Rivelazione di segreto d’ufficio tra oggetto materiale della condotta e concorso del soggetto "estraneo"

Integra il concorso nel delitto di rivelazione di segreti d’ufficio la divulgazione da parte dell’extraneus di una notizia segreta, riferitagli come tale, realizzandosi in tal modo una condotta ulteriore rispetto a quella dell’originario propalatore.

In applicazione di tale principio, la Corte di Appello di Brescia, con la sentenza 406 del 24 maggio 2024, ha confermato una sentenza appellata, condannando l'appellante ex magistrato simbolo di “Mani pulite” al pagamento delle ulteriori spese processuali del secondo grado di giudizio, oltre spese legali, in favore della parte civile. Il caso I fatti traggono origine da una sentenza della Corte di appello di Brescia, confermativa di quella emessa dal Tribunale collegiale di Brescia, che dichiarava l'imputato ex componente del CSM responsabile dei reati ex 81 cpv, 110 e 326 c.p. rivelazione ed utilizzazione di segreti d'ufficio e lo condannava alla pena di anni 1 e mesi 3 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali e al risarcimento del danno cagionato alla costituita parte civile. In particolare, la vicenda, ruota intorno ai verbali di un avvocato sulla presunta esistenza di una «Loggia Ungheria» capace di determinare nomine a livelli altissimi nella pubblica amministrazione. L'appellante, numero q. di Consigliere del CSM, ricevuta una proposta di incontro privato da un Sostituto Procuratore della Repubblica, in Milano titolare di un procedimento penale, rassicurandolo di essere autorizzato a ricevere copia degli atti indicati e riferendogli che il segreto investigativo su di essi non era a lui opponibile in quanto componente del CSM, concorreva nel reato ex articolo 326 c.p., rafforzando il proposito criminoso del sostituto procuratore milanese ed entrando così in possesso del contenuto di atti coperti da segreto investigativo. Ciò lo faceva al di fuori di una procedura formale non essendo applicabile quella descritta dalle circolari numero 510 del 1994 e numero 13682 del 1995 dettate dal CSM in merito alla trasmissione, da parte del PM procedente, di informazioni relative ad un procedimento penale a carico di un magistrato, da indirizzare formalmente al comitato di Presidenza del CSM e senza che vi fosse una ragione ufficiale che legittimasse il sostituto procuratore a disvelare atti coperti dal segreto investigativo anziché investire organi istituzionali competenti a risolvere questioni attinenti alla gestione dell'indagine. In esecuzione di un medesimo disegno criminoso, una volta ricevuti i citati documenti segreti, violando i doveri inerenti alle proprie funzioni ed abusando della sua qualità di componente del CSM, pur avendo l'obbligo giuridico ed istituzionale di impedirne l'ulteriore diffusione, ne rivelava il contenuto a terzi. L'imputato riferiva inoltre ad un consigliere del CSM, in assenza di qualunque ragione d'ufficio, di un'indagine segreta su una presunta loggia massonica aggiungendo che «in questa indagine è coinvolto un magistrato». Riferiva al Presidente della Commissione nazionale antimafia, in assenza di qualunque ragione istituzionale e nell'ambito di un colloquio privato, allo scopo di spiegare il motivo dei contrasti insorti con un consigliere del CSM, che vi era un 'indagine in corso su una presunta loggia coperta cui avrebbe fatto parte il citato consigliere. L'imputato ha proposto appello avverso la sentenza emessa dal Tribunale collegiale di Brescia, lamentando diversi motivi. Le soluzioni giuridiche La sentenza della S.C. è di particolare interesse perché affronta ancora una volta le problematiche questioni attinenti l'oggetto giuridico, in dottrina, sul tema Panetta A., Sull'oggetto materiale della condotta rivelatoria nel reato di rivelazione ed utilizzazione di segreto d'ufficio la rivelazione di meri accertamenti della Guardia di Finanza, in Cass. pen 2023, 1980 l'elemento soggettivo, il concorso dell'extraneus e la natura del reato nel delitto di rivelazioni di segreto d'ufficio, ex articolo 326 c.p. in dottrina v. inoltre, Poggi D'Angelo M. Commento sub articolo 326 c.p. in Codice penale. Rassegna di Giurisprudenza e di Dottrina, a cura di Lattanzi – Lupo, Giuffrè Francis Lefebvre 2002, 456 ss. . Alla base della sua decisione, il Collegio pone convincenti argomentazioni, basandosi su alcuni principi affermati dalla Corte di Cassazione, presieduta talaltro dallo stesso appellante. I giudici, nell'avvertire una analisi ermeneutica complessiva dei principi di legittimità, pongono in luce tutta una serie di prospettazioni difensive, ritenendole non condivisibili. Innanzitutto, nell'occasione, non viene accolta dal Collegio la tesi secondo cui «non potrebbe sussistere un concorso di reato nel proposito criminoso altrui , ai sensi dell'articolo 110 c.p., dal momento in cui il concorrente è stato assolto per mancanza di finalità illecita» né sarebbe stata contestata l'ipotesi mediata di cui all'articolo 48 c.p. in ordine all'induzione dolosa di taluno mediante inganno a commettere per errore il reato. E invero, la Corte di Appello ha osservato che le contestazioni dell'appellante non tengano conto degli approdi giurisprudenziali di legittimità, sul tema. Secondo la Corte, in particolare se la condotta dell' intraneus si consuma nel momento in cui svela all'extraneus la notizia riservata, la condotta di quest'ultimo di successiva rivelazione ad altri di detta circostanza costituisce tutt'altro che un post factum non punibile, ma determina la realizzazione di altra e ulteriore condotta di rivelazione distinta da quella dell'originario autore del reato . E, nel caso di specie, è incontestato che l'appellante ha messo a conoscenza delle notizie acquisite in via riservata una serie di soggetti terzi non esaustivamente limitata ai nominativi elencati nel capo di incolpazione si pensi ad esempio al Procuratore Generale della Corte di Cassazione, o al collega della corrente . Né assume rilievo – osserva la Corte – l'intervenuta assoluzione di altro magistrato, posto che la stessa non è avvenuta per insussistenza del fatto , ma per carenza dell'elemento soggettivo. E, inoltre, osserva ancora la Corte come la formula assolutoria adottata dai giudici di merito dell'altro processo opera esclusivamente sul piano personale , posto che la mancanza di colpevolezza è stata ancorata all'affidamento non colpevole della prospettazione proveniente dall'autorevole componente del CSM dell'epoca secondo cui egli, in quanto tale, era pienamente autorizzato a ricevere notizie coperte da segreto investigativo. La presente decisione interviene poi sull'ulteriore tema controverso in dottrina e giurisprudenza quello che attiene all'oggetto della rivelazione del segreto d'ufficio. Si assume, in chiave difensiva, a tal proposito, che la condotta addebitabile in astratto al ricorrente non potrebbe ricomprendere altro che quella della materiale consegna dei verbali o dell'integrale esibizione degli stessi, in quanto la secretazione si è riferita unicamente a tali atti, per come apposta dal pubblico ministero procedente e non già alla mera notizia della loro esistenza. Ma secondo la Corte di Appello così non è. A ben vedere viene riproposta una tematica già disattesa dal Tribunale, che, con argomentazione esaustiva, ha affermato come oggetto del reato sia l'informazione e non già il corpo materiale mediante la quale questa e veicolata. La norma ex articolo 326 c.p. non parla, di atti, ma di notizie, con ciò rimandando al contenuto dell'atto investigativo e non già alla veste formale con la quale viene trasmesso, di tal che il reato è integrato allorché vengano riportate notizie inerenti all'ufficio pubblico ricoperto e che siano destinate a rimanere segrete, a prescindere dalla forma con le quali vengano rivelate. E, nel caso di specie, è indubbio che l'ex consigliere del CSM abbia portato a conoscenza di una selezionata platea di soggetti, più o meno qualificati, informazioni riservate quali la notizia dell'esistenza di un indagine l'indicazione dell'autorità procedente il contenuto delle dichiarazioni rese da un soggetto in tale indagine, nella parte in cui indicava chi erano i partecipi di una loggia massonica, con indicazione specifica di alcuni dei soggetti accusati il nominativo della fonte dichiarativa. Tanto, attraverso una serie di incontri informali, pur consapevole di gettare una sinistra luce sull'operato della Procura della Repubblica di Milano e su due componenti del CSM. Per la Corte, poi non appare seriamente contestabile che, al momento della loro rivelazione, tali notizie erano coperte da segreto istruttorio, essendo state secretate dal PM procedente ai sensi dell'articolo 329 comma 3 c.p.p. senza contare poi, che, tali notizie avevano dato vita ad un'autonoma iscrizione nel registro degli indagati, per applicazione della cd. legge Anselmi limitatamente al nominativo dei tre soggetti rei confessi e, con conseguente obbligo del segreto ai sensi dell'articolo 329 comma 1 c.p.p. Quanto alla natura di reato di pericolo del reato di cui all'articolo 326 c.p., pure in questo caso, la Corte di Appello ha segnalato come l'ormai pacifica giurisprudenza sulla natura del reato in contestazione, non offre alcun punto di frizione. Ed infatti, all'indomani dell'intervento chiarificatore nel 2011, con la sentenza Casani emessa dalle Sezioni unite, è stato affermato che «il delitto di rivelazione di segreti d'ufficio riveste natura di reato di pericolo effettivo e non meramente presunto nel senso che la rivelazione del segreto è punibile, non già in sé e per sé, ma in quanto suscettibile di produrre nocumento a mezzo della notizia da tenere segreta». Da ciò consegue che le rivelazioni rese dall'appellante in quanto concernenti atti