Il rapporto tra giudizio di rettificazione e ricorso per cassazione

La sentenza conclusiva del giudizio di rettificazione ex articolo 204 R.D. 1775/33, se erronea in punto di diritto, può essere impugnata per cassazione.

Le Sezioni Unite si sono occupate, tra l'altro, del rapporto tra giudizio di rettificazione e giudizio per cassazione. Il caso Un consorzio di bonifica occupava – asseritamente senza titolo – un'area di proprietà privata per realizzare una strada. La parte interessata cessionario del credito avviava una causa avanti al Tribunale ordinario occupazione del fondo e irreversibile trasformazione sine titulo , chiedendo la condanna dell'ente convenuto al pagamento dell'indennità dovuta e al risarcimento del danno. Il Tribunale declinava la propria competenza a favore del Tribunale regionale delle acque pubbliche, il quale, riassunta la causa, rigettava la domanda ritenendo l'attore privo di legittimazione attiva. Proposto appello, il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche accoglieva in parte il gravame, condannando il consorzio al pagamento di una determinata somma in sostanza, anche se non esplicitato il valore commerciale del fondo , nulla osservando esplicitamente sulla domanda di risarcimento del danno da lucro cessante, su quella di pagamento dell'indennità di occupazione temporanea e sulla richiesta di rivalutazione. L'azione di rettificazione Contro tale decisione veniva proposta l'azione di rettificazione prevista dall'articolo 204 del RD 1775/1933, in particolare per non avere il TSAP provveduto sulle domande di condanna del consorzio al pagamento dell'indennità di occupazione legittima ed illegittima di risarcimento del danno da mancata utilizzazione del fondo di pagamento della rivalutazione monetaria e degli interessi ed altresì per non aver liquidato le spese di CTU. Il TSAP rettificava la propria decisione solo con riguardo a quest'ultimo profilo spese CTU , ritenendo invece che la decisione oggetto di rettifica non avesse omesso di pronunciarsi sulle domande indicate, ma le avesse implicitamente rigettate. Un inciso la peculiarità del rimedio della rettificazione Il procedimento di rettificazione è previsto dall'articolo 204 RD 1775/1933 “Approvazione del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e sugli impianti elettrici” , che così dispone «Per la rettificazione delle sentenze pronunciate dai Tribunali delle acque pubbliche e dal Tribunale Superiore si osserva il disposto dell'articolo 473 del Codice di procedura civile.  La rettificazione può essere domandata anche pei casi previsti ai numeri 4, 5, 6 e 7 dell'articolo 517 del Codice di procedura civile, oppure se sia stato violato l'articolo 357 del citato Codice o siasi omesso uno dei requisiti indicati nei numeri 7, 8 e 9 dell'articolo 360 del Codice medesimo…». Il richiamo al codice di rito andrebbe di per sé riferito al codice del 1865, per cui è alle norme allora là indicate che bisogna fare riferimento per valutarne l'esatta portata. Qui basti ricordare che tra i casi richiamati vi è vi era quello - a norma dell'articolo 517 c.p.c. del 1865 norma che si occupava delle ipotesi di impugnazione per cassazione delle sentenze pronunciate in grado di appello -, della decisione che abbia pronunciato su cosa non domandata, ovvero che abbia aggiudicato più di quello ch'era domandato, ovvero che abbia omesso di pronunciare sopra alcuno dei capi della domanda dedotti. Un rimedio peculiare e dalla portata molto ampia che contempla alcuni dei motivi tipici del ricorso per cassazione. Aspetto che, nel caso di specie, ha evidentemente offerto lo spunto per formulare una eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione. L'eccezione di inammissibilità del ricorso Ciò premesso, tornando