Se installato su autovetture aziendali destinate allo svolgimento di specifici servizi, il telepass deve essere considerato uno strumento direttamente funzionale all’efficienza della singola prestazione, oltre che ormai fortemente compenetrato con essa nell’odierna pratica lavorativa.
Ne consegue che - così contestualizzato – tale strumento rientra nell'ambito applicativo del comma 2 dell'articolo 4 Legge numero 300/1970. Tuttavia, le informazioni raccolte attraverso il telepass sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro e, quindi, anche a fini disciplinari solo a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli, oltre che nel rispetto di quanto disposto dalla normativa in tema di privacy. Il caso La Suprema Corte è stata chiamata a valutare la legittimità di un licenziamento disciplinare fondato su una serie di inadempimenti alla prestazione lavorativa contestati ad un lavoratore anche in base a dati in particolare, luoghi e orari di pagamento dei pedaggi autostradali acquisiti attraverso il telepass installato sull'autovettura aziendale in uso al dipendente. In primo grado il Tribunale di Fermo aveva ritenuto legittimo il licenziamento irrogato su tali presupposti. In secondo grado, invece, la Corte d'Appello di Ancona aveva accolto l'appello del lavoratore e, in parziale riforma del primo arresto, aveva annullato il licenziamento, dichiarando di conseguenza l'estinzione del rapporto di lavoro e condannando il datore di lavoro al pagamento in favore dell'ex dipendente di un'indennità risarcitoria. In particolare, la Corte territoriale aveva ritenuto inutilizzabili i dati derivanti dall'uso del telepass da parte del lavoratore, il quale non aveva ricevuto specifica informativa sull'utilizzo di tale strumento e sulle implicazioni dello stesso ai fini dei controlli a distanza. Per tale ragione, i fatti disciplinari che residuavano erano stati ritenuti insufficienti per giustificare il licenziamento. Il telepass è uno strumento di controllo a distanza Nel giudizio di cassazione la società ha eccepito l'errore del Collegio di secondo grado, che non aveva valutato che i controlli eseguiti dai propri uffici amministrativi, incrociando i dati emersi dalla rendicontazione degli apparati telepass con i rapporti di servizio e i contratti stipulati con i clienti, erano finalizzati anche a prevenire l'abuso di tali apparati da parte dei dipendenti. La Suprema Corte ha ricordato che per controlli difensivi sui dipendenti si intendono i controlli diretti ad accertare comportamenti estranei al rapporto di lavoro illeciti o lesivi del patrimonio e dell'immagine aziendale e, dunque, non volti ad accertare l'inadempimento delle ordinarie obbligazioni contrattuali. Tra i controlli difensivi sono ammessi anche quelli cd. “tecnologici” posti in essere dal datore di lavoro finalizzati alla tutela di beni estranei al rapporto di lavoro o ad evitare comportamenti illeciti, in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito, purché sia assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi aziendali, correlata alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, sempre che il controllo riguardi dati acquisiti successivamente all'insorgere del sospetto. Per tale ragione, spetta al datore di lavoro allegare e provare le specifiche circostanze che l'hanno indotto ad attivare il controllo tecnologico ex post. È necessaria una preventiva ed adeguata informazione al lavoratore Posto che il telepass installato su iniziativa datoriale sull'autovettura messa a disposizione del dipendente per lo svolgimento delle mansioni di tecnico trasfertista consente la registrazione dei transiti autostradali in entrata e in uscita e che, dunque, in questo modo si può attuare un controllo a distanza, seppure postumo, tale teorica o concreta possibilità di controllo rende utilizzabili i dati ricavati da tale strumento solo se il lavoratore è stato previamente ed adeguatamente informato delle modalità d'uso dello stesso e dell'effettuazione dei controlli nel rispetto di quanto previsto dalla normativa sulla privacy, come sancito dal comma 3 dell'articolo 4 legge numero 300/1970. In conclusione, la Cassazione rigetta il ricorso della società.