coperti da segreto ex articolo 329 c.p.p., erano potenzialmente pericolose per l'indagine a prescindere dalla loro successiva e ulteriore divulgazione. Peraltro, a parere del Collegio, la fuga di notizie mediante la trasmissione dei plichi anonimi ai giornalisti non può certo considerarsi -come già sottolineato dal Tribunale una vicenda estranea e avulsa alla responsabilità dell'imputato in termini anche di prevedibilità e permea di significato la nozione di pericolo concreto evocato dalla norma incriminatrice. Il Collegio non condivide poi un ulteriore tesi difensiva. L'assunto, secondo il quale il segreto investigativo non è opponibile al singolo Consigliere dell'organo di autogoverno della magistratura, in quanto il segreto investigativo non sarebbe opponibile al CSM, poggia su una forzatura interpretativa, che, per quanta suggestiva, è da ritenersi erronea. Infatti, la Corte nell'affrontare espressamente la questione, ricorda come è, indubbio che la secretazione accordata al segreto investigativo riceve una tutela particolarmente rafforzata dalla sua previsione o legge primaria, quale giustappunto sono gli articolo 326 c.p. e 329 c.p.p. Ma nel contemperare le opposte esigenze di tutela investigativa da parte degli organi inquirenti e di necessità per il CSM di apprendere fatti, che possano avere rilievo per la tutela dei suoi fini istituzionali, si sono succedute una serie di circolari, per come ampiamente riportate dal Tribunale. Si tratta questa volta di una serie di norme di rango secondario, che disciplinano casi, modalità e tempi con i quali gli Uffici di Procura sono tenuti, in deroga alle norme di carattere primario poste a tutela del segreto investigativo, a trasmettere al CSM atti funzionali allo svolgimento delle proprie attività. E poiché si tratta di norme di carattere secondario che derogano ad un principio generale stabilito da norma di rango superiore, queste sono, quindi, norme di stretta interpretazione e la cui valutazione non può essere rimessa alla soggettiva valutazione dell'interprete. Orbene secondo la Corte di appello, si può ritenere come correttamente evidenziato dal Tribunale che l'ex consigliere del CSM non abbia alcun accesso incondizionato e immediato agli atti di indagine, per come, viceversa, sostenuto dallo stesso appellante. Infatti, le Procure possono omettere o eventualmente opporsi o ritardare la trasmissione delle informative per esigenze investigative o per la tutela di terzi e, ciò, lo si ribadisce, alla luce del principio di gerarchia esistente tra le fonti normative primarie poste a tutela delle indagini e quelle di rango subordinato che disciplinano l'attività del CSM. Nel caso di specie, quindi, l'appellante, ex componente del CSM non era in alcun modo autorizzato a ricevere atti e notizie coperti dal segreto investigativo, anche perché il suo contraddittore non aveva comunque legittimazione alcuna a tal proposito. Ma vi e di più osserva la Corte d'appello! Per come ha puntualizzato il giudice di prime cure, le circolari menzionate sono particolarmente restrittive anche per quanto riguarda l'oggetto e le modalità di trasmissione al CSM delle notizie coperte da segreto. Quanto all'oggetto delle informative queste devono, infatti, concernere notizie di reato iscritte ex articolo 335 c.p.p. o anche a mod. 45, ove si ravvisino fatti privi di rilievo penale «che possono avere rilevanza rispetto alle competenze del Consiglio». Né, infine, la Corte si fa convincere della tesi secondo la quale i soggetti terzi, cui sarebbe stata destinata da parte dell'imputato la notizia riservata , l'avrebbero dovuta conoscere per i propri fini istituzionali. A prescindere dalle considerazioni spese a proposito dell'opponibilità del segreto investigativo al CSM, l'inconsistenza della tesi difensiva, si evidenzia, secondo la chiara indicazione della Corte, in maniera eclatante, con riferimento alla comunicazione dell'indagine alle collaboratrici di ufficio dell'imputato. Peraltro, evidenzia la Corte non si vede, la ragione per la quale costoro dovessero essere messi al corrente del contenuto accusatorio riportato nei verbali, tanto più che si trattava di atti che mai erano stati formalmente acquisiti dal CSM e che, pertanto, non erano atti dell'ufficio.

Presidente Dalla Libera – Relatore Taramelli Motivi della decisione La sentenza di primo grado La decisione della Corte di Appello Tanto premesso, ritiene questa Corte territoriale di non condividere le doglianze dell'impugnazione. La produzione documentale delle parti Deve, anzitutto, darsi formalmente atto dell'acquisizione della copiosa documentazione prodotta dalle parti nel corso del giudizio di appello. Sono documenti venuti in essere per lo più successivamente alla sentenza impugnata e che hanno ad oggetti fatti, che hanno un'evidente connessione con alcune circostanze oggetto del presente processo, così da renderli necessari al fine del decidere. Il concorso dell'extraneus nel reato di cui all'articolo 326 c.p. Ritiene, in prima battuta, questa Corte territoriale di affrontare la tematica concernente l'asserita inesistenza del concorso dell'extraneus nel delitto di rivelazione del segreto d'ufficio commesso dall'intraneus in tesi difensiva il reato si sarebbe perfezionato nel momento in cui la notizia segreta sarebbe stata rilevata dall'intraneus al primo, di tal che la successiva condotta dell'extraneus costituirebbe un post factum non punibile. Nel caso di specie, peraltro, non potrebbe sussistere un concorso di reato nel proposito criminoso altrui, ai sensi dell'articolo 110 c.p., dal momento in cui il dott. omissis è stato assolto giustappunto per mancanza di finalità illecita. Né sarebbe stata contestata l'ipotesi mediata di cui all'articolo 48 c.p. in ordine all'induzione dolosa di taluno mediante inganno a commettere per errore il reato. Osserva, al riguardo, il collegio che le contestazioni dell'appellante non tengono conto della giurisprudenza della Corte di Cassazione sul tema. Invero afferma la Suprema Corte che integra il concorso nel delitto di rivelazione di segreti d'ufficio la divulgazione da parte dell' extraneus di una notizia segreta, riferitagli come tale, realizzandosi in tal modo una condotta ulteriore rispetto a quella dell'originario propalatore? Cass penumero , sez.V, 17.11.2020, numero 1957 . Da ciò si evince che, se la condotta dell'intraneus si consuma nel momento in cui svela all'extraneus la notizia riservata, la condotta di quest'ultimo di successiva rivelazione ad altri di detta circostanza costituisce tutt'altro che un post factum non punibile, ma determina la realizzazione di altra e ulteriore condotta di rivelazione distinta da quella dell'originario autore del reato. E, nel caso di specie, è incontestato e incontestabile che il dott. omissis ha messo a conoscenza delle notizie acquisite in via riservata dal dott. omissis una serie di soggetti terzi non esaustivamente limitata ai nominativi elencati nel capo di incolpazione si pensi ad esempio al Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott. omissis o al collega della corrente di omissis , dott. omissis . Non solo, ma ai fini della sussistenza del concorso nel reato dell'extraneus è anche necessario che questi non si sia limitato a ricevere la notizia, ma abbia istigato o indotto il pubblico ufficiale ad attuare la rivelazione, non essendo sufficiente ad integrare il reato la mera rivelazione a terzi della notizia coperta da segreto cfr Cass. penumero , sez.VI, 17.4.2018, numero 34928 . Ed anche sul punto risulta in modo incontrovertibile dalla citata sentenza della Corte di Appello di Brescia del 3.11.2022, che il dott. omissis ha effettivamente indotto il dott. omissis a rivelargli le propalazioni dell'avv.to omissis in ordine alla sussistenza della cd. Loggia Ungheria in ragione della prospettazione - tutt'altro che fondata, per come si dirà - che il segreto investigativo, non essendo opponibile al C.S.M., per ciò stesso non poteva esserlo nei confronti del singolo consigliere, che ne faceva parte. Ne consegue che non vi era alcuna necessità da parte della Pubblica Accisa di costruire la contestazione secondo lo schema dell'autorità mediata ai sensi dell'articolo 48 c.p. per punire l'extraneus a titolo di concorso nel reato, posto che è sufficiente che questi, dopo avere agevolato la rivelazione del segreto da parte del suo depositario, ne abbia disvelato il suo contenuto a terzi. Né assume rilievo l'intervenuta assoluzione del dott. omissis , posto che la stessa non è avvenuta per insussistenza del fatto, ma per carenza dell'elemento soggettivo. Sul tema si rileva che ai fini della configurabilità della responsabilità dell'extraneus per concorso nel reato proprio, è indispensabile, oltre alla cooperazione materiale ovvero alla determinazione o istigazione alla commissione del reato, che l'intraneus esecutore materiale del reato sia riconosciuto responsabile del reato proprio, indipendentemente dalla sua punibilità in concreto per l'eventuale presenza di cause personali di esclusione della responsabilità Cass. penumero , sez.II, 17.10.2018, numero 219 . Ed, invero, la formula assolutoria adottata dai giudici di merito del processo svoltosi a carico del dott. omissis opera esclusivamente sul piano personale, posto che la mancanza di colpevolezza è stata ancorata all'affidamento non colpevole della prospettazione proveniente dall'autorevole componente del C.S.M. dell'epoca secondo cui egli, in quanto tale, era pienamente autorizzato a ricevere notizie coperte da segreto investigativo. A ciò aggiunge la Corte bresciana che, nemmeno poteva ipotizzare il dott. che il destinatario delle sue rivelazioni, vincolato all'obbligo del segreto delle notizie apprese nella veste di omissis , non avrebbe mantenuto il segreto, riferendo