuni privati, tra cui gli odierni ricorrenti, interessati alla gestione degli impianti di energia alternativa. A fronte dell'asservimento della funzione, C.L. avrebbe ricevuto alcune utilità in particolare L.D.G. avrebbe consegnato a C.L. un orologio dal valore di 9000 euro M.D. avrebbe assicurato in vario modo, attraverso commesse di lavori da parte di società a lui riconducibili, profitti alla società OMISSIS s.r.l., di cui lo stesso C.L. sarebbe stato, direttamente o indirettamente, socio. 2. Ha proposto ricorso per cassazione M.D. articolando tre motivi. 2.1. Con il primo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla prova del patto corruttivo, fatta erroneamente discendere dal rinvenimento nel computer di C.L. di una bozza in formato elettronico, non stampata e non sottoscritta di un patto fiduciario di intestazione di quote della società OMISSIS . Detto accordo sarebbe stato concluso il 20.11.2008, in occasione della costituzione della società in questione, di cui sarebbe stato socio anche C.L. per un dato periodo. La tesi accusatoria, recepita dai Giudici di merito, è che la società sarebbe stata uno strumento per consentire a C.L. di partecipare ai dividendi della società e quindi di ottenere utilità in ragione del patto corruttivo. Assume invece il ricorrente che la società non sarebbe stata il veicolo corruttivo, attesa la presenza di altri soci in posizione dominante P.P. e F.P. sin dalla sua costituzione e la successiva cessione di quote societarie ad altri due soggetti lontanissimi dalla vicenda ipotizzata dunque, sarebbe irrilevante l'attestazione di quote rinvenuta nel file del computer di C.L., non essendosi mai quel file materializzato in una scrittura privata sottoscritta. M.D. non sarebbe stato nemmeno a conoscenza di detto file e non vi sarebbero comunicazioni tra M.D. e gli altri soggetti interessati alla vicenda che possano mettere in discussione la qualità effettiva di soci di detti soggetti. Il file, datato 17.9.2009, farebbe riferimento ad una cessione tra C.L. e M.D. di pari data, in realtà mai avvenuta sarebbe rimasto inoltre del tutto in potenza l'impegno alla retrocessione di quote. Dunque, si afferma, una elocubrazione dell'autore del documento. Sul punto la sentenza sarebbe viziata. Sarebbe viziata anche l'affermazione della Corte secondo cui la fittizietà della cessione di quote sarebbe comprovata dal fatto che il trasferimento delle quote sarebbe avvenuto secondo il loro valore nominale in un momento in cui invece la società conseguiva ampi ricavi. La Corte non si sarebbe confrontata con gli articolati motivi di appello con cui invece era stato segnalato come l'attivo dello stato patrimoniale non potesse costituire un valore assoluto per ritenere irragionevole la cessione delle quote al loro valore nominale, dovendosi tale dato raffrontare con altri, quali lo stato passivo. In atti vi sarebbe la prova che, raffrontando detti dati, la società fosse in perdita al momento della cessione delle quote, considerato che anche negli anni pregressi nessuna distribuzione di utili era stata compiuta. Non diversamente, la sentenza sarebbe viziata anche nella parte in cui, rigettando il motivo di appello, la Corte ha ritenuto provato che il socio P. cioè uno dei due soci di maggioranza si fosse sempre disinteressato all'amministrazione della compagine in ragione della fiducia riposta negli stessi M.D., C.L. e in un ulteriore socio. Si tratterebbe di una motivazione meramente riproduttiva di quella di primo grado, che non avrebbe considerato il motivo di impugnazione con cui erano stati evidenziati gli elementi di prova in senso contrario si fa riferimento a alla deposizione dello stesso P. b alla presenza di atti di riconoscimento di debito di P. nei riguardi di C.L. che, tuttavia, secondo la difesa, non avrebbero senso se il primo fosse stato davvero un prestanome c al fatto che P., insieme ad altro socio, si fosse adoperato per fare entrare nella società altri due soci. Si fa ancora riferimento, da una parte, all'assunto della sentenza secondo cui la società sarebbe stata gestita da M., ritenuto provato senza considerare i plurimi elementi di prova di segno contrario e, dall'altra, all'affermazione secondo cui C.L., anche dopo la cessione delle sue quote, fosse un socio occulto come comprovato dal fatto che avesse prestato garanzie alla società o accordasse a questa mutui infruttiferi non si sarebbe tuttavia tenuto conto che le fideiussioni furono prestate da tutti i soci fondatori e trovavano la loro ragione giustificativa nei rapporti tra la società e le banche. 