Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione ha escluso l’efficacia retroattiva della disciplina sull’equo compenso già prevista dall’articolo 13-bis l. numero 247/2012 e oggi contenuta nella l. numero 49/2023
Nel luglio 2007, lo studio di avvocati Alfa stipula con l'assicurazione Beta una convenzione per regolare la remunerazione delle prestazioni professionali. I termini dell'accordo rimangono invariati sino al marzo 2013, quando viene stipulata un'altra convenzione che prevede per l'assicurazione condizioni economiche più favorevoli e da applicarsi anche alle cause già pendenti. Negoziate le nuove condizioni contrattuali, lo studio Alfa emette nei confronti dell'assicurazione svariate parcelle sulla base della precedente convenzione queste parcelle, però, rimangono insolute, sicché lo studio Alfa è costretto ad agire in via monitoria dinanzi al Giudice di Pace di Caserta per ottenere la condanna al pagamento degli onorari. Vengono così emessi ben 29 decreti ingiuntivi, tutti opposti dall'assicurazione, sul presupposto che i compensi dovessero calcolarsi in misura più ridotta, sulla base della convenzione del 2013. A fronte del saldo parziale da parte della debitrice dei crediti azionati, il Giudice di Pace revoca dunque tutti i decreti ingiuntivi. La pronuncia viene confermata dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere anche in sede di gravame, si ritiene che i compensi professionali avrebbero dovuto quantificarsi secondo la convenzione del 2013. La tesi, però, non convince lo studio di avvocati che impugna la decisione dinanzi alla Corte di Cassazione nella speranza di ottenerne la riforma. Per quanto di interesse, il ricorrente censura la decisione per l'omessa verifica della validità delle clausole della convenzione del 2013 alla luce della disciplina sull'equo compenso sancita dall'articolo 13-bis l. numero 247/2012. Invero, introdotta dal d.l. numero 148/2017 conv. l. numero 172/2017 , tale disciplina regolava le convenzioni aventi ad oggetto lo svolgimento di attività esclusive di avvocato a favore di imprese bancarie, assicurative o comunque grandi v. 1° comma presumeva, sino a prova contraria, che le menzionate convenzioni fossero state predisposte unilateralmente dalle citate imprese v. 3° comma qualificava come vessatorie, in assenza di specifica trattativa o approvazione, fra le altre, le clausole che, “in ipotesi di nuova convenzione sostitutiva di altra precedente stipulata con il medesimo cliente”, prevedevano che “la nuova disciplina sui compensi si applicasse, se comportava compensi inferiori a quelli previsti nella precedente convenzione, anche gli incarichi pendenti o, comunque, non ancora definiti o fatturati” v. 5° comma, lett. h . La Corte di Cassazione non condivide però la prospettazione, escludendo che l'articolo 13-bis l. numero 247/2012 avesse portata retroattiva soprattutto perché priva di qualsivoglia valenza interpretativa, la norma, essendo entrata in vigore nel dicembre 2017, non era applicabile alla convenzione che le parti avevano sottoscritto nel 2013 v. Cass. 17 aprile 2020, numero 7904 . L'assunto – che, insieme ad altri, conduce al rigetto dell'impugnazione – è altresì coerente con la l. numero 49/2023. Del resto, la novella – che, a decorrere dal 20 maggio 2023, ha abrogato l'articolo 13-bis l. numero 247/2012, mantenendone comunque, seppur con alcune varianti, buona parte dei contenuti – prevede, all'articolo 11, che le relative disposizioni non si applicano alle convenzioni in corso, se sottoscritte prima della data della sua entrata in vigore.
Presidente Di Virgilio - Relatore Falaschi Osserva in fatto e in diritto Ritenuto che - lo studio legale omissis chiedeva ed otteneva dal Giudice di pace di Caserta l'emissione di numero 29 decreti ingiuntivi per crediti professionali maturati nei confronti della omissis s.p.a. per avere espletato per suo conto gli incarichi di cui alla convenzione stipulata dalle parti il 19.07.2007 di durata annuale, rinnovata tacitamente, decreti avverso i quali la pretesa debitrice proponeva separate opposizioni, poi riunite, deducendo che era stato elaborato un nuovo testo contrattuale di cui alla Convenzione del 2013, che disciplinava diversamente i rapporti economici fra le parti, adattandoli alle variegate realtà presenti su tutto il territorio nazionale, accordo sottoscritto dall'Avv. omissis il 14.03.2013 e in ordine al quale pendeva controversia avanti al Tribunale di Milano per definirne