la notizia e consegnando gli atti ad altri. L'assoluzione dell'intraneus sul piano personale e non oggettivo impone, pertanto, di verificare la necessità di pervenire alla medesima soluzione per l'extraneus senza poterne escludere automaticamente la colpevolezza. Vale al riguardo il principio di diritto, secondo cui l'assoluzione per difetto dell'elemento soggettivo in capo al concorrente intraneo nel reato proprio non esclude di per sé la responsabilità del concorrente estraneo , che resta punibile nei casi di autorità mediata di cui all'articolo 48 c.p., o in tutti gli altri casi in cui la carenza dell'elemento soggettivo riguardi solo il concorrente intraneo e non sia quindi a lui estensibile Cass penumero , sez.IV, 20.4.2018 numero 36730 sez.IV, 28.9.2017 numero 57706 sez. IV, 8.7.2016, numero 6872 . L'oggetto della rivelazione del segreto d'ufficio Alla luce delle contestazioni dell'appellante deve, quindi, affrontarsi il tema relativo all'oggetto materiale della condotta di rivelazione del segreto necessaria a integrare la sussistenza del reato. A tal proposito si assume, in chiave difensiva, che la condotta addebitabile in astratto al dott. omissis non potrebbe ricomprendere altro che quella della materiale consegna dei verbali o dell'integrale esibizione degli stessi, in quanto la secretazione si è riferita unicamente a tali atti, per come apposta dal pubblico ministero procedente e non già alla mera notizia della loro esistenza. Così non è. A ben vedere, infatti, viene riproposta una tematica già disattesa dal Tribunale, che, con argomentazione esaustiva, ha affermato come oggetto del reato sia l'informazione e non già il corpo materiale mediante la quale questa è veicolata. La norma di cui all'articolo 326 c.p. non parla, infatti, di atti, ma di notizie, con ciò rimandando al contenuto dell'atto investigativo e non già alla veste formale con la quale viene trasmesso, di tal che il reato è integrato allorché vengano riportate notizie inerenti all'ufficio pubblico ricoperto e che siano destinate a rimanere segrete, a prescindere dalla forma con le quali vengano rivelate. E, nel caso di specie, è indubbio che il dott. omissis abbia portato a conoscenza di una selezionata platea di soggetti, più o meno qualificati, informazioni riservate quali la notizia dell'esistenza di un'indagine l'indicazione dell'autorità procedente il contenuto delle dichiarazioni rese da un soggetto in tale indagine, nella parte in cui indicava chi erano i partecipi di una loggia massonica, con indicazione specifica di alcuni dei soggetti accusati il nominativo della fonte dichiarativa. Non appare poi seriamente contestabile che, al momento della loro rivelazione dal dott. omissis al dott. omissis e da questi a terzi, tali notizie erano coperte da segreto istruttorio, essendo state secretate dal pubblico ministero procedente ai sensi dell'articolo 329 co. III c.p.p. nel cd. procedimento contenitore omissis della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano senza contare poi, che a far data dal 12.5.2020, tali notizie avevano dato vita ad un'autonoma iscrizione nel registro degli indagati, per applicazione della cd. legge Anselmi limitatamente al nominativo dei tre soggetti rei confessi - omissis , e omissis -, con conseguente obbligo del segreto ai sensi dell'articolo 329 co.I c.p. E per quanto in tesi difensiva ci si ostini a sostenere che, alla data del 4.5.2020, epoca della rivelazione dal dott. omissis al dott. omissis non vi era stata ancora alcuna iscrizione nel registro degli indagati per effetto delle dichiarazioni auto ed etero accusatorie di omissis ben ci si guarda dal confrontarsi con le analoghe condotte tenute dall'imputato verso i terzi dopo la data del 12.5.2020, a iscrizione già avvenuta, e protrattesi sinanco al settembre 2020. Il contenuto della rivelazione al omissis Il contenuto dell'oggetto della rivelazione involge, quindi, la necessità di valutare la contestazione in fatto introdotta dall'appellante con i motivi aggiunti in merito alle rivelazioni effettuate dal dott. omissis a fine estate 2020 al omissis all'epoca La prospettazione dell'appellante vuole che il ricordo del parlamentare sia fallace, nella parte in cui questi avrebbe ricordato che il dott. omissis nel mostrargli i verbali contenenti il nome di omissis da parte di un soggetto, che stava collaborando con l'autorità giudiziaria e che tacciava il magistrato di appartenere ad una loggia segreta di tipo massonico, avrebbe fatto riferimento ad un'indagine di una non meglio precisata Procura del Nord . Ad avviso del deducente il teste avrebbe fatto confusione, sovrapponendo al suo ricordo le notizie, nel frattempo, apprese dalla stampa, posto che non avrebbe avuto senso logico che il dott. omissis avesse mostrato i verbali al teste, sul cui frontespizio era riportata l'intestazione Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano per fare cenno ad una indagine presso una non meglio precisata Procura del Nord a ciò si aggiunge che il dott. omissis giammai avrebbe potuto fare cenno ad un'indagine, che non sapeva nemmeno se avesse avuto corso. Sul punto osserva il collegio che il ricordo sbiadito appare essere quello del dott. omissis ma perché avrei dovuto farlo? Che cosa aggiungeva non lo ricordo, ma logicamente lo nego , piuttosto che del teste omissis , il quale ha ricordato con precisione tempi e modalità con le quali il omissis lo ha messo al corrente dell'esistenza della notizia riservata sul conto del collega omissis . E a conferma della veridicità del suo racconto, il teste ha tratteggiato le modalità del suo incontro con l'imputato, in termini di atteggiamento prudenziale del suo contraddittore, in tutto sovrapponibile a quello descritto dagli altri destinatari delle sue rivelazioni e in relazione ai quali non viene sollevata alcuna contestazione circa la veridicità di quanto da loro riferito. Il teste omissis peraltro, ha specificato che l'imputato gli avrebbe fatto vedere dei fogli velocemente, non consentendogli di leggere altro che il nome di omissis , il che rende del tutto possibile che il omissis concentrato sul nominativo indicatogli dal suo interlocutore, non si sia soffermato sull'intestazione dei documenti a lui esibiti in fretta e furia. A ciò si aggiunge che, peraltro, la questione riguarda un particolare del tutto secondario, non smentito altrimenti dall'imputato e che rende ben possibile il fatto che il dott. omissis abbia volutamente cercato di non essere troppo preciso con la sua controparte, diversamente da come si era comportato con altri soggetti con cui aveva più confidenza significativo, a tal proposito, è il fatto che l'imputato, in tale occasione e a differenza di altre occasioni, non abbia riferito al parlamentare nemmeno il nominativo del cosiddetto collaborante, che, nella sua prospettazione, era la fonte dichiarativa delle accuse mosse nei confronti del dott. omissis . Non solo, ma, a ben vedere, l'accenno da parte del dott. omissis all'esistenza di un'indagine presso una Procura del Nord emerge parimenti anche dalla deposizione del teste omissis , a conferma del fatto che il riferimento ad una determinata area geografica da parte del prevenuto per indicare l'organo inquirente, che aveva raccolto o stava raccogliendo le accuse sulla presunta appartenenza del dott. omissis ed altri ad una loggia segreta, è stata indicazione tutt'altro che eccentrica. Nè la genericità di tale indicazione inficia la sussistenza del reato di rivelazione del segreto, posto che, comunque, sono stati portati a conoscenza di un terzo non legittimato a riceverne la notizia dati coperti da segreto, quali 1'esistenza di un'indagine, l'oggetto della stessa con il relativo titolo di reato e il nominativo di uno di coloro che vi erano implicati. Irricevibile è, poi, la considerazione, secondo la quale il dott. omissis non avrebbe mai potuto parlare di un'indagine in corso, in quanto non sapeva nemmeno se quell'indagine fosse partita o meno. La tesi difensiva si scontra con le affermazioni stesse del dott. omissis , il quelle, in sede di esame, ha espressamente dichiarato il contrario, sostenendo che, dopo avere parlato con il omissis , il omissis aveva proceduto all'iscrizione, come poi confermatogli di lì a breve, sempre nel maggio 2020, dal dott. omissis . Peraltro e a riscontro di tale considerazione vi è il dato oggettivo emergente dall'annotazione di P.G. dell'8.6.2021 a firma del omissis per come riportato nella sentenza di assoluzione del dott. omissis emessa della Corte di Appello di Brescia il 3.11.2022, secondo cui, il 19.5.2020, si registra un contatto telefonico tra il dott. omissis e il dott. omissis . Posto il dato pacifico secondo il quale tra i due non vi era alcun rapporto di frequentazione abituale, né di amicizia, appare del tutto evidente che l'unica ragione d'essere di tale comunicazione sia stata quella di uno scambio di informazione in merito all'eventuale sblocco di quella situazione di stallo all'indagine a si segnalata dal dott. omissis all'autorevole collega. L'iscrizione nel registro degli indagati da parte della Procura della Repubblica di Milano del 12.5.2020 Sul tema della natura del reato di pericolo del delitto di rivelazione del segreto d'ufficio l'appellante ripropone la tesi dell'inesistenza del danno all'indagine per effetto delle sue condotte rivelatone, che, anzi, piuttosto che danneggiare l'attività investigativa, l'avrebbero promossa per effetto dello sprone operato dal omissis nei confronti del omissis grazie al suo fattivo intervento, così da mettere il procedimento sui binari della legalità . Nessuno degli interessati sarebbe, peraltro, venuto a conoscenza delle notizie riservate comunicate dal dott. omissis concernenti le propalazioni dell'avv.to omissis , che, viceversa, sono state oggetto di divulgazione coram populo per effetto della comunicazione in forma anonima dei verbali di interrogatorio ai due giornalisti omissis e omissis e della trasmissione in diretta su Radio Radicale della seduta dell'assemblea plenaria del C.S.M. del 18.2.2021, nella quale il omissis aveva riferito di avere ricevuto un plico contenente i predetti verbali con una nota accompagnatoria, nella quale si accusava sostanzialmente il omissis e lo stesso omissis di omissioni investigative. Quanto al tema fattuale introdotto dall'appellante, che ripetutamente rivendica a suo merito l'iscrizione del 12.5.2020 della notizia di reato per violazione dell'articolo 2 della legge 17/85 da parte del omissis è bene sgombrare il campo da possibili suggestioni di parte, che sembrano peraltro avallate dalla sentenza assolutoria della Corte di Appello di Brescia emessa nei confronti del dott. omissis pg.38-40 . A tenore della citata pronuncia la prospettazione del dott. omissis – secondo cui l'impressione che la decisione da parte dei colleghi di pervenire finalmente all'iscrizione nel registro degli indagati dei nominativi dei tre rei confessi per applicazione della cd. legge Anselmi , per come decisa nella riunione presso la omissis e materialmente effettuata il omissis sarebbe stata determinata da un input esterno - è confermata da quanto riferito dal dott. omissis , dal dott. omissis e dai tabulati telefonici dell'utenza in uso al dott. omissis . Invero i predetti elementi probatori collocherebbero con certezza l'intervento del omissis presso il omissis tale iscrizione sia stata la conseguenza logica del suo antefatto. Così non può essere. Il teste omissis ha, infatti, dichiarato che, una volta informato dal dott. omissis della situazione di possibile impasse esistente presso la omissis aveva avuto nel mese di maggio un colloquio telefonico con il dott. omissis , che gli era sembrato avere le idee particolarmente chiare sull'indagine menzionatagli e, successivamente, il 16 giugno, era tornato con lui sull'argomento in occasione di un incontro di persona a Roma. Dal canto suo il teste omissis ha collocato tale contatto telefonico alla data del 25 maggio 2020, confermando poi il colloquio avvenuto di persona a Roma il successivo 16 giugno. Ha escluso, viceversa, che negli sms del 7 maggio 2020, scambiatisi con il dott. omissis , l'argomento trattato fosse stato quello avente ad oggetto l'indagine sulla cd. Loggia Ungheria , spiegando, viceversa, che oggetto di tali messaggi era il ben più urgente disegno di legge del Ministro omissis sulla scarcerazione dei mafiosi a seguito della pandemia per Covid 19 . Del tutto inconferente sul punto appare, viceversa, la deposizione del teste omissis , che ha ancorato il ricordo delle confidenze ricevute dal dott. omissis - con le quali questi gli aveva esternato la sua preoccupazione per l'indagine a carico del collega omissis osteggiata dalla Procura della Repubblica di Milano e, nell'occasione, gli aveva fatto vedere i verbali, rappresentandogli di averne già fatto parola con il dott. omissis e il dott. omissis nel primo giorno del suo rientro a Roma dopo il lockdownumero A ben vedere, infatti, tale data non è quella riportata nella citata sentenza della Corte di Appello di Brescia - indicata, all'evidenza per un mero errore materiale nell'8 maggio 2020, così da indurre a collocare il colloquio tra il dott. omissis e il dott. omissis tra il 4 e il 6 maggio -, ma è l'8 giugno 2020, posto che il teste indica con precisione proprio tale data per il suo rientro a Roma dopo il lockdown, specificando che questo era avvenuto in ritardo rispetto alla ripresa dei lavori in presenza presso il omissis risalente al 4 maggio 2020, in ragione delle gravi problematiche connesse omissis vds deposizione teste omissis udienza 23.2.2023 pg. 14 . Orbene e a prescindere dalla considerazione del G.I.P. del Tribunale di Brescia, che, nell'archiviare la posizione del dott. omissis per il reato di cui all'articolo 328 c.p. ritiene implausibile che un'eventuale comunicazione riservata sul procedimento Ungheria possa essere stata affidata a dei semplici messaggi di testo susseguitisi nell'arco di pochissimi secondi, come quelli documentati il 7 maggio 2020ctra i due Procuratori, in ottica difensiva dovrebbe ipotizzarsi che il teste omissis affermi il falso per ragioni di comprensibile autotutela. Rileva il collegio, tuttavia, come non vi siano elementi concreti che smentiscano quanto affermato dal teste, tanto più che la sua spiegazione ha una sua dignità storica alla luce del tragico periodo emergenziale, che, all'epoca, il Paese stava attraversando e che ben può spiegare come i vertici operativi delle più importanti sedi investigative d'Italia potessero confrontarsi sulle tematiche di maggiore attualità nell'imminenza della cessazione del primo periodo di sospensione dei termini processuali. Non solo, ma è lo stesso dott. omissis - a meno di non volere ritenere che anche il omissis , questa volta senza interesse alcuno, abbia anch'egli dichiarato il falso - a corroborare la deposizione del omissis , allorché riferisce di avere avuto sul tema della Loggia Ungheria un colloquio telefonico con il dott. omissis e non già un semplice scambio di sms, come quello per l'appunto registrato il 7 maggio 2020. Peraltro il teste omissis ha dichiarato solo di essersi informato dell'esistenza dell'indagine e del suo contenuto e non già di avere ordinato una qualche iscrizione, rimanendo peraltro confortato dalle rassicuranti risposte ricevute dal suo interlocutore. A ciò si aggiunga che è la stessa cronistoria delle attività investigative sorte a seguito delle rivelazioni dell'avvocato omissis per come ripercorsa dal decreto di archiviazione del G.I.P. del Tribunale di Brescia a smentire l'assunto dell'appellante e a far ritenere che l'iscrizione nel registro degli indagati di omissis , omissis e omissis sia stata decisa a prescindere dall'intervento del dott. omissis presso il omissis . Invero già il 29 aprile 2020 il dott. omissis , ricevuta la scheda di iscrizione spedita dal dott. omissis , aveva indetto una riunione per discutere del procedimento penale e di eventuali iscrizioni, riunione poi postergata al giorno successivo e ulteriormente rinviata al giorno 8 maggio 2020 per cause indipendenti dalla volontà del medesimo accusato. Da ciò si desume che l'iscrizione dei nominativi dei tre rei confessi di appartenere alla cd. Loggia Ungheria sia stata maturata prima e, comunque, a prescindere dall'intervento del dott. omissis presso il omissis e sia stata, viceversa, il frutto di quel confronto tra investigatori determinato dalla improvvisa iniziativa del dott. omissis e dalla sua eccentricità – al sol considerare che la scelta degli otto nominativi da iscrivere riportati nella scheda di iscrizione appariva del tutto casuale e priva di logica, per come emerge anche dalle affermazioni dello stesso teste omissis . La natura di reato di pericolo del reato di rivelazione del segreto d'ufficio Quanto alla natura di reato di pericolo del reato di cui all'articolo 326 c.p. si osserva, poi, come ormai sia pacifica la giurisprudenza sulla natura del reato in contestazione, all'indomani dell'intervento chiarificatore delle Sezioni Unite, con la nota sentenza numero 4694 del 27.10.2011, con cui si è affermato che il delitto di rivelazione di segreti d'ufficio riveste natura di reato di pericolo effettivo e non meramente presunto nel senso che la rivelazione del segreto è punibile, non già in sé e per sé, ma in quanto suscettibile di produrre nocumento a mezzo della notizia da tenere segreta . Al collegio pare di particolare pregnanza il passaggio motivazionale della sentenza citata, nella parte in cui, dopo avere affermato che le ipotesi di non punibilità del reato di cui all'articolo 326 c.p. per inoffensività del fatto risultano comunque limitate a casi assai circoscritti, viene evidenziato che quando è la legge a prevedere l'obbligo del segreto in relazione ad un determinato atto o in relazione ad un determinato fatto, il reato sussiste senza che possa sorgere questione circa 1'esistenza o la potenzialità del pregiudizio richiesto, in quanto la fonte normativa ha già effettuato la valutazione circa 1'esistenza del pericolo, ritenendola conseguente alla violazione dell'obbligo del segreto cfr Cass penumero , sez.VI, 11.10.2005, numero 42726 . Se così è, è evidente che, nel momento in cui è lo stesso articolo 329 c.p.p. a indicare che, come nel caso di specie, gli atti di indagine sono atti coperti da segreto tout court e che, anche quelli non più coperti da segreto, possono essere secretati con decreto motivato del pubblico ministero in caso di necessità per la prosecuzione delle indagini, la valutazione circa la sussistenza del pericolo della loro divulgazione è già stata fatta, a monte, dalla norma primaria senza che possa essere rimesso all'interprete la valutazione del rischio. Da ciò consegue che le rivelazioni rese dal dott. omissis , in quanto concernenti atti coperti da segreto ex articolo 329 c.p., erano, per ciò stesso, potenzialmente pericolose per l'indagine a prescindere dalla loro successiva e ulteriore divulgazione. Peraltro, per come condivisibilmente affermato dal giudice di prime cure, la fuga di notizie mediante la trasmissione dei plichi anonimi ai giornalisti omissis e omissis e, non a caso, al consigliere omissis , non può certo considerarsi una vicenda estranea e avulsa dalla responsabilità dell'imputato in termini anche di prevedibilità e permea di significato la nozione di pericolo concreto evocate dalla norma incriminatrice. Sul punto lo stesso decreto di archiviazione del G.I.P. del Tribunale di Perugia della posizione di omissis e altri per il reato di cui all'articolo 