Esclusa dal Concorso SNA per assenza di specializzazione alle professioni legali: il titolo di avvocato non basta

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio ha rigettato il ricorso presentato da una concorrente, che era stata esclusa da un concorso per la formazione dirigenziale per enti poiché non in possesso dei titoli prescritti dal bando. Il titolo di avvocato, infatti, non equivale a quello rilasciato da scuole di specializzazione individuate dalla normativa vigente.

Lo ha affermato il TAR Lazio con la sentenza, 2 maggio 2024 numero 8767. I fatti La concorrente ha partecipato al concorso pubblico indetto dalla Scuola Nazionale dell'Amministrazione di seguito, SNA , pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il 30 dicembre 2022, dichiarando di possedere i requisiti richiesti, tra cui un master di secondo livello rilasciato dalla “Scuola Nazionale di Alta Formazione Specialistica” dell'Unione forense per la tutela dei diritti umani UFDU . Sul punto è da rilevare che il bando di concorso specificava che per l'ammissione alla selezione era necessario il possesso di una laurea specialistica o magistrale, di un dottorato di ricerca o di un master di secondo livello, oppure di un diploma di specializzazione conseguito presso scuole individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 27 aprile 2018. La ricorrente, superata la prova preselettiva del concorso con un punteggio elevato, è stata sottoposta alle verifiche amministrative. In tale frangente, la SNA ha richiesto chiarimenti sul titolo di studio dichiarato ritenendo che lo stesso non fosse riconducibile né a un master universitario di secondo livello né a un diploma rilasciato da scuole di specializzazione individuate dalla normativa vigente. Ricevute le osservazioni dalla concorrente, la SNA concludeva l'istruttoria e escludeva dalla procedura concorsuale la studentessa. Il ricorso Esclusa dal concorso, la studentessa ha impugnato, nei 60 giorni dalla conoscenza del provvedimento amministrativo, l'esclusione davanti al TAR Lazio, chiedendone l'annullamento. La tesi principale della ricorrente è che il titolo rilasciato dalla Scuola Nazionale di Alta Formazione Specialistica dell'Unione forense per la tutela dei diritti umani, riconosciuta dal Ministero della Giustizia e convenzionata con varie università italiane, fosse equivalente a un master di secondo livello. Essendo – peraltro – l'istituzione pubblico-privata idonea al rilascio di titoli validi per la partecipazione al concorso. La ricorrente ha, altresì, invocato il noto principio dell'assorbimento del titolo inferiore in quello superiore, affermando che il possesso del titolo di avvocato, conseguito all'esito di un percorso di formazione e tirocinio specifico, dovesse essere considerato superiore rispetto al master richiesto dal bando e ciò anche in virtù del quadro europeo delle qualifiche cd. EQF . La normativa rilevante e la decisione del TAR Prima di affrontare la specificità del caso, occorre fare un passo indietro, richiamando i principi fondamentali che regolano la materia dei concorsi pubblici. Sul punto, invero, l'amministrazione gode di ampia discrezionalità nell'individuazione dei requisiti per l'ammissione ad una procedura concorsuale, che va esercitata tenendo conto della professionalità e della preparazione culturale richieste per il posto da ricoprire o per l'incarico da affidare. Ciò non significa che la P.A. sia autorizzata a esercitare tale potere in via arbitraria, giacché lo stesso è suscettibile di sindacato giurisdizionale sotto i profili della illogicità, arbitrarietà, contraddittorietà e irragionevolezza. Tuttavia, nei limiti richiamati, l'Amministrazione ha ampio spazio. Si iscrive in questo contesto anche il principio, di creazione giurisprudenziale, dell'assorbimento del titolo inferiore nel titolo superiore, tenuto conto che l'esclusione dal concorso di soggetti in possesso del secondo, in quanto presupponente il primo per conoscenze e abilità acquisite, si risolverebbe in una violazione dei canoni di uguaglianza e di ragionevolezza. Tuttavia, proprio con riguardo al suinnanzi richiamato principio di assorbimento, occorre distinguere i casi in cui a è l'Amministrazione, nel quadro dei principi generali evidenziati, ad individuare i requisiti di partecipazione al concorso b quelli in cui è la fonte normativa, primaria o sub primaria, che vincola in modo più o meno stringente, tale potere di scelta della P.A. si veda anche, TAR Puglia, Bari, sez. I, 18 gennaio 2024, numero 83 . In questa seconda ipotesi, è la disposizione di legge o di regolamento che occorre tener presente ai fini della verifica della riconducibilità del titolo vantato dall'aspirante a quelli previsti per la partecipazione escludendo a priori che possa essere applicato il principio di equivalenza e quello di assorbimento. Così ricostruito il quadro normativo, e passando quindi al caso di specie, si evidenzia che il concorso selettivo di formazione bandito dalla SNA è soggetto ad una regolamentazione di dettaglio specifica, il d.P.R. numero 70/13 di attuazione e integrazione dell'articolo 28 d.lgs. numero 165/01, che vincola la P.A. costituendo unitamente al bando di concorso disciplina che non ammette integrazioni di sorta . Infatti, l'articolo 7 d.P.R. numero 70/13 richiamato nel preambolo del bando ha previsto che «al corso-concorso selettivo di formazione di cui all'articolo 28, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, numero 165, possono essere ammessi … i soggetti muniti di … master di secondo livello conseguito presso università italiane o straniere dopo la laurea magistrale». Analogamente, il d.P.C.M. numero 80/18 adottato in attuazione del menzionato articolo 7, d.P.R. numero 70/13 , recante l'individuazione delle scuole di specializzazione che rilasciano i diplomi che consentono la partecipazione ai concorsi per la qualifica di dirigente di seconda fascia, prevede, all'articolo 2, che i diplomi di specializzazione utili ai fini della partecipazione sono quelli rilasciati da scuole di specializzazione istituite presso le università o gli istituti universitari. Se così è, si comprende l'argomentazione spesa dalla Amministrazione resistente in giudizio e confermata dal TAR  TAR Lazio, sez. IV, sent., 2 maggio 2024 numero 8767 , secondo la quale «il titolo vantato dalla ricorrente va correttamente qualificato come attestato conseguito all'esito di un percorso di formazione biennale valevole ai fini dell'ottenimento e l'indicazione del titolo di avvocato specialista a norma dell'articolo 9 della legge professionalenumero 247 del 2012. La questione della sua riconducibilità nel novero dei titoli richiesti per l'accesso al concorso SNA dall'articolo 2, co. 1, lett. a1 del bando va risolta negativamente” e “il requisito dell'istituzione del corso/conseguimento del titolo presso università o istituti universitari, per la sua portata univoca, non appare surrogabile dalla stipula di una semplice convenzione». Dunque, a detta del TAR, il titolo non può essere ritenuto equivalente né ontologicamente, né poiché l'istituto che lo ha rilasciato è meramente convenzionato con l'Università, né, infine, si potrebbe applicare alla fattispecie il principio suinnanzi esaminato di assorbimento del titolo inferiore in quello superiore. Su questo aspetto, la pronuncia si rileva particolarmente interessante. Invero il Collegio, partendo da un precedente citato dalla ricorrente TAR Lazio, sez. I Bis, 24 dicembre 2021, numero 13458 , ricostruisce così il quadro rilevante al fine di negare l'applicabilità di siffatto principio alla fattispecie in esame. Il principio di assorbimento eterointerga la lex specialis Conseguenza di ciò è che «nel raffronto tra titoli di studio, il superiore [che] comprende “ad un livello di maggiore approfondimento e specializzazione, gli insegnamenti impartiti e le attività formative e/o pratiche previste dai programmi del corso di studi che conduce al titolo ‘inferiore' ex multis, TAR Lazio Roma, sez. I Bis, 12 aprile 2021, numero 4259 » assorbe quest'ultimo. Tuttavia, per riconoscerne l'operatività il titolo c.d. “assorbente” e il titolo assorbito debbono prevedere percorsi formativi tra essi omogenei. Ciò significa che se il titolo assorbente è una abilitazione professionale conseguita all'esito dello specifico percorso formativo e di pratica forense, diversamente dal titolo “assorbito” richiesto che è un titolo di studio, in quanto titolo di specializzazione post lauream il principio non può trovare applicazione. Qui la motivazione «In primo luogo, il termine “assorbimento”, già dal punto di vista semantico, implica che ciò che è “assorbito” perda completamente la propria individualità per essere ricompreso in ciò che è “assorbente”. Ciò implica che tra il secondo termine della relazione ciò che è “assorbente” e il primo ciò che è “assorbito” sussista un'identità sul piano qualitativo, altrimenti l'assorbimento non potrebbe operare, giacché parte di ciò che è assorbito - eterogenea rispetto a ciò che è “assorbente” - continuerebbe ad esistere e a dispiegare effetti giuridici, verificandosi piuttosto un fenomeno di parziale sovrapposizione. Tale è la ragione per cui la giurisprudenza ha elaborato e continua ad applicare la regola dell'assorbimento in questa materia allorché la relazione sia tra titoli di studio, come nel caso tipico del diploma di scuola secondaria superiore in rapporto al diploma di laurea in una disciplina omogenea, rispetto ai quali sussiste una sovrapposizione di materie agevolmente verificabile attraverso l'esame dei piani di studio. Pertanto, se, come affermato nella sentenza citata, le SSPL “hanno lo scopo di formare i futuri magistrati, avvocati e notai” ed è noto che trattasi di professioni diverse, non si vede come l'intero piano formativo delle Scuole possa ritenersi completamente assorbito dal superamento dell'esame di abilitazione allo svolgimento di una soltanto di queste. Il superamento dell'esame di abilitazione, dunque, non dimostra affatto il possesso di tutte le conoscenze che le Scuole offrono tantomeno necessariamente la conoscenza di tutte le materie di studio con un maggiore livello di approfondimento, come richiesto dalla giurisprudenza , essendo queste dirette a formare figure professionali eterogenee e, soprattutto, a fornire gli strumenti necessari per la preparazione a concorsi ed esami diversi, ciascuno connotato da proprie peculiarità . Ancora, l'affermazione secondo la quale “il ricorrente non ha ritenuto di conseguire anche il diploma SSPL in quanto era già avvocato. Si sarebbe trattato del conseguimento di un titolo di studio superfluo nel suo caso” pecca per eccesso, giacché il fatto che il diploma in questione sia “superfluo” ai fini dell'esercizio della professione forense non può voler dire che lo stesso sia “superfluo” anche ai fini della partecipazione ad un concorso pubblico che espressamente lo richiede”. Orbene, l'argomentazione spesa dal TAR parrebbe focalizzata su un giudizio più che formale, pratico. Il percorso di pratica e il conseguimento del titolo di avvocato pur essendo abilitante la professione, non potrebbe essere paragonato alla formazione derivante dalla frequenza ad una scuola forense post lauream, la quale prevede un percorso di studio e formazione “diverso” per poter preparare e affrontare, oltre l'esame di abilitazione forense, anche concorsi quale quello di magistratura e notarile. Di qui il rigetto del ricorso anche sotto quest'ultimo motivo.