La pattuita inscindibilità delle previsioni di un contratto non impedisce la declaratoria di nullità di una singola clausola

La nullità di singole clausole contrattuali, o di parti di esse, si estende all’intero contratto, o a tutta la clausola, solo qualora l’interessato dimostri che la porzione colpita da invalidità non ha un’esistenza autonoma, né persegue un risultato distinto, ma è in correlazione inscindibile con il resto nel senso che i contraenti non avrebbero concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto colpita da nullità.

A questi fini, anche qualora il contratto preveda una clausola di c.d. «inscindibilità», non è sufficiente che la singola clausola sia interconnessa ovvero costituisca un corpo unico ed inscindibile col resto dell'accordo, occorrendo invece che il suo contenuto abbia anche carattere determinante dell'accordo, nel senso che i contraenti non avrebbero concluso il contratto senza di essa. Il caso La Corte d'Appello di Milano, confermando la pronuncia di primo grado, affermava il diritto di talune dipendenti di una nota compagnia telefonica a percepire la retribuzione per il periodo trascorso tra la timbratura del badge al tornello all'ingresso dello stabilimento fino al completamento della procedura di log on e, viceversa, dal completamento della procedura di log off fino alla timbratura del badge al tornello di uscita, nonché il tempo occupato per lo spegnimento e l'accensione del computer nella pausa pranzo. Nel giungere a tale conclusione, i Giudici di merito dichiaravano la nullità parziale del contratto aziendale vigente presso la società che, in una delle sue previsioni, espressamente prevedeva come – ai fini del computo dell'orario di lavoro – dovesse tenersi conto solo del periodo compreso tra il log in ed il log off dai sistemi aziendali. Contro tale pronuncia la società ricorreva alla Corte di Cassazione, articolando vari motivi. Le clausole di un contratto possono essere «scindibili» anche in presenza di una espressa «inscindibilità» La ricorrente, in particolare e per quanto qui rileva, si doleva di come i Giudici di appello avessero riconosciuto la nullità parziale dell'accordo aziendale pur in presenza di una espressa previsione contrattuale di segno opposto. Motivo che tuttavia non viene condiviso dalla Cassazione la quale, affermando il principio esposto in massima, lo rigetta. Nell'avviso della Corte, infatti, la ricorrente non contesta la valutazione dei Giudici di merito circa l'assenza di prova sul fatto che, in assenza della clausola dichiarata nulla ed a prescindere dalla previsione di inscindibilità, la ricorrente stessa non avrebbe sottoscritto l'accordo aziendale in commento. Elemento questo di dirimente rilievo poiché «al fine di stabilire se la nullità di una clausola contrattuale importi la nullità dell'intero contratto, la scindibilità del contenuto del contratto deve essere accertata soprattutto attraverso la valutazione della potenziale volontà delle parti in relazione all'ipotesi che nel contratto fosse stata inserita la clausola nulla». Quello che rileva è esclusivamente la effettiva volontà delle parti In ragione di ciò, nell'avviso della Corte, la nullità della singola clausola contrattuale comporta la nullità dell'intero contratto ovvero, all'opposto, la conservazione dello stesso, solo in funzione della scindibilità del contenuto negoziale, il cui accertamento richiede «la valutazione della potenziale volontà delle parti in relazione all'eventualità del mancato inserimento di tale clausola, e, dunque, in funzione dell'interesse in concreto dalle stesse perseguito». È dunque onere della parte che deduce la nullità dell'intero contratto, indipendentemente da singole previsioni di formale inscindibilità, «provare l'interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla, mentre è precluso al giudice rilevare d'ufficio l'effetto estensivo della nullità parziale all'intero contratto». La volontà delle parti, da sola, è insufficiente a provocare la nullità del contratto Sotto altro profilo, conclude la Corte, la non offerta prova da parte della ricorrente della descritta natura essenziale della clausola annullata nemmeno sarebbe stata sufficiente a cagionare la nullità