Oggetto della controversia in esame è la richiesta di risarcimento da parte di una coppia di genitori per i danni subiti dal proprio figlio a seguito di grave asfissia perinatale causalmente ricollegabile alla poco diligente condotta dei sanitari della Casa di Cura dove era stata ricoverata la madre, struttura che non disponeva in sala operatoria di un pediatra o di un neonatologo né di una struttura di terapia intensiva neonatale.
La Casa di Cura in questione ricorre in giudizio proponendo ben dodici motivi, ma va preliminarmente delibata l'eccezione di inammissibilità o improcedibilità del ricorso sollevata in memoria illustrativa dalla difesa dei controricorrenti, sul presupposto del sopravvenuto Fallimento della ricorrente, che sarebbe stato dichiarato dal Tribunale di Catania successivamente alla proposizione del ricorso. Gli eccipienti richiamano l'orientamento di questa Corte Cass. numero 24156/2018 , secondo cui «l'accertamento di un credito nei confronti del fallimento è devoluta alla competenza esclusiva del giudice delegato ex articolo 52 e 93 l. fall., con la conseguenza che, ove la relativa azione sia proposta nel giudizio ordinario di cognizione, deve esserne dichiarata d'ufficio, in ogni stato e grado, anche nel giudizio di cassazione, l'inammissibilità o l'improcedibilità, a seconda che il fallimento sia stato dichiarato prima della proposizione della domanda o nel corso del giudizio, trattandosi di una questione litis ingressus impediens , con l'unico limite preclusivo dell'intervenuto giudicato interno, laddove la questione sia stata sottoposta od esaminata dal giudice e questi abbia inteso egualmente pronunciare sulla domanda di condanna rivolta nei confronti del fallimento, e del giudicato implicito, ove l'eventuale nullità derivante da detto vizio procedimentale non sia stata dedotta come mezzo di gravame avverso la sentenza che abbia deciso sulla domanda ciò in ragione del principio di conversione delle nullità in motivi di impugnazione ed in armonia con il principio della ragionevole durata del processo». L'eccezione è però infondata. Infatti, «nel caso in cui un soggetto, rimasto soccombente all'esito di un giudizio di condanna, sia dichiarato fallito nel corso del giudizio di impugnazione, l'azione proposta non è improcedibile, in quanto, a norma dell'articolo 96 legge fall., il creditore sulla base della sentenza impugnata, può insinuarsi al passivo con riserva, mentre il curatore, dal suo canto, può proseguire il giudizio di impugnazione» Cass. numero 14768/2019 Cass. numero 12948/2022 . È stato poi anche affermato che, in tema di ammissione al passivo fallimentare con riserva, l'articolo 96, secondo comma, numero 3, legge fall. «deve essere interpretato estensivamente, in modo da ricomprendere anche i crediti oggetto di accertamento negativo da parte di una sentenza non passata in giudicato e pronunciata prima della dichiarazione di fallimento» Cass. numero 11362/2018 Cass. numero 11741/2024 . Pertanto, «anche nel caso in cui i crediti vantati nei confronti del soggetto, poi fallito, abbiano formato oggetto di domanda di accertamento negativo da parte del debitore e tale domanda sia stata rigettata, il creditore può essere ammesso al passivo sulla base della sentenza di rigetto, a lui favorevole, la quale equivale ad una sentenza di accertamento del credito». Ne consegue che «se il creditore ottiene una sentenza di condanna del debitore o, comunque, una sentenza di accertamento del credito, anche emessa in reiezione di un'azione di accertamento negativo esperita dal debitore prima che si apra, nei confronti di quest'ultimo, una procedura concorsuale, egli, sulla base di tale sentenza, pur soggetta ad impugnazione, deve essere ammesso al passivo con riserva, ai sensi dell'articolo 96, secondo comma, numero 3, legge fall., mentre il curatore può proporre l'impugnazione o proseguirla se era già stata proposta dalla parte in bonis, non determinandosi, pertanto, l'improcedibilità della domanda».
