Danni da contagio COVID-19: non c’è giurisdizione italiana per l’asserita responsabilità della Repubblica Popolare Cinese

Innanzi alla domanda risarcitoria, esperita da una donna italiana verso la Repubblica Popolare Cinese, per i danni da contagio COVID-19, sussiste difetto di giurisdizione come conseguenza della regola dell'immunità rispetto agli atti iure imperii dello Stato straniero non preordinati alla lesione di diritti fondamentali della persona, come quelli posti in essere, più che altro in forma omissiva, dagli organi di governo cinesi durante la pandemia.

L'asserita responsabilità della RPC per i danni da contagio Una donna ha convenuto in giudizio, dinanzi a un Giudice di Pace, la Repubblica Popolare di Cina, affinché, previo accertamento della relativa responsabilità, fosse condannata al risarcimento del danno, quantificato nei limiti della competenza del giudice adito. Deduceva che nel 2020 era deceduta sua madre a seguito del contagio da COVID-19, e che anche l'attrice si era ammalata, essendo stata ricoverata e sottoposta ad intubazione. Deduceva che il 31 dicembre 2019 le autorità sanitaria della Repubblica Popolare Cinese avevano comunicato all'OMS l'esistenza di alcuni casi di polmonite a eziologia non nota nella città di Wuhan e che il 22 gennaio 2020, detta città, a seguito del diffondersi della patologia, era stata posta in stato di quarantena. Assumeva che in realtà i casi di polmonite da Covid19 si erano manifestati in data ben anteriore a quella della comunicazione all'OMS, e che quindi si ravvisava, come da informazioni giornalistiche, un ritardo nella comunicazione. Era quindi da reputare che la diffusione del virus era da far risalire a una data anteriore a quella in cui la convenuta si era invece attivata, e che prima della comunicazione ufficiale vi era stato il tentativo di impedire la diffusione di notizie e informazioni di quanto stava accadendo in Cina, con l'occultamento di una situazione sanitaria di gravità ben maggiore di quella rappresentata. La violazione degli obblighi internazionali La responsabilità della convenuta, secondo la donna, andava affermata per la violazione degli obblighi scaturenti dal Regolamento Sanitario Internazionale che ha imposto ai singoli stati aderenti, tra cui anche la Repubblica Popolare di Cina, di valutare gli eventi verificatisi nel proprio territorio e incidenti sulla sanità, provvedendo alla notifica di quelli di potenziale interesse, anche con causa o fonte sconosciuta, all'OMS, entro 24 ore dalla valutazione. La reazione della Cina, per la ricorrente, risultava essere intempestiva, essendo quindi venuta meno ai propri obblighi internazionali. Analoga violazione derivava dal commercio illegale di animali selvatici, tra cui il pangolino, che secondo alcuni studiosi avrebbe diffuso nell'uomo il coronavirus responsabile della pandemia, nonché dalla violazione del Memorandum di intesa intervenuto tra il Ministero della Salute italiano e l'Amministrazione generale delle Dogane della convenuta, per la cooperazione in materia di sanità transfrontaliera. Tali plurime violazioni costituivano, per la ricorrente, crimini internazionali di guerra, escludendo che la convenuta potesse invocare a proprio favore l'immunità. La questione di giurisdizione Nella contumacia della convenuta, avendo il giudice adito invitato l'attrice a interloquire sulla questione di giurisdizione, la donna ha proposto ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione ex articolo 41 c.p.c. Il difetto di giurisdizione per immunità della Repubblica Popolare Cinese La Corte ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano sulla domanda proposta, riconoscendo l'immunità in favore della convenuta, evidenziando che le regole internazionali sull'immunità rivelano la struttura paritetica dell'ordinamento internazionale, di cui è espressione il principio “par in parem non habet iurisdictionem”, legato all'uguaglianza sovrana tra Stati, che impone a ogni Stato di garantire agli altri Stati l'immunità dinanzi alle proprie corti interne. La distinzione tra atti iure imperii e iure gestionis La Convenzione europea sull'immunità degli Stati del 1972 e la Convenzione ONU del 2004 sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, prevedono che l'immunità non si applichi a una serie di attività, tra le quali figurano quelle di tipo commerciale. La distinzione tra atti iure imperii e iure gestionis costituisce patrimonio acquisito nella giurisprudenza delle Sezioni Unite che hanno riconosciuto la giurisdizione anche di fronte ad azioni intentate verso Stati esteri ove erano in discussione solo profili di carattere patrimoniale, slegate dall'esercizio di potestà pubblicistiche. Le condotte della Repubblica Popolare di Cina esprimono attività cd. iure imperii Per le Sezioni Unite la maggior parte delle circostanze di fatto sulle quali si basa la domanda dell'attrice non sono oggetto di accertamenti di fatto muniti di assoluta attendibilità, rispondendo piuttosto a informazioni giornalistiche e a personali ricostruzioni, sulle quali non può dirsi formato un unanime convincimento anche da parte della comunità scientifica, ritenendo, quindi, che le condotte, anche omissive, che fonderebbero la responsabilità della Repubblica Popolare di Cina, sono espressive di attività cd. iure imperii. Le Sezioni Unite avevano infatti ritenuto spettare alla cognizione del giudice amministrativo la domanda di condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della Salute al risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla compressione dei diritti fondamentali attuata durante l'emergenza pandemica e fondata sulla pretesa inadeguatezza della gestione e organizzazione del servizio sanitario nazionale, rientrando nella sua giurisdizione esclusiva le controversie relative all'esercizio del potere amministrativo discrezionale concernente la gestione e l'organizzazione di un servizio pubblico Cass. S.U. numero 18540/2023 . Le Sezioni Unite hanno rapportato tali principi al caso esaminato, osservando che emerge come le condotte, asseritamente idonee a ingenerare la responsabilità dello Stato estero, siano da ricollegare all'esercizio di potestà pubblicistiche, e ciò anche ove gli si imputi l'inerzia nel dare attuazione ad impegni assunti sul piano internazionale, confortando la soluzione circa il difetto di giurisdizione. L'intervento della Corte costituzionale Con la sentenza numero 238/2014 aveva evidenziato che l'immunità degli Stati esteri dalla giurisdizione civile esprime una consuetudine di diritto internazionale entrata nell'ordinamento interno attraverso l'articolo 10 Cost, ma la stessa Costituzione impone di verificare se tramite tale meccanismo di adattamento automatico risultino avere ingresso norme confliggenti coi principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale, tra cui il diritto al giudice articolo 24 Cost. e la garanzia del rispetto dei diritti inviolabili della persona articolo 2 Cost. . Per questo, nei rapporti con gli Stati stranieri, il diritto alla tutela giudiziale può essere limitato fino al punto in cui vi sia un interesse pubblico riconoscibile come preminente, ciò che non potrebbe mai dirsi in presenza di atti che non esprimono la funzione sovrana dello Stato straniero, bensì integrano crimini contro l'umanità, come la deportazione, i lavori forzati, gli eccidi. L'aggressione ai diritti fondamentali pone in dubbio l'immunità La successiva giurisprudenza di legittimità, in attuazione di quanto affermato dalla Consulta, ha riconosciuto la prevalenza del principio del rispetto dei diritti inviolabili a fronte di delicta imperii, cioè di atti compiuti in violazione di norme internazionali di ius cogens tali da determinare la rottura di un potere sovrano riconoscibile come tale, con la conseguente recessione del principio dell'immunità statale, che non costituisce un diritto quanto piuttosto una prerogativa dello Stato nazionale, cosicché il principio del rispetto della sovrana uguaglianza degli Stati deve restare privo di effetti nell'ipotesi di crimini contro l'umanità, cioè compiuti in violazione di norme internazionali di ius cogens, in quanto tali lesivi di valori universali che trascendono gli interessi delle singole comunità statali e la cui vera sostanza consiste in un abuso della sovranità statuale. Infatti, l'aspirazione della ricorrente era trapiantare tale percorso interpretativo alla