alla decisione qui segnalata, le Sezioni Unite affrontano anzitutto una eccezione di inammissibilità del ricorso, secondo cui la sentenza del TSAP non sarebbe impugnabile per cassazione se non nei casi previsti dalla legge, tra i quali non rientrerebbe il vizio di “omessa pronuncia”. Vizio che potrebbe essere fatto valere unicamente con l'azione di rettificazione prevista dall'articolo 204 RD 1775/1933. Secondo gli Ermellini tale eccezione è però infondata, per queste ragioni. Il ricorrente ha impugnato per cassazione la sentenza del TSAP pronunciata all'esito del giudizio di rettificazione, facendo valere, non un vizio di omessa pronuncia, bensì sostenendo che la sentenza impugnata, rigettando il ricorso per rettificazione, avrebbe commesso un error in procedendo, consistito nell'avere ritenuto implicitamente rigettate un gruppo di domande che, invece, si assume non essere state neppure esaminate. Un errore, dunque, consistito nel travisamento del contenuto della sentenza di cui si era chiesta la rettificazione. Quindi, precisano le Sezioni Unite, il ricorrente, da un lato, non prospetta un vizio di “omessa pronuncia”, e, dall'altro, censura un errore processuale della sentenza pronunciata all'esito del giudizio di rettificazione. In questo precisato quadro, la sentenza pronunciata all'esito del giudizio di rettificazione, ove se ne assuma l'erroneità in punto di diritto, può e deve essere impugnata per cassazione, al pari di qualsiasi altro provvedimento non appellabile, definitivo e decisorio. Il principio di diritto affermato In conclusione, gli Ermellini rigettano l'eccezione di inammissibilità del ricorso facendo applicazione del seguente principio di diritto espressamente affermato «La sentenza conclusiva del giudizio di rettificazione ex articolo 204 r.d. 1775/33, se erronea in punto di diritto, può essere impugnata per cassazione».

Presidente D'Ascola – Relatore Rossetti Fatti di causa 1. Nel 1971 l'allora Consorzio omissis che in seguito si trasformerà in Consorzio omissis occupò un'area di circa due ettari nel territorio del Comune di omissis , di proprietà della società omissis s.r.l., al fine di costruire una strada. 2. M.R., cessionario dei crediti della società omissis s.r.l. nei confronti del Consorzio, nel 1983 convenne quest'ultimo dinanzi al Tribunale di Palmi, assumendo che l'occupazione del fondo e la sua irreversibile trasformazione avvennero sine titulo, e chiedendo la condanna dell'ente convenuto al pagamento dell'indennità dovuta ed al risarcimento del danno. 3. Il Tribunale di Palmi con sentenza numero 434/98 declinò la propria competenza in favore di quella del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche. 4. Nel 2014 M.R. ripropose la domanda di pagamento dell'indennità e di risarcimento del danno dinanzi al Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche di Napoli, il quale tuttavia con sentenza 28.12.2020 numero 4552 rigettò la domanda ritenendo l'attore privo di legittimazione attiva. La sentenza fu appellata dal soccombente. Con l'atto d'appello M.R. chiese a affermarsi che egli era, per effetto di cessione, il titolare dei crediti indennitari e risarcitori di cui aveva chiesto l'adempimento b condannarsi il Consorzio al pagamento di varie somme e per vari titoli, e per l'esattezza il valore commerciale del fondo irreversibilmente trasformato l'indennità di occupazione illegittima il risarcimento del danno da mancata utilizzazione del fondo “secondo le colture ed i manufatti ivi esistenti e per la forzata interruzione dell'attività d'impresa ivi esercitata” la rivalutazione monetaria e gli interessi sulle somme sopra indicate così l'atto d'appello, p. 7 . 