Presidente Doronzo – Relatore Caso Fatti di causa 1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d'appello di Ancona accoglieva l'appello proposto da N.A. contro la sentenza del Tribunale di Fermo numero 62/2020 e, in riforma di tale decisione, annullava il licenziamento disciplinare intimato al lavoratore dalla omissis s.p.a. in data 1.3.2019, dichiarava l'estinzione del rapporto di lavoro da tale data e condannava la società al pagamento in favore del N.A. di un'indennità risarcitoria liquidata in misura pari a otto mensilità dell'ultima retribuzione utile per il calcolo del T.F.R. 2. Premetteva la Corte territoriale che il primo giudice - a fronte delle richieste del lavoratore, volte ad ottenere la declaratoria d'illegittimità di due licenziamenti irrogatigli per motivi disciplinari dalla società, il secondo condizionato all'eventuale pronuncia di annullamento del primo -, aveva ritenuto la legittimità del primo licenziamento sia da un punto di vista formale che da un punto di vista sostanziale, sicché aveva giudicato superfluo analizzare il secondo recesso, adottato dalla società in data 18.4.2019. 2.1. Riteneva, poi, che dalla complessiva lettura dell'atto di appello non emergevano nuove domande ed eccezioni, che non fossero state già proposte in primo grado, potendo ammettersi nel processo di appello la possibilità che la parte arricchisca di ulteriori argomentazioni e particolari le difese già esposte in primo grado, senza incorrere nella violazione di cui all'articolo 437 c.p.c. 3. La Corte di merito, quindi, nell'esaminare congiuntamente il primo ed il secondo motivo di gravame, rilevava che la contestazione disciplinare, che aveva portato l'azienda, in data 1.3.2019, ad irrogare il licenziamento, era contenuta nella lettera del 14.2.2019 inviata dalla società al lavoratore, attraverso la quale, utilizzando i dati acquisiti per mezzo del sistema informatico in uso al N.A. per l'espletamento della prestazione lavorativa, nonché i riscontri dei pedaggi autostradali forniti dal sistema telepass installato sul mezzo affidatogli, aveva rilevato una serie di mancanze commesse nelle giornate lavorative del 4 e del 5 febbraio 2019. 3.1. Considerava, allora, che, rispetto al disposto di cui all'articolo 4 L. numero 300/1970, come modificato dall'articolo 23 d.lgs. numero 151/2015, mentre erano utilizzabili i dati derivanti dalla geolocalizzazione conseguente all'utilizzo del computer palmare in uso al dipendente, con mansioni di tecnico trasfertista, avendo l'azienda dimostrato, attraverso la produzione documentale, il rispetto della disposizione di cui al comma 3 dell'articolo 4 cit., lo stesso non poteva dirsi in ordine a quelli acquisiti per mezzo del telepass. 3.2. Relativamente a tale strumento, infatti, notava la Corte che la società non aveva dato prova di aver rispettato gli adempimenti indicati nella disposizione citata. 4. Secondo la Corte risultavano, perciò, inutilizzabili i dati acquisiti dalla OMISSIS in seguito all'uso del telepass da parte del lavoratore, con la conseguenza che non potevano avere alcun rilievo, a fini disciplinari, i punti della contestazione che facevano riferimento agli spostamenti con il mezzo ricavati da detti dati. 5. Quanto agli altri punti della contestazione disciplinare, rilevava che il datore di lavoro, dalle verifiche del sistema informatico, nelle giornate del 4 e del 5 febbraio 2019 aveva riscontrato alcuni ritardi nell'esecuzione della prestazione lavorativa ed alcune inesattezze nella redazione dei rapporti riguardanti gli interventi effettuati. 5.1. Considerava, tuttavia, che dall'attenta analisi di tali punti della contestazione disciplinare non si individuavano violazioni tali da configurare un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali, necessario affinché si possa recedere dal rapporto ai sensi dell'articolo 3 L. numero 604/1966, e ciò sia in relazione alla tempistica degli interventi effettuati presso i clienti della società sia riguardo alla sintetica descrizione dei lavori espletati. 