La prima sezione penale ha rimesso alle Sezioni Unite civili la questione se l’imputato – nei confronti del quale sia stata emessa ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere che ha perso efficacia a causa del proscioglimento pronunciato all’esito del giudizio di primo grado – debba impugnare con l’istanza di riesame ovvero con l’appello cautelare l’ordinanza con la quale sia disposta la misura, ai sensi dell’articolo 300, comma 5, c.p.p., emessa a seguito di successiva condanna pronunciata all’esito del giudizio di appello.
Il caso L'imputato destinatario della misura della custodia cautelare in carcere per il delitto di omicidio e tentato omicidio, era stato assolto in primo grado con perdita di efficacia del titolo custodiale. A seguito di gravame proposto dal PM, la Corte di appello condannava l'imputato adottando nei suoi confronti altra ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere ex articolo 300, comma 5, c.p.p. Il difensore proponeva istanza definita genericamente impugnazione che era dichiarata inammissibile giacché il mezzo di gravame da proporre era l'appello articolo 310 c.p.p. e non già il riesame e, nel caso di specie, era mancante dei motivi. Proposto ricorso in Cassazione, il difensore dell'imputato ha sollevato la questio iuris relativa alla individuazione del mezzo previsto dall'ordinamento processuale per impugnare l'ordinanza cautelare emessa ai sensi dell'articolo 300, comma 5, c.p.p., nei casi in cui l'imputato destinatario di sentenza di non luogo a procedere ovvero prosciolto, sia poi in appello condannato per lo stesso fatto. I giudici di legittimità hanno rimesso la questione alle Sezioni Unite. Gli orientamenti giurisprudenziali Si deve dare conto di una giurisprudenza di legittimità apparentemente difforme. Secondo un primo indirizzo, l'ordinanza che ripristina la misura coercitiva a norma dell'articolo 300, comma 5, c.p.p. nei confronti di persona condannata in appello dopo assoluzione in primo grado non può essere considerata come nuovo provvedimento coercitivo, dato il nesso necessario e indissolubile che la lega a quella che ha disposto la precedente misura, ed è pertanto impugnabile mediante appello ai sensi dell'articolo 310 dello stesso codice e non con il riesame previsto dal precedente articolo 309 Cass numero 23061/2002 Cass. numero 32852/2011 . Secondo un'altra pronuncia mentre il provvedimento di ripristino della custodia cautelare, in caso di scarcerazione per decorrenza termini, è impugnabile con appello, nei confronti di ordinanza restrittiva emessa successivamente alla revoca del precedente provvedimento cautelare, l'impugnazione esperibile è - viceversa - il riesame Cass. penumero numero 22868/2002 . La rimessione alle Sezioni Unite Sulla scorta di tali contrapposti formanti di legittimità, il giudice della nomofilachia deve preliminarmente accertare se allorquando la misura cessi di avere efficacia per effetto di un automatismo scadenza dei termini massimi di custodia o assoluzione , senza necessità di valutazione della persistenza delle esigenze cautelari, la successiva ordinanza cautelare emessa a seguito del venir meno dell'impedimento oggettivo faccia o meno riespandere l'originaria efficacia. Si può affermare che ogni qual volta vi sia una valutazione delle esigenze cautelari ed una ritenuta cessazione delle stesse, allora l'ordinanza genetica viene eliminata, cosicché ogni successiva misura deve considerarsi “nuova” e soggetta a riesame. Quando, viceversa, la legge prevede effetti automatici legati a determinati eventi quali, ad esempio, la scadenza dei termini massimi di custodia o l'assoluzione senza che abbia una qualche rilevanza l'esame nel merito della persistenza delle esigenze cautelari che, in astratto, potrebbero permanere , bisogna accertare se anche in questo caso l'ordinanza genetica venga oppure no eliminata. In conclusione, le Sezioni Unite sono a chiamate a valutare la novità o meno della misura, avendo riguardo alla causa di cessazione di quella precedentemente emessa dovendo distinguere se la causa agisce sull'efficacia, lasciando in vita il provvedimento originario, pur se devitalizzato, allora alla cessazione della causa ostativa la misura si riespande e deve essere considerata quale ripristino. Se, diversamente, la causa agisce sulla stessa esistenza del provvedimento, eliminandolo come avviene in caso di revoca per sopravvenuta cessazione delle esigenze cautelari , allora ogni successiva istanza deve considerarsi come nuova richiesta di misura.