dell'intero assetto contrattuale, posto che «in base al secondo comma dell'articolo 1419 c.c., la nullità della singola clausola non importa la nullità del contratto quando come nel caso di specie, ndr le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative». Tutto ciò conclude la Corte, «a prescindere dal giudizio delle parti sulla essenzialità della clausola nulla […] ed a maggior ragione nella materia del lavoro, connotata da esigenze superiori di protezione del lavoratore e nel rapporto tra legge, contrattazione collettiva e contrattazione individuale, ispirata dalla regola dell'inderogabilità in peius del regolamento stabilito dalla legge». L'orario di lavoro comprende anche le attività prodromiche alla prestazione lavorativa Parimenti infondato è infine l'ulteriore motivo con cui la società lamenta la violazione del d.lgs. numero 66/2003, nella parte in cui i Giudici di merito attribuivano natura di prestazione lavorativa ad un tempo in cui di tale prestazione non v'era traccia. Motivo anch'esso non condiviso dalla Cassazione la quale, richiamando il proprio ormai consolidat issim o orientamento, ribadisce il principio per cui «ai fini della misurazione dell'orario di lavoro, l'articolo 1 […] del d.lgs. numero 66 del 2003 attribuisce un espresso ed alternativo rilievo non solo al tempo della prestazione effettiva ma anche a quello della disponibilità del lavoratore e della sua presenza sui luoghi di lavoro ne consegue che è da considerarsi orario di lavoro l'arco temporale comunque trascorso dal lavoratore medesimo all'interno dell'azienda nell'espletamento di attività prodromiche ed accessorie allo svolgimento, in senso stretto, delle mansioni affidategli ove il datore di lavoro non provi che egli sia ivi libero di autodeterminarsi ovvero non assoggettato al potere gerarchico».

Presidente Esposito – Relatore Riverso Fatti di causa La Corte d'appello di Milano, con la sentenza in atti, ha rigettato l'appello di OMISSIS avverso la sentenza che accogliendo il ricorso proposto dalle lavoratrici S.M.R., G.S. e F.M.G. aveva dichiarato la parziale nullità del paragrafo 4 dell'accordo aziendale stipulato da OMISSIS SPA in data 27 marzo 2013 con Cgil, Cisl, Uil e con il coordinamento nazionale delle RSU nella parte in cui prevedeva che “l'attestazione dell'inizio e della fine della prestazione lavorativa degli operatori e del relativo personale di coordinamento di OMISSIS . Services avverrà sulla propria postazione di lavoro mediante registrazione on line sui sistemi informatici aziendali” e per l'effetto aveva condannato OMISSIS spa o OMISSIS spa a corrispondere in favore delle ricorrenti le seguenti somme lorde a titolo di retribuzione a S.M.R. euro 3695,19, a G.S. euro 1513,87, a F.M.G. euro 2.246,47. A fondamento della decisione la Corte ha affermato il diritto delle lavoratrici a vedersi riconosciuto quale tempo effettivo di lavoro quello trascorso dalla timbratura del badge personale al tornello all'ingresso fino al completamento della procedura di log on e viceversa dal completamento della procedura di log off fino alla timbratura del cartellino al tornello all'uscita inoltre la Corte di appello ha pure riconosciuto quale tempo effettivo di lavoro quello relativo alla procedura di spegnimento e di accensione del computer nella pausa pranzo. A fondamento la Corte di appello ha ribadito in primo luogo la nullità della clausola contrattuale per contrasto con norma imperativa della singola clausola dell'accordo collettivo che escludeva tali operazioni dal computo dell'orario di lavoro ed in secondo luogo ha affermato che non fosse stato provato il carattere determinante della stessa clausola contrattuale ai fini della caducazione dell'intero contratto collettivo siccome stabilito dall'articolo 1419,2 comma c.c. quindi ha pronunciato la nullità della singola clausola fermo restando la validità del contratto collettivo per le parti non impugnate. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione OMISSIS con quattro motivi di censura ai quali hanno resistito con controricorso i lavoratori sopra individuati. 3. Le parti hanno depositato memorie. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell'articolo 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c. Motivi della decisione 1.