2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla prova della promessa di dazione o dazione di utilità in favore del pubblico funzionario. Non vi sarebbe in atti nessun elemento comprovante l'esistenza di dividendi o di movimenti di denaro in favore di C.L. riconducibili a lavori e ad attività di OMISSIS ovvero a M.D. deposizione maresciallo C. né si sarebbe tenuto conto della diversa soggettività giuridica della società rispetto alla quale C.L. sarebbe stato solo socio occulto al 16% del capitale -, avendo gli stessi Giudici escluso che il primo avesse gestito la società. Le somme ricevute da OMISSIS non potevano ritenersi conseguite da C.L La Corte di appello avrebbe erroneamente affermato che l'assenza di prova del passaggio di denaro non consentirebbe di affermare che questo non sia avvenuto si tratterebbe di una non consentita inversione della prova. 2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione. Il tema attiene alla risposta ritenuta inadeguata fornita dalla Corte al decimo, undicesimo, dodicesimo e tredicesimo motivo di appello si tratta di motivi che attengono a ai rapporti tra OMISSIS e una data società riconducibile a M.D. tramite la quale sarebbe stato veicolato il vantaggio a OMISSIS b al contenuto di alcune mail scambiate tra M.D. e lo stesso C.L. che avrebbero dimostrato, secondo la prospettazione accusatoria, l'ingerenza del privato nella definizione della normativa di settore. 3. Ha proposto ricorso per cassazione L.D.G. sono stati articolati undici motivi. 3.1. Con il primo motivo si deduce vizio di motivazione sulla richiesta di rinnovazione della istruttoria dibattimentale e di assunzione di una prova decisiva a discarico avanzata con i motivi nuovi di appello inviati via posta elettronica certificata il 30.8.2022. Si tratta di prove documentali relative agli atti di paralleli contenziosi civili e amministrativi la cui valenza era stata spiegata nei motivi con riguardo alla prova dell'accordo corruttivo e alla inesistenza di un vantaggio in favore della società OMISSIS , cioè una delle società riconducibili al ricorrente. Sulla istanza la Corte non avrebbe né fornito risposte  nemmeno in sentenza e neppure avrebbe tenuto conto dei documenti. 3.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge processuale. Il tema attiene al rapporto tra la originaria imputazione di cui al capo A che riguardava un articolato fatto di corruzione propria compiuto in concorso ed avente ad oggetto la redazione di leggi comprate che evitassero l'assoggettamento degli edificandi impianti alla procedura di Valutazione di impatto ambientale con conseguenti successive autorizzazioni uniche illecite del 20 aprile 2012 e del 24 febbraio 2009, e quella oggetto di contestazione all'udienza del 26 aprile 2018 in cui il fatto sarebbe stato mutato ed articolato in una ipotesi di corruzione impropria in cui l'oggetto del patto sarebbe stato la fornitura di consulenze e informazioni da parte del pubblico ufficiale in vista della predisposizione dei citati testi normativi e delle susseguenti attività amministrative, entrambe reputate lecite. La tesi difensiva è che si sarebbe trattato non di una mera modifica ma della negazione della originaria imputazione con la sostituzione ad essa di una nuova, in rapporto di eterogeneità antitetica con la precedente, essendo mutate le condotte, le finalità, l'oggetto del patto e i tempi del fatto. 3.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge processuale e vizio processuale il tema attiene alla diversità del fatto ritenuto rispetto a quello oggetto della modifica della imputazione compiuta il 26.4.2018 e alla mancata corretta valutazione da parte della Corte del motivo di appello. Secondo la Corte di appello, l'imputato sarebbe stato condannato per una parte della imputazione modificata assume invece il ricorrente di essere stato condannato, nell'ambito della originaria complessiva condotta descrittiva nella imputazione, solo per un fatto in concorso non più con altri ma solo con il corrotto, che sarebbe stato ricompensato, per il rilascio dell'autorizzazione unica ricevuta dalla società OMISSIS , con un orologio consegnato in occasione del Natale del 2012. Si evidenzia come il fatto ritenuto e la violazione del principio di correlazione inciderebbe sul tempus commissi delicti il reato sarebbe stato contestato facendo riferimento all'aprile 2012, cioè alla data di emanazione dell'autorizzazione unica ma facendo riferimento al Natale del 2012 cioè alla data in cui l'orologio fu consegnato la commissione del fatto sarebbe successiva alla modifica apportata all'articolo 318 cod. penumero , con la legge numero 190 del 2012. 