6. Conclusivamente, la Corte d'appello riteneva che, non ricorrendo gli estremi del giustificato motivo soggettivo, il recesso doveva essere annullato e che, in applicazione dell'articolo 3, comma 1, d.lgs. numero 23/2015 e di quanto statuito dalla Corte costituzionale con la sent. numero 194/2018, il rapporto di lavoro doveva essere dichiarato estinto alla data del licenziamento e che la società doveva essere condannata al pagamento dell'indennità risarcitoria nei termini specificati in dispositivo. 7. Avverso tale decisione la omissis s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. 8. Ha resistito l'intimato con controricorso. 9. Entrambe le parti hanno depositato memoria. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo la omissis s.p.a. denuncia ex articolo 360 numero 3 c.p.comma “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all'articolo 4, co. 1 e 2, L. 300/70. Erroneo giudizio tecnico”. Secondo la ricorrente è erroneo un primo assunto dell'impugnata sentenza quello circa “i riscontri dei pedaggi autostradali forniti dal sistema telepass installato sul mezzo affidatogli” , poiché i dati del transito autostradale non sono forniti direttamente alla omissis Spa dal dispositivo Telepass installato sull'autovettura ma vengono ricavati dal documento cartaceo allegato alla fattura mensile, che riporta il dettaglio dei consumi dei singoli apparati. 1.2. Per la omissis , un altro assunto erroneo è nel punto in cui la Corte d'appello assume che “… la mail del 27.04.2014, alla quale sono allegate le informazioni relative all'utilizzo del palmare e la normativa sulla privacy, non contiene alcun riferimento al telepass sistemato sull'autovettura in dotazione al N.A.”, perché nessuna disposizione normativa, tantomeno quelle poste a tutela dei dati personali degli interessati, impone all'azienda di fornire al dipendente chiarimenti sui dispositivi che hanno la finalità di effettuare i pagamenti necessari per l'espletamento della prestazione lavorativa, trattandosi di metodo alternativo al rimborso spese a piè di lista che agevola il dipendente, evitando che debba anticipare le somme necessarie a tale scopo. 1.3. Inoltre, secondo la stessa, la conclusione cui era pervenuta la Corte di merito era viziata in radice da un'erronea valutazione tecnica del dispositivo e da un equivoco sulla provenienza dei dati, che risultano acquisiti legittimamente dall'azienda, in quanto contenuti in documentazione contabile prodotta da un soggetto terzo ai fini di fatturazione dei pedaggi. 2. Con un secondo motivo denuncia ex articolo 360 numero 3 c.p.comma “violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all'articolo 4 L. 300/1970”. La ricorrente, facendo riferimento a quanto considerato in Cass. penumero , sez. III, numero 3255/2021, assume non essere dubbio che i controlli eseguiti dagli uffici amministrativi della OMISSIS s.p.a. sui rendiconti degli apparati Telepass, sui contratti con i clienti, sui rapporti di servizio e sui conseguenti addebiti, siano finalizzati anche a prevenire un abuso di tali apparati da parte dei dipendenti. 3. Con un terzo motivo denuncia ex articolo 360 numero 3 c.p.comma “violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all'articolo 437 c.p.c.”. Secondo la ricorrente quanto considerato dalla Corte d'appello a pag. 3 della propria pronuncia non era condivisibile, perché “le nuove argomentazioni esposte dal N.A. si basano su documenti che, pur essendo disponibili e noti alla parte già in occasione del giudizio di primo grado, non erano stati prodotti e sui quali, pertanto, non poteva basarsi la decisione della Corte di Appello”. In ogni caso, sempre secondo la ricorrente, “anche una diversa lettura ed interpretazione delle argomentazioni ed eccezioni sollevate durante il giudizio di prime cure, modifica il thema decidendum e, assieme alle nuove produzioni, viola il principio di autosufficienza del ricorso introduttivo del giudizio. Del tutto disattesa, inoltre, appare l'eccezione relativa alla indispensabilità delle nuove produzioni, sollevata dalla omissis Spa nella comparsa di costituzione nel giudice di appello all. 6 ”. 