5. Il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche con sentenza 10.2.2022 numero 30 accolse parzialmente il gravame, condannando il Consorzio al pagamento in favore dell'attore di euro 12.911,57 oltre accessori. Sebbene la sentenza non lo dichiari espressamente, dalla motivazione si desume che il Tribunale Superiore delle Acque ritenne che tale fosse il valore commerciale del fondo. In particolare, dopo avere affermato che M.R. era effettivamente il creditore del Consorzio, il TSAP così motivò la decisione nel merito - premise che “la domanda è fondata nei limiti di seguito esposti” - ritenne che la consulenza tecnica d'ufficio disposta in primo grado fosse inutilizzabile, perché fondata su congetture - ritenne che il valore commerciale del fondo dovesse desumersi da un documento preparatorio d'un accordo tra le parti, poi non andato a buon fine - nulla osservò esplicitamente sulla domanda di risarcimento del danno da lucro cessante, su quella di pagamento dell'indennità di occupazione temporanea e sulla richiesta di rivalutazione. 6. Con atto notificato il 10.4.2022 M.R. chiese la rettificazione della suddetta sentenza, ai sensi dell'articolo 204 del r.d. 11.12.1933 numero 1775. Dedusse che la sentenza del TSAP conteneva due errori rettificabili ai sensi della suddetta previsione, e cioè - non avere provveduto sulle domande di condanna del Consorzio al pagamento dell'indennità di occupazione legittima ed illegittima di risarcimento del danno da mancata utilizzazione del fondo e di pagamento della rivalutazione monetaria e degli interessi - non avere liquidato le spese di consulenza. 7. Con sentenza 11.11.2022 numero 211 il TSAP rettificò la propria sentenza 30/22 solo nella parte concernente le spese di c.t.u Nella parte restante ritenne che la sentenza non avesse omesso di pronunciarsi su alcune delle domande attoree, ma le avesse implicitamente rigettate. Ciò sul rilievo che la motivazione era preceduta dall'incipit “la domanda è fondata nei limiti di seguito esposti”. Da tale espressione - osserva la sentenza impugnata - si desume che il TSAP, avendo ben presente il quadro di tutte le domande attoree, intese accoglierne alcune, e rigettarne altre. 8. La sentenza 211/22 del TSAP è stata impugnata per Cassazione da M.R. con ricorso fondato su due motivi. Il Consorzio ha resistito con controricorso. Il Procuratore Generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso. Ambo le parti hanno depositato memoria. Il Collegio ha disposto il deposito della motivazione nel termine di cui all'articolo 380 bis, secondo comma, c.p.c Ragioni della decisione 1. Sulla istanza di interruzione del processo. Con la memoria depositata ai sensi dell'articolo 380 bis c.p.c. il difensore del Consorzio ha chiesto “dichiararsi l'interruzione del giudizio”, adducendo che il Consorzio controricorrente è stato soppresso con legge regionale Calabria 10.8.2023 numero 39. 1.1. La richiesta è manifestamente inammissibile. Il giudizio di legittimità, infatti, è caratterizzato dall'impulso d'ufficio e non di parte, e ad esso non s'applicano gli istituti della sospensione e dell'interruzione ex multis, Sez. 2 - , Ordinanza numero 30785 del 06/11/2023, Rv. 669228 - 01 Sez. 3 - , Ordinanza interlocutoria numero 11300 del 28/04/2023, Rv. 667406 - 01 Sez. 1 - , Ordinanza numero 3630 del 12/02/2021, Rv. 660567 - 01 ma così già Sez. 3, Sentenza numero 831 del 28/04/1962, Rv. 251333 - 01 . 1.2. Va da sé che la sentenza pronunciata in sede di legittimità dopo la perdita della capacità di una delle parti sarà opponibile al successore od avente causa di questa, vale a dire o al Commissario Liquidatore del Consorzio [ex articolo 36, comma 3, lettera b , l. reg. Calabria 10.8.2023 numero 39], ovvero alla Gestione Separata del Consorzio di Bonifica della Calabria, nel caso di sopravvenuta chiusura della liquidazione, ex articolo 36, comma 2, penultimo periodo, della suddetta legge regionale. 