Confessione stragiudiziale: quali le regole per considerarla una prova di un fatto?

La confessione stragiudiziale può essere posta a base della prova del fatto storico ivi rappresentato ma il suo valore probatorio è quello del mezzo probatorio con la quale viene introdotta nel giudizio e dovrà essere valutata unitamente agli altri elmenti raccolti nel processo.

La fragilità dei giovani La triste storia che fa da sfondo alla sentenza della cassazione oggi proposta è quella – invero assai comune – di un insuccesso. Un giovane partecipava a un concorso pubblico, senza riuscire a superarne le prove. Da qui, la decisione di togliersi la vita. Ad aiutarlo nell'attuazione del proposito criminoso sarebbe stato un suo amico minorenne, poi finito sotto processo per istigazione al suicidio . Condannato in primo e secondo grado, proponeva ricorso per cassazione lamentando un non corretto governo del materiale probatorio acquisito nel giudizio. La Suprema Corte, investita del ricorso, gli dava ragione il processo è da rifare e ripartirà da una diversa sezione della corte d'appello per i minorenni. Vediamone le argomentazioni salienti. Un breve giro d'orizzonte sul delitto di istigazione al suicidio La prima parte della sentenza è dedicata a una rapida disamina dei principi generali della norma che incrimina la condotta di chi istiga o aiuta taluno al suicidio . Si tratta di un reato a forma libera, sorretto dal dolo generico – diretto o eventuale -, connotato dalla rilevanza criminale assegnata a un ampio ventaglio di condotte determinazione, rafforzamento o agevolazione del proposito suicidiario e della sua materiale esecuzione. Così recita la fattispecie codicistica. La differenza tra le varie forme di manifestazione del reato è evincibile dal significato delle tre espressioni descritte. La determinazione consiste nel far sorgere un proposito suicida prima inesistente, il rafforzamento consiste nel fornire nuova linfa vitale ad un convincimento suicida preesistente mentre, infine, l' agevolazione incrimina il contributo in qualsiasi modo fornito nelle fasi esecutive del suicidio. Scrivono i supremi giudici che la genericità delle formule utilizzate nel codice penale per incriminare l'istigazione o l'aiuto al suicidio trova giustificazione proprio nell'intento del legislatore di coprire con l'ombrello della rilevanza penale qualsiasi modalità attraverso la quale il suicidio sia agevolato dall'opera del soggetto agente. Fornire istruzioni sul mezzo con cui togliersi la vita, mettere quest'ultimo a disposizione della vittima o comunque fornire un aiuto concreto sono tutte condotte penalmente rilevanti. Nel caso che ci occupa, però, il problema era ben diverso in cosa è consistita esattamente la condotta dell'imputato? L'incertezza sull'azione criminosa Nel processo di merito troviamo notevole confusione in punto di ricostruzione dei fatti . Non è chiaro, infatti, se l'imputato abbia materialmente aiutato l'amico a togliersi la vita oppure no. Dalla lettura della sentenza comprendiamo che le versioni dei fatti sono sostanzialmente due secondo una prima ricostruzione l'imputato avrebbe agevolato l'amico nella fase esecutiva del suicidio, aiutandolo a premere il grilletto della pistola con cui si sarebbe sparato alla tempia. Secondo altra versione, invece, non avrebbe fornito alcun aiuto materiale o morale e, anzi, si sarebbe attivato per allertare i soccorsi subito dopo essersi accorto che l'amico aveva compiuto l'estremo gesto. Il problema è che questa duplice versione dei fatti è entrata nel processo attraverso uno strumento un po' anomalo la confessione stragiudiziale che l'imputato avrebbe esternato a terzi con i quali avrebbe parlato dopo i fatti. Assunti come testimoni, alcuni avrebbero riferito dell'aiuto materiale prestato per esplodere il colpo di pistola, che evidentemente la vittima aveva paura di autoinfliggersi, e altri avrebbero invece asserito che l'imputato avrebbe narrato una versione dei fatti ben differente, tutta incentrata su un suo intervento a cose fatte, finalizzato a prestare soccorso all'amico. Altrettanto incerti gli esiti della prova scientifica sul modo nel quale la vittima si sarebbe tolta la vita. A questo punto, gli Ermellini ricordano che, sebbene la confessione stragiudiziale possa costituire prova del fatto , purchè essa sia valutata con le regole del mezzo attraverso la quale è stata introdotta nel processo, è anche vero che essa non può ignorare gli altri risultati probatori acquisiti nel processo, con cui va coordinata. Non è ancora detta l'ultima parola. Vedremo adesso cosa si deciderà nel giudizio di rinvio, nel quale occorrerà tenere conto dei principi espressi dalla corte di legittimità in termini di governo del materiale probatorio. Una cosa è certa provare un fatto esclusivamente attraverso le parole di chi lo racconta è un'operazione che non lascia mai del tutto soddisfatti.