4. Con un quarto motivo denuncia ex articolo 360 numero 4 c.p.comma la “Nullità della sentenza impugnata in quanto corredata da motivazione apparente”. Censura il punto di motivazione in cui la Corte di merito si è espressa sui “tempi di svolgimento del lavoro e di spostamento da un luogo ad un altro”, sostenendo che il N.A., non solo non ha puntualmente giustificato le anomalie rilevate, ma ha pacificamente ammesso di non aver registrato alcuni interventi o di averli registrati solo alcuni giorni dopo averli eseguiti, riconoscendo anche di aver utilizzato i beni aziendali per fini personali, estranei alle mansioni lavorative. Secondo la ricorrente, mentre il giudice di prime cure ha puntualmente argomentato sulle ragioni per cui riteneva legittimo il licenziamento, sottolineando anche la peculiarità del rapporto tra l'azienda ed il dipendente trasfertista, sottratto al controllo diretto del datore di lavoro e perciò gravato da un onere di rendicontazione ben più incisivo di quello di un collega che si reca ogni mattina presso la sede di assegnazione, la Corte di appello di Ancona si limita ritenere non sufficienti le argomentazioni poste a base del licenziamento, per irrogare la massima sanzione prevista dalla disciplina di settore, senza tuttavia specificare su quali parametri sia fondato tale ragionamento. 5. Occorre muovere dall'esame del quarto motivo di ricorso, in ipotesi dirimente in quanto, se fondato, comporterebbe la nullità dell'intera sentenza gravata. 6. Esso, tuttavia, è privo di fondamento. 6.1. Secondo le Sezioni unite di questa Corte, la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrare con le più varie, ipotetiche congetture così, tra le altre, Cass., sez. unumero , 9.10.2019, numero 22232 . 6.2. Ebbene, la motivazione resa dalla Corte territoriale è perfettamente comprensibile, e certamente non apparente. E' piuttosto la ricorrente a non prenderla in considerazione in modo completo, mancando di cogliere la chiara ratio decidendi dell'impugnata sentenza. 6.3. Più nello specifico, come già riferito in narrativa, la Corte distrettuale, da un lato, ha reputato inutilizzabili a fini probatori i dati acquisiti dalla OMISSIS attraverso l'apparecchio telepass installato sull'automezzo affidatogli per lo svolgimento delle proprie incombenze di tecnico c.d. trasfertista, e quindi irrilevanti sul piano disciplinare i punti della contestazione mossagli, riferentisi agli spostamenti con tale mezzo ricavati da tali dati e, dall'altro, quanto agli ulteriori punti della stessa contestazione, pur credendo utilizzabili le emergenze del sistema informatico cui era collegato il palmare pure utilizzato dal dipendente, non ha individuato violazioni tali da configurare un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali e tanto non soltanto in base alla quota di motivazione censurata dalla ricorrente cfr. pag. 14 del ricorso , ma in base ad ulteriori considerazioni, riferite anche ai “rapporti registrati” cfr. in extenso pag. 5 della decisione gravata . 7. Del resto, nota il Collegio che il vizio di motivazione apparente, dedotto dalla ricorrente, in realtà s'incentra su una critica dell'apprezzamento probatorio operato dalla Corte di merito. 7.1. A sua volta, tale critica si basa sulla preferenza data dalla ricorrente alla motivazione di rigetto fornita dal primo giudice e sul contenuto delle difese della OMISSIS in appello cfr. pagg. 15-34 del ricorso , non considerandosi che il ragionamento decisorio dei giudici di secondo grado, indubbiamente argomentato, si fonda, tra l'altro, sulla ritenuta inutilizzabilità dei dati attinti tramite l'apparecchio telepass. 8. Inammissibile è il terzo motivo. 