la portata, per cui eccepiva il difetto di competenza del giudice adito in monitorio per continenza con il giudizio pendente a Milano, in subordine, chiedeva la sospensione dei giudizi ex articolo 295 c.p.c. aggiungeva che non era stata fornita la prova delle prestazioni eseguite e che aveva omesso di applicare i criteri quantitativi previsti dalla Convenzione del 2013, oltre ad avere abusato del proprio diritto di credito per avere illegittimamente frazionato le proprie pretese creditorie in plurime procedure monitorie - instaurato il contraddittorio, nella resistenza dello Studio intimante, il giudice adito, con sentenza numero 957/2017, nell'accogliere parzialmente l'opposizione, riteneva l'applicabilità della Convenzione del 2013 e in ragione del pagamento stragiudiziale intervenuto, revocava i ventinove decreti ingiuntivi, considerando che l'importo versato per ciascuno di essi fosse superiore al dovuto, compensate le spese processuali - sul gravame interposto dallo Studio legale omissis , il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con sentenza numero 1417 del 2021, rigettava l'appello e per l'effetto confermava la sentenza del Giudice di pace di Caserta, seppure con parziale correzione della motivazione, compensate le spese del grado. A sostegno di tale decisione il giudice adito premetteva che la revoca dei decreti ingiunti doveva ritenersi effettuata non in ragione del pagamento della sorte capitale avvenuto in corso di causa, ma innanzitutto in ragione del riconoscimento di un importo minore a titolo di corrispettivo dovuto per l'attività espletata dallo Studio professionale sottolineava, nel merito, che andava condivisa e non incorreva nel vizio ultrapetizione la statuizione del giudice di prime cure secondo cui nella specie trovava applicazione la convenzione del 2013 per il calcolo dei compensi spettanti all'associazione professionale, in primo luogo per avere la omissis posto la questione già con le prime difese e comunque si trattava di una mera difesa come tale pienamente ammissibile al di là di eventuali domande riconvenzionali. Aggiungeva che andava anche condivisa la conclusione secondo cui l'avv. omissis aveva concluso la convenzione del 2013 per conto della medesima Associazione, come del resto affermato anche dal Tribunale di Milano sentenza numero 625/2017 , che non faceva stato tra le parti ma aveva rilevanza quanto alle prove e all'interpretazione della convenzione, trattandosi del medesimo atto, in quanto alla clausola di cui all'articolo 7.2 era espressamente previsto che l'accordo annullava e sostituiva i precedenti e tra l'avv. omissis , persona fisica, e la omissis non intercorrevano precedenti rapporti. Inoltre, detta clausola stabiliva che l'applicazione dei nuovi parametri aveva ad oggetto anche tutte le cause in corso. Né poteva trovare accoglimento la deduzione relativa alla mancata condanna dell'assicurazione al pagamento degli interessi e delle spese dei procedimenti monitori a seguito della revoca dei decreti ingiuntivi in assenza di uno specifico motivo d'impugnazione sul punto, essendo l'atto di appello fondato sulla negazione della validità della Convenzione del 2013 posta a fondamento del riconoscimento del minor importo. Neanche poteva essere effettuata la quantificazione del minore importo dovuto in appello in ragione del divieto di riforma in peius. Riteneva, inoltre, di confermare la compensazione delle spese del giudizio di primo grado per la sussistenza di giusti motivi, compensate anche quelle di appello in virtù della riforma della sentenza impugnata in punto di motivazione - avverso la citata sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha proposto ricorso per cassazione l'Associazione Professionale Studio Legale omissis , sulla base di quattro motivi, articolati i primi due in sub-censure, cui ha resistito con controricorso la omissis - fissata adunanza camerale per il 17 maggio 2023, il procedimento – stante l'istanza di parte controricorrente ai sensi degli articolo 273 e/o 274 c.p.c., ribadita anche dal ricorrente nella memoria ex articolo 380-bis.1 c.p.c. - è stato rinviato a nuovo ruolo per connessione con quello R.G. numero 14014/2021, pendente fra le medesime parti ed avente ad oggetto la sentenza numero 825/2021 del medesimo ufficio giudiziario, chiamato alla stessa udienza, con l'ordinanza interlocutoria numero 22672/2023 del 26.07.2023, per valutare la riunione anche rispetto ad un diverso gruppo di