fattispecie dedotta in giudizio, onde pervenire alla sterilizzazione dell'immunità in favore della convenuta, ma per le Sezioni Unite non può avere seguito. Come affermato dalle stesse S.U. numero 4461/2009 il principio dell'immunità per gli atti iure imperii non trova deroga neppure in presenza di attività idonee a ledere o a porre in pericolo la vita, l'incolumità personale e la salute dei cittadini dello Stato. Solo l'immediata, diretta e deliberata aggressione ai diritti fondamentali potrebbe porre in dubbio il riconoscimento dell'immunità. La posizione statunitense A simili conclusioni è pervenuta la giurisprudenza nordamericana, che con la decisione della Corte d'Appello dello Stato del Missouri – Eight Circuit del 10 gennaio 2024, su analoga domanda risarcitoria, esperita dallo Stato, ha profilato una absolute lack of jurisdiction come conseguenza necessaria della regola dell'immunità in ordine agli atti iure imperii di uno Stato straniero che non sono preordinati alla lesione di diritti fondamentali della persona, come quelli posti in essere, più che altro in forma omissiva, dagli organi di governo cinesi durante la pandemia.

Presidente D'Ascola - Relatore Criscuolo Ragioni in fatto e diritto della decisione 1. I.P. ha convenuto in giudizio dinanzi al Giudice di Pace di Frosinone la Repubblica Popolare di Cina affinché, previo accertamento della sua responsabilità, fosse condannata al risarcimento del danno, quantificato nei limiti della competenza del giudice adito. Deduceva che nel marzo del 2020 era deceduta la madre della ricorrente, M.V., della quale si occupava l’attrice, a seguito del contagio da Covid19, e che anche l’attrice si era ammalata, essendo stata pertanto ricoverata e sottoposta ad intubazione, salvo poi essere dimessa dall’ospedale ove era stata ricoverata solo in data 4 aprile 2020. Deduceva che solo in data 31 dicembre 2019 le autorità sanitaria della Repubblica Popolare Cinese avevano comunicato all’OMS l’esistenza di alcuni casi di polmonite ad eziologia non nota nella città di Wuhan e che solo in data 22 gennaio 2020, detta città, a seguito del diffondersi della patologia era stata posta in stato di quarantena. Assumeva che in realtà i casi di polmonite da Covid19 si erano manifestati in data ben anteriore a quella della comunicazione all’OMS, e che quindi si ravvisava, come da informazioni giornalistiche, un ragguardevole ritardo nella comunicazione stessa. Sempre sulla base di una serie di fonti giornalistiche, era quindi da reputare che la diffusione del coronavirus era da far risalire ad una data notevolmente anteriore a quella in cui la convenuta si era invece attivata, e che prima della comunicazione ufficiale, vi era stato il tentativo di impedire la diffusione di notizie ed informazioni circa quanto stava accadendo in Cina, con l’occultamento di una situazione sanitaria di gravità ben maggiore di quella rappresentata. La responsabilità della convenuta andava affermata per la violazione degli obblighi scaturenti dal Regolamento Sanitario Internazionale IHR , entrato in vigore il 15 giugno 2007, che al fine di creare un sistema globale di allerta e risposta, ha imposto ai singoli stati aderenti, tra cui anche la Repubblica Popolare di Cina, di valutare gli eventi verificatisi all’interno del proprio territorio ed aventi incidenza sulla sanità, provvedendo quindi alla notifica di quelli di potenziale interesse, anche con causa o fonte sconosciuta, all’OMS nel termine di 24 ore dalla valutazione articolo 6 . Attesa la ricostruzione delle vicende di diffusione della pandemia, che permettevano di far risalire già alla seconda metà del mese di dicembre del 2019 il primo caso di polmonite da Covid, la reazione della Cina risultava essere del tutto intempestiva, essendo quindi venuta meno ai propri obblighi internazionali. Analoga violazione derivava dal commercio illegale di animali selvatici, tra cui il pangolino, animale che secondo alcuni studiosi avrebbe diffuso nell’uomo il coronavirus responsabile della pandemia, nonché dalla violazione del Memorandum di intesa intervenuto tra il Ministero della Salute italiano e l’Amministrazione generale delle Dogane della convenuta, per la cooperazione in materia di sanità transfrontaliera. Tali plurime violazioni costituivano quindi crimini internazionali di guerra che escludevano che la convenuta potesse invocare a proprio favore l’immunità, come peraltro già affermato dalla giurisprudenza nazionale a seguito della nota vicenda relativa ai crimini di guerra commessi dalla Repubblica Federale di Germania in occasione del secondo conflitto mondiale. 