2 della cd. legge Anselmi condivide le difficoltà evidenziate dal P.M. nella richiesta di archiviazione, già di per sé non semplici per il titolo di reato - che non consentiva di attivare intercettazioni - e per l'unicità della fonte dichiarativa - che riferiva principalmente di circostanze apprese de relato -, in ragione della fuga di notizie senza eguali precedenti, che ha inevitabilmente inciso sullo sviluppo delle investigazioni negativamente? pg. 39 . Senza peraltro trascurare, sempre sul pericolo concreto di inquinamento probatorio, quanto riportato dal Tribunale in merito al fatto che il dott. omissis aveva consegnato per la loro lettura i verbali contenenti le dichiarazioni dell'avv.to omissis al collega consigliere, dott. omissis , soggetto menzionato dallo stesso legale come uno dei destinatari, a suo insaputa, dei favori della Loggia Ungheria per intralciare un'indagine promossa da un pool di magistrati di Roma, tra cui vi era lo stesso dott. omissis vds deposizione teste del 15.11.2022 . Il contemperamento tra le esigenze investigative e il perseguimento delle finalità del C.S.M. La questione in oggetto discende ancora una volta dal principio affermato dalla menzionata sentenza delle Sezioni Unite, secondo cui il reato non sussiste, oltre che nella generale ipotesi della notizia divenuta di dominio pubblico, qualora le notizie d'ufficio ancora segrete siano rivelate a persone autorizzate a riceverle e cioè che debbono necessariamente esserne informate per la realizzazione dei fini istituzionali connessi al segreto di cui si tratta . Posto che il segreto investigativo, in tesi difensiva, non sarebbe opponibile al C.S.M. e, per ciò stesso, al singolo consigliere, che di tale consesso faccia parte e che i terzi, a cui la notizia è stata riferita, erano soggetti autorizzati a riceverle per i loro fini istituzionali, il reato non sussisterebbe. Questo collegio non condivide la tesi propugnata. L'assunto, secondo il quale il segreto investigativo non è opponibile al singolo consigliere dell'organo di autogoverno della magistratura, in quanto il segreto investigativo non sarebbe opponibile al C.S.M., poggia su una forzatura interpretativa, che, per quanto suggestiva, è da ritenersi erronea. E', innanzitutto, indubbio che la secretazione accordata al segreto investigativo riceve una tutela particolarmente rafforzata dalla sua previsione con legge primaria, quale giustappunto sono gli articolo 326 c.p. e 329 c.p.p. Nel contemperare, poi, le opposte esigenze di tutela investigativa da parte degli organi inquirenti e di necessità per il C.S.M. di apprendere fatti, che possano avere rilievo per la tutela dei suoi fini istituzionali, si sono succedute una serie di circolari, per come ampiamente riportate dal Tribunale. Si tratta questa volta di una serie di norme di rango secondario, che disciplinano casi, modalità e tempi con i quali gli Uffici di Procura sono tenuti, in deroga alle norme di carattere primario poste a tutela del segreto investigativo, a trasmettere al C.S.M. atti funzionali allo svolgimento delle proprie attività. E poiché si tratta di norme di carattere secondario che derogano ad un principio generale stabilito da norma di rango superiore, queste sono, per ciò stesso, norme di stretta interpretazione e la cui valutazione non può, per ciò stesso, essere rimessa alla soggettiva valutazione dell'interprete. Orbene richiamando sul punto quanto argomentato dal Tribunale, si può ritenere che il omissis non abbia alcun accesso incondizionato e immediato agli atti di indagine, per come, viceversa, sostenuto dall'appellante. Già con deliberazione numero 510 in data 15 gennaio 1994 il Consiglio Superiore della Magistratura aveva disposto che il pubblico ministero procedente desse immediata comunicazione al Consiglio di tutte le notizie di reato, nonché di tutti gli altri fatti e circostanze concernenti magistrati che possono avere rilevanza rispetto alle competenze del Consiglio, salvo che sussistano e vengano comunicate ragioni che possano rendere inopportuna la immediata comunicazione, per il positivo sviluppo delle indagini e/o per la sicurezza delle persone. Con la successiva deliberazione del 17 maggio 1995, concernente lo svolgimento di ispezioni ed inchieste ministeriali, il C.S.M. ha ribadito il suo costante orientamento sul punto della non opponibilità, in linea di principio, del segreto investigativo, prevedendo, tuttavia, la rimessione alla valutazione del magistrato procedente della sussistenza di specifiche ragioni per il mantenimento del segreto anche nei confronti degli organi titolari del potere-dovere di vigilanza. Infine la successiva circolare numero 13682 del 5 ottobre 1995 Informative concernenti procedimenti penali a carico di magistrati ha specificato che le notizie di reato, nonché di tutti gli altri fatti e circostanze concernenti magistrati che possono avere rilevanza rispetto alle competenze del Consiglio vengano comunicate dai Procuratori Generali e dai Procuratori della Repubblica con plico riservato al Comitato di Presidenza, salvo che sussistano e vengano comunicate ragioni che possono rendere inopportuna la immediata comunicazione, per il positivo sviluppo delle indagini e/o per la sicurezza delle persone. Sul punto ritiene il collegio come non vi possano essere fraintendimenti sull'organo deputato a interloquire con il C.S.M. a proposito dell'opportunità o meno del segreto investigativo. Per quanto la sezione disciplinare del C.S.M. nel procedimento a carico del dott. omissis nel giungere al proscioglimento limitatamente ad uno degli addebiti formulatigli, ha fatto riferimento a problematiche di natura interpretativa, posto che la circolare 510/1994 fa riferimento al pubblico ministero che procede, mentre le successive e, da ultimo la 13682/1995, parlano di Procuratore delle Repubblica e di Procuratore Generale, non si vede francamente perché non si dovrebbe assecondare l'ultima e più recente indicazione dello stesso organo di autogoverno, del tutto conforme a quei principi di stretta interpretazione valevoli per le eccezioni al principio generale, peraltro introdotto da norme di rango inferiore e, per di più, coerente con la successiva introduzione di un modello fortemente gerarchizzato della Procura della Repubblica per effetto del D.lgs 20.2.2006, numero 106 recante Disposizioni in materia di riorganizzazione dell'ufficio del Pubblico Ministero, a norma dell'articolo 1 comma 1, lett. d della legge 2005 numero 150 . Confortano tale ricostruzione ermeneutica, del resto, le affermazioni stesse del teste dott. omissis , il quale ha specificato che, nelle sue funzioni di omissis riceve generalmente le notizie dalle omissis il che comporta, che già a monte, è stato vagliato il tema della non opponibilità dell'atto di indagine al C.S.M. Diversamente se l'atto non perviene dall'organo deputato a interloquire con il C.S.M., egli stesso - o anche le singole commissioni in sede di istruttoria - avvia una preliminare interlocuzione con la competente Procura della Repubblica per comprendere la natura di tali atti e se questi siano o meno coperti da segreto investigativo. E, nel caso di specie, va ricordato quanto di fatto è avvenuto all'indomani delle rivelazioni al omissis del dott. omissis circa la ricezione dei verbali contenenti le dichiarazioni dell'avv.to omissis , allorché è stata addirittura omissis a chiedere gli atti di indagine alla omissis che, puntualmente, ne ha rifiutato la consegna, opponendo il segreto. Il C.S.M., pertanto, non ha alcun accesso incondizionato agli atti di un'indagine. Infatti le Procure possono omettere - o eventualmente opporsi o ritardare - la trasmissione delle informative per esigenze investigative o per la tutela di terzi e, ciò, lo si ribadisce, alla luce del principio di gerarchia esistente tra le fonti normative primarie poste a tutela delle indagini e quelle di rango subordinato che disciplinano l'attività del C.S.M. Non solo, ma anche a voler opinare il contrario, e cioè che possa spettare al pubblico ministero procedente opporre il segreto investigativo e non già al Procuratore della Repubblica, di tal che, se è questi a disvelare la notizia, vi sarebbe implicitamente il suo consenso alla rivelazione dell'atto di indagine, nel caso di specie non si potrebbe nemmeno ritenere sussistente la legittimazione del dott. omissis al disvelamento degli atti di indagine secretati, trattandosi solo del contitolare del procedimento penale numero omissis in quanto in co assegnazione con la dott.ssa omissis . E posto che la circolare 510 non fa alcun riferimento a poteri disgiunti, ma solo al pubblico ministero che procede, l'eventuale discovery agli atti investigativi sarebbe dovuto provenire necessariamente da entrambi i titolari del procedimento e non già da uno solo di essi. Quindi, nel caso di specie, il dott. omissis non era in alcun modo autorizzato a ricevere atti e notizie coperti dal segreto investigativo, anche perchè il suo contraddittore non aveva comunque legittimazione alcuna a tal proposito. Ma vi è di più. Per come puntualizza il giudice di prime cure, le circolari menzionate sono particolarmente restrittive anche per quanto riguarda l'oggetto e le modalità di trasmissione al C.S.M. delle notizie coperte da segreto. Quanto all'oggetto delle informative queste devono, infatti, concernere notizie di reato iscritte ex articolo 335 c.p.p. o anche a mod. 45, ove si ravvisino fatti privi di rilievo penale che possono avere rilevanza rispetto alle competenze del Consiglio . L'invio degli atti deve avvenire, poi, mediante plico riservato con destinatario il omissis . La migrazione di atti coperti da segreto deve, dunque, avvenire attraverso il canale comunicativo tracciato dalle normative in materia e giammai può avvenire