9. Infatti, si giudica la ricorrente priva d'interesse a sollevare le censure raccolte in tale motivo, tenendo conto che la stessa OMISSIS non deduce che le argomentazioni e i nuovi documenti della controparte che assume introdotti in violazione dell'articolo 437 c.p.comma sarebbero stati considerati dalla Corte d'appello nella sua valutazione del caso. Dal testo della sentenza impugnata, inoltre, risulta che la stessa Corte ha formato il suo convincimento su deduzioni e documenti già acquisiti, in particolare, quanto a questi ultimi, prodotti soprattutto dalla OMISSIS segnatamente quelli sub docomma 14 e 15 del fascicolo di quest'ultima e in parte anche dal N.A. cfr. pagg. 4-5 della sentenza gravata , ma non rientranti tra quelli indicati dalla ricorrente come “nuovi” in grado d'appello cfr. fine di pag. 12 del ricorso . Mette conto aggiungere che la Corte d'appello aveva evidenziato che nell'ambito del proprio secondo motivo d'appello il lavoratore lamentava, tra l'altro, che il Tribunale aveva “omesso ogni considerazione sull'eccezione di inutilizzabilità, a fini disciplinari, dei dati acquisiti dal datore di lavoro con gli strumenti di localizzazione” cfr. pag. 2 della sua sentenza . 10. Il primo ed il secondo motivo di ricorso, esaminabili congiuntamente per connessione, sono privi di fondamento. 11. Giova premettere che per “controlli difensivi” sui dipendenti s'intendono i controlli diretti ad accertare comportamenti estranei al rapporto di lavoro illeciti o lesivi del patrimonio e dell'immagine aziendale e dunque non volti ad accertare l'inadempimento delle ordinarie obbligazioni contrattuali cfr. Cass., sez. lav., 5.10.2016, numero 19922 . Cass. penumero , sez. III, numero 3255/2020, richiamata dalla ricorrente, come peraltro altre decisioni di questa Corte in sede penale, si riferisce per l'appunto a tali controlli difensivi. 11.1. E, secondo un ormai consolidato orientamento di questa Corte, in tema di cd. sistemi difensivi, sono consentiti, anche dopo la modifica dell'articolo 4 st. lav., ad opera dell'articolo 23 del d.lgs. numero 151 del 2015, i controlli anche tecnologici posti in essere dal datore di lavoro finalizzati alla tutela di beni estranei al rapporto di lavoro o ad evitare comportamenti illeciti, in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito, purché sia assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, sempre che il controllo riguardi dati acquisiti successivamente all'insorgere del sospetto in tal senso Cass., sez. lav., 12.11.2021, numero 34092 id., sez. lav., 22.9.2021, numero 25732 . Confermandosi che la legittimità dei controlli cd. difensivi in senso stretto presuppone il “fondato sospetto” del datore di lavoro circa comportamenti illeciti di uno o più dipendenti, è stato, quindi, specificato che spetta al datore di lavoro l'onere di allegare, prima, e di provare, poi, le specifiche circostanze che l'hanno indotto ad attivare il controllo tecnologico ex post, sia perché solo il predetto sospetto consente l'azione datoriale fuori del perimetro di applicazione diretta dell'articolo 4 st. lav., sia perché, in via generale, incombe sul datore, ex articolo 5 l. numero 604 del 1966, la dimostrazione del complesso degli elementi che giustificano il licenziamento Cass., sez. lav., 26.6.2023, numero 18168 . 11.2. Ebbene, nel secondo motivo la ricorrente assume essere indubbio “che i controlli eseguiti dagli uffici amministrativi della OMISSIS Spa sui rendiconti degli apparati Telepass, sui contratti con i clienti, sui rapporti di servizio e sui conseguenti addebiti, siano finalizzati anche a prevenire un abuso di tali apparati da parte dei dipendenti”. 11.3. Al riguardo, risulta dirimente il rilievo che non emerge assolutamente dallo stesso contenuto del ricorso per cassazione, oltre che dalla sentenza impugnata, che nel corso dei gradi di merito la datrice di lavoro avesse allegato che l'installazione dell'apparecchio telepass sull'autovettura aziendale utilizzata dal lavoratore per l'esecuzione delle proprie prestazioni rientrasse tra i cd. controlli difensivi nei termini dianzi chiariti, e tantomeno che la stessa avesse allegato e chiesto di provare le specifiche circostanze che l'avevano indotta ad attivare quel controllo tecnologico. 