Presidente Di Nicola – Relatore Siani Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza emessa il 6 novembre 2023, il Tribunale di Napoli ha dichiarato inammissibile l'impugnazione proposta nell'interesse di C.N. avverso il provvedimento reso dalla Corte di assise di appello di Napoli il 10 ottobre 2023 con cui, in accoglimento della richiesta del Pubblico ministero, era stata applicata a C.N. la misura della custodia cautelare in carcere con riferimento ai reati per i quali quella Corte aveva, con decisione del 28 settembre 2023, pronunciato - in riforma della sentenza assolutoria di primo grado - condanna a carico dell'imputato. Il Tribunale ha osservato che l'atto con cui era stato introdotto il procedimento impugnatorio, qualificato genericamente come impugnazione, intendeva contrastare il provvedimento cautelare emesso dalla Corte di assise di appello in relazione ai reati di omicidio in danno di D.O., di tentato omicidio in danno di M.I. e di detenzione dell'arma utilizzata per i suddetti delitti tale ordinanza cautelare era seguita ad analogo provvedimento applicativo della medesima misura cautelare nei confronti di C.N. emesso dal Tribunale del riesame in data 15 settembre 2021, in sede di appello ai sensi dell'articolo 310 cod. proc. penumero , misura che aveva, però, perduto efficacia a seguito dell'assoluzione conseguita da C.N. in ordine alle suddette imputazioni, in virtù della sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli del 6 ottobre 2022 era poi sopravvenuta la suindicata sentenza di secondo grado del 28 settembre 2023 con cui la Corte di assise di appello di Napoli, ribaltando l'esito di primo grado, aveva dichiarato C.N. colpevole dei reati succitati, facendo poi seguire, su richiesta del Pubblico ministero, il provvedimento di applicazione della custodia cautelare in carcere si trattava, secondo il giudice cautelare, del ripristino di una precedente misura, non di un'ordinanza genetica, autonomamente applicativa di misura cautelare. Sulla scorta di questa analisi il Tribunale ha ritenuto che lo strumento per impugnare l'ordinanza dovesse essere l'appello, essendo esclusa la proponibilità della richiesta di riesame avverso ordinanze diverse da quella che applica per la prima volta la misura cautelare tuttavia, valutato l'atto, esso è stato considerato privo dei requisiti previsti dall'articolo 581, lett. d , cod. proc. penumero , poiché è risultato mancante dei motivi, e ciò ha determinato la declaratoria di inammissibilità prevista dall'articolo 591 cod. proc. penumero 2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso il difensore di C.N. chiedendone l'annullamento sulla scorta di un unico motivo con cui ha prospettato l'erronea applicazione degli articolo 275,309 e 310 cod. proc. penumero L'impostazione data alla questione della nuova applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti dell'imputato non è condivisa dalla difesa del ricorrente l'originaria misura custodiale era stata emessa con riferimento all'accusa di omicidio volontario e di tentato omicidio, con l'individuazione nell'articolo 110 cod. penumero del titolo di concorso ascritto all'imputato, mentre la misura oggetto dell'attuale impugnazione era una misura cautelare nuova, anche perché riguardava sempre l'ipotesi di omicidio volontario, ma il titolo del concorso era stato individuato nell'articolo 116 cod. penumero la diversità del reato rispetto a quello che aveva sorretto il primo provvedimento cautelare corrobora, per il