attraverso quelle comunicazioni riservate e confidenziali, di cui tutti i testi hanno parlato, per come espressamente riportato nella sentenza impugnata. Non solo, ma anche a voler sostenere che non necessariamente i verbali contenenti le dichiarazioni esplosive dell'avv.to omissis dovevano essere spediti in plico chiuso al omissis vi era la necessità che quanto da essi rappresentato venisse formalmente acquisito al protocollo del omissis per l'inoltro al omissis , cosa che viceversa non è in alcun modo avvenuto. E in tale modo la violazione delle circolari è stata tutt'altro che formale, ma è stata sostanziale, in quanto con l'agire sotto traccia è stato impedito alla Procura della Repubblica di Milano di poter opporre il segreto investigativo, per come avrebbe fatto sicuramente, secondo quanto manifestato dal teste omissis e avvenuto, poi concretamente, da parte del Procuratore della Repubblica di Perugia, una volta che l'indagine era stata spostata per competenza nel capoluogo umbro. Né, infine, convince la tesi secondo la quale i soggetti terzi, cui sarebbe stata destinata da parte del dott. omissis la notizia riservata , l'avrebbero dovuta conoscere per i propri fini istituzionali. A prescindere dalle considerazioni spese a proposito dell'opponibilità del segreto investigativo al C.S.M., l'inconsistenza della tesi difensiva si evidenzia, in maniera eclatante, con riferimento alla comunicazione dell'indagine alle collaboratrici di ufficio dell'imputato, dott.sse omissis e omissis non si vede, francamente, la ragione per la quale costoro dovessero essere messe al corrente del contenuto accusatorio riportato nei verbali dell'avv.to omissis , tanto più che si trattava di atti che mai erano stati formalmente acquisiti dal C.S.M. e che, pertanto, non erano atti dell'ufficio. Peraltro costoro non solo sono state messe a conoscenza dell'asserita esistenza della loggia massonica ventilata dal legale e dei soggetti che ne erano coinvolti, ma sono anche state compiutamente edotte dei meccanismi di condizionamento che questa avrebbe posto in essere per favorire la nomina di alcune cariche istituzionali di particolare rilievo, così da arrivare, addirittura, a convincersi che la mancata conferma del dott. omissis nell'incarico di consigliere del C.S.M., al raggiungimento dell'età pensionabile, fosse stata determinata, giustappunto, dalla trame di detta associazione segreta. Senza peraltro dimenticarsi del omissis soggetto del tutto estraneo al C.S.M. o del omissis , anch'egli non facente certo parte all'epoca dell'organo di autogoverno della magistratura. L'assenza di alternative comportamentali Questa Corte territoriale dissente, poi, dalla tesi difensiva più volte richiamata, che rimarca come il dott. omissis , venuto suo malgrado a conoscenza delle scottanti dichiarazioni dell' omissis consapevole del possibile attacco che poteva essere sferrato all'ordine giudiziario e sconcertato per le oscure manovre, che avrebbero indotto omissis a non investigare oltre sulla cd. Loggia Ungheria , non avesse altra alternativa che quella di rispedire al mittente il dott. omissis . Si assume, viceversa, che l'imputato abbia avvertito la gravità della situazione denunciata ed, anziché disinteressarsi della questione, si sia fatto carico di tale pesante fardello al fine di rimuovere un'indagine apparentemente incagliata e rimettere il procedimento nei binari della legalità. Orbene ed anche a non volere condividere la tesi esposta dal omissis , secondo cui non poteva certo sfuggire ad un magistrato così esperto la problematicità delle dichiarazioni accusatorie rese dall'avv.to omissis rappresentative di una congerie di circostanze slegate una dall'altra, fondate per lo più su notizie apprese de relato e per la quale la competenza territoriale era di altro distretto, appare impensabile che una persona professionalmente attrezzata come il dott. omissis non si sia rappresentata che la strada per porre rimedio alla riferita inerzia dei vertici della Procura della Repubblica di Milano non era certo quella di rivolgersi al omissis , le cui competenze, all'evidenza, esulano dal provvedere alle iscrizioni delle notizie di reato. E', infatti, l'articolo 6 del già citato D.lgs. 106/2006 che pone in capo al Procuratore Generale della Corte di Appello il compito, tra gli altri, di verificare il corretto ed uniforme esercizio dell'azione penale e l'osservanza delle disposizioni relative all'iscrizione delle notizie di reato. Al riguardo il dott. omissis assume che tale soluzione non gli sarebbe venuta in mente vds deposizione udienza omissis e che aveva ritenuto sufficiente avere il supporto di una persona esperta e autorevole, come il dott. omissis , peraltro, omissis . A ben vedere nemmeno nel procedimento, che lo vedeva imputato, il dott. ha dato una qualche plausibile giustificazione di una dimenticanza tanto eclatante, tant'è che nelle stesse sentenze, che pur hanno avallato la sua versione, non si rinviene alcuna giustificazione in ordine alla ragione per la quale questi non abbia ritenuto di percorrere la strada maestra tracciata dall'ordinamento per porre rimedio all'asserito ostracismo del Procuratore della Repubblica di Milano al suo anelito investigativo e, cioè, quella di rivolgersi al soggetto istituzionale che, per disposizione normativa, ha il compito di vigilanza ed ha gli strumenti per intervenire, ivi compreso il potere di avocazione previsto dall'articolo 412 c.p.p. Non solo, ma lo stesso dott. omissis , il quale ha creduto alla versione del collega - sostanzialmente sulla scorta della sua sola parola, non avendo egli mosso alcun passo formale sino ad allora, nemmeno quello di procedere alla identificazione dei cd ungheresi -, non è stato in grado di illustrare se avesse compreso la ragione compiuta, per la quale il dott. omissis si era rivolto a lui e non già al omissis o a chi in quel periodo ne faceva le veci. Se, tuttavia, si può anche non pretendere che l'imputato si faccia carico di giustificare l'incedere altrui, una spiegazione plausibile la si sarebbe aspettata in merito alla sua personale decisione di avallare la scelta del più giovane collega e di non indirizzarlo al omissis o di consigliarlo in tal senso vds deposizione omissis , udienza 24.5.2022 pg.87 . Sul tema la spiegazione resa dal dott. omissis e, cioè che, all'epoca, la omissis era retta omissis soggetto noto per alcuni suoi macroscopici errori giuridici e tale da non riscuotere affidamento udienza esame omissis , non appare per nulla appagante. Si tratta, all'evidenza, di una giustificazione di facciata per avallare la scelta di disattendere le chiare indicazioni ordinamentali di sistema, che prescindono, proprio perché sono poste a presidio del corretto funzionamento di insieme dell'organizzazione giudiziaria, dalle capacità personali del singolo ciò a maggior ragione, nel caso di specie, ove la questione concernente la potenziale tardività di un'iscrizione nel registro degli indagati rispetto all'emersione della fonte dichiarativa e l'adozione dei conseguenti provvedimenti, non era certo una problematica così difficile da risolvere e tale da richiedere l'intervento di un giurista particolarmente raffinato. L'imputato e il omissis A ciò deve aggiungersi che, per quanto l'imputato si sia speso nel sostenere di essersi dato da fare per risolvere la questione dello stallo investigativo presso la Procura della Repubblica di Milano, andando direttamente dal omissis , senza percorrere la via formale, così da evitare che il dott. omissis potesse venire a conoscenza delle accuse mosse a suo carico, nessuno dei componenti del predetto omissis ha affermato di avere avuto l'intendimento che il dott. omissis volesse che la notizia riferita uscisse dall'ambito prettamente confidenziale, con il quale gli era stata riportata. Tralasciando la circostanza per la quale il dott. omissis non ha compulsato il omissis il dott. omissis , il cui collocamento a riposo è comunque avvenuto ben dopo il 4 maggio 2020, risultando il suo pensionamento dopo la metà del mese di luglio 2020, ai singoli componenti del omissis che pur è organo collegiale, l'imputato si è rivolto partitamente, attraverso contatti de visu, informalmente e con modalità, a ben vedere, diverse a seconda del tipo di interlocutore, con il quale di volta in volta si interfacciava. Al omissis , dott. omissis , il dott. omissis , verosimilmente sfruttando il suo ascendente di magistrato di lungo corso rispetto ad un cd. avvocato di provincia , per come si è autodefinito il teste, sollecita l'attivazione presso il omissis consegna brevi manu i verbali contenenti le dichiarazioni dell'avv.to omissis , così da accreditare la sua versione, ma si guarda bene dal riferirgli di mettersi in contatto con gli altri componenti del Comitato sul punto il teste omissis ha dichiarato che l'imputato gli aveva detto che avrebbe parlato lui con il omissis per cui aveva inteso che tanto bastava, visti i poteri di indagine che a questi competevano. Viceversa con il dott. omissis e, successivamente, con il dott. omissis , una volta che questi era divenuto omissis subentrando al dott. omissis , il dott. omissis risulta molto più accorto, tant'è che al omissis non rappresenta di avere già parlato dell'indagine milanese con il omissis e di averlo in qualche modo sollecitato ad andare dal omissis . Il teste omissis , peraltro, ha specificato che il collega non si era rivolto a lui omissis , ma gli aveva esternato solo una sorta di preoccupazione per lo stallo dell'indagine milanese, ragion per cui egli si era determinato di conseguenza, senza fame cenno alcuno al dott. omissis inoltre, nell'occasione, nessun cenno gli era stato fatto alla fonte della notizia confidenziale, né tanto meno alla disponibilità dei verbali contenenti le