2. Nella contumacia della convenuta, avendo il giudice adito invitato l’attrice ad interloquire sulla questione di giurisdizione, I.P. ha proposto ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione ex articolo 41 c.p.c. L’intimata non ha svolto attività difensive in questa fase. La Procura Generale formulava le proprie osservazioni, concludendo come in epigrafe. La ricorrente ha depositato memorie in prossimità dell’udienza. 3. Ritiene la Corte che debba essere dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano relativamente alla domanda proposta, per effetto del riconoscimento dell’immunità in favore della convenuta. E’ stato correttamente evidenziato in dottrina che le regole internazionali in tema di immunità rivelano la struttura paritetica dell’ordinamento internazionale, di cui è espressione il principio “par in parem non habet iurisdictionem”, chiaramente legato all’uguaglianza sovrana tra Stati, e che impone a ciascuno Stato di garantire agli altri Stati l’immunità dinanzi alle proprie corti interne e ciò al fine anche di assicurare che una controversia avente ad oggetto un ipotetico illecito internazionale venga risolta con i mezzi e le forme previste da tale ordinamento . Inizialmente la norma consuetudinaria sull’immunità è stata intesa in maniera “assoluta”, ma la prassi delle corti interne, a partire da quelle italiane e belghe, ha progressivamente ristretto l’immunità agli atti statali che rientrano nell’ambito della funzione di governo iure imperii , escludendo gli atti posti in essere dallo Stato come soggetto di diritto privato iure gestionis . Ancorché tale distinzione non sia stata formalmente ripresa dagli strumenti di codificazione delle immunità degli Stati esteri dalla giurisdizione civile, sia la Convenzione europea sull'immunità degli Stati e relativo protocollo aggiuntivo adottata il 16 maggio 1972, entrata in vigore il 7 ottobre 1982, sia la Convenzione ONU del 2004 sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni prevedono che l’immunità non si applichi ad una serie di attività, tra le quali figurano quelle di tipo commerciale. La richiamata distinzione tra atti iure imperii e iure gestionis costituisce ormai patrimonio acquisito nella giurisprudenza di queste Sezioni Unite che hanno riconosciuto la giurisdizione anche di fronte ad azioni intentate nei confronti di Stati esteri o di loro rappresentanti, ove erano in discussione solo profili di carattere patrimoniale, del tutto slegate dall’esercizio di potestà pubblicistiche cfr. Cass. S.U. numero 18801/2022 Cass. S.U. numero 28180/2020, che ha ribadito che gli atti compiuti iure imperii costituiscono estrinsecazione della sovranità propria della potestà politica, potendo tale prerogativa estendersi alle persone giuridiche di diritto privato che agiscono per conto e su delega di uno Stato solo in relazione alle attività e ai rapporti in cui esse esercitano poteri ampiamente discrezionali che prescindono dal quadro normativo teso a regolarne le caratteristiche e le modalità di riferimento Cass. S.U. numero 23893/2015 . E’ stata invece riaffermata l’immunità dello Stato estero, nel caso in cui Cass. S.U. numero 4461/2009 era richiesto, rispetto ad armi nucleari installate in Italia dagli Stati Uniti d'America in forza del Trattato del Nord Atlantico, ratificato con legge numero 1335 del 1955, l'accertamento della illegittimità della installazione, la rimozione e il risarcimento del danno per il pregiudizio arrecato alla salute, in quanto si faceva riferimento ad attività che, in quanto svolta nell'interesse comune dei due Stati, oltre che degli altri aderenti alla N.A.T.O., ed a tutela della loro sovranità, rientra tra quelle poste in essere jure imperii . E’ interessante rilevare che in tale precedente è stato altresì precisato che, una volta esclusa la possibilità di configurare comportamenti integranti crimini contro l'umanità, la sottrazione della controversia alla giurisdizione italiana, in base al criterio della cosiddetta immunità ristretta, non trova deroga neppure in presenza di attività idonee a ledere o a porre in pericolo la vita, l'incolumità personale e la salute dei cittadini dello Stato ospitante. 