3.4. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione. Nell'imputazione modificata, l'atto d'ufficio sarebbe costituito dalle autorizzazioni uniche rilasciate il 24.2.2009 e il 20.4.2012 secondo la Corte, tuttavia, la dazione dell'orologio sarebbe avvenuta dopo l'entrata in vigore della legge numero 190 del 2012 e ciò comporterebbe l'applicazione del novum normativo e della nuova fattispecie di cui all'articolo 318 cod. penumero Secondo l'imputato, prima della entrata in vigore della legge numero 190 del 2012, l'articolo 321 cod. penumero , con il richiamo al solo comma 1 dell'articolo 318 cod. penumero allora vigente, non consentiva di estendere la punibilità anche al corruttore nel caso, come quello in esame, di corruzione impropria susseguente, che, invece, era disciplinato dal comma 2 dell'articolo 318 cod. penumero La Corte avrebbe in modo errato, da una parte, ricondotto i fatti alla nuova fattispecie di corruzione per l'esercizio della funzione, e, dall'altra, ritenuto consumato il reato dopo l'entrata in vigore della legge 190 del 2012, con conseguente punibilità anche per il corruttore, ai sensi degli articolo 321 e del novellato articolo 318 cod. penumero . Assume il ricorrente che in tal modo la nuova sfavorevole norma sarebbe applicata retroattivamente, atteso che tutte le altre attività diverse dalla dazione furono compiute prima del novum legislativo, quando cioè non era prevista né la corruzione per l'esercizio della funzione e nemmeno era configurabile la punibilità per il corruttore nel caso di corruzione impropria susseguente, che, nel caso di specie, sarebbe al più sarebbe configurabile. 3.5. Con il quinto motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla prova dell'accordo corruttivo. La Corte non avrebbe fornito risposte agli articolati motivi di appello sul punto, limitandosi ad affermare che la mancanza di prova dell'accordo illecito deriverebbe dal fatto che l'attività amministrativa fosse lecita. 3.6. Con il sesto motivo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla sussistenza dell'elemento oggettivo del reato, alla natura del donativo dell'orologio e al requisito della sproporzione tra il valore di esso e il vantaggio conseguito dalla OMISSIS . La Corte avrebbe affermato che l'utilità della società sarebbe consistita in migliaia di euro e quindi sarebbe stata proporzionale al valore dell'orologio. Assume invece l'imputato che, a fronte di un profitto per il corruttore quantificato dalla stessa Pubblica Accusa in alcuni milioni di euro, il valore dell'orologio sarebbe stato di qualche migliaia di euro e dunque del tutto sproporzionato. Una errata valutazione da parte della Corte e una errata applicazione della legge. 3.7. Con il settimo motivo si lamenta violazione di legge processuale e vizio di motivazione la Corte avrebbe omesso di esaminare il quarto motivo di appello relativo alla mancata prova del dolo. 3.8. Con l'ottavo motivo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla condanna al risarcimento pronunziata in favore della Regione Marche e della Unione dei consumatori nonostante la mancata modifica delle conclusioni delle parti civili in precedenza assunte rispetto alla contestazione di un fatto diverso e la condanna dell'imputato per fatti non dedotti nelle costituzioni di parte civile. 3.9. Con il nono motivo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte confermato la condanna risarcitoria pur in assenza di un danno risarcibile rispetto alla imputazione modificata e stante la condanna dell'imputato in concorso con altri per un fatto di reato in ordine al quale il ricorrente non era stato condannato. 3.10. Con il decimo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte rigettato il motivo con cui si chiedeva, da una parte, in ragione della bonifica cosmetica della iniziale ampia ipotesi accusatoria, la compensazione delle spese con le parti civili Regione Marche e Unione consumatori, e, dall'altra, la condanna alle spese per le parti civili OMISSIS e OMISSIS Onlus non essendo stata la domanda risarcitoria accolta. 3.11. Con l'undicesimo motivo si lamenta la mancata condanna alle spese delle parti civili appellanti. 