ricorrente, la constatazione della novità dell'ordinanza applicativa della custodia cautelare emessa il 10 ottobre 2023. Sulla base di questi argomenti il ricorrente sostiene che l'ordinanza applicativa di questa misura vada qualificata come nuova e, a sua volta, genetica di conseguenza, il rimedio impugnatorio avverso la stessa era da individuarsi nella richiesta di riesame, ossia lo strumento in concreto adottato. Deriva da tale approdo, secondo la difesa, l'erroneità della decisione assunta dal Tribunale di Napoli che, previa qualificazione dell'atto di impugnazione come appello, lo ha dichiarato inammissibile, non considerando, del resto, che, sia nella richiesta del Procuratore generale territoriale, sia nel provvedimento della Corte di assise di appello non si è discorso di mero ripristino della precedente misura. 3. Il Procuratore generale, nella requisitoria scritta rassegnata ai sensi nella requisitoria scritta, rassegnata ai sensi dell'articolo 23 d.l. 28 ottobre 2020, numero 137, convertito dalla legge 18 dicembre del 2020, numero 176, come richiamato dall'articolo 16 d.l. 30 dicembre 2021, numero 228, convertito dalla legge 25 febbraio 2022, numero 15, nonché, ulteriormente, dall'articolo 94, comma 2, d.lgs. 10 ottobre 2022, numero 150, a sua volta emendato dall'articolo 11, comma 7, d.l. 30 dicembre 2023, numero 215, convertito dalla legge 23 febbraio 2024, numero 18, ha chiesto il rigetto del ricorso evidenziando che la costante elaborazione di legittimità esclude la natura genetica della nuova ordinanza, in quanto l'originaria misura aveva perso efficacia - per effetto della sentenza assolutoria di primo grado - senza però essere eliminata del tutto, sicché il sovvertimento del verdetto assolutorio ne ha comportato la reviviscenza, con i conseguenti effetti in tema di individuazione del mezzo stabilito dall'ordinamento per l'impugnazione. 4. Il Collegio, alla fissata udienza del 5 marzo 2024, reputata l'emersione dell'importanza della questione da decidere, ha disposto il differimento della deliberazione all'udienza del 10 aprile 2024. Considerato in diritto 1. Il ricorrente solleva la quaestio iuris relativa all'individuazione del mezzo previsto dall'ordinamento processuale per impugnare il provvedimento cautelare emesso ai sensi dell'articolo 300, comma 5, cod. proc. penumero , allorquando l'imputato, già destinatario di sentenza di non luogo a procedere o comunque prosciolto, sia successivamente condannato per lo stesso fatto. La norma indicata abilita, in questa evenienza, il giudice procedente a disporre misure coercitive quando ricorrano le esigenze cautelari prevista dall'articolo 274, comma 1, lett. b oppure c , cod. proc. penumero , vale a dire, rispettivamente, il pericolo di fuga ovvero il pericolo di reiterazione dei delitti ivi richiamati. 2. L'inquadramento del provvedimento cautelare emesso in questa evenienza processuale ha riflesso rilevante sull'individuazione del mezzo - appello o richiesta di riesame - previsto per la sua impugnazione. La differenza fra i due mezzi impugnatori è nota ed è marcata. Soltanto per evidenziare la rilevanza della questione su cui si impernia l'attuale disamina, in relazione all'inammissibilità dell'impugnazione contestata dal ricorrente, si osserva che, quanto alla sua forma, il gravame costituto dall'appello deve, a pena di inammissibilità, indicare in modo specifico i punti del provvedimento di cui l'impugnante richiede il nuovo esame e deve precisarne le ragioni, pena - in mancanza - il rilievo della sua genericità genericità che, nella meno recente elaborazione ermeneutica, si intendeva limitata al profilo intrinseco al motivo stesso, così da ritenerla prescissa dal confronto con quanto argomentato dal giudice del provvedimento impugnato, confronto invece necessario per il controllo di specificità della devoluzione operata con il ricorso per cassazione Sez. Sez. 3, numero 31939 del 16/04/2015, Falasca Zamponi, Rv. 264185 - 01 Sez. 6, numero 13449 del 12/02/2014, Kasem, Rv. 