- Col primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 1419 c.c. con riferimento alla valutazione degli accordi e della clausola di inscindibilità ex articolo 360 numero 3 c.p.c. per avere la sentenza impugnata, disattendendo il motivo d'appello, riconosciuto la nullità parziale dell'accordo del 27 marzo 2013 applicando erroneamente l'articolo 1419 c.c., come aveva già fatto il giudice di prime cure. 1.1. Il motivo è infondato. Anzitutto non è vero che, come sostenuto dalla società ricorrente, la Corte di appello avrebbe omesso di esaminare in concreto l'eccezione di inscindibilità sollevata dalla società. La Corte di appello al contrario, nel respingere il motivo di appello proposto sul punto dalla OMISSIS , ha affermato invece che la tesi della inscindibilità della clausola contrattuale sull'orario di lavoro, rispetto al resto dell'accordo sindacale, non era stata provata perché la società non aveva fornito alcuna prova che senza detta clausola non avrebbe sottoscritto l'accordo nè una simile condizione o previsione risultava specificata nell'accordo sindacale. 1.2. La ricorrente sostiene il contrario. Ma anzitutto non impugna la prima ratio decidendi affermata dalla Corte relativa al fatto che la società non ha fornito alcuna prova che senza detta clausola non avrebbe sottoscritto l'accordo. In secondo luogo la ricorrente OMISSIS si limita a dedurre come significativa la presenza in ciascuno degli accordi sottoscritti in data 27 marzo 2013 di una specifica clausola di inscindibilità – che sarebbe stata totalmente ignorata nella motivazione della sentenza impugnata – e secondo cui “ il presente accordo costituisce un corpo unico ed inscindibile con gli accordi sottoscritti in pari data”. 1.3. Secondo la ricorrente tanto varrebbe a dimostrare la inscindibilità della clausola in questione. Neppure tale tesi può essere accolta sotto vari aspetti. Anzitutto l'effettivo carattere inscindibile di una clausola contrattuale non può essere dedotta dalla riproduzione di una singola previsione era semmai onere del ricorrente riportare non solo la singola clausola di inscindibilità di cui sopra, bensì allegare e riprodurre per intero le clausole dell'accordo aziendale atte a consentire un corretto sindacato in sede di legittimità Cass. numero 22726/2011 Cass. numero 195/2016 . 1.4. In ogni caso il carattere di inscindibilità della clausola sull'orario di lavoro non potrebbe essere desunta dalla previsione sopra indicata, che si riferisce alla connessione tra i diversi “accordi sottoscritti in pari data”. 1.5. Inoltre, dal carattere inscindibile di vari accordi - a cui è riferita la clausola sopra citata - ma anche delle clausole di un accordo tra di loro, non si deduce direttamente il carattere essenziale e determinante di una singola clausola rispetto al testo complessivo di uno specifico accordo che la contenga. Ai fini dell'articolo 1419,1 comma c.c. - secondo cui la nullità parziale di un contratto o la nullità di singole clausole importa la nullità dell'intero contratto se risulta che il contraente non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità - non è sufficiente che la singola clausola sia interconnessa ovvero costituisca un corpo unico ed inscindibile col resto dell'accordo. Occorre altresì che il suo contenuto abbia anche carattere determinante dell'accordo aziendale, nel senso che i contraenti non avrebbero concluso il contratto senza di essa. 1.6. Pertanto, al fine di stabilire se la nullità di una clausola contrattuale importi la nullità dell'intero contratto, la scindibilità del contenuto del contratto deve essere accertata soprattutto attraverso la valutazione della potenziale volontà delle parti in relazione all'ipotesi che nel contratto fosse stata inserita la clausola nulla sentenza numero 23950 del 10/11/2014 . La nullità della singola clausola contrattuale comporta la nullità dell'intero contratto ovvero all'opposto, per il principio utile per inutile non vitiatur , la conservazione dello stesso in dipendenza della scindibilità del contenuto negoziale, il cui accertamento richiede, essenzialmente, la valutazione della potenziale volontà delle parti in relazione all'eventualità del mancato inserimento di tale clausola, e, dunque, in funzione dell'interesse in concreto dalle stesse perseguito sentenza numero 2314 del 05/02/2016 . La nullità di singole clausole contrattuali, o di parti di esse, si estende all'intero contratto, o a tutta la clausola, ove l'interessato dimostri che la porzione colpita da invalidità non ha un'esistenza autonoma, né persegue un risultato distinto, ma è in correlazione inscindibile con il resto, nel senso che i contraenti non avrebbero concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto colpita da nullità. 