2. Sull'eccezione di inammissibilità del ricorso. Sia la Procura Generale, sia il Consorzio, hanno eccepito l'inammissibilità del ricorso. Sostengono che la sentenza del TSAP non è impugnabile per cassazione se non nei casi previsti dalla legge, tra i quali non rientrerebbe “l'omessa pronuncia”. Tale vizio, infatti, va fatto valere col ricorso per rettificazione ex articolo 204 del r.d. 1775/33. 2.1. L'eccezione è infondata. Il ricorrente ha impugnato per cassazione la sentenza del TSAP pronunciata all'esito del giudizio di rettificazione. A tale sentenza il ricorrente ascrive non già il vizio di omessa pronuncia. Il ricorrente sostiene che la sentenza qui impugnata, rigettando il ricorso per rettificazione, avrebbe commesso un error in procedendo, consistito nell'avere ritenuto implicitamente rigettate un gruppo di domande che, invece, si assume non essere state neppure esaminate. Un errore, dunque, consistito nel travisamento del contenuto della sentenza di cui si era chiesta la rettificazione. 2.2. Il ricorrente dunque in questa sede per un verso non sta prospettando un vizio di “omessa pronuncia”, e per altro verso sta censurando un errore processuale della sentenza pronunciata all'esito del giudizio di rettificazione. Ma la sentenza pronunciata all'esito del giudizio di rettificazione, ove se ne assuma l'erroneità in punto di diritto, può e deve essere impugnata per cassazione, al pari di qualsiasi altro provvedimento non appellabile, definitivo e decisorio, come già ritenuto da questa Corte così, sia pure obiter dictum, Sez. U, Sentenza numero 6591 del 14/12/1981, Rv. 417440 - 01 nello stesso senso Sez. U, Sentenza numero 1824 del 02/02/2015 . L'eccezione di inammissibilità del ricorso va dunque rigettata in applicazione del seguente principio di diritto “la sentenza conclusiva del giudizio di rettificazione ex articolo 204 r.d. 1775/33, se erronea in punto di diritto, può essere impugnata per cassazione”. 3. Sul primo motivo di ricorso. Col primo motivo il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata abbia violato gli articolo 112 e 132 c.p.c., nonché l'articolo 517 c.p.c. del 1865. Prospetta tali vizi sia ai sensi dell'articolo 360 numero 3 c.p.c., sia ai sensi dell'articolo 360 numero 4 c.p.c Nell'illustrazione del motivo si sostiene che erroneamente il TSAP ha ritenuto che la sentenza da rettificare avesse esaminato, ed implicitamente rigettato, le domande di risarcimento del danno, di pagamento dell'indennità di occupazione temporanea e di rivalutazione monetaria. Quelle domande - prosegue il ricorrente - non potevano dirsi rigettate né esplicitamente mancando qualsiasi riferimento ad esse nella motivazione , né implicitamente, poiché l'accoglimento di esse non era affatto incompatibile con le restanti parti della sentenza d'appello. 3.1. Il motivo è fondato. Il principio di diritto affermato dalla sentenza impugnata è corretto il rigetto d'un capo di domanda può essere anche implicito, se l'accoglimento di esso sia incompatibile con le complessive statuizioni contenute nella sentenza. Presupposto del rigetto implicito è dunque la nozione di incompatibilità vuoi logica, vuoi giuridica, tra la domanda che si assume non esaminata e la sentenza impugnata. Questo principio è risalente e pacifico. Fu affermato già da Sez. 1, Sentenza numero 1735 del 26/06/1963, Rv. 262670 - 01, e costantemente ribadito in seguito. Tralatizia è divenuta la massima secondo cui “è configurabile la decisione implicita di una questione … o di un'eccezione … quando queste risultino superate e travolte, benché non espressamente trattate, dalla incompatibile soluzione di un'altra questione, il cui solo esame presupponga e