dichiarazioni dell'avv.to omissis . Lo stesso teste omissis ha escluso che il dott. omissis si fosse a lui proposto in quanto omissis interpretando piuttosto il gesto del collega come un atto di cortesia verso un compagno di concorso di vecchia data, così da anticipargli un possibile problema che avrebbe potuto insorgere e prepararlo all'evenienza ed anche in questo caso, a detta del teste, nessuna menzione gli era stata fatta dei verbali contenenti le dichiarazioni dell'avv.to omissis e del fatto che questi erano stati già consegnati al dott. omissis , né tanto meno che di tali riservate notizie gli omissis del omissis fossero già al corrente. Si è, quindi, in presenza di un comportamento, che, in qualche modo, appare funzionale ad evitare la circolarità della notizia tra i componenti di un organo che è collegiale e che funziona come tale e che, di conseguenza, appare tanto più eccentrico e lontano dall'affermazione dell'imputato di essersi voluti rivolgere al omissis . Non solo, ma quel che colpisce del comportamento del dott. omissis è che con i colleghi, quali il dott. omissis e il dott. omissis , egli è risultato particolarmente abbottonato , tanto da non riferire loro quale fosse la sua fonte di informazione. E ciò è tanto più singolare se si considera che l'imputato, nelle altre propalazioni, non ha avuto remore con i omissis a lui più vicini a rivelare che la fonte delle sue informazioni era un omissis , arrivando sinanco a farne il nome teste omissis o ad esibire loro i verbali consegnatigli dallo stesso testi omissis . La ragione di tale agito nei confronti dei componenti del omissis che a prima vista sembrerebbe avere una certa incoerenza, appare viceversa avere una sua logica e, cioè, quella di evitare che il omissis potesse venire a sapere quale era la fonte della conoscenza della sua indagine, cosa che sarebbe accaduta se questi avesse parlato della circostanza con l'avvocato omissis . Posto, infatti, che il dott. omissis nella sua qualità di è anche il titolare dell'azione disciplinare nei confronti dei magistrati, non appare un fuor d'opera ritenere che il silenzio sul punto del dott. omissis e il suo relazionarsi partitamente con i singoli componenti del omissis tacendo agli uni quello che era stato detto all'altro, sia stato fatto appositamente per tutelare il dott. omissis dalle conseguenze relative alla sua irrituale iniziativa. Prova ne è che, successivamente all'emersione pubblica del retroscena della vicenda, il omissis ha esercitato, ancorché senza successo per un capo, l'azione disciplinare nei confronti del dott. omissis , per come si evince dalla stessa sentenza della Corte di Appello di Brescia che ha assolto quest'ultimo. L'elemento soggettivo del reato Quanto al profilo del dolo, va evidenziato che il reato di cui all'articolo 326 c.p. è punibile a titolo di dolo generico, consistente nella volontà consapevole della rivelazione e nella coscienza che la notizia costituisce un segreto di ufficio, essendo, perciò, irrilevante il movente ovvero la finalità della condotta e senza che possa aver alcun valore esimente l'eventuale errore sui limiti dei propri e degli altrui poteri e doveri in ordine a dette notizie Cass. penumero , sez.VI, 13.1.1999, numero 2183 sez. VI, 11.2.2002, numero 9331 . Nel caso di specie nemmeno l'appellante profila la sussistenza di errori sulle proprie e sulle altrui attribuzioni, cosa che, del resto, sarebbe impensabile stante il suo spessore professionale. E' indubitabile, infatti, che il dott. omissis , ancorché compulsato dal dott. omissis ai primi di aprile 2020 in ordine alla situazione di impasse nella quale si sarebbe trovato per effetto degli asseriti comportamenti ostruzionistici dei suoi superiori, era ben consapevole di ricevere notizie coperte da segreto investigativo ed in relazione alle quali, giammai, vi sarebbe potuto essere consenso alla loro rivelazione in ragione della mancanza di legittimazione del suo interlocutore per le ragioni sovra rappresentate. Così come ben era cosciente, per come desumibile dalla spiegazione concernente la scelta di non rivolgersi all' omissis che all'epoca reggeva la omissis , che questi era il soggetto cui competeva, per legge, di porre rimedio alle eventuali inerzie investigative della Procura della Repubblica. La piena conoscenza dei limiti delle proprie attribuzioni da parte dell'imputato esclude, radicalmente, che egli possa poi avere ritenuto di adempiere un dovere, che in alcun modo l'ordinamento gli attribuiva. E per quanto si voglia opinare circa il fatto che l'imputato si sarebbe trovato a gestire una situazione, per la quale non aveva interesse alcuno, che non era stata da lui sollecitata e che gli veniva rappresentata in termini di estrema gravità, appare difficile sostenere che egli non abbia avuto il tempo di comprendere appieno quanto riferitogli, di valutarlo, di riflettere sul da farsi e di determinarsi conseguentemente. Le stesse differenti modalità di rapportarsi diversamente con i membri del omissis appaiono indicative di una scelta ben ponderata e tutt'altro che casuale. Non può nascondersi, del resto, che i contatti con il dott. omissis , a dire dei due protagonisti, risalgono in pieno periodo emergenziale, quando l'isolamento sociale imposto dal potere esecutivo per frenare il contagio aveva determinato un rallentamento dei ritmi di vita e di lavoro quotidiani anche in ambito giudiziario. La stessa attività del C.S.M. in presenza, peraltro, era stata sospesa. Non può allora ritenersi appagante la spiegazione, secondo la quale le successive propalazioni del dott. omissis sarebbero state dettate dalla volontà di riportare la vicenda sui binari della legalità e sventare un gravissimo attacco all'Ordinamento giudiziario. Sarebbe stato sufficiente per questo, cosi da avallare quanto meno la buona fede dell'imputato, che egli avesse indirizzato il dott. omissis alla e, se tale strada nell'ottica personale del dott. non fosse stata percorribile in ragione della ritenuta incapacità del suo reggente, che lui stesso avesse compulsato il omissis nella sua collegialità, rimettendo a tale organo se e in che modo dovesse avvenire la formalizzazione della vicenda e i conseguenti comportamenti da adottare sia per smuovere l'eventuale stallo all'indagine meneghina sia per tutelare i soggetti, che ne erano coinvolti, ivi compresa la figura del dott. omissis . Viceversa l'imputato si è determinato ad una sovraesposizione personale del tutto singolare, non necessitata e che, per quanto ponderata, si è risolta di fatto in una serie di irrituali e illecite confidenze, che poi hanno sortito quell'effetto finale di una fuga di notizie senza eguali precedenti , già stigmatizzata dall'Autorità giudiziaria umbra. L'imputato e la parte civile Non è compito di questa Corte comprendere la ragione degli agiti del dott. omissis , il quale, senza necessità alcuna, ha sapientemente portato a conoscenza di una selezionata platea di destinatari notizie coperte da segreto investigativo attraverso una serie di incontri informali, pur consapevole di gettare una sinistra luce sull'operato della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano e sui omissis , dottori omissis e omissis . Il reato di cui all'articolo 326 c.p. è del resto un reato a dolo generico e il movente è, perciò, irrilevante, come lo è la finalità della condotta. E sul punto appare del tutto inutile ritornare sull'argomento relativo agli asseriti moventi personali, che avrebbero spinto il dott. omissis a ottenere e poi divulgare i verbali dell'avv. omissis . Già il Tribunale, senza smentita alcuna, ha rimarcato come gli elementi raccolti non abbiano consentito di comprovare con sufficiente certezza che il comportamento del dott. omissis sia stato determinato sin dall'origine dall'animus nocendi nei confronti della parte civile per personalismi e/o intenti ritorsivi verso la stessa in ragione dei dissapori, che si erano via via andati creando, pur a fronte di un'originaria affinità e comunanza di intenti. Né, del resto, vi è dimostrazione che l'imputato già sapesse delle accuse rivolte al collega dall'avv.to omissis , al momento della riunione di corrente del 3 marzo 2020, nel corso della quale si registra l'aggressione verbale del dott. omissis al dott. omissis , reo, ai suoi occhi, di dissentire dalla proposta di sostenere la candidatura del dott. omissis al vertice della omissis . Il danno alla parte civile Nel contestare la sussistenza del danno alla parte civile assume l'appellante che avere informato i omissis di un fatto veritiero, quale l'esistenza di un'indagine per una presunta partecipazione a una loggia segreta, non potrebbe essere inteso nell'accezione di disseminare tossine denigratorie . A ciò si aggiunge che quasi tutti i testi sentiti avrebbero escluso sostanzialmente di avere cambiato atteggiamento nei confronti del consigliere omissis , dopo quanto appreso dall'imputato. Osserva il collegio come, a prescindere dal fatto che l'azione del dott. omissis sia stata tutt'altro che necessitata e che le notizie confidenziali si sono estese ben oltre il perimetro della stretta cerchia omissis non vi siano margini di incertezza sul fatto che l'imputato abbia operato in modo tale da insinuare, quanto meno, il dubbio nella maggior parte dei destinatari delle sue confidenze circa l'appartenenza ad una loggia massonica del dott. omissis , così andando a lederne l'onore e il prestigio. Per quanto si voglia contestare che tale incedere integri l'espressione usata dal Tribunale, è indubitabile che attribuire ad un magistrato la possibile appartenenza ad una loggia massonica equivale a consegnargli la patente di soggetto inaffidabile e infedele, in quanto, uniformandosi alle regole della fratellanza, antepone queste a quello dello Stato