4. Ha proposto ricorso per cassazione la società Azienda OMISSIS di L.D.G. e c., condannata ai sensi del d.lgs. 8 giugno 2011, numero 231 per l'illecito di cui all'articolo 25, comma 2, d.lgs. cit. in relazione al reato di cui agli articolo 318 321 cod. penumero , commesso dal suo legale rappresentante. Sono stati articolati due motivi. 4.1. Con il primo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione. Il tema attiene alla prova dell'interesse o del vantaggio per l'ente del reato presupposto commesso dal soggetto con qualifica apicale. Si sostiene che la consegna dell'orologio sarebbe avvenuta dopo il rilascio dell'autorizzazione e non vi sarebbe prova che l'accordo avesse ad oggetto tale atto. Sul punto la motivazione sarebbe viziata essendosi la Corte limitata ad affermare che la condotta stessa è relativa ad autorizzazione conseguita dall'ente stesso e dunque non può non essere ritenuta quale espressione dell'interesse dell'ente stesso così il ricorso che fa riferimento alla motivazione della sentenza . La condanna sarebbe avvenuta per la generica messa a disposizione del pubblico ufficiale e la decisione di corrispondere l'orologio sarebbe stata assunta autonomamente da L.D.G. all'insaputa dei restanti componenti dell'ente, e dunque non nell'interesse dell'ente, ma come gesto di ringraziamento per la cortesia di C.L. durante il travagliato procedimento. L'utilità, cioè, sarebbe non collegata al compimento dell'atto. 3.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge per avere la Corte respinto il motivo relativo al mancato riconoscimento da parte del Tribunale delle attenuanti di cui all'articolo 12 d.lgs. cit. Considerato in diritto 1. I ricorsi sono fondati. 2. Le Sezioni Unite hanno chiarito che all'esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, nel caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità. In particolare, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'articolo 129, comma secondo, cod. proc. penumero soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di constatazione , ossia di percezione ictu oculi , che a quello di apprezzamento e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento. Le Sezioni unite hanno tuttavia affrontato il tema della interferenza della disciplina contemplata nell'articolo 578 cod. proc. penumero rispetto a quella prevista dall'articolo 129 cod. proc. penumero e spiegato come la disposizione di cui al secondo comma dell'articolo 129 cod. proc. penumero debba coordinarsi con la presenza della parte civile nel processo e con la esistenza di una pronuncia di una condanna in primo grado in tali casi, il giudice dell'appello, pur prendendo atto della causa estintiva del reato verificatasi nel corso del giudizio di impugnazione, è tenuto a pronunciarsi, ai sensi dell'articolo 578 cod. proc. penumero , sull'azione civile. Ne consegue, argomentano le Sezioni unite, che il giudice d'appello deve compiere una valutazione approfondita dell'acquisito compendio probatorio, senza essere legato ai canoni di economia processuale che impongono la declaratoria della causa di estinzione del reato quando la prova della innocenza non risulti ictu oculi .e non sussiste alcuna ragione per la quale, in sede di appello .non debba prevalere la formula assolutoria nel merito rispetto alla causa di estinzione del reato e ciò, non solo nel caso di acclarata piena prova di innocenza, ma anche in presenza di prove ambivalenti, posto che alcun ostacolo procedurale, né le esigenze di economia processuale che, come più volte detto, costituiscono, con riferimento al principio della ragionevole durata del processo, la ratio ed il fondamento della disposizione di cui all'articolo 129 comma 2, cod. proc. penumero , possono impedire la piena attuazione del principio del favor rei con l'applicazione della regola probatoria di cui al secondo comma dell'articolo 530 del codice di rito Così, Sez. U., numero 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274 . 2.2. Dunque, attesa la presenza di parti civili, il proscioglimento nel merito è doveroso in tutti i casi, ancorché il reato sia estinto per prescrizione, esista un dubbio sulla responsabilità dell'imputato. In tale quadro di riferimento, deve dunque essere verificato se la Corte di appello abbia fatto una corretta applicazione dei principi indicati anche ai fini penali. 