procedimenti trattati sempre da questa Sezione all'udienza dell'8 marzo 2023, al fine di assicurare omogeneità di giudizio e comunque in attesa della definizione dei procedimenti predetti - in prossimità dell'ulteriore adunanza camerale fissata per il 21.11.2023, parte ricorrente ha curato anche il deposito di memoria ai sensi dell'articolo 380 bis.1 c.p.c. Considerato che - va pregiudizialmente rigettata l'istanza di riunione avanzata dalla controricorrente in data 11 novembre 2022 con riferimento al ricorso recante numero R.G. 14014/2021, proposto avverso la sentenza numero 825/2021 del 30 marzo 2021, resa dallo stesso Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, giudizio che si assume abbia già ricostruito la convenzione del 2013 sulla determinazione dei compensi professionali e relativo alla. La riunione delle impugnazioni, che è obbligatoria, ai sensi dell'articolo 335 c.p.c., ove esse investano lo stesso provvedimento, può altresì essere facoltativamente disposta, anche in sede di legittimità, ma a condizione che i ricorsi, seppur proposti contro provvedimenti diversi, siano fra loro connessi, nel senso che la loro trattazione separata prospetti l'eventualità di soluzioni contrastanti, ovvero siano ravvisabili ragioni di economia processuale o profili di unitarietà sostanziale e processuale delle controversie cfr Cass., Sez. Unumero , 23 gennaio 2013 numero 1521 , laddove, nel caso in esame, le prospettate ragioni di connessione tra i due ricorsi identità soggettiva dei giudizi, con riferimento alle persone dei professionisti legali ed alla società cliente, unitarietà del rapporto di assistenza professionale, pur nella diversità delle specifiche prestazioni oggetto delle distinte cause, e presumile analogia di alcune delle questioni di diritto implicate non appaiono tali da rendere opportuno, per ragioni di economia processuale, il loro esame congiunto - passando al merito, con il primo motivo il ricorrente lamenta il vizio di ultrapetizione e di violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato per avere fatto applicazione della convenzione del 2013 “per la parametrazione dei compensi erroneamente rituale ed ammissibile la domanda di riparametrazione del credito. Di converso l'opponente nell'atto di citazione aveva solo richiamato la Convenzione 2013, peraltro a tutti altri fini con riguardo ad eccezioni di rito, senza al contempo individuare un conteggio o una proposta di conteggio alternativo a quello indicato nei decreti opposti. Da siffatti argomenti si fa discendere, nel secondo sub-motivo, la nullità della sentenza ai sensi dell'articolo 360, comma 1 numero 4 c.p.c., oltre a violazione degli articolo 112 e 163 e/o 39 c.p.c., nonché dell'articolo 111 Cost. Insiste, inoltre, nell'erroneo utilizzo a fini decisori della interpretazione della sentenza milanese. Il motivo è infondato. La richiesta di annullamento e/o revoca delle ingiunzioni emessa a seguito della domanda monitoria del professionista era stata proposta già nell'atto di opposizione laddove era stata denunciata l' esistenza della Convenzione 2013 con la quale erano stati rideterminati i compensi spettanti al professionista, “anche in relazione agli incarichi pregressi già affidati”, come previsto espressamente dall'articolo 7.2 dell'accordo, sottoscritto dallo stesso avvocato OMISSIS v. alle pagine 2 e 3 dell'atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo , per cui “in diritto” veniva chiesto l'annullamento ovvero la revoca del provvedimento in monitorio per avere lo Studio “omesso di applicare i criteri quantitativi previsti nella Convenzione 2013” v. pag. 4 dello stesso atto di citazione . Inoltre, l'esame della questione circa la applicabilità della Convenzione del 2013 è stato devoluto al giudice del gravame dalla stessa Associazione con il primo motivo di appello, come mostrato dalle ragioni di contestazione puntualmente riprodotte dalla medesima sentenza impugnata v. pagg. 5 e 7 della decisione , evidenziando che l'Associazione professionale aveva insistito per la non applicabilità della Convenzione del 2013 individuando le possibili conseguenze di una tale scelta processuale. La richiesta di revoca dei provvedimenti monitori non introduceva pertanto alcuna modifica delle conclusioni già formulate, né sostanziava una domanda nuova, considerato che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo l'opponente riveste la qualità di convenuto sostanziale e, ove si limiti a chiedere il