In fatto e in diritto 1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Palermo, sezione penale per i minorenni, confermava la sentenza con cui il tribunale di Palermo, in data 18.7.2022, aveva condannato L.P.L. alla pena ritenuta di giustizia, in relazione al reato ex articolo 580, co. 1, c.p. , in rubrica ascrittogli. Al L.P.L. si contesta di avere condiviso con il L.M.M. il proposito di quest'ultimo di suicidarsi, per la cocente delusione provata a causa del mancato superamento di un concorso pubblico, prestandogli assistenza materiale e morale nelle fasi preparatorie dell'atto finale, coadiuvando la vittima nel realizzare le ultime volontà in relazione alle persone alle quali dire addio, accompagnandola nel luogo prescelto per il suicidio, rimanendo sul posto fino al compimento del gesto estremo, dandole materiale aiuto nella relativa esecuzione, in tal modo rafforzando e comunque agevolando l'esecuzione del suicidio che il L.M. portava a compimento sparando un colpo di pistola alla sua tempia sinistra. 2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l'annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l'imputato, articolando due motivi di ricorso. 2.1. Con il primo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in punto di inadeguata valutazione delle risultanze processuali e di omessa considerazione dei rilievi difensivi da parte della corte di appello. Rileva, in particolare, il ricorrente come la corte territoriale 1 non abbia adeguatamente considerato che, a fronte delle dichiarazioni delle testimoni M.C. e P.S., le quali hanno riferito che l'imputato avrebbe rivelato a loro e a S.M., nella medesima occasione, di avere aiutato il L.M. a suicidarsi, premendo insieme con la vittima il grilletto della pistola in precedenza indicata, il S.M. ha, invece, dichiarato che, secondo quanto riferito dallo stesso L.P.L., quest'ultimo si era momentaneamente allontanato dal L.M. per prendere delle cartine e, una volta tornato, avendo visto l'amico con una pistola puntata alla tempia, aveva cercato di strappargliela dalle mani. Al riguardo il giudice di appello non ha spiegato perché ha condiviso la valutazione del giudice di primo grado secondo cui quanto raccontato dal S.M. deve ritenersi neutro rispetto al narrato della M. e della P. 2 abbia reso una motivazione del tutto congetturale rispetto alla specifica eccezione sollevata dall'appellante sulla scarsa attendibilità della teste M.L., avendo quest'ultima riferito che l'imputato si era recato presso la sua abitazione il 27.8.2021, per raccontarle l'accaduto, prendendo la precauzione di riporre il suo telefono cellulare e quelli della stessa M. e della figlia nella cucina di casa per paura di essere intercettato, per poi affermare, contraddittoriamente, che il ricorrente le aveva comunque manifestato in precedenza la piena disponibilità a parlare con lei per telefono di quanto accaduto il 25.8.2021, apparendo illogica l'affermazione del giudice di merito, secondo cui l'imputato solo successivamente al contatto telefonico con la M., mentre si recava a casa dell'amica, si era determinato a rivelarle le modalità del suicidio, adottando a quel punto le necessarie precauzioni per evitare di essere intercettato 3 sia incorsa in un vero e proprio travisamento della prova, con riferimento al contenuto degli esiti degli accertamenti effettuati dal R.I.S, che hanno escluso l'intervento di un terzo soggetto, che avesse materialmente coadiuvato il L.M., premendo il grilletto dell'arma utilizzata per suicidarsi, senza tacere che sul corpo del L.P.L. non sono state rinvenute tracce di sangue o di polvere da sparo, laddove il giudice di appello, ancora un volta