259456 - 01 verifica della genericità che ora è da intendersi assimilabile, con le dovute specificazioni, a quella che inerisce al ricorso per cassazione, essendosi precisato che l'appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell'impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato Sez. U, numero 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822 - 01 fra le successive, Sez. 2, numero 51531 del 19/11/2019, Greco, Rv. 277811 - 01 . L'approdo registrato nella vicenda interpretativa dell'istituto ha ricevuto ratifica normativa con la modificazione dell'articolo 581 cod, proc. penumero , con l'inserimento del comma 1-bis in forza dell'articolo 33, comma 1, lett. d, d.lgs. 15 ottobre 2022, numero 150 , al lume del quale l'appello è inammissibile per mancanza di specificità dei motivi quando, per ogni richiesta, non sono enunciati in forma puntuale ed esplicita i rilievi critici in relazione alle ragioni di fatto o di diritto espresse nel provvedimento impugnato, con riferimento ai capi e punti della decisione ai quali si riferisce l'impugnazione. I riflessi in tema di appello cautelare, di cui all'articolo 310 cod. proc. penumero , sono intuitivi si ritiene, invero, che l'appello cautelare possegga la fisionomia strutturale e strumentale degli ordinari mezzi di impugnazione. Pertanto, a tale mezzo devono applicarsi le norme generali in materia, tra cui le disposizioni di cui agli articolo 581 e 591 cod. proc. penumero , con l'effetto che questa impugnazione, non solo deve indicare i capi e i punti ai quali si riferisce, ma deve anche enunciare i corrispondenti motivi, con l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono la richiesta Sez. 5, numero 9432 del 12/01/2017, Cimino, Rv. 269098 - 01 Sez. 1, numero 32993 del 22/03/2013, Adorno, Rv. 256996 - 01 . Sempre circoscrivendo il discorso alla forma dell'atto, la richiesta di riesame proposta avverso l'ordinanza applicativa della misura cautelare, ai sensi dell'articolo 309 cod. proc. penumero , non esige la necessaria articolazione in motivi dei profili di censura. Si suole precisare che, nell'ambito del riesame di misure cautelari personali, il difetto di specificità dei motivi non comporta l'inammissibilità dell'impugnazione, stanti la natura interamente devolutiva del mezzo l'inapplicabilità dell'articolo 581, comma 1, lett. c , cod. proc. penumero e la conseguente facoltatività dell'indicazione dei motivi stessi Sez. 5, numero 36917 del 20/06/2017, C., Rv. 271307 - 01 ciò, con l'opportuna specificazione che la natura interamente devolutiva di tale mezzo di impugnazione e la facoltatività dell'indicazione dei motivi non comportano l'automatica rilevanza di doglianze di carattere generico, dal momento che, in assenza della formulazione di specifiche questioni sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, il giudice del riesame, pur tenuto a verificare anche tale presupposto, può, in presenza di un provvedimento motivato, limitarsi a richiamare il contenuto del titolo genetico, a condizione che mostri di averlo comunque valutato Sez. 6, numero 56968 del 11/09/2017, Ghezzo, Rv. 272202 - 01 . In ogni caso, la richiesta di riesame, integrando un mezzo di impugnazione con effetto interamente devolutivo, determina la conseguenza che il tribunale può annullare o riformare in senso favorevole all'imputato il provvedimento impugnato anche per motivi diversi da quelli enunciati nell'atto di impugnazione, così come può confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione dell'ordinanza cautelare, ferma restando l'attenuazione dell'obbligo motivazionale rispetto ai punti non oggetto di censura, qualora la richiesta deduca contestazioni avverso uno solo dei presupposti applicativi della misura Sez. 5, numero 40061 del 12/07/2019, Valorosi, Rv. 278314 - 03 . D'altro canto, il discrimen fra i procedimenti a cui danno ingresso la richiesta di riesame, ex articolo 309 cod. proc. penumero , per un verso, e l'atto di appello, ex articolo 310 cod. proc. penumero , per