rigetto o l'inammissibilità della domanda monitoria, non formula domande in senso tecnico, ma mere difese o eccezioni, deducibili in appello Cass. numero 24815 del 2005 e Cass. numero 16011 del 2003 e il giudice di appello, pertanto, non è incorso nel denunciato vizio di ultrapetizione - con il primo motivo sub-B seconda censura lo Studio ricorrente denuncia la nullità della sentenza ai sensi dell'articolo 360, comma 1, numero 4 c.p.c. per violazione degli articolo 101, comma 2 c.p.c. e 111 Cost. per avere il giudice di prime cure trattenuto la causa a decisione ponendo a fondamento del proprio convincimento la sentenza del Tribunale di Milano, depositata dall'assicurazione solo unitamente alla comparsa conclusionale in data 13.03.2017, senza riaprire l'istruttoria o provocare il contraddittorio fra le parti. Il motivo è infondato, in quanto non si è in presenza di una pronuncia assunta a sorpresa, in violazione del contraddittorio, apparendo la riconduzione dell'accordo allo schema del contratto normativo del 2013 frutto di una mera qualificazione giuridica, che non andava previamente segnalata o proposta all'esame delle parti, avendo peraltro costituito il punto nodale del contraddittorio fra le parti. Da una tale omissione, inoltre, non derivava la configurazione di altro vizio processuale diverso dall' error iuris in iudicando ovvero dall' error in iudicando de iure procedendi , la cui denuncia in sede di legittimità consente la cassazione della sentenza solo se tale errore sia in concreto sussistente Cass. numero 11440 del 2021 Cass. numero 11308 del 2020 Cass. numero 17473 del 2018 Cass. numero 11453 del 2014 Cass., Sez. Unumero , numero 20935 del 2009 - con il secondo motivo sub-A prima censura lo Studio lamenta la nullità della sentenza ai sensi dell'articolo 360, comma 1 numero 3 c.p.c. per violazione degli articolo 1388,1399 e 2233 c.c. per essere stato stabilito in sentenza che i crediti ingiunti dovevano essere calcolati sulla base dei criteri di cui alla successa convenzione 2013 seppure tale accordo non risultasse sottoscritto dall'Associazione ma dal solo avv. OMISSIS . Il Giudice del merito era giunto a siffatta conclusione senza neanche confrontare i testi delle due convenzioni e i sottoscrittori delle medesime. Aggiunge, altresì, che il pagamento stragiudiziale effettuato nel 2016 costituiva una ricognizione del debito del compenso 2007 il Giudice dell'appello ha fatto riferimento per la prima volta alla clausola contrattuale 7.2 della convenzione 2013. Con il secondo motivo sub-B seconda censura la stessa ricorrente denuncia la nullità della sentenza ai sensi dell'articolo 360, comma 1 numero 4 c.p.c., per violazione degli articolo 115 e 116 c.p.c. con riferimento agli articolo 1388,1399,2233,2721,2722 e 2729 c.c. per non avere tenuto neanche conto del dato testuale della documentazione prodotta dall'Associazione, laddove la convenzione del 2007 risultava sottoscritta dalla ricorrente e quella del 2013 dal solo avvocato OMISSIS . In altri termini, la contemplatio domini è stata desunta dal giudice del merito in assenza della spendita del nome del rappresentato e tenuto conto che si trattava di accordo tariffario, per il quale l'articolo 2233, comma 3 c.c. richiede la forma scritta ad substantiam. La censura, in entrambe le sue articolazioni, è priva di pregio. Il perfezionamento di un contratto normativo trova riscontro nella principale finalizzazione dell'accordo, volto a fissare le condizioni di futuri incarichi, non essendo escluso dal fatto che le parti avessero inteso regolare anche le attività precedentemente svolte fatturate successivamente , sempre nell'ambito di una relazione unitaria. L'attrazione di tali rapporti pregressi nell'alveo della successiva convenzione tariffaria costituisce un effetto della scelta – rimessa all'autonomia delle parti – di applicare retroattivamente le condizioni economiche, essendo peraltro indubbio che – per la parte che qui interessa – il credito di cui si discute scaturisse da attività professionali successive, espletate nel pieno vigore della convenzione. Tale regolamentazione unitaria, anche se assunta ex post, dava conto proprio dell'omogeneità e della già in essere unitarietà dei rapporti, nei termini evidenziati. Non era in alcun caso esclusa l'applicazione delle norme del contratto d'opera professionale per gli aspetti e le questioni regolati dall'accordo quanto, ad es., alla possibilità di stabilire un compenso diverso da quello