Suicidio assistito negato a un cittadino ungherese affetto da SLA: nessuna violazione Cedu

Il caso finito sui tavoli dei giudici di Strasburgo riguarda un cittadino ungherese affetto da SLA che lamentava l’impossibilità di optare per il suicidio assistito in quanto chiunque lo avesse aiutato avrebbe rischiato una condanna penale.

Con la sentenza depositata oggi caso D.K. c. Ungheria , la CEDU – con 6 voti favorevoli e 1 contrario - ha ritenuto che nella vicenda non sia riscontrabile una violazione dell'articolo 8 Cedu diritto al rispetto della vita privata e familiare né dell'articolo 14 Cedu divieto di discriminazione , invocati dal ricorrente. Il ricorrente ha tentato di rivendicare davanti alla Corte il diritto alla morte autodeterminata, in quanto affetto da sclerosi laterale amiotrofica SLA avanzata. L'uomo vorrebbe poter decidere quando e come morire prima che la sua malattia raggiunga uno stadio intollerabile. A tal fine avrebbe però bisogno di assistenza, ma chiunque lo assista rischierebbe un processo, anche se concretamente l'eutanasia fosse eseguita in un paese che permetteva tale pratica. In tal senso, il ricorrente sostiene di essere vittima di una discriminazione nei confronti ai malati terminali in terapia di sostentamento vitale che, in Ungheria, possono chiedere che il loro trattamento lo sia ritirato. La motivazione della Corte si fonda sull'esistenza di implicazioni sociali potenzialmente ampie e rischi di errore e/o abusi nei servizi di morte medicalmente assistita. Infatti, «nonostante una tendenza crescente verso la sua legalizzazione, la maggioranza degli Stati membri del Consiglio d'Europa continua a vietare sia il suicidio medicalmente assistito che l'eutanasia». Fermo restando che ciascun Stato dispone di un ampio potere sul tema, la CEDU ha ritenuto che le autorità ungheresi abbiano individuato un giusto equilibrio tra gli interessi concorrenti in gioco e non ha oltrepassato tale potere discrezionale. Viene anche sottolineato che la Convenzione dei diritti umani deve essere interpretata e applicata alla luce dei giorni nostri. La necessità di misure giuridiche adeguate dovrebbe pertanto essere tenuta sotto controllo, in considerazione degli sviluppi delle società europee e degli standard internazionali sull'etica medica in questo ambito. Tornando alla vicenda in esame, le cure palliative disponibili attualmente sono di alta qualità e garantiscono quindi un fine vita dignitoso. Secondo le prove degli esperti ascoltati dalla Corte, le opzioni disponibili in cure palliative, compreso l'uso della sedazione palliativa, sono generalmente in grado di fornire sollievo ai pazienti che si trovino nella stessa situazione del richiedente e consentono una morte serena. D'altro canto, il ricorrente non avrebbe dimostrato efficacemente che tali cure non gli sarebbero state disponibili. Infine, quanto alla presunta discriminazione, la Corte sottolinea che il rifiuto o la revoca delle cure in situazioni di fine vita sono intrinsecamente legati al diritto al consenso libero e informato, piuttosto che al diritto ad essere aiutato a morire. In altre parole, si tratta di situazione differenti il cui differente trattamento è oggettivamente e ragionevolmente giustificato.

CEDU, sentenza 13 giugno 2024, caso D.K. v. Hungary