altro verso, rileva anche per diversi altri ambiti, fra i quali la possibilità, in sede di riesame, di introdurre motivi nuovi in sede camerale, la diversità e la natura dei termini fissati per so svolgimento del procedimento e l'emissione del provvedimento, nonché le modalità di svolgimento del procedimento stesso in relazione agli elementi acquisibili e utilizzabili per la decisione e ai poteri istruttori dei giudici procedenti. Non pare indispensabile, in questa evenienza, puntualizzare nei dettagli le ulteriori, sensibili differenze fra i due strumenti impugnatori, né approfondire gli effetti determinati dalla riqualificazione dello strumento impugnatorio adottato dalla parte e i loro limiti cfr., ad esempio, Sez. 1, numero 16819 del 23/04/2010, Mauriello, Rv. 247078 - 01, quanto all'irrilevanza del mancato rispetto dei termini prescritti per la decisione in ipotesi di appello riqualificato come riesame , essendo sufficiente il richiamo alla forma di tali atti ora operato, in quanto è questo requisito che qui primariamente rileva, giacché in virtù della sua valutazione è stata ritenuta dal Tribunale l'inammissibilità dell'impugnazione. 3. L'analisi comparata della disciplina istitutiva dei mezzi di impugnazione in discorso muove dall'assodata constatazione che il riesame è funzionalizzato all'impugnazione del provvedimento che dispone una misura coercitiva , mentre l'appello è lo strumento per impugnare, da parte del pubblico ministero, il provvedimento di diniego dell'applicazione della succitata misura nonché quello che modifica, revoca o sostituisce la misura coercitiva già applicata. In via di prima approssimazione, l'individuazione in via residuale dell'area di operatività dell'appello cautelare fuori dei casi previsti dall'articolo 309, comma 1 orienta a individuare nell'appello il mezzo previsto per l'impugnazione dello stesso provvedimento che ripristina la medesima misura cautelare. Viceversa, quando la prima misura coercitiva sia stata caducata e successivamente si applichi una nuova misura parimenti coercitiva, l'autonomia di questa ulteriore misura ne determina l'impugnabilità con la richiesta di riesame. Nella varietà delle fattispecie verificabili nel corso della vicenda della misura cautelare coercitiva, per alcune risulta non agevole la collocazione del provvedimento nell'una o nell'altra delle indicate categorie al conseguente fine dell'individuazione del mezzo previsto per la corrispondente impugnazione. Fra queste il Collegio considera da annoverarsi quella che qui rileva, inerente all'emissione da parte del giudice procedente della misura cautelare coercitiva prevista dal già ricordato articolo 300, comma 5, cod. proc. penumero allorquando l'imputato, già prosciolto, sia stato successivamente condannato per lo stesso fatto e il giudice procedente abbia disposto nei suoi confronti la misura coercitiva stessa, avendo apprezzato come sussistenti le esigenze cautelari ex articolo 274, comma 1, lett. b o c , cod. proc. penumero 3.1. Il non vasto quadro di arresti che ha affrontato il tema, ove si limiti la verifica alle decisioni massimate, pare fornire l'orientamento dell'esegesi di legittimità verso la proposizione dell'appello. Si è, in tale senso, affermato che, in tema di misure cautelari personali, è impugnabile con l'appello - e non con il riesame - l'ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere, previamente revocata a seguito di assoluzione e successivamente riadottata a seguito di condanna in sede di appello, in quanto, in questo caso, si considera che la misura genetica abbia perduto efficacia per effetto della sentenza assolutoria di primo grado, senza però essere eliminata del tutto, sicché il sovvertimento del verdetto assolutorio ne comporta la reviviscenza e, di conseguenza il relativo provvedimento di ripristino è soggetto ad appello e non a riesame Sez. 5, numero 32852 del 05/07/2011, Nigro, Rv. 250579 - 01 . Questa linea interpretativa considera persistente - pur quando si sia registrata la caducazione del primigenio titolo cautelare in ragione dell'assoluzione dai reati che ne avevano determinato l'emissione - il legame fra il provvedimento caducato e quello sopravvenuto, così argomentando nel senso che quest'ultimo non può essere inquadrato come un nuovo provvedimento coercitivo, dato il nesso necessario e indissolubile che lega l'ordinanza cd. ripristinatoria a quella che ha disposto la precedente misura Sez. 1, numero 23061 del 12/02/2002, Leuzzo, Rv. 221636 - 01 . 