Il whistleblower non può violare la legge per raccogliere prove di illeciti nell’ambiente lavorativo

La normativa di tutela del dipendente che segnali illeciti altrui c.d. whisleblowing salvaguarda il medesimo dalle sanzioni che potrebbero conseguire a suo carico secondo le norme disciplinari o da reazioni ritorsive dirette ed indirette conseguenti alla sua denuncia, ma non costituisce un’esimente per gli autonomi illeciti che egli, da solo o in concorso con altri responsabili, abbia commesso.

Tale normativa, infatti, ha lo scopo di scongiurare conseguenze sfavorevoli, limitatamente al rapporto di impiego, per il segnalante che acquisisca, nel contesto lavorativo, notizia di un'attività illecita, mentre non fonda alcun obbligo di attiva acquisizione di informazioni, autorizzando attività investigative improprie, in violazione dei limiti posti dalla legge. Il caso La sentenza in commento affronta il caso di una dipendente statale licenziata per utilizzo improprio dell'istituto e della procedura di whistleblowing. Le condotte contestate alla lavoratrice riguardavano l'invio via PEC, a plurimi soggetti, del modulo di segnalazione di condotte illecite, con il quale ella aveva accusato un Direttore di aver sottratto dei fondi pubblici, nonché di aver registrato occultamente una conversazione avuta con un collega, pubblicandone poi alcuni stralci su Facebook, senza autorizzazione e prospettando i fatti in modo da generare sospetti e gettare discredito sull'istituto. La Corte d'Appello di Roma aveva escluso l'applicabilità della tutela prevista dall'articolo 54-bis d. lgs. numero 165/2001, rilevando innanzitutto che la lavoratrice non aveva seguito la procedura prevista dall'istituto per il whistleblowing e che l'intento della segnalazione, peraltro, non era quello di agire a tutela della Pubblica Amministrazione bensì per un interesse personale, cioè quello di screditare i colleghi. Tant'è che le accuse mosse nei confronti del Direttore si erano rivelate del tutto infondate. Con ricorso per cassazione la lavoratrice ha censurato la sentenza di secondo grado, ritenendo invece applicabile al suo caso la tutela per i whistleblower. La tutela per i whistleblower La Suprema Corte ha colto l'occasione per ricordare la ratio e l'operatività delle norme sul whistleblowing, istituto di recente introduzione che mira a proteggere il dipendente virtuoso, che denuncia condotte illecite, da sanzioni, licenziamento o misure discriminatorie, dirette o indirette, aventi effetti sulle condizioni di lavoro, per motivi collegati alla segnalazione effettuata. In primo luogo, la segnalazione va effettuata ai soggetti destinatari individuati nella procedura istituita dal datore di lavoro in ossequio alle norme vigenti e non a terzi. Inoltre, affinché operi la tutela di cui sopra, la segnalazione deve riguardare solo informazioni acquisite nell'ambiente lavorativo. Per tale ragione, la tutela di cui all'articolo 54-bis citato non può estendersi a quelle condotte che esorbitino la segnalazione in senso stretto, quali attività di indagine personali che non sono richieste dalla legge, non sussistendo alcun obbligo di attiva acquisizione di informazioni in capo al segnalante. Da ultimo, ma non per importanza, gli Ermellini rammentano che la scriminante per whistleblowing non opera se il segnalante agisce per scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti di superiori. La registrazione di una conversazione ed il whistleblowing In linea generale, la registrazione di conversazioni tra un dipendente ed i suoi colleghi, all'insaputa dei conversanti, configura una grave violazione della riservatezza che giustifica il recesso, a meno che – ai sensi della normativa sulla privacy – la registrazione occulta non sia resa necessaria per difendere un diritto in giudizio, purché l'utilizzazione di tale registrazione avvenga solo in funzione del perseguimento di tale finalità e per il periodo strettamente occorrente. Tuttavia, sebbene una registrazione di conversazioni tra dipendenti non sia in assoluto abusiva ed illegittima, affinché rientri nell'ambito della protezione fornita dall'articolo 54-bis d. lgs. numero 165/2001 occorre che sussista, appunto, una necessità difensiva, nel senso che il dato raccolto di nascosto sia ad esempio pertinente ad una difesa incentrata su un intento di rappresaglia per effetto della segnalazione, da sostenere nel processo ed il mezzo utilizzato non ecceda l'esercizio di tale diritto di difesa.