1.7. Nel caso in esame tale valutazione di inscindibilità non essendo desumibile dal contratto aziendale doveva essere addotta e provata dalla parte interessata ad ottenere l'annullamento dell'intero contratto che sarebbe divenuto privo di interesse senza la clausola dichiarata nulla. Ed invero il concetto di nullità parziale, di cui all'articolo 1419, comma 1, c.c., esprime il generale favore dell'ordinamento per la conservazione, ove possibile, degli atti di autonomia negoziale, ancorché difformi dallo schema legale, ed il carattere eccezionale dell'estensione all'intero contratto della nullità   che   ne   colpisce   una   parte   o   una   clausola conseguentemente, spetta a chi ha interesse alla totale caducazione dell'assetto di interessi programmato l'onere di provare l'interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla, mentre è precluso al giudice rilevare d'ufficio l'effetto estensivo della nullità parziale all'intero contratto Cass. numero 18794 del 04/07/2023 . 1.8. Nel caso di specie, però, secondo l'accertamento di fatto non censurabile effettuato dal giudice d'appello, OMISSIS non ha assolto in alcun modo all'onere di allegazione e prova che le competeva e tale affermazione non può pertanto ritenersi in contrasto con l'articolo 1419 c.c. nei termini appena indicati posto che tale carattere non era nemmeno desumibile dal contratto. 1.9. In ogni caso, in base al secondo comma dell'articolo 1419 c.c., la nullità della singola clausola non importa la nullità del contratto quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative. Pertanto, neppure nel caso in cui la clausola fosse stata determinante ai fini del regolamento contrattuale ai sensi dell'articolo 1419, 1 comma c.c. sarebbe possibile pronunciare la nullità dell'intero contratto quando sia possibile sostituire la clausola nulla con norma imperativa di legge 2 comma tanto, in base al principio di conservazione del contratto, siccome si evince anche dall'articolo 1339 c.c. secondo cui le clausole imposte dalla legge sono di diritto inserite nel contratto anche in sostituzione della clausola difforme apposta dalle parti. Tutto ciò vale a prescindere dal giudizio delle parti sulla essenzialità della clausola nulla di cui all'articolo 1419, 1 comma ed a maggior ragione vale nella materia del lavoro connotata da esigenze superiori di protezione del lavoratore e nel rapporto tra legge, contrattazione collettiva e contrattazione individuale, ispirata dalla regola dell'inderogabilità in peius del regolamento stabilito dalla legge. 1.10. Va infine rilevato che non ha alcun rilievo l'ordine con cui sono state esaminate la questione della nullità e della inscindibilità della clausola contrattuale in questione. Avendo la Corte disatteso la questione di inscindibilità della clausola, non ha autonomo rilievo il fatto che la Corte abbia valutato la stessa questione, ritenuta pregiudiziale, dopo aver esaminato il merito sulla sua nullità. 1.11. Inoltre, la questione della acquiescenza dei lavoratori rispetto alla invalidità dell'accordo aziendale è questione inammissibile, perché estranea rispetto all'oggetto del motivo e presenta profili di novità perché non risulta sollevata davanti al giudice di appello. Essa è pure infondata nel merito perché i lavoratori originari ricorrenti erano iscritti al sindacato che non ha sottoscritto l'accordo aziendale. 