con motivazione apparente e sganciata dalle risultanze processuali, ha ritenuto da un lato, che gli accertamenti del R.I.S. non avrebbero fornito indicazioni certe in ordine alla compatibilità o meno del suicidio con il concorso materiale di un terzo dall'altro, che l'assenza di tracce sarebbe da ricollegare alla circostanza che l'imputato non è mai stato sottoposto ad accertamenti finalizzati al rinvenimento delle medesime 4 con riferimento, in particolare, al profilo della ritenuta agevolazione morale, abbia illogicamente svalutato, da un lato, la circostanza che l'imputato, immediatamente dopo che il L.M. aveva compiuto il suo tragico gesto, quando ancora respirava, aveva allertato i soccorsi del 118, condotta che mal si concilia con l'intento di agevolare ovvero di condividere la scelta della vittima, dall'altro, lo scambio tra i due di messaggi Whatsapp, dai quali si ricava non solo la mancanza di consapevolezza in capo al ricorrente sul reale e serio progetto di suicidio del L.M., ma anche l'assenza di qualsivoglia contributo morale, resa evidente dal tono palesemente scherzoso delle predette conversazioni telematiche. 2.2. Con il secondo motivo di ricorso l'imputato deduce violazione di legge e vizio di motivazione in punto di mancata concessione del minimo della pena. 3. Il ricorso va accolto, essendo fondato il primo motivo di impugnazione, in esso assorbite le censure articolate in punto di determinazione dell'entità del trattamento sanzionatorio. 4.1. Al riguardo non appare superfluo svolgere alcune brevi considerazioni sulla struttura del delitto di cui si discute, che punisce chiunque determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione cfr. articolo 580, co. 1, c.p. , ove il suicidio avvenga. Secondo la previsione normativa, dunque, il reato di istigazione o aiuto al suicidio può assumere le tre forme, comunemente ricondotte al concorso di persone nel reato, della determinazione, del rafforzamento dell'altrui proposito già formatosi e dell'agevolazione in qualsiasi modo dell'esecuzione dell'altrui suicidio. Si tratta di tre condotte equiparate ai fini dell'integrazione del delitto di cui si discute, sebbene naturalisticamente diverse, in quanto si ha determinazione nel caso in cui il soggetto agente faccia nascere in taluno il proposito di suicidarsi, inesistente prima dell'intervento ab externo la condotta di rafforzamento, invece, è configurabile quando il soggetto attivo del reato renda definitiva la decisione già sorta nell'animo del suicida a prescindere dall'intervento altrui, che assume rilevanza penale nella misura in cui si concretizzi nell'eliminazione degli ostacoli, di natura materiale o morale, che potrebbero trattenere il suicida dall'attuazione del suo proposito l'agevolazione in qualsiasi modo dell'esecuzione del suicidio, infine, come è stato opportunamente rilevato, comprende tutte quelle condotte ad ampio spettro, che facilitano in qualsiasi modo il conseguimento del già maturato proposito suicidano , come nel caso classico indicato dalla dottrina penalistica, in cui il soggetto attivo del reato fornisca all'aspirante suicida lo strumento utilizzabile per uccidersi. Da tempo molto risalente dottrina e giurisprudenza concordano nell'affermare che, ai fini dell'integrazione del delitto in parola, sia necessario dimostrare l'effettiva esistenza di un rapporto di derivazione causale tra le indicate condotte istigatrici o di aiuto poste in essere dal soggetto attivo del reato e l'evento naturalistico consistente nella morte del suicida cfr. Sez. 1, 12.11.1952, Greco , dovendosi accertare, come è stato rilevato con condivisibile affermazione, che le suddette condotte non soltanto