Presidente Manna – Relatore Marotta Fatti di causa 1. La Corte d'appello di Roma, confermando la decisione di primo grado, rigettava il ricorso proposto da Q.F., dirigente tecnologo di primo livello presso l' OMISSIS , volto ad accertare l'illegittimità del licenziamento per giusta causa irrigatole dall'Ente il 29 novembre 2019, a seguito della contestazione disciplinare del 2 agosto 2019. La vicenda disciplinare aveva avuto inizio con l'inoltro, da parte della Q.F., a vari destinatari alla direzione di Roma 1, nonché agli indirizzi personali del direttore S.B. e del responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza dell'anticorruzione dott. S.S. del modello per la segnalazione di condotte illecite c.d. whistleblower , avvenuto in data 20 novembre 2018, con il quale la ricorrente aveva denunciato la sottrazione da parte dell'allora Direttore di Roma 1, A.P., di fondi pubblici del MIUR in relazione al progetto premiale, per periodo il 2012-2018, ”Studio di preparazione dei forti terremoti” destinati per la parte geochimica alla stessa Q.F., nonché il plagio, il danno intellettuale, finanziario, di carriera, di immagine e a danno di terzi. Ricevuta la relazione del responsabile anticorruzione nel febbraio 2019 e la denuncia di A.P. nel luglio del 2019, l'Istituto aveva concluso che la segnalazione della Q.F. non poteva essere considerata come rientrante nelle tutele di cui all'articolo 54-bis del d.lgs. numero 165/2001 in quanto non era stata trasmessa con le modalità previste dal piano triennale di prevenzione della corruzione 2018/2020 e che, in ogni caso, dalla relazione del responsabile anticorruzione non era emersa alcuna anomalia nella gestione delle vicende segnalate dalla Q.F L'Istituto aveva, perciò, contestato alla Q.F. di aver utilizzato impropriamente l'istituto del whistleblowing, riportando circostanze risultate non vere che avevano diffamato e nociuto all'onore e alla reputazione dell'allora direttore di Roma 1, attraverso l'inoltro via pec agli altri destinatari sopra indicati, di un modello whistleblower con la richiesta di avvio di procedimenti disciplinari nei confronti di detto A.P Oggetto di contestazione era stata anche altra vicenda e cioè il gravissimo nocumento procurato ad un professore dell'università di Padova, G.D.T., associato all'istituto e avvicinato in data 20 giugno 2019 nei locali dell'ente dalla ricorrente, la quale aveva registrato la conversazione avuta col medesimo e poi pubblicato i riferimenti della conversazione sul proprio profilo OMISSIS in modo travisato e stravolto. La Corte territoriale riteneva preliminare e assorbente, al fine della dichiarazione di legittimità del licenziamento della Q.F., la gravità del comportamento di quest'ultima relativo alla registrazione della conversazione avvenuta tra la medesima e il professor G.D.T., successivamente pubblicata su OMISSIS . Nello specifico, il fatto di aver registrato di nascosto il prof. G.D.T. come da quest'ultimo segnalato all'UPD , di aver pubblicato stralci della conversazione - peraltro non autorizzati e prospettati in maniera capziosa sì da “seminare sospetti” e da comportare discredito all' OMISSIS - su di un social network profilo OMISSIS personale della Q.F., nel quale espressamente si qualificava quale dirigente OMISSIS e, seppur non citandolo mai direttamente, di alludere in maniera inequivoca alla