4. Sulla scorta di tali premesse, ed anche a voler soprassedere circa il fatto che la maggior parte delle circostanze di fatto sulle quali si basa la domanda attorea non sono oggetto di accertamenti di fatto muniti di assoluta attendibilità, rispondendo piuttosto ad informazioni giornalistiche ed a personali ricostruzioni, sulle quali non può dirsi formato un unanime convincimento anche da parte della comunità scientifica, deve però affermarsi che le condotte molte delle quali meramente omissive che fonderebbero la responsabilità della Repubblica Popolare di Cina sono evidentemente espressive di attività cd. iure imperii. Depone in questa direzione quanto di recente affermato da queste Sezioni Unite che hanno ritenuto spettare alla cognizione del giudice amministrativo la domanda di condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della Salute al risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla compressione dei diritti fondamentali attuata durante il periodo dell'emergenza epidemiologica da Covid-19 e fondata sulla pretesa inadeguatezza della gestione ed organizzazione del servizio sanitario nazionale, rientrando nella sua giurisdizione esclusiva le controversie relative all'esercizio del potere amministrativo discrezionale concernente la gestione e l'organizzazione di un servizio pubblico Cass. S.U. numero 18540 del 30/06/2023 . Al riguardo è stato precisato che ciò che era individuata, quale fonte della lesione delle posizioni degli attori, era ictu oculi l’esercizio di potere discrezionale da parte della pubblica amministrazione in ordine al fronteggiare l’epidemia e, a monte, a governare il sistema del servizio sanitario nazionale, dovendosi altresì reputare che costituisce esercizio del potere amministrativo relativo alla struttura del servizio sanitario nazionale, l’adozione delle scelte correlate alla tutela dalle epidemie. Rapportati tali principi al caso in esame, emerge con evidenza come le condotte, asseritamente idonee ad ingenerare la responsabilità dello stato estero, siano da ricollegare all’esercizio di potestà pubblicistiche, e ciò anche ove gli si imputi l’inerzia nel dare attuazione ad impegni assunti sul piano internazionale, il che conforta la soluzione circa il difetto di giurisdizione. 5. La difesa della ricorrente, evidentemente conscia delle difficoltà di poter far rientrare la condotta addebitata alla convenuta nel novero di quelle per le quali non ricorre una connotazione pubblicistica, con la conseguente operatività dell’immunità di diritto consuetudinario internazionale, ha inteso però affermare la possibilità di estendere a questa ipotesi la deroga che è stata nel corso del tempo riconosciuta per quelle condotte poste in essere da stati esteri, ma che siano però riconducibili alla commissione di crimini internazionali. Nella giurisprudenza di legittimità, a far data dai primi anni di questo millennio, si è formato un orientamento secondo cui deve ritenersi non più assoluta - come in precedenza - la portata del principio dell'immunità degli Stati nazionali dalla giurisdizione civile straniera per gli atti compiuti iure imperii, in ragione del principio fondamentale del rispetto dei diritti inviolabili della persona umana, traendo spunto dalla emersione di numerosi casi di domande risarcitorie proposte nei confronti della Repubblica Federale di Germania, in relazione a fatti commessi dal regime nazista durante la seconda guerra mondiale, per ottenere il ristoro dei danni non patrimoniali subiti dagli attori - e per successione dai loro eredi - in conseguenza della deportazione e della sottoposizione a lavoro forzato nei campi di prigionia. Le Sezioni Unite - a partire dal noto caso Ferrini - hanno così riconosciuto la giurisdizione italiana in relazione alla domanda risarcitoria promossa dal cittadino italiano nei confronti della