repubblicano, di cui è servitore. Si tratta di un'accusa gravissima, tenuto conto del ruolo e dalla qualifica professionale rivestiti dal destinatario di questa e che, per ciò stesso, è in grado di minarne la sua credibilità, per come di fatto è avvenuto. E la reazione sdegnata del dott. omissis , all'esito della riunione informale tenutasi tra consiglieri del C.S.M., dopo l'intervento al omissis del dott. omissis dell'aprile del omissis in cui la parte civile ha appreso come una buona parte dei consiglieri fosse a conoscenza delle accuse mossegli dall'avv.to omissis , è significativa in ragione della comprensione da parte della parte civile del motivo, per il quale, sin dalla primavera precedente, era stato isolato e ciò in ragione dell'opera diffamatoria posta in essere dal dott. omissis . Peraltro lo sdegno della parte civile non sorge certo per il fatto di non essere stato avvisato delle accuse potenzialmente calunniose - visto che nei confronti dell'avv.to omissis è stata promossa azione penale giustappunto per il reato di cui all'articolo 368 c.p. -, ma perché persone, con cui aveva un rapporto di colleganza ed anche di militanza correntizia, avevano dubitato della sua integrità morale, così da prendere per buona l'accusa di essere un massone e assumere nei suoi confronti un atteggiamento distaccato rispetto ai normali rapporti di confidenza che si creano tra coloro che, generalmente, condividono il lavoro quotidiano. E, per quanto in chiave difensiva, si voglia sostenere che quasi tutti i testi avrebbero affermato di non avere cambiato atteggiamento verso il omissis basta riportare le affermazioni di un teste neutrale come il dott. omissis il quale giustappunto e a riscontro di quanto riferito dalla parte civile, ha ricordato come, ben prima di ricevere il plico anonimo, avesse constatato un certo isolamento del collega all'interno del consiglio. Il teste omissis ha, del resto, dichiarato di avere prudenzialmente preso le distanze dal collega. Il teste omissis ha ricondotto il suo atteggiamento distaccato già alla vicenda omissis , ma certo le confidenze del dott. omissis non devono averlo certo incoraggiato verso la parte civile. Il teste omissis ha ammesso di avere avuto una fisiologica diffidenza verso il collega, anche se poi, cercando di ridimensionare tale affermazione, ha ricondotto tale suo approccio anche con tutti gli altri consiglieri tale ultima giustificazione, tuttavia, appare incongrua al sol considerare come l'asserito e generalizzato atteggiamento di distacco verso i colleghi mal si concili con l'abitudine di recarsi tutte le mattine presso lo studio del omissis per consumare un cioccolatino e intrattenersi con lui in amabile conversazione, per come riferito dall'imputato medesimo. Il teste omissis ha poi rimarcato che, in ragione della notizia ricevuta, ebbe a tenere un atteggiamento di prudenza verso il dott. omissis . Non solo, ma se non bastasse appare vieppiù significativo l'episodio della confidenza fatta al omissis . Posto che il dott. omissis non aveva necessità alcuna di indicare nell'asserita appartenenza massonica del collega il motivo per il quale non voleva partecipare al prospettato incontro pacificatore, ben potendo limitarsi a rappresentare l'esistenza di motivi personali che gli impedivano di partecipare al prospettato incontro pacificatore, la ragione di tale incedere risiede altrove. Se, infatti, si tiene a mente che nelle intenzioni del parlamentare vi era la conclamata volontà di proporre al dott. omissis una collaborazione con la omissis è evidente che la rivelazione del dott. omissis sia stata funzionale a scongiurare tale iniziativa. E' poi evidente che se l'intenzione del dott. omissis fosse stata unicamente quella di rimettere la vicenda sui binari della legalità, egli avrebbe ben dovuto acquietarsi, una volta compulsato il omissis e il omissis . Il fatto che, viceversa, l'imputato abbia avvertito l'esigenza di continuare a ledere l'onore della parte civile - e non solo - è comprensibile solo nella mirata strategia volta ad isolare la parte civile nei suoi rapporti istituzionali. Sul tema è lo stesso Tribunale a rimarcare l'entusiasmo con il quale il dott. omissis ha cavalcato la notizia della possibile appartenenza massonica del dott. omissis , frutto di una convinzione che è ben lungi dalla prospettazione difensiva formulata in sede di arringa, secondo cui egli si sarebbe limitato ad avanzare prudenziali dubbi sulle accuse mosse dall'avv.to omissis . Basti pensare che egli, di fronte alle titubanze avanzate dal dott. omissis , che a pelle escludeva la possibile appartenenza del dott. omissis a logiche massoniche, ribatte con convinzione che quando i massoni vanno in sonno, rimangono sempre massoni o all'esigenza di apprendere il grado di affidabilità dell'avv.to omissis quale fonte dichiarativa dal collega omissis che già, nel corso delle sue indagini come pubblico ministero, vi aveva avuto a che fare o all'invito rivolto al dott. omissis di prendere le distanze dal dott. omissis , in quanto l'indagine sulla sua possibile appartenenza massonica avrebbe preso una brutta piega per lo stesso. Per tali ragioni, di conseguenza, non può che condividersi l'assunto, secondo il quale il comportamento dell'imputato ha leso la parte civile, oltre che nella sua sfera morale - si pensi alla reazione emotiva e psicologica della persona offesa descritta dai testi omissis e omissis all'indomani della diffusione delle notizie sulla cd. Loggia Ungheria -, anche sotto il profilo della sua reputazione. La contestazione della continuazione tra la rivelazione al omissis e le altre condotte di disvelamento del segreto Da ultimo va affrontata la questione introdotta dall'appellante il 6.12.2023 in sede di motivi aggiunti e con la quale si deduce l'erroneità dell'applicazione dell'istituto della continuazione alla condotta di rivelazione del segreto di ufficio operata dal dott. omissis nei confronti del omissis , già della omissis rispetto alle precedenti condotte rivelatorie contestate all'imputato al capo B . Sul punto non può che ritenersi condivisibile l'assunto del Procuratore Generale in merito all'inammissibilità di detto motivo di gravame. E' principio giurisprudenziale condiviso quello per cui in materia di impugnazioni, la facoltà del ricorrente di presentare motivi nuovi incontra il limite del necessario riferimento ai motivi principali, di cui i primi devono rappresentare mero sviluppo o migliore esposizione, ma sempre ricollegabili ai capi e ai punti già dedotti, sicché sono ammissibili soltanto motivi aggiunti con i quali si alleghino ragioni di carattere giuridico diverse o ulteriori, ma non anche motivi con i quali si intenda allargare l'ambito del predetto petitum , introducendo censure non tempestivamente formalizzate entro i termini per l'impugnazione cfr Cass penumero , sez.VI, 30.9.2020, 36206 . I motivi nuovi di impugnazione devono, quindi, essere inerenti ai temi specificati nei capi e punti della decisione investiti dall'impugnazione principale già presentata, essendo necessaria la sussistenza di una connessione funzionale tra i motivi nuovi e quelli originari. E, a tal proposito, va richiamato il costante indirizzo interpretativo secondo il quale i motivi nuovi che possono essere presentati dalla parte che ha proposto l'impugnazione fino al quindicesimo giorno precedente l'udienza di trattazione del gravame articolo 585 co.IV c.p.p. in relazione all'articolo 167 disp. att. c.p.p. debbono consistere in una ulteriore illustrazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono la richiesta rivolta al giudice dell'impugnazione, peraltro sempre nei limiti dei capi o punti della decisione oggetto del gravame. In altri termini con i motivi nuovi non possono impugnarsi parti del provvedimento gravato, che non siano stati oggetto della preventiva impugnazione. Diversamente argomentando verrebbero frustrati i termini, la cui inosservanza è sanzionata con l'inammissibilità dell'impugnazione, prescritta dalla legge per la proposizione del gravame cfr Cass. penumero , sez. IV, 17.1.1997, numero 90 Cass. penumero , Sez. Unite, 25.2.1998, numero 4683 Cass penumero , sez.III, 22.1.2004, numero 14776 . Nel caso in esame è oggettivo il dato per cui, nell'impugnazione principale proposta nell'interesse del dott. omissis , non è stata dedotta la questione secondo la quale la contestata rivelazione del segreto d'ufficio al omissis non rientrerebbe nel medesimo disegno criminoso volto, in tesi accusatoria, a minare la reputazione del dott. omissis , così da isolarlo all'interno dei suoi rapporti di ufficio e interpersonali e che già sarebbe stato il filo conduttore delle altre condotte di rivelazione del segreto in contestazione al capo B della rubrica imputativa. Di qui l'inammissibilità di tale domanda difensiva proposta nei motivi aggiunti di appello in ragione dell'assoluta novità del suo contenuto rispetto alle ragioni affidate all'impugnazione principale. Per effetto del rigetto integrale del gravame l'appellante va, conseguentemente, condannato al pagamento delle spese processuali e, in ossequio al principio della soccombenza, alla refusione delle spese di assistenza tecnica della parte civile, per come liquidate in dispositivo sulla scorta dei parametri tabellari forensi. P.Q.M. Visti gli articolo 592 e 605 c.p.p., conferma la sentenza emessa il 20.6.2023 dal Tribunale di Brescia appellata da omissis , che condanna al pagamento delle ulteriori spese processuali del grado. Condanna omissis al pagamento in favore della parte civile omissis delle spese di rappresentanza, assistenza e difesa, che liquida in euro 946, oltre IVA, CPA e accessori di legge. Visto l'articolo 544 co. III c.p.p., indica in giorni 90 il termine per il deposito della motivazione.