2. Col secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 1, comma 2, lettera a d.lgs. numero 66/2003 con riferimento al riconoscimento del tempo intercorrente tra l'ingresso nella sede di lavoro al log in presso la postazione come tempo di lavoro articolo 360, comma 1, numero 3 c.p.c. . La sentenza resa dalla Corte d'appello di Milano sarebbe censurabile nella parte in cui ha riconosciuto che il tempo di percorrenza impiegato dai dipendenti del OMISSIS . services dal momento dell'ingresso nella sede aziendale a quello dell'attestazione dell'inizio della prestazione, mediante login sul proprio personal computer e viceversa , sia qualificabile come orario di lavoro implicante retribuzione. Secondo lo stesso motivo di ricorso la sentenza sarebbe censurabile anzitutto per non aver correttamente valutato le circostanze di fatto, ampiamente contestate in memoria difensiva dalla società per aver ritenuto provati i fatti posti alla base della motivazione della sentenza, senza che, peraltro, su tali fatti fosse stata svolta alcuna attività istruttoria nel giudizio di prime cure. In secondo luogo, la Corte territoriale avrebbe ribaltato l'onere probatorio ponendo in capo a OMISSIS S.p.A. l'onere di provare che il prestatore di lavoro, nell'arco temporale in esame, fosse libero di autodeterminarsi o, comunque, non assoggettato il potere gerarchico. Inoltre, il giudice d'appello non avrebbe considerato che OMISSIS S.p.A., a fronte della genericità delle allegazioni avversarie, aveva, in sede di memoria difensiva specificamente dedotto le varie operazioni che il lavoratore deve effettuare dal momento dell'entrata all'uscita e viceversa. Di conseguenza sotto un primo profilo il collegio avrebbe errato nella parte della sentenza in cui ha ritenuto pacifici e dunque provati dei fatti ampiamente contestati dalla società, e così facendo il collegio era giunto a ritenere provate le circostanze dedotte dalle lavoratrici ricorrenti in primo grado. Sotto ulteriore profilo la ricorrente ha evidenziato come la motivazione fornita dalla Corte d'appello tradirebbe una erronea e contraddittoria interpretazione dell'articolo 1, comma 2 lett. A del d.lgs. 66/2003 con specifico riferimento ai presupposti che, ai sensi della disposizione invocata, consentono di definire il tempo che il dipendente mette a disposizione dell'azienda come orario di lavoro posto che nel caso di specie non sussisteva nessun potere direttivo e/o gerarchico e/o eterodirettivo esercitato dalla società datrice di lavoro sulle dipendenti. 2.1.- Il secondo motivo di ricorso presenta profili di inammissibilità e profili di infondatezza. In primo luogo, il motivo viola il principio di specificità del ricorso per cassazione, promuovendo censure eterogenee, di fatto e di diritto, processuali e sostanziali, promiscuamente accorpate v. Cass numero 7009/2017 . In secondo luogo, il motivo deduce per buona parte censure che attengono agli accertamenti di fatto ed alla valutazione delle prove come tali non deferibili a questa Corte di legittimità v. Cass numero 30577/2019 . 2.2. Sul piano logico e giuridico, nella sentenza impugnata non si rinviene, in ogni caso, alcuna violazione di legge, perché la Corte d'appello si è adeguata a quella che è l'interpretazione corrente e consolidata della normativa sull'orario di lavoro ai sensi del d.lgs. numero 66/2003 e delle direttive comunitarie nnumero 93/104 e 203/88. Avendo la Corte fondato la propria pronuncia sul medesimo principio di diritto richiamato nel ricorso da OMISSIS ovvero quello secondo cui il tempo retribuito richiede che le operazioni anteriori o posteriori alla conclusione della prestazione di lavoro siano necessarie e obbligatorie. In tal senso è orientata la giurisprudenza consolidata di questa Corte, con orientamento di recente ribadito proprio in relazione a vertenze promosse da lavoratori OMISSIS ai fini della computabilità del tempo per raggiungere il luogo di lavoro, il quale rientra nell'attività lavorativa vera e propria e va quindi sommato al normale orario di lavoro allorché lo spostamento sia funzionale rispetto alla prestazione lavorativa Cass. 27008/2023 . La stessa soluzione è da sempre estesa nella giurisprudenza di legittimità a tutte le attività preparatorie e preliminari alla prestazione lavorativa ordinanza 27799/2017, ordinanza numero 12935/2018 . In termini specificamente aderenti al tema oggetto della presente causa è stato pure affermato sentenza numero 13466 del 29/05/2017 il principio secondo cui “ai