tariffario articolo 2233, comma primo, c.c. alla necessità dell'accordo scritto sul corrispettivo articolo 2233, comma terzo, c.c. alla regolazione del diritto di recesso articolo 2237 c.c. , né può dirsi che il Tribunale abbia fatto ricorso all'analogia in assenza dei relativi presupposti giustificativi. Fatte tali precisazioni, è invece decisivo evidenziare che – ai fini di cui si discute – non vengono in considerazione né eventuali patologie negoziali della convenzione, né la qualificazione dell'accordo come contratto professionale o normativo, ma solo il dato fattuale della riconducibilità ed omogeneità dei singoli incarichi nell'ambito di una relazione unitaria svoltasi nel tempo e peraltro anche giuridicamente sancita proprio con la convenzione di cui si discute . Ciò supera anche la deduzione circa la rilevanza della circostanza che la Convenzione del 20013 sia stata sottoscritta dall'avvocato OMISSIS senza spendita del nome dell'Associazione rappresentata. Peraltro, nelle decisioni più recenti di questa Corte, al contrario, si è affermato che lo studio professionale associato, quantunque privo di personalità giuridica, rientra a pieno titolo nel novero di quei fenomeni di aggregazione di interessi cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomi centri di imputazione di rapporti giuridici, muniti di legale rappresentanza in conformità della disciplina dettata dall'articolo 36 c.c. Cass. numero 17683 del 2010 conf., Cass. numero 22439 del 2009 Cass. numero 24410 del 2006 e, prima ancora, Cass. numero 4628 del 1997 , e poiché l'articolo 36 c.c. stabilisce che l'ordinamento interno e l'amministrazione delle associazioni non riconosciute sono regolati dagli accordi tra gli associati, che ben possono attribuire all'associazione la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità di rapporti, poi delegati ai singoli aderenti e da essi personalmente curati, ne consegue che, ove il giudice del merito accerti tale circostanza, sussiste la legittimazione attiva dello studio professionale associato, cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomo centro d'imputazione di rapporti giuridici, rispetto ai crediti per le prestazioni svolte dai singoli professionisti a favore del cliente conferente l'incarico, in quanto il fenomeno associativo tra professionisti può non essere univocamente finalizzato alla divisione delle spese ed alla gestione congiunta dei proventi Cass. numero 15694 del 2011 conf. Cass. numero 15417 del 2016 Cass. numero 8768 del 2018 che ha ribadito l'assimilazione della figura in esame alle associazioni non riconosciute Cass. numero 17718 del 2019 Cass. numero 2332 del 2022 . Inoltre, questa Corte ha ripetutamente affermato che l'esternazione del potere rappresentativo può avvenire anche senza espressa dichiarazione di spendita del nome del rappresentato, purché il comportamento del rappresentante sia tale, per univocità e concludenza, da portare a conoscenza dell'altro contraente la circostanza che egli agisce per un soggetto diverso, nella cui sfera giuridica gli effetti del contratto sono destinati a prodursi direttamente. L'accertamento circa la sussistenza o meno della spendita del nome del rappresentato è, poi, compito devoluto al giudice del merito, ed è incensurabile in sede di legittimità ove sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e da errori di diritto Cass. numero 15235 del 2001 conf. Cass. sez. unumero numero 22234 del 2009 Cass. numero 13978 del 2005 . Nei contratti a forma libera, al fine di manifestare il potere rappresentativo non è necessario che il rappresentante usi formule sacramentali, ma è sufficiente che dalle modalità e dalle circostanze in cui ha svolto l'attività negoziale e dalla struttura e dall'oggetto del negozio i terzi possano riconoscerne l'inerenza all'impresa sociale sì da poter presumere, secondo i criteri correnti nella vita degli affari, che l'attività è espletata nella qualità di rappresentante di altro soggetto Cass. numero 23131 del 2010 . La contemplatio domini non esige, dunque, l'impiego di formule solenni o l'osservanza di un preciso rituale, e può essere manifestata attraverso un comportamento del rappresentante che, per univocità e concludenza, sia idoneo a portare a conoscenza dell'altro contraente che egli agisce per un soggetto diverso, nella cui sfera giuridica gli effetti del contratto concluso sono destinati a prodursi direttamente Cass. numero 13978 del 2005 Cass. numero 22333 del 