Repubblica Federale di Germania Tedesca per essere stato catturato a seguito dell'occupazione nazista. Con la sentenza numero 5044/2004, le Sezioni Unite di questa Corte, proprio in relazione al predetto caso, hanno affermato che «Il rispetto dei diritti inviolabili della persona umana ha assunto il valore di principio fondamentale dell'ordinamento internazionale, riducendo la portata e l'ambito di altri principi ai quali tale ordinamento si è tradizionalmente ispirato, quale quello sulla sovrana uguaglianza degli Stati, cui si collega il riconoscimento della immunità statale dalla giurisdizione civile straniera. Ne consegue che la norma consuetudinaria di diritto internazionale generalmente riconosciuta che impone agli Stati l'obbligo di astenersi dall'esercitare il potere giurisdizionale nei confronti degli Stati stranieri, non ha carattere assoluto, nel senso che essa non accorda allo Stato straniero un'immunità totale dalla giurisdizione civile dello Stato territoriale, tale immunità non potendo essere invocata in presenza di comportamenti dello Stato straniero di tale gravità da configurare, in forza di norme consuetudinarie di diritto internazionale, crimini internazionali, in quanto lesivi, appunto, di quei valori universali di rispetto della dignità umana che trascendono gli interessi delle singole comunità statali. E’ stata quindi affermata la giurisdizione italiana in relazione alla domanda risarcitoria promossa, nei confronti della Repubblica federale di Germania, dal cittadino italiano che lamenti di essere stato catturato a seguito dell'occupazione nazista in Italia durante la seconda guerra mondiale e deportato in Germania per essere utilizzato quale mano d'opera non volontaria al servizio di imprese tedesche, atteso che sia la deportazione che l'assoggettamento ai lavori forzati devono essere annoverati tra i crimini di guerra e, quindi, tra i crimini di diritto internazionale, essendosi formata al riguardo una norma di diritto consuetudinario di portata generale per tutti i componenti della comunità internazionale». Tale orientamento è stato poi successivamente ribadito da questa Corte v. Cass., sez. unumero , ord., 29/05/2008, nnumero 14201 e 14202, nonché Cass., sez. I, 20/05/2011, numero 11163 . Nella sostanza è stata riconosciuta la categoria dei delicta imperii quale area insuscettibile di poter fruire della prerogativa consuetudinaria della piena immunità statale. La reazione a livello internazionale non si è fatta però attendere, e con la sentenza Germania c. Italia del 3 febbraio 2012 la Corte Internazionale di Giustizia ha accolto il ricorso proposto dalla Germania contro l'Italia per avere quest'ultima mancato di riconoscere la piena immunità spettante in base al diritto internazionale, e in base alla quale sia i giudici di primo grado che, successivamente, la Corte d'appello, hanno fondato il proprio convincimento. La CIG, interpretando le norme di diritto internazionale, ha negato la giurisdizione dello Stato italiano sulle azioni risarcitorie per danni da crimini di guerra commessi iure imperii dal Terzo Reich. In ottemperanza a tale decisione, mediante il recepimento ai sensi dell'articolo 10, primo comma, Cost., il legislatore italiano ha promulgato la legge numero 5/2013, il cui articolo 3 prevedeva che il giudice nazionale dovesse adeguarsi alla pronuncia della CIG e dichiarare il proprio difetto di giurisdizione in qualunque stato e grado del processo. Dopo un iniziale adeguamento delle Sezioni Unite alla statuizione della CIG Cass. numero 4284 del 21/02/2013 Cass. numero 1136 del 21/01/2014 , è però intervenuta la Corte costituzionale con la sentenza numero 238 del 2014 che, in relazione ai dubbi di costituzionalità sollevati dal Tribunale di Firenze, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, per contrasto con gli articolo 2 e 24 della Costituzione, della norma in questione, nonché dell'articolo 1 della legge 17 agosto 1957, numero 848, limitatamente all'esecuzione data all'articolo 94 della Carta delle Nazioni Unite, nella parte in cui prevede l'obbligo per il giudice italiano di adeguarsi alla pronuncia della CIG del 3 febbraio 2012, che gli impone di negare la propria giurisdizione