11.4. Pertanto, la censura introduce in questa sede di legittimità un nuovo tema d'indagine, non trattato nei gradi di merito, il che induce l'inammissibilità del relativo profilo di doglianza. 12. Le restanti deduzioni della ricorrente sono, comunque, prive di fondamento, e si basano su una imprecisa messa a fuoco della ratio decidendi in fatto e in diritto della Corte territoriale. Quest'ultima, infatti, non ha affermato che il Telepass sia “uno strumento di geolocalizzazione, idoneo al controllo a distanza del dipendente”, ma ha parlato di “geolocalizzazione” solo a proposito dei dati da quest'ultima derivanti per “l'utilizzo del computer palmare in uso al dipendente”. E rispetto a tali dati ha, però, constatato il rispetto della previsione di cui al comma 3 dell'articolo 4 L. numero 300/1970 novellato in base alla produzione documentale della società datrice di lavoro. 12.1. Per contro, circa il telepass ha osservato che “la società non ha dato prova di aver rispettato gli adempimenti indicati” nella medesima disposizione, “in quanto la mail del 27.4.2014, alla quale sono allegate le informazioni relative all'utilizzo del palmare e la normativa sulla privacy, non contiene alcun riferimento al telepass sistemato sull'autovettura in dotazione al N.A Né può sostenersi che l'informazione già fornita al lavoratore per uno degli strumenti consegnati sia sufficiente per tutti quelli ulteriori affidati al lavoratore, che, sebbene necessari per la prestazione lavorativa, ne permettono il controllo degli spostamenti a giudizio del Collegio, proprio in ragione all'eccezionale deroga che la norma prevede in tema di utilizzabilità dei dati acquisiti con tali strumenti per “tutti i fini connessi al rapporto di lavoro”, è necessario che la condizione indicata dalla norma sia attuata per ciascuno strumento”. 12.2. Pertanto, è ben chiaro che la Corte di merito per il telepass ha ritenuto non osservata la disposizione di cui all'articolo 4, comma 3, L. numero 300/1970, facendone discendere l'inutilizzabilità dei dati attinti attraverso tale apparecchio che consegue al non aver assolto l'obbligo di adeguata informazione del lavoratore ivi sancito. 13. La censura di cui al primo motivo presenta, poi, profili d'inammissibilità, per la parte in cui si addebita alla Corte d'appello, non già la violazione o falsa applicazione dell'unica norma di diritto indicata, ossia, l'articolo 4 L. numero 300/1970, ma un'errata valutazione tecnica del funzionamento di tale dispositivo e di quale ne sia la natura a suo dire, di strumento di pagamento . Peraltro, le “spiegazioni” che a riguardo propone la ricorrente cfr. pagg. 3-4 del ricorso esulano dall'accertamento fattuale operato dai giudici di secondo grado. 14. Tanto considerato, la tesi della ricorrente per cassazione è comunque infondata sul piano giuridico. 14.1. Il comma 1 dell'articolo 4 L. numero 300/1970, come novellato nel 2015, si riferisce ora agli “impianti audiovisivi” e agli “altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori”. La Corte di merito ha constatato in fatto che i dati acquisiti attraverso il funzionamento dell'apparecchio telepass installato sull'autovettura in dotazione al lavoratore erano stati utilizzati ai fini della contestazione disciplinare, in difetto della copertura normativa di cui s'è detto. 