sua persona e ad altri colleghi nel post la dirigente lo definiva come un “professore padovano” e il G.D.T. era l'unico professore padovano che aveva ottenuto fondi europei per collaborare con ricercatori dell' OMISSIS in un progetto dal medesimo “messo su” e poi “dato in mano” ad un collega menzionato come “soggetto salernitano” , costituiva una “grandissima violazione delle norme che regolano il rapporto di lavoro”, e così, in particolare degli articolo 3 e 13 del codice di comportamento OMISSIS compromissione dell'immagine dell'Istituto e violazione dell'obbligo di tenere condotte tali da favorire un clima di rispetto reciproco e di evitare ogni comportamento molesto e lesivo della dignità della persona e degli articolo 11 e 13 del CCNL di categoria violazione dell'obbligo di tenere una condotta corretta e del divieto di astenersi da comportamenti lesivi della dignità della persona, con intenzionalità del comportamento . Rilevava che nella lettera di contestazione disciplinare non era stata formalmente contestata la recidiva, bensì solo riportate le condotte precedenti per evidenziare la gravità dell'ultima condotta sanzionata, ai fini della valutazione, sotto il profilo soggettivo, della giusta consistenza del fatto addebitato. Poneva in evidenza come la condotta della lavoratrice non fosse isolata, ma si potesse ricondurre a modalità di comportamento già realizzate in passato che le erano costate l'applicazione di sanzioni disciplinari dalla multa alla sospensione della retribuzione fino a 6 mesi . In conseguenza, esclusa ogni scriminante difensiva, riteneva integrata la fattispecie di cui all'articolo 55 quater, comma 1, lett. e d.lgs. numero 165/2001 che appunto prevede la reiterazione di gravi condotte lesive dell'onore e della dignità personale che risultavano, nello specifico, poste in essere dalla Q.F. nel corso del tempo, e senza alcuna efficacia dissuasiva delle sanzioni conservative irrogate. La Corte territoriale concludeva, pertanto, per la sussistenza dei presupposti del licenziamento per giusta causa, alla luce dell'accertata irrimediabile lesione del rapporto fiduciario specie considerando che la Q.F. era dirigente e quindi si trovava in una situazione di particolare responsabilità nei confronti del personale preposto, dei suoi collaboratori e in generale per il grado di affidamento e fiducia riposto da parte datoriale nei suoi confronti. Escludeva il motivo ritorsivo per essere provata la giusta causa di licenziamento. Infine, e ad abundantiam, la Corte d'appello di Roma riteneva fondati anche gli altri addebiti disciplinari con i quali veniva contestato alla Q.F. di aver utilizzato impropriamente l'istituto del whistleblowing. Evidenziava, al riguardo, che la Q.F. non poteva pretendere di rimanere indenne da qualsivoglia conseguenza da illecito disciplinare solo per aver svolto o asserito di aver svolto attività di whistleblowing. Rilevava che la predetta aveva fatto un uso improprio dell'istituto per il quale non aveva neppure seguito la procedura prevista presso OMISSIS per l'applicabilità dell'articolo 54-bis del d.lgs. numero 165/2001 l'invio della segnalazione era stato fatto senza garantire la segretezza della stessa e dello stesso nominativo della segnalante . Riteneva che l'intento della segnalazione della Q.F. non sembrava quello di agire a tutela della p.a. e per il suo interesse che altrimenti ella avrebbe seguito la procedura prevista, che garantisce l'anonimato e consente alla p.a. di effettuare i dovuti accertamenti , bensì, in ultima analisi, quello di portare nei luoghi di lavoro discredito al collega A.P., il quale aveva poi legittimamente agito a propria tutela. Sempre la Corte territoriale affermava che il contenuto della segnalazione era diffamatorio nei confronti del dott. A.P. e comunque non alimentava affatto, senza ragionevole motivo, quel “clima di pieno e sostanziale rispetto reciproco” richiesto dal codice