abbiano un'idoneità astratta a indurre il soggetto passivo del reato a darsi la morte, ma che in concreto il suicidio sia il risultato della condotta realizzata da chi abbia istigato o aiutato il suicida. Sotto il profilo dell'elemento psicologico del reato, inoltre, non è revocabile in dubbio che esso sia costituito dal dolo generico, anche nella forma del dolo eventuale, vale a dire dalla volontà di compiere atti di istigazione o di aiuto al suicidio, accompagnata dalla rappresentazione dell'evento finale. I principi sintetizzati nelle pagine precedenti, risultano fatti propri dall'elaborazione giurisprudenziale, invero non copiosa, operata nel corso degli anni dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione. Si è affermato, in particolare, che, ai fini della configurabilità del reato di cui all' articolo 580, c.p. , sotto il profilo del rafforzamento dell'altrui proposito suicida, occorre, da un lato, sia la dimostrazione dell'obiettivo contributo all'azione altrui di suicidio, sia la prefigurazione dell'evento come dipendente dalla propria condotta cfr. Sez. 5, numero 22782 del 28/04/2010, Rv. 247519 dall'altro, quanto al dolo generico, che sussista nell'agente, la consapevolezza della obiettiva serietà del proposito del suicida cfr. Sez. 5, numero 3924 del 26/10/2006, Rv. 235623 . Di particolare interesse appare un recente arresto, in cui, inserendosi nell'alveo interpretativo tracciato da Sez. 1, numero 3147 del 06/02/1998, Rv. 210190, la Corte di Cassazione ha affrontato il tema della distinzione tra il delitto di cui si discute e quello di omicidio del consenziente, osservando che si avrà istigazione o agevolazione al suicidio tutte le volte in cui la vittima abbia conservato il dominio della propria azione, nonostante la presenza di una condotta estranea di determinazione o di aiuto alla realizzazione del suo proposito, e lo abbia realizzato, anche materialmente, di mano propria Sez. 1, numero 31.47 del 6/2/1998 P.M. in proc. Munaò, Rv. 210190 . La legge, nel prevedere, all' articolo 580 cod. penumero , tre forme di realizzazione della condotta penalmente illecita quella della determinazione del proposito suicida prima inesistente, quella del rafforzamento del proposito già esistente e quella consistente nel rendere in qualsiasi modo più facile la realizzazione di tale proposito , ha voluto, quindi, punire sia la condotta di chi determini altri al suicidio o ne rafforzi il proposito, sia qualsiasi forma di aiuto o di agevolazione di altri del proposito di togliersi la vita, agevolazione che può realizzarsi in qualsiasi modo ad esempio, fornendo i mezzi per il suicidio, offrendo istruzioni sull'uso degli stessi, rimuovendo ostacoli o difficoltà che si frappongano alla realizzazione del proposito ecc., o anche omettendo di intervenire, qualora si abbia l'obbligo di impedire la realizzazione dell'evento. L'ipotesi della agevolazione al suicidio prescinde totalmente dalla esistenza di qualsiasi intenzione, manifesta o latente, di suscitare o rafforzare il proposito suicida altrui. Anzi, presuppone che l'intenzione di autosopprimersi sia stata autonomamente e liberamente, presa dalla vittima altrimenti vengono in applicazione le altre ipotesi previste dal medesimo articolo 580. È, pertanto, sufficiente che l'agente abbia posto in essere, volontariamente e consapevolmente, un qualsiasi comportamento che abbia reso più agevole la realizzazione del suicidio perché si realizzi l'ipotesi criminosa di cui all' articolo 580 cod. penumero cfr. Sez. 1, numero 26015 del 02/02/2023, Rv. 284888 . 