3.2. Il medesimo indirizzo è maturato in relazione a un'altra fattispecie, tuttavia, non sovrapponibile in modo pedissequo a quella che qui interessa, ossia con riferimento all'impugnazione dell'ordinanza di ripristino della custodia cautelare disciplinata dall'articolo 307, comma 2, lett. b , cod. proc. penumero Si tratta del caso in giudice procedente ritenga necessario contestualmente o successivamente alla sentenza di condanna di primo o di secondo grado - ripristinare la misura coercitiva, sempre che ricorra l'esigenza cautelare prevista dall'articolo 274, comma 1, lett. b , cod. proc. penumero sia pure sulla base di riferimenti letterali e strutturali non pienamente equiparabili alla fattispecie di cui all'articolo 300, comma 5, cod. proc. penumero , posto che, ex articolo 310 cod. proc. penumero , l'appello costituisce impugnazione di carattere generale e residuale, la quale trova applicazione in tutti i casi in cui, per i provvedimenti de liberiate, non possa esperirsi il riesame Sez. 6, numero 27459 del 23/02/2017, Di Marco, Rv. 270409 - 01 Sez. 4, numero 5740 del 05/12/2007, dep. 2008, Haxhija, Rv. 239030 - 01 Sez. 6, numero 4072 del 03/11/2000, Latella, Rv. 218660 - 01 fra le non massimate, Sez. 3, numero 16053 del 26/02/2019, Di Cristina Sez. 6, numero 27459 del 23/02/2017, Di Marco . Diversa, seppur contigua, è l'individuazione del rimedio esperibile avverso l'ordinanza con la quale il giudice procedente, contestualmente alla pronuncia della sentenza di condanna, abbia modificato in senso peggiorativo il trattamento cautelare, sostituendo la misura in atto con altra di maggiore gravità, individuazione orientata verso l'appello, ai sensi dell'articolo 310 cod. proc. penumero , in quanto, persistendo il titolo originario, la modifica non può ritenersi titolo genetico del trattamento cautelare Sez. 1, numero 45653 del 05/06/2015, Pipiciello, Rv. 265486 - 01 . 3.3. Tornando alla fattispecie di cui all'articolo 300, comma 5, cod. proc. penumero , qui direttamente rilevante, si osserva che un meno frequentato orientamento propende per ritenere la misura caducata o comunque divenuta inefficace come mai esistita e, dunque, tamquam non esset, con l'effetto che l'eventuale misura reiterativa, in quanto essa stessa ordinanza che dispone una misura coercitiva , è da assoggettarsi alla richiesta di riesame prevista dall'articolo 309 cod. proc. penumero Sez. 6, numero 842 del 08/03/1999, Sciascia, Rv. 213920 - 01 . Nella medesima direzione, sia pure senza affrontare per esplicito il tema dell'ammissibilità del mezzo, ma dando implicitamente per assodata la sussistenza di tale presupposto processuale, altre pronunzie di legittimità hanno esitato procedimenti susseguenti all'emissione di ordinanza di applicazione della misura coercitiva ai sensi dell'articolo 300, comma 5, cod. proc. penumero , impugnate con richiesta di riesame, e non con atto di appello così Sez. 1, numero 7642 del 05/03/2003, dep. 2004, Pignatelli, Rv. 226846 - 01 Sez. 6, numero 3092 del 04/07/2000, Scarci, Rv. 217746 - 01, massimate per altro Sez. 1, numero 6176 del 26/11/2019, dep. 2020, Barbaro, non mass. Sez. 1, numero 35468 del 17/03/2016, Martino, non mass. . Si registra quindi, la coesistenza, sia pure con connotati carsici, dell'orientamento interpretativo volto a individuare nell'appello il mezzo per impugnare la suddetta ordinanza. 