di comportamento. Riteneva, infine, infondata l'eccezione di tardività della contestazione disciplinare formulata con riguardo all'articolo 55-bis del d.lgs. numero 165/2001 per essere stata la segnalazione del A.P. inviata dal suo superiore gerarchico all'UPD dopo sei mesi dalla chiusura dell'istruttoria e quindi oltre i 10 giorni previsti da detta norma evidenziando che non era stato superato il termine dei 120 giorni decorrente dalla data in cui il carteggio era pervenuto all'UPD ed in ogni caso richiamando il comma 9 ter dell'articolo 55-bis secondo cui sono perentori solo i termini per la contestazione dell'addebito e per la conclusione del procedimento. 2. Avverso tale decisione Q.F. ha proposto ricorso per cassazione, affidandosi a due motivi. 3. L'Istituto ha resistito con controricorso. 4. Il P.G. ha depositato memoria scritta concludendo per il rigetto del ricorso. 5. Entrambe le parti hanno depositato memorie e quindi, udita la requisitoria anche orale del Pubblico Ministero, hanno proceduto a discussione orale. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 54-bis, d.lgs. numero 165/2001 applicabile ratione temporis, in relazione all'articolo 360 numero 3 cod. proc. civ. In particolare, censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto non applicabile alla vicenda in esame la tutela rafforzata di cui all'articolo 54-bis d.lgs. numero 165/2001 in riferimento alla registrazione della conversazione avuta con il prof. G.D.T. nonché nella parte in cui ha ritenuto che la lavoratrice non avesse rispettato le procedure previste per la denuncia del whistleblowing l'aver segnalato l'accaduto direttamente ad alcuni soggetti, tra i quali il responsabile Anticorruzione e non all'indirizzo email all'uopo predisposto, ossia OMISSIS . 2. Il motivo è infondato. 2.1. I rilievi riguardano pressocché esclusivamente la motivazione espressamente definita nella stessa sentenza impugnata “ad abundantiam”, ossia il non aver la lavoratrice rispettato le procedure previste per la denuncia del whistleblowing. 2.2. Quanto alla ratio principale della motivazione afferente alla registrazione, di nascosto, della conversazione avvenuta tra la Q.F. e il prof. G.D.T. ed alla successiva pubblicazione della stessa su OMISSIS fatto avvenuto in data 20 giugno 2019 e dunque anche temporalmente distinto dalla segnalazione del 20 novembre 2018 relativa al c.d. caso A.P. , la ricorrente si limita assiomaticamente ad affermare che la medesima andava inserita nel complessivo contesto protettivo del whistleblower. È pur vero che questa Corte ha affermato cfr. Cass. 2 novembre 2021, numero 31204 che, nell'ambito dei rapporti di lavoro, la registrazione di conversazioni tra un dipendente e i suoi colleghi presenti, all'insaputa dei conversanti, configura una grave violazione del diritto alla riservatezza che giustifica il licenziamento intimato, a meno che, ai sensi dell'articolo 24 del d.lgs. numero 196 del 2003 nella versione lì vigente “ratione temporis” , la registrazione occulta dei dialoghi non si sia resa necessaria per difendere un diritto in giudizio, a prescindere dalla esatta coincidenza soggettiva tra i conversanti e le parti processuali, purché l'utilizzazione di tale registrazione avvenga solo in funzione del perseguimento di tale finalità e per il periodo di tempo strettamente occorrente ed ancora v. Cass. 10 maggio 2018, numero 11322 che l'utilizzo a fini difensivi di registrazioni di colloqui tra il dipendente e i colleghi sul luogo di lavoro non necessita del consenso dei presenti, in ragione dell'imprescindibile necessità di bilanciare le contrapposte istanze della riservatezza da una parte e della tutela giurisdizionale del diritto dall'altra e pertanto di contemperare la norma sul consenso al trattamento dei dati con le formalità previste dal codice di procedura civile per la tutela dei diritti in giudizio. Tuttavia, nel caso in esame, per quanto si evince