4.2. Tanto premesso, ritiene il Collegio che i giudici di merito non abbiano fatto adeguato governo dei principi ora indicati. Innanzitutto va rilevato che dalla ricostruzione della vicenda operata dalla corte territoriale, si desume che nel caso in esame al L.P.L. è stata addebitata la condotta di aiuto al suicidio del L.M., emergendo con assoluta chiarezza dal percorso motivazionale seguito dal giudice di appello e dalla stessa formulazione del capo d'imputazione come il proposito di togliersi la vita fosse stato il frutto di una scelta autonoma del L.M., non sorta nella vittima per la prima volta a seguito dall'ingerenza del L.P.L., scelta che si è mantenuta salda e irrevocabile dopo il mancato superamento del concorso pubblico, senza che l'imputato abbia dovuto attivarsi per renderla definitiva, in mancanza di ostacoli da dover superare, con l'ausilio del prevenuto, per portarla a compimento, se non nella parte immediatamente esecutiva, quando il L.M. avrebbe tentennato, su cui occorre concentrarsi. Sul punto la corte territoriale, infatti, fa esplicito rinvio alla parte della motivazione della sentenza di primo grado, in cui il tribunale per i minorenni aveva evidenziato, sulla base del contenuto delle deposizioni delle testimoni M.L., M.C. fidanzata del ricorrente e P.S.M., come il L.P.L. avesse loro rivelato, in momenti diversi, di avere materialmente aiutato il L.M che non riusciva a spararsi perché aveva paura, mettendo la sua mano su quella dell'amico e facendo pressione sul grilletto cfr. pp. 80-81 della sentenza di primo grado p. 12 della sentenza di appello . Diventa, pertanto, decisivo verificare se possa dirsi acclarata con appagante certezza l'esistenza di un effettivo, e non meramente ipotetico, rapporto causale tra l'indicata condotta di aiuto del L.P.L., come delineata dai giudici di merito, che si presenta, al tempo stesso, come rafforzamento del proposito del L.M. e agevolazione materiale dell'esecuzione del suicidio, condotta da individuarsi nell'aiutare il suicida a esplodere il colpo di pistola alla tempia, e la morte della vittima, seguita alle ferite riportate. Ad avviso del Collegio alcuni dati obiettivi, non sufficientemente meditati dalla corte territoriale, non consentono di rispondere positivamente all'interrogativo ora formulato. Resta, invero, irrisolta una questione di non poco momento, in ordine alle confliggenti versioni, che, come sottolineato dal ricorrente nei motivi di impugnazione, sono state fornite dalla M.C. e dalla P., da un lato, dal S.M., dall'altro, su quanto riferito loro dal L.P.L., nella medesima occasione, a proposito del suicidio del L.M La stessa corte territoriale ha riconosciuto che il S.M. aveva effettivamente affermato che la prima versione fornita dal L.P.L., quando si incontrò con lui, la M. e la P. in un bar di Caltanissetta nel pomeriggio del OMISSIS , il giorno dopo il suicidio, era quella secondo cui egli si era allontanato per prendere delle cartine e solo al suo riavvicinarsi aveva visto il L.M. puntarsi la pistola alla tempia, perché anche la P. aveva riconosciuto che tale versione era stata in prima battuta loro riferita dall'imputato, salvo aggiungere che subito dopo il L.P.L. aveva cambiato versione, riferendo che egli era a conoscenza dell'intenzione dell'amico di suicidarsi e di averlo aiutato. Il S.M., dal suo canto, rilevava la corte di appello, non ricordava di avere appreso la nuova versione dei fatti fornita dal L.P.L., in quanto, profondamente turbato dall'accaduto, si era astratto dalla conversazione. Orbene la testimonianza del S.M., confermata dalla P., non può considerarsi, come ritenuto dai giudici di merito, un dato neutro, perché inserisce un elemento di dubbio nella ricostruzione dei fatti, rimanendo oscure le ragioni per cui l'imputato abbia cambiato