fini della misurazione dell'orario di lavoro, l'articolo 1, comma 2, lett. a , del d.lgs. numero 66 del 2003 attribuisce un espresso ed alternativo rilievo non solo al tempo della prestazione effettiva ma anche a quello della disponibilità del lavoratore e della sua presenza sui luoghi di lavoro ne consegue che è da considerarsi orario di lavoro l'arco temporale comunque trascorso dal lavoratore medesimo all'interno dell'azienda nell'espletamento di attività prodromiche ed accessorie allo svolgimento, in senso stretto, delle mansioni affidategli, ove il datore di lavoro non provi che egli sia ivi libero di autodeterminarsi ovvero non assoggettato al potere gerarchico.  In applicazione di tale principio, la S.C. ha considerato orario di lavoro il tempo impiegato dai dipendenti di una acciaieria per raggiungere il posto di lavoro, dopo aver timbrato il cartellino marcatempo alla portineria dello stabilimento, e quello trascorso all'interno di quest'ultimo immediatamente dopo il turno ”. 2.2. Ciò posto, la Corte territoriale non ha affermato nulla di diverso rispetto a tali principi e solamente – secondo i propri poteri discrezionali in materia di selezione e valutazione del materiale probatorio - ha effettuato una diversa valutazione delle circostanze di fatto acquisite in giudizio in ordine alle operazioni che i lavoratori devono compiere avendo considerato necessario e obbligatorio fare il tragitto dall'ingresso fino alla postazione di lavoro e compiere ogni altra attività preliminare cui essi sono tenuti, prima, ai fini del log in e, dopo, ai fini del log out. Per la Corte di appello si tratta di una attività eterodiretta ed obbligatoria e tale conclusione deve essere ritenuta altresì logica e fondata perché è la datrice di lavoro che ha deciso come strutturare la propria sede dove collocare la postazione di lavoro dei ricorrenti ed il percorso da effettuare è la datrice di lavoro che ha assegnato ai ricorrenti mansioni svolgibili solo tramite una postazione telematica ed ha quindi provveduto a scegliere il tipo di computer che ha ritenuto più opportuno e ne ha determinato con puntualità la procedura di accensione necessaria all'uso della stessa determinando così anche i tempi necessari è la datrice che ha deciso che all'orario esatto di inizio turno i ricorrenti debbano essere già innanzi alla propria postazione già inizializzata e pronta all'uso è la OMISSIS , infine che, con il regolamento aziendale del febbraio 2017, ha deciso che tutti coloro che accedono agli spazi aziendali sono tenuti durante la loro permanenza all'osservanza di un comportamento corretto e rispettoso delle regole stabilite da OMISSIS . Conta pure rilevare inoltre che è pacifico che fino al marzo 2013 questo tempo iniziale e finale della prestazione era considerato tempo di lavoro ed è sempre stato retribuito da OMISSIS . 3.- Con il terzo motivo si sostiene la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2697 c.c. con riferimento alla statuizione di condanna della società al pagamento delle differenze retributive posto che, a differenza di quanto affermato dal giudice di primo grado e confermato dal giudice d'appello, la società ricorrente avrebbe provato e documentato il tempo di percorrenza dai tornelli alla postazione circa 2-3 minuti , mentre i lavoratori nulla avevano dedotto di specifico sul punto. La società ricorrente aveva puntualmente evidenziato come la quantificazione del tempo impiegato dai lavoratori per recarsi dall'ingresso della sede alla propria postazione di lavoro come genericamente dedotta nel ricorso di primo grado fosse all'evidenza comunque eccessiva, generica e priva di riscontro, nonché indicata senza alcun elemento probatorio al supporto. Nel caso di specie come detto le odierne controricorrenti si erano limitate a dedurre la natura di orario di lavoro del predetto lasso temporale, senza offrire alcuna prova in merito alla relativa durata di tale periodo. 