comporti, come necessario antecedente logico-giuridico, la loro irrilevanza o infondatezza Sez. 3 - , Ordinanza numero 12131 del 08/05/2023, Rv. 667614 - 01 Sez. 3 - , Ordinanza numero 24953 del 06/11/2020, Rv. 659772 - 01 Sez. 2 - , Ordinanza numero 12652 del 25/06/2020, Rv. 658279 - 01 Sez. 5 - , Ordinanza numero 7662 del 02/04/2020, Rv. 657462 - 01 Sez. 6 - 1, Ordinanza numero 2334 del 03/02/2020, Rv. 656762 - 01 Sez. 5 - , Ordinanza numero 2153 del 30/01/2020, Rv. 656681 - 01 Sez. 2 - , Ordinanza numero 20718 del 13/08/2018, Rv. 650016 - 01 Sez. 1 - , Ordinanza numero 24155 del 13/10/2017, Rv. 645538 - 01 Sez. U, Sentenza numero 1328 del 14/06/1967, Rv. 327893 - 01 . 3.2. Nel caso di specie, tuttavia, non può condividersi la valutazione della sentenza impugnata, secondo cui la sentenza da rettificare avrebbe non già trascurato, ma implicitamente rigettato le domande di condanna al pagamento dell'indennità d'occupazione temporanea, del lucro cessante e della rivalutazione monetaria. 3.2.1. Quanto alla prima di tali domande condanna al pagamento dell'indennità d'occupazione temporanea , il relativo credito, se sussistente, sarebbe stato autonomo ed indipendente sia rispetto alla domanda di indennizzo per l'irreversibile trasformazione del fondo, sia rispetto alla domanda di risarcimento del danno da lucro cessante. Infatti è teoricamente ben possibile che possa sussistere il credito per l'indennità di occupazione, ma non quello per il risarcimento del danno da lucro cessante ad es., se il fondo fosse risultato incolto . Pertanto la decisione sulla domanda di risarcimento del danno per la perdita del fondo non era né logicamente, né giuridicamente incompatibile col rigetto della domanda di condanna al pagamento dell'indennità d'occupazione. 3.2.2. Anche la domanda di risarcimento del danno da perdita dei proventi del fondo non può dirsi “implicitamente rigettata” dalla sentenza numero 30/22 del Tribunale Superiore delle Acque. In quella sentenza, infatti, l'intera motivazione spesa per pervenire alla stima del danno fa ripetutamente riferimento al “valore concordato del bene” irreversibilmente trasformato p. 6, capoversi quarto, quinto e settimo della sentenza impugnata . Ma il concetto di “valore del bene” non può includere, sintatticamente prima che giuridicamente, quello di lucro cessante. Ed anche il riferimento alla “carenza probatoria generale in capo all'attore” p. 6, sesto capoverso , per il contesto nel quale è inserito, oggettivamente può avere il solo significato di carenza di prova del danno emergente, e non anche del lucro cessante. 3.2.3. Neanche la domanda di condanna dell'ente debitore al pagamento della rivalutazione, infine, si sarebbe potuta ritenere “implicitamente” rigettata dalla sentenza numero 30/22. Con l'atto introduttivo del giudizio M.R. aveva domandato la condanna del Consorzio al risarcimento del danno ed al pagamento degli indennizzi sopra indicati, “con la maggiorazione sulle somme della svalutazione monetaria intervenuta e degli interessi legali sulle somme così rivalutate” così il ricorso introduttivo, p. 4 l'istanza fu reiterata con l'atto d'appello, p. 7 . La sentenza 30/22 del Tribunale Superiore delle Acque tuttavia, dopo avere stimato il solo danno pari al valore del fondo, ha condannato il Consorzio al pagamento sul relativo importo degli “interessi legali” con decorrenza dalla data 12.12.2008 dell'atto con cui il precedente proprietario del fondo ed il Consorzio stilarono una bozza di accordo poi non concluso atto che, come s'è detto, il Tribunale Superiore ritenne l'unico elemento utilizzabile per la stima del danno . Ovviamente non spetta a questa Corte sindacare se tale modalità di liquidazione del danno da mora sia stata corretta o meno. Quel che