3. Quanto alla posizione di M.D., la Corte di appello, rispetto ai motivi di impugnazione, avrebbe dovuto verificare se fosse stata raggiunta la prova del patto corruttivo per cui si procede, e cioè, come detto, che C.L. quale pubblico ufficiale, avesse asservito la propria funzione a M.D. e che questi, in cambio, avesse assicurato in vario modo, attraverso commesse di lavori da parte di società a lui riconducibili, profitti alla società OMISSIS s.r.l., di cui lo stesso C.L. sarebbe stato socio. Ciò che dunque avrebbe dovuto essere provato è la prova del patto corruttivo che, nella specie, involgeva anche la prova del modo con cui la utilità sarebbe stata corrisposta al pubblico ufficiale infedele, cioè la prova che la società OMISSIS fosse un veicolo attraverso cui remunerare C.L Il reato di corruzione, nelle sue varie forme, integra un reato a forma libera, plurisoggettivo, a concorso necessario, di natura bilaterale, fondato sul pactum sceleris tra privato e pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio . Si tratta di un illecito che si sostanzia in condotte convergenti, tra loro in reciproca saldatura e completamento, idonee ad esprimere, nella loro fisiologica interazione, un unico delitto. Da ciò consegue che il reato si configura e si manifesta, in termini di responsabilità, solo se entrambe le condotte, del funzionario e del privato, in connessione indissolubile, sussistano probatoriamente e la perfezione dell'illecito avviene alternativamente con l'accettazione della promessa o con il ricevimento effettivo dell'utilità. Ciò che deve essere processualmente accertato è se il pubblico ufficiale abbia accettato una utilità, se quella utilità sia collegata all'esercizio della sua funzione, al compimento di un atto, se quell'atto sia o meno conforme ai doveri di ufficio. In particolare, deve essere accertato il nesso tra l'utilità e l'atto da compiere o l'asservimento della funzione da parte del pubblico ufficiale, e che ciò sia stata la causa della prestazione e dell'accettazione da parte del pubblico ufficiale della utilità. In linea con il dettato dell'articolo 319 cod. penumero , è infatti necessario dimostrare non solo la dazione indebita dal privato al pubblico ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio , bensì anche la finalizzazione di tale erogazione all'impegno di prendere in carico l'interesse del corruttore, ovvero al futuro comportamento contrario ai doveri di ufficio, o, ancora, alla remunerazione di un già attuato comportamento contrario ai doveri di ufficio da parte del soggetto munito di qualifica pubblicistica. La prova della dazione indebita di una utilità in favore del pubblico ufficiale, quindi, ben può costituire un indizio, sul piano logico, ma non anche, da solo, la prova della finalizzazione della stessa al comportamento antidoveroso del pubblico ufficiale è pertanto necessario valutare tale elemento unitamente alle altre circostanze di fatto acquisite al processo, in applicazione della previsione di cui all'articolo 192, comma 2, cod. proc. penumero , secondo cui «l'esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti». Queste conclusioni sono tanto più evidenti quando la dazione dell'utilità sia asseritamente corrisposta, come nel caso di specie, attraverso un soggetto terzo. 4. Nel caso di specie la Corte di appello di Ancona non ha fatto corretta applicazione dei principi indicati. La Corte, dopo aver ricostruito il processo e i motivi di impugnazione nelle prime 98 pagine della sentenza ha trattato la posizione dell'imputato M.D. da pag. 107 a pag. 111. Nell'ambito di una stringata motivazione la Corte di appello ha ritenuto che a la prova del patto corruttivo deriverebbe dal rinvenimento nel computer di C.L. del file relativo alla cessione di quota, non essendo tale dato spiegabile altrimenti b il riferimento al valore nominale delle quote ai fini della ipotizzata cessione assumerebbe rilievo al fine della prova della fittizietà del trasferimento c il socio P. si sarebbe sempre disinteressato alla amministrazione della società d il mancato rinvenimento di tracce di passaggi di denaro tra la società e C.L. non potrebbe escludere che ciò sia accaduto e sarebbe invece rilevante la presenza di fideiussioni prestate anche da soggetti ritenuti prestanomi. Si tratta di un ragionamento gravemente viziato che rivela una errata applicazione della legge penale, atteso che nel reato di corruzione entrambe le condotte del patto devono essere provate. Nel caso di specie, la prova del patto non può essere costituita dal mero rinvenimento di quel file nel computer del pubblico ufficiale, perché, pur volendo riconoscere a