in riferimento ad atti di uno Stato straniero che consistano in crimini di guerra e contro l'umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona. L'immunità degli Stati esteri dalla giurisdizione civile - ha osservato il Giudice delle leggi - esprime una consuetudine di diritto internazionale che ha ingresso nell'ordinamento interno attraverso l'articolo 10 Cost. ma la stessa Costituzione impone di verificare se attraverso tale meccanismo di adattamento automatico risultino avere ingresso norme, quale appunto quella formata dall'interpretazione datane dalla CIG, che entrino in conflitto con i principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale, tra cui il diritto al giudice articolo 24 Cost. e, assieme, la garanzia del rispetto dei diritti inviolabili della persona articolo 2 Cost. . Per questo, nei rapporti con gli Stati stranieri, il diritto alla tutela giudiziale può essere limitato fino al punto in cui vi sia un interesse pubblico riconoscibile come preminente, ciò che non potrebbe mai dirsi in presenza di atti che non esprimono la funzione sovrana dello Stato straniero, bensì integrano crimini contro l'umanità, come la deportazione, i lavori forzati, gli eccidi. Il carattere palesemente criminale di tali fatti impedisce che a essi possa giovare lo scudo protettivo dell'immunità, operando i predetti contro-limiti. Pertanto, con la pronuncia interpretativa di rigetto sopra richiamata, la Corte Costituzionale ha affermato che, per la parte che concerne i delicta imperii, quella norma di diritto internazionale non è entrata nell'ordinamento, non operando il rinvio ex articolo 10 Cost. Con la medesima sentenza numero 238, conseguentemente, la Consulta ha dichiarato l'incostituzionalità della legge di adattamento speciale articolo 3, legge numero 5/2013 e della legge di esecuzione dello Statuto dell'ONU articolo 1 della legge numero 848/1957 , per la parte in cui tali disposizioni imponevano, con vincolo di adeguamento alla pronuncia della Corte internazionale dell'Aja, di declinare la giurisdizione nazionale in presenza di atti di uno Stato straniero costitutivi di crimini di guerra o contro l'umanità, lesivi dei diritti inviolabili della persona per la riaffermazione di tali principi, quanto al giudizio di esecuzione, si veda da ultimo anche Corte Costituzionale numero 159/2023 . La successiva giurisprudenza di legittimità, in attuazione di quanto affermato dalla Consulta, ha perciò riconosciuto la prevalenza del principio del rispetto dei diritti inviolabili a fronte di delicta imperii, cioè di atti compiuti in violazione di norme internazionali di ius cogens tali da determinare la rottura di un potere sovrano riconoscibile come tale, con la conseguente recessione del principio dell'immunità statale, che non costituisce un diritto quanto piuttosto una prerogativa dello Stato nazionale, cosicché il principio del rispetto della sovrana uguaglianza degli Stati deve restare privo di effetti nell'ipotesi di crimini contro l'umanità, cioè compiuti in violazione di norme internazionali di ius cogens, in quanto tali lesivi di valori universali che trascendono gli interessi delle singole comunità statali e la cui vera sostanza consiste in un abuso della sovranità statuale Cass., sez. unumero , 28/10/2015, numero 21946 Cass., sez. unumero , 29/07/2016, numero 15812 Cass., sez. unumero , 13/01/2017, numero 762 Cass., sez. unumero ,28/09/2020 numero 20442 . 6. L’aspirazione della ricorrente a trapiantare tale percorso interpretativo anche alla fattispecie dedotta in giudizio, onde pervenire alla sterilizzazione dell’immunità in favore della convenuta, non può però avere seguito. La stessa elencazione delle condotte che fonderebbero la responsabilità della Repubblica Popolare di Cina, quale individuate nell’atto di citazione, anche ove reputate in ipotesi idonee a configurare una violazione degli impegni assunti sul piano del diritto internazionale mancando peraltro un adeguato supporto sul piano probatorio circa la rispondenza al vero di quanto riportato in citazione , non possono però essere valutate alla stregua della commissione di crimini internazionali, la cui inziale descrizione risale all’accordo di Londra del 1945 