dalla sentenza impugnata, la suddetta registrazione, avvenuta all'insaputa del prof. G.D.T. cui aveva fatto seguito la pubblicazione con modalità chiaramente allusive al ridetto professore , non poteva assumere la valenza di una scriminante difensiva “al fine di tutelare la propria posizione in azienda e di precostituirsi mezzi di prova nelle sedi processuali” perché asseritamente riguardante “argomenti già oggetto di numerose denunce da parte della Q.F., come quella sulla gestione dei laboratori OMISSIS , oltre che sul caso A.P. oggetto della prima contestazione disciplinare”. Ad avviso della Corte territoriale, infatti, le difese dell'appellante erano del tutto prive dell'indicazione della necessità difensiva cui la suddetta registrazione sarebbe stata da ricollegare e ciò tanto con riguardo alle vicende relative alla gestione dei laboratori e al progetto del prof. G.D.T. quanto con riferimento alla vicenda A.P E allora, sebbene una registrazione di conversazioni tra un dipendente e i suoi colleghi presenti, all'insaputa dei conversanti, non sia in assoluto abusiva e illegittima, ben potendo rientrare nell'ambito della protezione fornita dall'articolo 54-bis, affinché ciò avvenga occorre una necessità difensiva, nel senso che il dato raccolto di nascosto sia ad esempio pertinente ad una difesa incentrata su un intento di rappresaglia per effetto della segnalazione, da sostenere nel processo ed il mezzo utilizzato non ecceda l'esercizio di tale diritto di difesa. Sul punto le affermazioni assertive della ricorrente si infrangono contro l'argomentata affermazione, in punto di fatto, della Corte territoriale secondo cui si era trattato di un'operazione complessivamente intesa solo a gettare discredito sui dipendenti OMISSIS , con l'aggravante della pubblicazione sul social network, con la spendita della qualifica di “dirigente ricerca tecnologo presso l' OMISSIS ” delle informazioni proditoriamente raccolte e “rielaborate dalla Q.F. in modo anche surrettizio”. E infatti, anche a voler trarre elementi nel senso suddetto da Cass. 14093/2023 “In tema di pubblico impiego privatizzato, la segnalazione ex articolo 54-bis del d.lgs. numero 165 del 2001 cd. “whistleblowing” sottrae alla reazione disciplinare del soggetto datore tutte quelle condotte che, per quanto rilevanti persino sotto il profilo penale, siano funzionalmente correlate alla denunzia dell'illecito, risultando riconducibili alla causa di esonero da responsabilità disciplinare di cui alla norma invocata , è altrettanto vero che, nella fattispecie, quanto alla registrazione del 20 giugno 2019, è stato escluso ogni collegamento funzionale con la segnalazione su modello di denuncia whistleblowers del 20 novembre 2018 e comunque, con la successiva pubblicazione su OMISSIS , è stata integrata una modalità di denuncia eccedente quelle previste dall'articolo 54- bis, d.lgs. numero 165/2001 applicabile ratione temporis. 2.3. Né, d'altra parte, la scriminate di cui all'articolo 54-bis può essere estesa fino a ricomprendere l'ipotesi del lavoratore che effettui di propria iniziativa indagini e violi la legge per raccogliere prove di illeciti nell'ambiente di lavoro, operando la stessa solo nei confronti di chi segnala notizie di un'attività illecita senza che sia ipotizzabile una tacita autorizzazione a improprie e illecite azioni di indagine. L'istituto qui in esame, che presenta analogie con altre figure di ambito internazionale da cui deriva anche il termine whistleblowing , si conforma strutturalmente all'articolo 361 cod. penumero ma se ne distingue in riferimento ai presupposti ed all'ambito di operatività, nella doppia declinazione della tutela del rapporto di lavoro e del potenziamento delle misure di prevenzione e contrasto della corruzione. La segnalazione in esame risponde, difatti, ad una duplice ratio, consistente da un lato nel delineare un particolare status giuslavoristico in favore del