2007 . Del resto le associazioni non riconosciute, ancorché sfornite di personalità giuridica che deriva dall'iscrizione nel registro delle persone giuridiche di cui al d.P.R. 10 febbraio 2000, numero 361 regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti di riconoscimento di persone giuridiche private e di approvazione delle modifiche dell'atto costitutivo e dello statuto , sono però dotate di soggettività giuridica in relazione a plurime situazioni giuridiche in ragione di specifiche disposizione di legge articolo 38 c.c. per i rapporti obbligatori articolo 2659 c.c. per i rapporti reali dotate di soggettività giuridica in relazione a plurime situazioni giuridiche in ragione di specifiche disposizioni di legge articolo 38 c.c. per i rapporti obbligatori articolo 2659 c.c. per i rapporti reali articolo 600 e 786 c.c. per le disposizioni testamentarie e le donazioni . In particolare, per i rapporti obbligatori l'articolo 38 c.c. prevede che per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l'associazione i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune delle obbligazioni così assunte dall'associazione non riconosciuta rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione. Questa fattispecie di autonomia patrimoniale imperfetta, che si ritrova riprodotta in termini similari ma non identici anche per le società sfornite di personalità giuridica, presuppone che un soggetto abbia agito in nome e per conto dell'associazione vuoi secondo lo schema tipico della rappresentanza talché potrebbe trattarsi anche di un soggetto estraneo all'associazione ovvero di un soggetto affiliato sì, ma che non ricopra alcuna carica sociale , vuoi secondo lo schema dell'immedesimazione organica ove si tratti di un soggetto che - secondo l'ordinamento interno dell'associazione e quindi secondo gli accordi degli associati articolo 36 c.c. - sia abilitato a manifestare la volontà dell'associazione. Nell'uno e nell'altro caso occorre è richiesto soltanto che questo potere rappresentativo sia regolato dallo statuto dell'associazione - con il terzo motivo il ricorrente – in via subordinata - lamenta la nullità della sentenza ai sensi dell'articolo 360, comma 1, numero 4 c.p.c. per violazione dell'articolo 345 c.p.c. con riferimento agli articolo 1341 c.c. e 13 bis legge numero 247 del 2012 per non avere il Giudice di merito preliminarmente verificato la validità anche ai sensi dell'articolo 13 bis, c.d. legge sull'equo compenso, della convenzione. Ad avviso dello Studio associato la nullità della convenzione avrebbe dovuto essere rilevata dal Giudice a quo non trovando applicazione l'articolo 345, comma 1 per le eccezioni rilevabili di ufficio. Si insiste nella nullità della clausola 7.2 della convenzione, anche in combinato disposto con la clausola 2.2 in quanto violerebbe in radice lo stesso sinallagma contrattuale quanto ai profili di applicabilità della stessa ratione temporis. Anche la terza censura non può trovare ingresso. L'invocato articolo 13-bis della legge numero 247 del 2012 è stato introdotto dal d.l. 16 ottobre 2017, numero 148, convertito con modificazioni dalla l. 4 dicembre 2017, numero 172, quindi dopo la stipulazione della convenzione di cui trattasi - che entrambe le parti hanno indicato esser avvenuta nel 2013. La norma specificamente prevede per quanto interessa , da un lato, che le convenzioni aventi a oggetto lo svolgimento, anche in forma associata o societaria, delle attività esclusive di avvocato articolo 2, quinto e sesto comma, stessa legge in favore di imprese bancarie e assicurative, nonché di imprese non rientranti nelle categorie delle microimprese o delle piccole o medie imprese, come definite nella raccomandazione 2003/361-CE della Commissione, del 6 maggio 2003, si presumono unilateralmente predisposte dalle imprese suddette salva prova contraria e dall'altro che, ai fini della stessa norma, si considerano vessatorie le clausole contenute nelle ripetute convenzioni che determinano, anche in ragione della non equità del compenso pattuito, un significativo squilibrio contrattuale a carico dell'avvocato. Anche a volere assumere la forza retroattiva in virtù dell'avvenuta eliminazione, nella versione originaria della norma stessa, della clausola di decadenza in ordine alla proposizione dell'azione di nullità entro il termine di ventiquattro mesi dalla data di sottoscrizione delle convenzioni articolo 1, comma 487, della I. numero 205 del 2017 , l'assunto è del