istitutivo del Tribunale di Norimberga per la punizione dei criminali nazisti , e che oggi si rinviene essenzialmente nelle previsioni di cui agli articolo 5-8 dello Statuto della Corte penale internazionale. Una volta esclusa la ricorrenza del delitto di genocidio, di crimini di guerra e di aggressione, l’articolo 7 individua una serie di condotte omicidio, riduzione in schiavitù, deportazione o trasferimento forzato di popolazioni, privazione di libertà, in violazione di norme fondamentali del diritto internazionale, tortura, violenza carnale, prostituzione forzata ed altre forme di violenza sessuale, persecuzioni per motivi politici, razziali, religiosi, di sesso, ecc., sparizione forzata di persone, apartheid, altri atti disumani o simili, capaci di causare sofferenze di carattere fisico o psichico, purché però perpetrati come parte di un esteso o sistematico attacco diretto contro una popolazione civile . I fatti riportati in citazione non corrispondono alla definizione del diritto internazionale di crimini contro l’umanità, sia in ragione della mancata corrispondenza tra gli stessi e quelli esemplificativamente contenuti dell’articolo 7 dello Statuto della Corte penale internazionale, sia per l’assenza della finalità che a mente della stessa norma deve avvincere le varie condotte imputate al responsabile. Nel caso che ha interessato la commissione da parte dei nazisti di crimini internazionali, come sottolineato dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza numero 238/2014, la qualificazione dei fatti su cui si fondavano le azioni di responsabilità nei confronti della Germania in termini di crimini di guerra risultava non solo accertata, ma ammessa da parte dello stesso stato estero. Né può giustificare la deroga al principio dell’immunità la circostanza che la condotta della convenuta, ove ne venga accertata la contrarietà alle norme internazionali richiamate in citazione, abbia determinato la lesione di diritti anche fondamentali dell’individuo, come quello alla salute. Come affermato da Cass. S.U. numero 4461/2009 il principio dell’immunità per gli atti iure imperii non trova deroga neppure in presenza di attività idonee a ledere o a porre in pericolo la vita, l'incolumità personale e la salute dei cittadini dello Stato. Solo la immediata, diretta e deliberata aggressione ai diritti fondamentali potrebbe porre in dubbio il riconoscimento dell’immunità. D’altronde se anche atti posti in essere da uno stato estero, nell’ambito di scelte di politica economica o finanziaria Cass. S.U numero 11225/2005 sono stati reputati espressione della potestà sovrana dello Stato, e ciò per le finalità, eminentemente pubblicistiche, perseguite, di governo della finanza pubblica in funzione della tutela di bisogni primari di sopravvivenza economica in un contesto storico di grave emergenza nazionale dello Stato emittente in relazione ai provvedimenti di moratoria adottati dalla Repubblica Argentina per i titoli obbligazionari emessi , non può invocarsi per neutralizzare l’immunità la circostanza che gli atti iure imperii adottati possano avere delle ripercussioni, ma solo di carattere riflesso, anche su diritti primari del singolo si pensi alle ripercussioni che possano avere sulle condizioni di salute dell’investitore, il deterioramento della sua situazione patrimoniale, quale effetto delle scelte di politica economica assunte da uno stato estero . Ad analoghe conclusioni è di recente pervenuta anche la giurisprudenza nordamericana, che con la decisione della Corte d’Appello dello Stato del Missouri – Eight Circuit del 10 gennaio 2024, relativamente ad analoga domanda risarcitoria, esperita dallo Stato, ha profilato una absolute lack of jurisdiction quale conseguenza necessaria della regola dell'immunità in ordine agli atti iure imperii di uno Stato straniero che non sono preordinati alla lesione di diritti fondamentali della persona, come quelli posti in essere – più che altro in forma omissiva – dagli organi di governo cinesi durante la pandemia. 7. Va pertanto dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano. 8. Nulla a disporre sulle spese dell’intero giudizio. P.Q.M. dichiara il difetto di giurisdizione del giudice italiano.