soggetto che segnala illeciti e, dall'altro, nel favorire l'emersione, dall'interno delle organizzazioni pubbliche, di fatti illeciti, promuovendo forme più incisive di contrasto alla corruzione. In riferimento al primo profilo, l'ultima parte del comma 1 dell'articolo 54-bis prevede che il dipendente virtuoso non possa essere sanzionato, licenziato o sottoposto a misure discriminatorie, dirette o indirette, aventi effetti sulle condizioni di lavoro, per motivi collegati alla segnalazione effettuata, che deve avere ad oggetto una condotta illecita, non necessariamente penalmente rilevante. Quanto ai destinatari della comunicazione, la stessa può essere rivolta all'autorità giudiziaria ordinaria, alla magistratura contabile e al superiore gerarchico del segnalatore. In riferimento all'oggetto, la formula riferita al contesto di acquisizione della notizia «di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro» esprime che il fatto oggetto di segnalazione possa riguardare - a fini di tutela del dipendente - solo informazioni acquisite nell'ambiente lavorativo. Alle condizioni date, i commi 2 e 4 dell'articolo 54-bis prevedono un articolato sistema di protezione dell'anonimato del segnalante, in una prospettiva palesemente incentivante, escludendo la materia dalla normativa in tema di accesso civico e dall'ambito di applicazione della legge numero 241/1990 e limitando la rivelazione dell'identità ai soli casi di indispensabilità per la difesa dell'incolpato. Emerge, all'evidenza, come la normativa citata si limiti a scongiurare conseguenze sfavorevoli, limitatamente al rapporto di impiego, per il segnalante che acquisisca, nel contesto lavorativo, notizia di un'attività illecita, mentre non fonda alcun obbligo di attiva acquisizione di informazioni, autorizzando improprie attività investigative, in violazione dei limiti posti dalla legge cfr. Cass. Penumero , sez. V, 21 maggio 2018, numero 35792 . 2.4. Si aggiunga che il giudice di secondo grado, rifacendosi a recenti orientamenti di questa Corte, ha ritenuto legittimo il licenziamento per il suddetto comportamento tenuto dalla Q.F., escludendo ogni collegamento causale tra lo stesso e la segnalazione ai sensi dell'articolo 54-bis. Il ragionamento è corretto dovendosi richiamare, sul punto, Cass. numero 9148/2023 che ha espresso il seguente principio «La normativa di tutela del dipendente che segnali illeciti altrui c.d. whistleblowing salvaguarda il medesimo dalle sanzioni che potrebbero conseguire a suo carico secondo le norme disciplinari o da reazioni ritorsive dirette ed indirette conseguenti alla sua denuncia, ma non istituisce un esimente per gli autonomi illeciti che egli, da solo o in concorso con altri responsabili, abbia commesso, potendosi al più valutare il ravvedimento operoso o la collaborazione al fine di consentire gli opportuni accertamenti nel contesto dell'apprezzamento, sotto il profilo soggettivo, della proporzionalità della sanzione da irrogarsi nei confronti del medesimo». 2.5. Sempre con il primo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata per aver escluso la natura della segnalazione come segnalazione whistleblower. Il motivo è assorbito nel rigetto di ogni rilievo concernente la violazione disciplinare relativa alla abusiva registrazione e pubblicazione della conversazione con il prof. G.D.T Anche a voler ritenere, infatti, che l'inoltro della disclosure anche ad organi esterni e non invece solo ed esclusivamente ai soggetti indicati nell'articolo 54-bis non impedisca l'applicazione del regime di tutele previsto dalla legge numero 179 del 2017, rendendola anzi, ancor di più necessaria, resta dirimente il rilievo che i giudici di merito hanno in punto di fatto escluso ogni collegamento causale della suddetta registrazione e pubblicazione con i fatti oggetto della segnalazione. 