14.2. Orbene, la ricorrente evidenzia una serie di dati giuridicamente ininfluenti. E' anzitutto irrilevante il fatto che i dati dei transiti autostradali non siano forniti direttamente alla OMISSIS Spa dal dispositivo Telepass installato sull'autovettura, ma vengano ricavati dal documento cartaceo allegato alla fattura mensile, che riporta il dettaglio dei consumi dei singoli apparati. Non assume, infatti, rilievo che quei dati non siano acquisiti dalla datrice di lavoro direttamente ma dal soggetto terzo che fornisce a pagamento tale servizio e, per così dire, in tempo reale come potrebbe essere per i dati di un sistema di cd. geolocalizzazione o satellitare GPS v. Cass. numero 19922/2016 cit. . Ciò non toglie che l'apparecchio telepass installato per iniziativa datoriale sull'autovettura pure messa a disposizione del lavoratore per lo svolgimento delle sue prestazioni di tecnico trasfertista consente all'atto dei transiti autostradali in entrata e in uscita la registrazione dei relativi dati, che, una volta forniti al datore di lavoro da chi gestisce il sistema telepass, consentono un controllo a distanza, sebbene postumo, dell'attività del lavoratore. Del resto, è proprio questo tipo di controllo che è sotteso alla contestazione disciplinare, e lo riconosce la stessa ricorrente nel secondo motivo di ricorso, dove si ammette che pure il controllo sui rendiconti relativi all'apparato Telepass era finalizzato anche a prevenire abusi del dipendente tanto però in una chiave “difensiva” neppure trattata in secondo grado, come già notato. 14.3. Oltre che non accertato in sede di merito, è in ogni caso ininfluente l'ulteriore assunto della ricorrente che il N.A. avrebbe potuto disattivare il dispositivo Telepass, “togliendolo dal parabrezza dell'autovettura e collocandolo in un cassetto o, più semplicemente, non utilizzando, al casello, la corsia munita di ricevitore ma una di quelle abilitate all'erogazione del tagliando e al pagamento manuale”. E' di tutta evidenza, infatti, che la teorica o concreta possibilità in capo al lavoratore di sottrarsi al controllo tecnologico a distanza della sua attività non può rendere utilizzabili i dati risultati da un tale controllo in ordine al quale il lavoratore non è stato previamente e adeguatamente informato “delle modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, numero 196”, come sancito dal comma 3 dell'articolo 4 cit. 15. Inesatto è, ancora, l'argomento della ricorrente per cui “i dati di uno strumento di lavoro l'autovettura assegnato al dipendente base giuridica per il trattamento è il contratto di lavoro , per cui non è necessario alcun consenso per il suo utilizzo”. 15.1. Per vero i dati giudicati inutilizzabili dalla Corte territoriale non riguardano l'autovettura messa a disposizione del lavoratore, bensì afferiscono agli spostamenti con essa del lavoratore e sono stati attinti dalla datrice di lavoro, sia pure mediatamente e a posteriori, solo attraverso le registrazioni dell'apparecchio telepass sulla stessa auto installato. 15.2. Inoltre, parte della dottrina specialistica è del parere che il telepass, se installato su auto aziendali destinate allo svolgimento di specifici servizi, si deve considerare uno strumento direttamente funzionale all'efficienza della singola prestazione, oltre che ormai fortemente compenetrato con essa nell'odierna pratica lavorativa, sicché il telepass così contestualizzato rientra nell'ambito applicativo del comma 2 dell'articolo 4 L. numero 300/1970 novellato. Tuttavia, le informazioni, così “raccolte” a mente appunto di quest'ultima previsione, giusta il successivo comma 3, sono “utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro” e quindi anche, ma non soltanto, ai fini disciplinari solo “a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli”, oltre che “nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, numero 196”. 16. Infine, a fronte di quanto specificamente previsto dal comma 3 dell'articolo 4 L. numero 300/1970, è irrilevante la “consapevolezza del dipendente sulla presenza dell'apparato Telepass sull'autovettura e sulle corrette modalità di uso dello stesso”, essendo necessaria invece tale precipua informativa al lavoratore, della quale i giudici di secondo grado nella specie hanno constatato l'assenza. 17. La ricorrente, in quanto soccombente, dev'essere condannata al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi e in € 5.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.