la sua versione originaria, da lui riproposta in sede di esame dibattimentale, nel corso del quale egli ha riferito, da un lato, che, preoccupato delle reali intenzioni del L.M., lo aveva accompagnato sul luogo del suicidio la sera del OMISSIS , per controllarlo, provando a sviare la mano del suo amico, una volta resosi conto di quanto stava accadendo dall'altro, di non avere mai detto alla M., alla M. e alla P. di avere aiutato il L.M. a suicidarsi cfr. pp. 5-6 della sentenza di appello . Non è sufficiente, al riguardo, opporre la convergenza del narrato della M. della P. e della M. su quanto appreso dal L.P.L. La confessione stragiudiziale, tale dovendosi considerare quanto riferito dal L.P.L. agli indicati testimoni, infatti, come affermato dall'orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, ben può essere posta a base del giudizio di colpevolezza dell'imputato ove il giudice di merito, con motivazione immune da vizi logici, ne apprezzi favorevolmente la veridicità e la spontaneità, escludendo ogni sospetto di intendimento autocalunniatorio. Deve aggiungersi che il valore probatorio della detta fonte di prova deve essere apprezzato secondo le regole del mezzo di prova che la introduce nel processo, nel senso che la confessione stragiudiziale riferita dal testimone è soggetta alla regola di valutazione propria delle prove testimoniali ex articolo 192 c.p.p. , comma 1, mentre per quella riferita dal chiamante in reità o in correità deve applicarsi la regola di cui all' articolo 192, co. 3, c.p.p. Di conseguenza, se è vero che la veridicità del narrato non può che essere la ovvia conseguenza della ritenuta attendibilità dei testimoni che hanno ricevuto la confessione, riferendone il contenuto, tuttavia, perché la confessione stragiudiziale sia assunta a fonte del libero convincimento del giudice, è altrettanto vero che rimane logicamente ferma l'esigenza di valutarla non solo in sé, ma anche nel contesto dei fatti e nel raffronto con gli altri elementi di giudizio, al fine di verificarne, conseguentemente, la spontaneità e la genuinità in relazione al fatto contestato cfr. Sez. 6, numero 23777 del 13/12/2011, Rv. 253002 Sez. 1, numero 6467 del 11/05/2017, Rv. 272100 Sez. 5, numero 38252 del 15/07/2008, Rv. 241572 . Si tratta di un profilo da approfondire ove si tenga conto che il personale del R.I.S. di Messina, incaricato degli accertamenti tecnici non ripetibili, pur non escludendo l'azione di un secondo soggetto che abbia afferrato l'arma insieme con il L.M. durante lo sparo, ha comunque concluso in via principale nel senso di attribuire il suicidio a un'azione concretizzata impugnando l'arma con due mani, mentre il consulente tecnico della difesa, prof. V., ha escluso che la pistola sia stata impugnata dal L.M. con l'ausilio di in terzo cfr. pp. 52-55 della sentenza di primo grado . Sulla base delle svolte considerazioni si impone, pertanto, un annullamento della sentenza impugnata, con rinvio alla corte di appello di Palermo, sezione penale per i minorenni, in diversa composizione, affinché provveda, all'esito di un nuovo giudizio, a risolvere le evidenziate aporie, procedendo, all'esito, alla conseguente valutazione anche dell'elemento soggettivo del reato, uniformandosi ai principi di diritto in precedenza indicati. Va, infine, disposta l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento, ai sensi dell' articolo 52, co. 5, d.lgs. 30/06/2003 numero 196 . P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla corte di appello sezione minorenni di Palermo in diversa composizione. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell 'articolo 52, d.lgs. 196/200 3, in quanto imposto dalla legge.