2.6. Egualmente irrilevante è quanto evidenziato dalla ricorrente circa l'intervenuta archiviazione della denuncia penale presentata dal A.P. v. anche infra . Non è, infatti, rivedibile in questa sede l'accertamento svolto dalla Corte territoriale circa l'inconsistenza dei fatti oggetto di denuncia e l'assenza di alcun profilo di rilevanza riconducibile alla prevenzione della corruzione ovvero alla disciplina del whistleblowing, dovendosi, al riguardo, precisare che non si è in presenza di una segnalazione ex articolo 54-bis, d.lgs. 165/2001, scriminante, allorquando il segnalante agisca per scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti di superiori in tal senso vi è anche giurisprudenza amministrativa v. da ultimo Consiglio di Stato sez. II, 17/07/2023, numero 7002 T.A.R. Roma, Lazio, sez. I, 07/01/2023, numero 236 T.A.R. Napoli, Campania, sez. VI, 06/02/2020, numero 580 “L'istituto del whistleblowing non è utilizzabile per scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti di superiori. Questo tipo di conflitti infatti sono disciplinati da altre norme e da altre procedure. Le circolari emanate in materia hanno, inoltre, chiarito che le segnalazioni non possono riguardare lamentele di carattere personale del segnalante o richieste che attengono alla disciplina del rapporto di lavoro o ai rapporti con superiori gerarchici o colleghi, disciplinate da altre procedure” . 3. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'articolo 55-quater, d.lgs. 165/2001 e dell'articolo 13, co. 4, CCNL Scuola e Ricerca 2016-2018. Assume che, nello specifico, la vicenda in esame non può essere sussunta all'interno del citato articolo 55-quater lett. e , in quanto priva dei prescritti caratteri di “gravità” e “reiterazione”, integrando piuttosto l'illecito di cui all'articolo 13, co. 4, CCNL Scuola e Ricerca 2016-2018, il quale prevede, come sanzione disciplinare, la sospensione sino ad un massimo di 10 giorni. 4. Anche questo rilievo non appare idoneo a scardinare il lungo e complesso iter motivazionale espresso dal giudice d'appello, nella parte in cui ha ritenuto le condotte della lavoratrice lesive dell'onore e della dignità personale, sia perché “reiterate” e sia perché “gravi”. 4.1. Valga, in particolare, richiamare il passaggio motivazionale da cui si evince che quella oggetto di contestazione non era una condotta isolata essendo risultata la ricorrente particolarmente dedita all'attività di registrazione di conversazioni con i colleghi senza il loro consenso e ad effettuare pubblicazioni sul social OMISSIS con connotazioni offensive o lesive dell'onorabilità di professionalità riconducibili all' OMISSIS tanto da risultare la Q.F. destinataria di provvedimenti disciplinari del 22/11/2016 sospensione di un giorno dalla retribuzione, ritenuta legittima in primo grado e in appello, per aver pubblicato sulla pagina personale del profilo OMISSIS due post dal contenuto minaccioso e diffamatorio , del 7/11/2017 multa, non impugnata, per aver pubblicato sulla pagina personale del profilo OMISSIS frasi ritenute offensive e lesive della onorabilità e della professionalità dell' OMISSIS e dei suoi componenti , del 19/06/2019 sospensione per sei mesi, confermata in primo grado, giudizio pendente in appello, per attività di posting sul profilo OMISSIS e sul proprio blog, per dichiarazioni alla stampa e reiterata registrazione all'insaputa degli interlocutori di telefonate e conversazioni private ed il relativo utilizzo improprio di trascrizioni parziali e strumentalizzate perché commentate al di fuori del loro contesto . In particolare la Corte territoriale ha ricondotto il comportamento contestato alla Q.F. alla previsione di cui al comma 9 dell'articolo 13 del c.c.numero l. nella parte in cui la violazione dei doveri è di gravità tale da ledere irrimediabilmente il rapporto fiduciario e da non consentire la prosecuzione dell'attività di lavoro, considerata anche la graduazione delle sanzioni intimate dall' OMISSIS nel corso del tempo, a partire - correttamente - dalla meno grave e in funzione crescente e dissuasiva, il che però non aveva sortito alcun effetto sulla condotta dell'odierna ricorrente. L'impugnata sentenza ha, poi, correttamente inquadrato la vicenda nella previsione di cui all'articolo 55-quater, comma 1, lett. e , del T.U. «reiterazione nell'ambiente di lavoro di gravi condotte aggressive o moleste o minacciose o ingiuriose o comunque lesive dell'onore e della dignità personale altrui» proprio sottolineando la ripetizione nel tempo delle condotte lesive. 