tutto infondato, poiché la stessa versione originaria, in quanto successiva alla convenzione di cui è causa, non poteva applicarsi retroattivamente. Né la norma introdotta dal d.l. numero 148 del 2017 ha valenza interpretativa, per farne discendere l'effetto dell'applicabilità retroattiva in mancanza dell'espressa previsione nel senso dell'interpretazione autentica e dei presupposti di incertezza applicativa di norme anteriori, che ne avrebbero giustificato l'adozione v. in termini, Cass. numero 7904 del 2020 - con il quarto motivo il ricorrente nel lamentare la nullità della sentenza ai sensi dell'articolo 360, comma 1, numero 3 c.p.c. per violazione degli articolo 88,91 e 92 c.p.c., evidenzia che il Giudice del gravame nel confermare l'integrale compensazione delle spese avrebbe disapplicato il principio di causalità della casa e il principio della prevalenza degli oneri, per avere comunque la omissis pagato nel corso del giudizio. La doglianza è infondata. Occorre premettere che nella specie trova applicazione, ratione temporis, l'articolo 92, comma 2 c.p.c. come sostituito dall'articolo 13 d.l. 12 settembre 2014 numero 132 conv. con mod. dalla legge 10 novembre 2014 numero 162. In forza di tale disposizione il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, solo se vi è soccombenza reciproca o nel caso di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti o “qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni”, a seguito della sentenza numero 77/2018 della Corte Costituzionale. La disposizione costituisce norma elastica, quale clausola generale che il legislatore ha previsto per adeguarla a speciali situazioni, non esattamente determinabili a priori, ma da specificare in via interpretativa dal giudice di merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità in quanto fondato su norme giuridiche Cass. numero 7992 del 2022 le gravi ed eccezionali ragioni non possono essere illogiche ed erronee, altrimenti si configura il vizio di violazione di legge Cass. numero 9977 del 2019 e, al di là delle ipotesi in cui all'affermazione del giudice non corrispondano le evidenze di causa, il sindacato della Cassazione non può giungere fino a misurare “gravità ed eccezionalità” delle ragioni Cass. numero 15495 del 2022 . Nella motivazione della sentenza numero 77/2018 della Corte Costituzionale si rileva che la compensazione delle spese di lite deve dirsi ragionevolmente disposta ove ricorra soccombenza reciproca e in caso di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, o in ipotesi di sopravvenienze relative al quadro di riferimento della controversia, che presentino la stessa gravità ed eccezionalità delle situazioni tipiche espressamente previste dall'articolo 92 co.2 cod. proc. civ. quindi, anche l'oggettiva opinabilità delle questioni affrontate o l'oscillante soluzione a esse data in giurisprudenza integra la nozione Cass. 7992/2022 cit. . Nella fattispecie, essendo indubbio che la soccombenza in giudizio non osta alla possibilità di compensare le spese processuali, secondo una valutazione rimessa al giudice di merito, agganciata ai presupposti dell'articolo 92 c.p.c., la censura si limita ad una generica contestazione, esclusivamente volta a sostenere che le spese andavano poste a carico della omissis in ragione della circostanza che la debitrice aveva corrisposto quanto dovuto solo nel corso del giudizio. La compensazione appare, per contro, adottata alla luce delle particolarità del caso concreto, da cui sono stati ravvisati i giusti motivi, almeno nel giudizio di prime cure, per cui la motivazione appare corretta. Quanto alla compensazione delle spese del grado di appello, la compensazione è stata legittimamente argomentata con la modifica della motivazione, neanche censurata in questa sede. In conclusione, il ricorso va rigettato e il ricorrente deve essere condannato al rimborso delle spese di lite, liquidate come in dispositivo, in forza del principio della soccombenza. Stante il tenore della pronuncia, ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. numero 115 del 2002, inserito dall'articolo 1, comma 17 della l. numero 228 del 2012, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 1.600,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie e agli accessori di legge. Ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. numero 115 del 2002, inserito dall'articolo 1, comma 17 della l. numero 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.