Presidente Travaglino – Relatore Spaziani Fatti di causa 1.Con citazione del 5.6.2008 la OMISSIS S.r.l. di Catania ha evocato in causa dinanzi alla Sezione Distaccata di Mascalucia del Tribunale di Catania la “ OMISSIS ” di T.E., chiedendone la condanna al risarcimento del danno per il furto di un veicolo affidato alla convenuta per effettuare talune riparazioni. Il tribunale, accertatane la responsabilità per il furto del veicolo, ha respinto la domanda per mancanza di prova dell'ammontare del danno. La sentenza è stata riformata in appello. La Corte di Catania ha affermato che il primo giudice non aveva tenuto conto dei dati essenziali forniti dalla appellante in merito alle caratteristiche del veicolo immatricolazione, prototipo, tipo di alimentazione, chilometraggio in base ai quali era possibile stabilire, tramite la consultazione di siti specializzati, che il valore dell'auto era pari ad € 7.200,00 alla data del 17.12.2007, come confermato dal preventivo rilasciato da altra autofficina. Per la cassazione della sentenza l' OMISSIS di R.S. ha proposto ricorso in due motivi, cui resiste con controricorso la OMISSIS s.r.l In prossimità dell'adunanza camerale le parti hanno depositato memorie illustrative. Ragioni della decisione 1. Il primo motivo denuncia la violazione dell'articolo 116 c.p.c., per aver il giudice assegnato valore di prova legale alle valutazioni dei veicoli rinvenute su siti specializzati, comunque inidonee ad esprimere il valore del mezzo, assumendo inoltre che neppure il preventivo rilasciato da altra autofficina poteva essere utilizzato, non essendone verificabile l'autenticità. Il secondo motivo denuncia la violazione degli articolo 1223,2697 c.comma 115 e 116 c.p.c., lamentando che la Corte di merito sia incorsa in un errore di percezione sul contenuto della prova riguardo ad un fatto decisivo per il giudizio, avendo accolto la domanda sulla base di prove inesistenti, poiché il solo accertamento dell'anno di immatricolazione non esimeva la parte dal dimostrare l'entità del danno, né consentiva al giudice di stabilire il valore del veicolo senza ricorrere ad una consulenza tecnica o ad elementi di riscontro, avendo stimato non la vettura oggetto della domanda di risarcitoria, ma un modello similare. Sostiene la ricorrente che la prova del chilometraggio della vettura non poteva fondarsi sulle dichiarazioni di un dipendente della proprietaria del veicolo e sulla base di circostanze contestate. I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati. Contrariamente a quanto dedotto in ricorso, tutti gli elementi di prova sono stati sottoposti a vaglio critico e liberamente valutati ai sensi dell'articolo 116 c.p.c., con apprezzamento che, sebbene sintetico, appare logicamente motivato. La sentenza ha chiarito che erano provati la tipologia del veicolo oggetto di furto, l'anno di immatricolazione, la potenza del motore, il tipo di alimentazione e il chilometraggio e sulla base di tali dati di fatto che il ricorso solo genericamente assume essere stati contestati ha proceduto alla liquidazione del danno utilizzando valutazioni provenienti dal sito web, ritenuto attendibile perché neutrale e perché confortato da un preventivo di acquisto, ulteriore supporto dei dati estratti dalla fonte telematica, in coerenza con il principio per cui le informazioni desunte da riviste o siti specializzati sono idonee a fondare presunzioni semplici di verità dei fatti da provare, fatta salva la prova contraria Cass. 2798/2016 Cass. 8978/2000 . Quanto alla insufficienza degli elementi di prova delle caratteristiche del veicolo e all'attendibilità dei testi, la censura è inammissibile il sindacato di legittimità è volto esclusivamente a controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione Cass. 7921/2011 Cass. 9097/2017 Cass. 29404/2017 Cass 32505/2022 . In merito alla prova dell'esatta entità del danno risarcibile, la liquidazione non poteva che svolgersi in via equitativa, sulla base delle indicazioni e degli elementi acquisiti in giudizio, trattandosi di pregiudizio causato dal furto di un veicolo divenuto indisponibile e perciò di un danno di difficile liquidazione per ragioni oggettive, non essendo possibile individuare con certezza il valore dell'auto al momento della sottrazione sulla base del contratto di acquisto concluso anni prima. Il ricorso non offre, infine, alcuna indicazione che possa far ritenere che sia stata tratta dalla consultazione del sito web un'informazione diversa da quella corretta, confermata dal preventivo prodotto in giudizio, né che sia stato stimato un veicolo diverso da quello veicolo oggetto di furto come detto, l'indisponibilità del mezzo rendeva possibile stabilire equitativamente il valore perduto, con l'ineliminabile approssimazione derivante dalla difficoltà di liquidazione che connota il metodo di cui all'articolo 1226 c.c E' insussistente anche la violazione dell'articolo 115 c.p.c., dovendo escludersi che il giudice abbia posto a fondamento della decisione prove irritualmente acquisite, non introdotte dalle parti o disposte di sua iniziativa in assenza di poteri officiosi di indagine conferiti per legge Cass. s.u. 20867/2020 . E' infine incensurabile la scelta, di natura discrezionale, di non far ricorso ad una c.t.u. Cass. 7472/2017 Cass. 25281/2023 . In ogni caso, passato in giudicato l'accertamento della responsabilità e del pregiudizio causato dalla sottrazione del mezzo, non era consentita una decisione di non liquet , risolvendosi tale pronuncia nella negazione di quanto, invece, già definitivamente accertato in termini di esistenza di una condotta generatrice di danno ingiusto e di conseguente legittimità della relativa richiesta risarcitoria cfr., Cass. 13469/2002 Cass. 20990/2011 Cass. 4310/2018 Cass. 16344/2020 Cass. 13515/2022 . Il ricorso è respinto con aggravio delle spese processuali. Si dà atto, ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater D.P.R. numero 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad € 3000,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%. Dà atto, ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater D.P.R. numero 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.