rileva, tuttavia, è che il Tribunale Superiore, dovendo stimare nel 2022 un danno verificatosi nel 1983, lo ha liquidato in base ad una prova documentale del 2008, cioè di venticinque anni successiva all'avverarsi del danno. Così giudicando, dunque, la sentenza numero 30/22 ha mostrato di ritenere questa volta sì, implicitamente che il credito di M.R. fosse un credito di valore e non di valuta diversamente, infatti, avrebbe dovuto applicare il principio nominalistico articolo 1277 c.c. e liquidare il danno in moneta del 1983. Tuttavia nelle obbligazioni di valore la rivalutazione e gli interessi assolvono funzioni ben diverse, come ripetutamente affermato da questa Corte la prima ha lo scopo di riportare il patrimonio del danneggiato nella medesima condizione in cui si sarebbe trovato se non ci fosse stato il fatto illecito i secondi invece hanno lo scopo di ristorare il danno da perduta possibilità per il creditore di investire la somma dovutagli e ricavarne un lucro finanziario così Sez. U, Sentenza numero 1712 del 17/02/1995, Rv. 490480 - 01, in seguito sempre conforme ex permultis, più di recente, Sez. 3, Sentenza numero 9950 del 20.4.2017, in motivazione . Da quanto esposto consegue che una volta chiesta, dal creditore di una obbligazione di valore, la condanna del debitore al pagamento di “interessi e rivalutazione”, la sentenza che accordi al creditore i primi ma taccia sulla seconda o viceversa non costituisce un rigetto implicito della domanda non esaminata. Infatti, poiché rivalutazione ed interessi per quanto detto assolvono funzioni diverse, non sono tra loro legate da un nesso di implicazione reciproca bilaterale. Il giudice infatti potrebbe in teoria accordare la rivalutazione ma non gli interessi ad es., se ritenesse che il creditore, in caso di tempestivo adempimento, non avrebbe investito l'importo dovutogli e non ne avrebbe ricavato alcun lucro oppure il contrario ad es., se ritenesse che nell'intervallo tra la mora e la sentenza non si siano verificati fenomeni inflattivi o addirittura il denaro si sia apprezzato . Se dunque il creditore d'una obbligazione di valore domandi la condanna del debitore al pagamento di “rivalutazione ed interessi”, formula “una precisa domanda [che] deve ricevere dal giudice di merito una precisa risposta”, come già ritenuto da questa Corte così Sez. 3, Sentenza numero 3173 del 18/02/2016, § 5.3. dei “Motivi della decisione” . Se, dunque, nella ipotesi sopra delineata il giudice liquidasse gli interessi senza nulla disporre in merito alla rivalutazione, non pronuncerebbe su “tutta la domanda”, ed incorrerebbe nella violazione dell'articolo 112 c.p.c 4. Il secondo motivo di ricorso resta assorbito. 5. La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio affinché il Tribunale Superiore, nell'esaminare ex novo il ricorso per rettificazione proposto da M.R., provveda sulle domande da questi proposte con l'atto d'appello e non esaminate dalla sentenza del medesimo Tribunale Superiore del 10.2.2022 numero 30, ovvero - la domanda di condanna al pagamento dell'indennità di occupazione [di cui a p. 7, capo b , delle conclusioni dell'atto d'appello] - la domanda di condanna al risarcimento del danno da lucro cessante per perdita dei frutti ed interruzione dell'attività d'impresa [di cui a p. 7, capo c , delle conclusioni dell'atto d'appello] - la domanda di rivalutazione monetaria sulle somme accordate all'appellante [di cui a p. 7, capo d , delle conclusioni dell'atto d'appello]. 6. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio. P.Q.M. - accoglie il primo motivo di ricorso dichiara assorbito il secondo cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa al Tribunale Superiore delle Acque, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.