3.4. Nello stesso senso devono anche considerarsi le osservazioni critiche emerse in sede dottrinale alla concezione - su cui si fonda la tesi dell'appellabilità della misura coercitiva emessa ai sensi dell'articolo 300, comma 5, cod. proc. penumero - della persistenza del legame fra la misura caducata a causa del pregresso proscioglimento e quella ulteriormente resa dopo la sentenza di condanna, in riforma, dell'imputato per questa ipotesi discorrere del ripristino della misura coercitiva precedente, nelle more divenuta temporaneamente inefficace, comporta la svalutazione della rubrica e del tenore letterale dell'articolo 300 cod. proc. penumero in cui il riferimento è all'estinzione delle misure originariamente applicate per effetto della sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere oltre che del provvedimento di archiviazione . Si fa notare che, per un'altra fattispecie in cui pure è stabilita la perdita di efficacia delle misure cautelari coercitive, gli orientamenti interpretativi non dubitano nell'individuare nella richiesta di riesame l'atto di impugnazione deputato a contrastare quella che, ove riemessa, viene considerata una nuova misura è così in tema di ordinanza emessa dopo la declaratoria di inefficacia della pregressa per l'omissione dell'interrogatorio ai sensi dell'articolo 294 cod. proc. penumero Sez. 1, numero 29687 del 09/07/2003, Saraceno, Rv. 225542 - 01 Sez. 1, numero 12398 del 14/12/2000, dep. 2001, Galatolo, Rv. 218298 - 01 . Si aggiunge che, pur se circoscritta dall'articolo 300, comma 5, cod. proc. penumero alle esigenze cautelari di cui all'articolo 274, comma 1, lett. b e c , la valutazione del giudice della cautela e, poi, del giudice dell'impugnazione cautelare deve compiere una nuova e autonoma disamina di tali esigenze, da compiersi anche alla stregua di tutti gli elementi sopravvenuti, per come emersi nel corso del processo, anche in punto di accertamento del fatto ascritto all'imputato paradigmatica può, al riguardo, considerarsi la situazione che si esamina nel caso concreto, lì dove la responsabilità concorsuale di C.N. per il reato di omicidio volontario è stata affermata, non più a titolo di concorso pieno, ex articolo 110 cod. penumero , bensì a titolo di concorso anomalo, ex articolo 116 cod. penumero 3.5. Sul punto, del resto, è l'articolo 275, comma 1-bis, cod. proc. penumero , a specificare che, contestualmente a una sentenza di condanna, l'esame delle esigenze cautelari è condotto tenendo conto anche dell'esito del procedimento, delle modalità del fatto e degli elementi sopravvenuti, dai quali possa emergere che, a seguito della sentenza, risulta taluna delle esigenze indicate nell'articolo 274, comma 1, lettere b e c , del codice di rito si è fatto notare che, lungi dall'essere pleonastica, l'interpolazione normativa ora richiamata come introdotta dall'articolo 16, comma 1, d.l. 24 novembre 2000, 341, convertito con modificazioni dalla legge 19 gennaio 2001, 19 gennaio 2001, numero 4, poi sostituito dall'articolo 14, comma 1, lett. a, della legge 26 marzo 2001, numero 128 , da considerarsi anche in relazione a quella costituita dall'inserimento in forza dell'articolo 14, comma 1, lett. b, della legge numero 128 del 2001 del comma 2-ter nella stessa norma, orienta verso l'omologazione dei criteri e delle regole a cui deve ispirarsi la valutazione giudiziale nell'applicazione della misura coercitiva susseguente alla sentenza di condanna comunque emessa, anche al di là dell'ipotesi di riforma del proscioglimento antecedente . Si dà per assodato che, ove alla sentenza di condanna segua il provvedimento cautelare coercitivo non preceduto da altro titolo caducato per effetto di proscioglimento, si verte in tema di nuova misura, con conseguente necessità della sua impugnazione mediante richiesta di riesame sicché, in sede di impugnazione cautelare, l'ordinanza di ripristino della custodia in carcere, erroneamente adottata dal giudice procedente dopo la pronuncia della sentenza di condanna nonostante l'assenza di pregresso titolo coercitivo per i reati posti a fondamento del provvedimento restrittivo, va qualificata come ordinanza genetica di applicazione