3.1. Il motivo è inammissibile essendo incentrato sulla sindacabilità nel merito dell'accertamento dei fatti ed è comunque privo di autosufficienza. Le stesse censure proposte nel motivo di ricorso violano l'onere di specificità e di autosufficienza del ricorso, di cui agli articolo 366 numero 6 e 369 numero 4 c.p.c., pur nella versione dell'onere di specificazione modulata in conformità alle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 causa Succi ed altri c/Italia , secondo i criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti per la parte d'interesse in particolare del ricorso dei lavoratori che si dice essere carente e generico in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l'attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza cfr. Cass. 04/02/2022 numero 3612 . 3.2. Inoltre le questioni poste dallo stesso motivo, implicanti accertamenti di fatto, non sono state specificamente affrontate dalla sentenza impugnata costituiva pertanto onere della ricorrente, onde impedire una valutazione di novità della questione, allegare l'avvenuta deduzione di esse innanzi al giudice di merito ed inoltre, in ossequio al principio di specificità del ricorso per cassazione, indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo avesse fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito Cass. 20694/2018, 15430/2018, 23675/2013 , come, viceversa, non è avvenuto. 3.3. Il motivo non tiene poi conto che la Corte di appello ha fatto un accertamento di merito sul tempo di lavoro, attraverso una valutazione di fatto e senza fare applicazione del principio dell'onere della prova e della regola dell'articolo 2697 c.c. non avendo perciò certamente violato tale disposizione mentre i controricorrenti avevano richiesto il pagamento del periodo di tempo minimo, necessario ed inevitabile, per effettuare gli spostamenti ed è quindi irrilevante ogni eventuale variabilità in più del tempo impiegato. 3.4. Da quanto ora espresso circa la valutazione di merito dei presupposti fattuali circa il riconoscimento delle suddette attività come rientranti nell'orario di lavoro, discende altresì l'inammissibilità dello stesso motivo di ricorso, poiché sul punto controverso la Corte di Milano ha confermato integralmente le statuizioni di primo grado, così realizzandosi l'ipotesi di cd. doppia conforme rilevante ai sensi dell'articolo 348-ter c.p.c. e dell'articolo 360, comma 1, numero 5 c.p.c., con la conseguenza che il ricorrente in cassazione per evitare l'inammissibilità del motivo, deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell'appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse Cass. numero 26774/2016 conf. Cass. numero 20994/2019, numero 8320/2021 , tenendo conto che ricorre l'ipotesi di c.d. doppia conforme, ai sensi dell'articolo 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice Cass. numero 7724/2022, numero 29715/2018 . 4.- Con il quarto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli articolo 2935 e 2948 c.c.ex art 360 numero 3 c.p.c. nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto infondata l'eccezione di prescrizione sollevata dalla difesa OMISSIS fin dalla memoria difensiva del primo grado di giudizio. 4.1. Il motivo è infondato alla stregua dell'orientamento di legittimità che si è oramai consolidato sulla scia della nota pronuncia di questa Corte di cassazione numero 26246 del 06/09/2022 secondo cui “Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, come modulato per effetto della l. numero 92 del 2012 e del d.lgs. numero 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità, sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della l. numero 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli articolo 2948, numero 4, e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro”. A tale orientamento il Collegio intende riportarsi non emergendo giustificate ragioni per discostarsene. 5.- Sulla scorta delle premesse, il ricorso va quindi respinto e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall'articolo 91 c.p.c. Sussistono le condizioni di cui all'articolo 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002. P.Q.M. La Corte respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in euro 4.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfettarie, oltre accessori dovuti per legge. Ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. numero 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell'articolo 13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.