detto elemento una valenza indiziante, esso ha una portata dimostrativa assai circoscritta e limitata, in quanto a unilateralmente soggettiva b del tutto priva di riscontro c non solo non confortata da elementi probatori che riconducano quell'indizio all'altra parte contraente del patto corruttivo, ma smentita da molteplici elementi di prova che inducono a ritenere che attraverso quella società non fu veicolato alcunché a C.L Né è stato spiegato come e in quali circostanze quel patto fu concluso, quali utili furono corrisposti al Pubblico ufficiale, come M.D. avrebbe potuto garantire ciò, cosa in concreto accadde. Una motivazione sbrigativa e viziata. Ne deriva che, non sussistendo la prova certa della responsabilità, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste. 5. A non diverse conclusioni si deve pervenire anche per quel che concerne la posizione di L.D.G 5.1. Pur volendo prescindere dal tema della violazione del principio di correlazione tra il fatto originariamente contestato e quello ritenuto, secondo la Corte di appello, l'imputato avrebbe donato un orologio a C.L. per ringraziarlo per avere esercitato i suoi poteri ed avere rilasciato l'autorizzazione e C.L. ha accettato il dono in particolare, la Corte ha collocato temporalmente la dazione della utilità nel dicembre del 2012 a fronte di atti conformi compiuti prima della entrata in vigore della legge numero 190 del 2012 così a pag. 42 della sentenza . Sulla base di tali presupposti, la Corte di appello, rispetto ad articolati e molteplici motivi relativi al giudizio di responsabilità, alla prova dell'esistenza, e alla struttura del patto corruttivo, si è limitata ad affermare che, nella specie, sarebbe configurabile il reato di corruzione per l'esercizio della funzione, di cui al novellato articolo 318 cod. penumero , e che il reato si sarebbe perfezionato dopo l'entrata in vigore della legge 190 del 6 novembre 2012 essendo avvenuta la dazione successivamente a detta data con conseguente punibilità del corruttore, ai sensi dell'articolo 321 cod. penumero 5.2. Si tratta anche in questo caso di un ragionamento viziato e di una errata applicazione della legge penale. La Corte non ha affatto spiegato a quando il patto corruttivo si sarebbe perfezionato b se, nella specie, sia ravvisabile una corruzione impropria per un atto dell'ufficio o, come parrebbe, una corruzione per l'esercizio della funzione c se sia configurabile una corruzione antecedente o susseguente. Dopo la massiva operazione di ortopedia giuridica della imputazione, non è stato chiarito se si sia ritenuto perfezionato il patto corruttivo, al di là della dazione, dopo o piuttosto prima della entrata in vigore della legge numero 190 del 2012, quando cioè la fattispecie di cui all'articolo 318 cod. penumero faceva riferimento non alla corruzione per l'esercizio della funzione ma solo alla corruzione impropria e la punibilità del corruttore era esclusa nel caso di corruzione impropria susseguente, in ragione del richiamo dell'articolo 321 cod. penumero al solo primo comma dell'articolo 318 cod. penumero allora vigente. La Corte, così come correttamente rilevato dal ricorrente, senza qualificare giuridicamente il fatto, si è limitata, da una parte, a ritenere applicabile la nuova fattispecie della corruzione per l'esercizio della funzione sul presupposto che la dazione sia stata compiuta dopo l'entrata in vigore della legge numero 190 del 2012, e, sulla base di tale presupposto, ha ritenuto applicabile, quanto al corruttore, l'articolo 321 in relazione al novellato articolo 318 cod. penumero Un'applicazione del novum legislativo che sarebbe tuttavia consentita solo in presenza della prova certa che l'accordo corruttivo fu concluso dopo l'entrata in vigore della legge numero 190 del 2012, atteso che, ove così non fosse, il privato corruttore, al momento del perfezionamento del reato, non poteva essere punito ai sensi dell'articolo 321 cod. penumero in caso di corruzione impropria susseguente. Su tali decisive tematiche la sentenza è silente. Ne consegue che anche in relazione alla posizione di L.D.G. la sentenza deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste. 6. All'insussistenza dei reati consegue la revoca delle statuizioni civili e l'annullamento senza rinvio della sentenza anche in relazione alla responsabilità della società ai sensi del d.lgs. numero 231 del 2001. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste e per l'effetto revoca le statuizioni civili.