della misura custodiale ai sensi dell'articolo 275, comma 1-bis, cod. proc. penumero e l'appello proposto contro di essa va qualificato come riesame, senza che il mancato rispetto dei termini prescritti per tale rimedio determini la perdita di efficacia della misura Sez. 1, numero 45140 del 20/06/2014, De Biase, Rv. 261132 - 01 . Né pare potersi dubitare che, ove il titolo cautelare originario sia stato caducato in sede cautelare per motivi inerenti a quell'ambito ad esempio, per la valutazione operata in fase di riesame di insussistenza delle esigenze cautelari , la misura coercitiva che venga emessa successivamente, anche dopo la susseguente sentenza di condanna, debba considerarsi del tutto autonoma rispetto alla definizione del precedente subprocedimento cautelare, così da doversi inquadrare come titolo genetico, da contestarsi, in sede impugnatoria, con la richiesta di riesame Sez. 1, numero 43814 del 08/10/2008, Sutera, Rv. 241559 - 01 Sez. 5, numero 22868 del 29/04/2002, Pascone, Rv. 221926 - 01 Sez. 1, numero 1925 del 22/03/1996, Occhipinti, Rv. 204402 - 01 . 3.6. Dall'analisi di questo quadro trae spunto la notazione critica determinata dalla differenziazione di tutela impugnatoria fra l'imputato condannato in grado di appello che venga attinto da susseguente provvedimento coercitivo, senza mai essere stato raggiunto da precedente titolo cautelare o dopo essere stato raggiunto da titolo cautelare, poi annullato o revocato nel corrispondente subprocedimento cautelare, da un lato, e l'imputato condannato in sede di appello che venga attinto da susseguente provvedimento coercitivo, dopo essere stato prosciolto in precedenza con la conseguente dissoluzione del titolo cautelare che lo aveva raggiunto. La proposizione del riesame per il primo ambito e dell'appello per il secondo ambito non rinviene, secondo le riflessioni una parte della dottrina, idonea giustificazione nella differenza fra le situazioni di fatto, a fronte dell'omologia della valutazione dei presupposti di emissione dell'ulteriore misura nei confronti di ognuno dei destinatari della stessa, in tal senso non ritenendosi appagante per sorreggere la divergenza di strumenti impugnatori la persistenza dell'originario procedimento cautelare - sottesa dall'impostazione della giurisprudenza suindicata - con riguardo al caso del provvedimento cautelare che abbia perduto efficacia in dipendenza della sentenza di proscioglimento, ma ritenuto suscettibile di sostanziale reviviscenza nell'ipotesi in cui l'esito decisorio di merito risulti ribaltato nel grado successivo. Si tratta di considerazioni di non poco momento, che paiono possedere spessore adeguato a confrontarsi con la tesi coltivata dall'orientamento in apparenza prevalente nella più autorevole sede nomofilattica. 4. Tanto premesso, il Collegio considera affiorata la necessità di comporre il rilevato contrasto interpretativo, registrato anche nell'ambito giurisprudenziale. L'esigenza del diradamento di ogni incertezza sul punto analizzato risulta ancora più sentita per il fatto che la questione riguarda l'individuazione del corretto mezzo impugnatorio in materia incidente sulla libertà personale dell'imputato. Si ritiene, pertanto, conseguente dover rimettere alle Sezioni Unite, ai sensi dell'articolo 618, comma 1, cod. proc. penumero , l'esposta questione di diritto, la quale può condensarsi nel seguente quesito se l'imputato - nei confronti del quale sia stata emessa ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere che ha perso efficacia a causa del proscioglimento pronunciato all'esito del giudizio di primo grado - debba impugnare con l'istanza di riesame ovvero con l'appello cautelare l'ordinanza con la quale sia disposta la custodia cautelare in carcere, ai sensi dell'articolo 300, comma 5, cod. proc. penumero , emessa a seguito di successiva condanna pronunciata all'esito del giudizio di appello. P.Q.M. A scioglimento della riserva assunta all'udienza del 5 marzo 2024, rimette il ricorso alle Sezioni Unite.