4.2. Né fondatamente invoca la ricorrente la previsione di cui all'articolo 13, comma 4, lett. g del c.c.numero l. scuola 2016-2018 secondo cui «ove non sussista la gravità e la reiterazione delle fattispecie considerate nell'articolo 55-quater, comma 1, lett. e del d. lgs. numero 165/2001, atti o comportamenti aggressivi, ostili e denigratori che assumano forme di violenza morale nei confronti di un altro dipendente, comportamenti minacciosi, ingiuriosi, calunniosi o diffamatori nei confronti di altri dipendenti o degli utenti o di terzi». Non ha errato la Corte territoriale nell'affermare che la sistematicità e la frequenza delle condotte addebitate, unitamente alle altre circostanze poste in rilievo nella motivazione, le connotassero di una gravità ben diversa rispetto a quella apprezzata, sul piano astratto, dalla previsione invocata dalla lavoratrice e giustificassero la sussunzione nella fattispecie, più generale, descritta dallo stesso articolo 13, comma 9. È una conclusione che non contrasta con il principio secondo cui nell'ipotesi in cui un comportamento del lavoratore, ravvisato dal datore di lavoro come giusta causa di licenziamento, sia configurato dal contratto collettivo come infrazione disciplinare cui consegua una sanzione conservativa, il giudice non può discostarsi da tale previsione trattandosi di condizione di maggior favore fatta espressamente salva dall'articolo 12 della legge numero 604 del 1966 , a meno che non accerti che le parti non avevano inteso escludere, per i casi di maggiore gravità, la possibilità della sanzione espulsiva cfr. fra le tante Cass. 7 maggio 2020, numero 8621 richiamata in motivazione da Cass. 16 luglio 2020, numero 15227 con riferimento all'impiego pubblico contrattualizzato . Ed infatti tale principio non può essere invocato qualora risulti in via di interpretazione del contratto collettivo che le parti non avevano inteso escludere, per i casi di maggiore gravità, la possibilità della sanzione espulsiva è questo il caso che ricorre nel caso in esame, in cui l'intero codice disciplinare è incentrato sulla valorizzazione, ai fini dell'entità della sanzione, della reiterazione delle condotte illecite. Si deve, del resto, rilevare che il motivo mira nel concreto non a dedurre una violazione di legge ma a sollecitare un inammissibile sindacato sulla valutazione operata dal giudice di merito in ordine alla proporzionalità della sanzione del licenziamento rispetto ai fatti contestati, là dove tale valutazione è stata espressa con motivazione ampia e coerente e con richiamo ai parametri normativi, conformemente ai principi enunciati sul punto da questa Corte Cass. 24 agosto 2016, numero 17304 , irrilevante essendo l'esito della denuncia presentata in sede penale dal A.P. e il provvedimento di archiviazione favorevole alla Q.F., non essendo l'archiviazione provvedimento suscettibile di acquisire autorità di giudicato. 5. Da tanto consegue che il ricorso deve essere respinto, con condanna alle spese secondo soccombenza. 6. Occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass., Sez. Un, 20 febbraio 2020, numero 4315, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall'articolo 13, comma 1-quater, del d.P.R. numero 115 del 2002. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell'articolo 13 comma 1-quater del d.P.R. numero 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.