La convivenza “come coniugi” è ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio

Nel caso in cui si debba valutare se la convivenza ultra triennale tra i coniugi osti o meno alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio pronunciata per un vizio genetico del matrimonio-atto, rispondente a quelli rilevanti anche per l’ordinamento italiano, dovrà farsi riferimento al vizio in concreto accerto nella sentenza ecclesiastica e non al suo nomen iuris e, quanto alla convivenza, accertare se ha avuto le caratteristiche rilevanti per l’ordinamento italiano e non per quello canonico.

Il caso Il ricorrente aveva chiesto alla Corte d'Appello di Roma di dichiarare efficace nella Repubblica italiana la sentenza emessa dal Tribunale ecclesiastico con la quale era stato dichiarato nullo il matrimonio , da lui contratto nel 1998, per difetto di discrezione di giudizio circa i doveri e i diritti matrimoniali e per incapacità di assumere gli obblighi essenziali derivanti dallo stesso per cause di natura psichica da parte di entrambi i coniugi. Dal canto suo la moglie aveva, invece, eccepito che la convivenza coniugale si era protratta per oltre 9 anni, dal luglio 1998 al febbraio del 2008, quando i coniugi erano stati autorizzati dal tribunale civile italiano a vivere separatamente da tale unione erano nati due figli, e il marito non aveva mai palesato le proprie riserve mentali sul matrimonio. A detta della Corte d'Appello, quindi, la sentenza non era delibabile per contrarietà all'ordine pubblico in quanto vi era stata una convivenza, protratta per oltre tre anni caratterizzata dal reciproco affetto, consuetudine di vita, progettualità familiare e riconoscibilità esteriore in una vita di contatti sociali e comune responsabilità genitoriale di due figli. Da qui, il ricorso per cassazione promosso dall'uomo. Sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio-atto e convivenza Al riguardo, la Suprema Corte, da ormai dieci anni, ha affermato che la convivenza come coniugi, quale elemento essenziale del matrimonio-rapporto, ove protrattasi per almeno tre anni dalla celebrazione del matrimonio concordatario, integra una situazione giuridica di ordine pubblico italiano , la cui inderogabile tutela trova fondamento nei principi supremi di sovranità e di laicità dello Stato, ostativa alla dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità pronunciata dal tribunale ecclesiastico. In particolare, la convivenza deve essere connotata dai requisiti della esteriorità, della stabilità, e da comportamenti dai quali può legittimamente inferirsi una piena ed effettiva accettazione del rapporto matrimoniale Cass. 17/07/2014, n.16379 . Peraltro, pur se la convivenza come coniugi protratta per almeno tre anni integra una situazione giuridica di ordine pubblico italiano, tuttavia, non impedisce la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità per vizi genetici del matrimonio-atto , a loro volta presidiati da nullità nell'ordinamento italiano. Infatti, la protrazione del rapporto coniugale non può risultare impeditiva dell'accertamento di vizi genetici che rilevano come tali anche per il codice civile italiano senza rilevanza di limiti temporali alla loro deduzione. Di conseguenza, quindi, la convivenza ultra triennale non è ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità per un vizio psichico che renda incapaci a contrarre matrimonio, corrispondente a quello previsto nell'ordinamento italiano dall' articolo 120 c.c. La soluzione Nel caso di specie, secondo i Giudici, la Corte d'Appello ha valutato correttamente, secondo quanto emergeva dagli atti e in particolare dal giudizio di separazione, le caratteristiche della vita matrimoniale, e cioè la convivenza protratta per oltre nove anni, connotata da reciproco affetto, consuetudine di vita, progettualità familiare e riconoscibilità esteriore, nonché dalla nascita di due figli, con adempimento dei relativi doveri parentali, con piena accettazione del rapporto matrimoniale. Tutti questi elementi, infatti, dimostravano il superamento consapevole da parte del ricorrente di ogni criticità psichica propria e della coniuge ed erano altresì capaci di escludere che il vizio genetico dedotto e rilevato fosse corrispondete a quelli rilevanti per l'ordinamento italiano.

Presidente Meloni Relatore Russo Rilevato che L'odierno ricorrente ha chiesto alla Corte d'appello di Roma di dichiarare efficace nella Repubblica italiana la sentenza emessa dal tribunale ecclesiastico con la quale è stato dichiarato nullo il matrimonio da lui contratto con P.A. il omissis . Il ricorrente ha dedotto che il matrimonio era stato dichiarato nullo per difetto di discrezione di giudizio circa i doveri e i diritti matrimoniali e per incapacità di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio per cause di natura psichica da parte di entrambi i coniugi. La convenuta costituendosi ha eccepito che la convivenza coniugale si era protratta per oltre 9 anni, dal luglio 1998 al febbraio del 2008, quando i coniugi erano stati autorizzati dal tribunale civile italiano a vivere separatamente e che dall'unione erano nati due figli, nell'anno 2003 e nell'anno 2000 che il marito non aveva mai palesato le proprie riserve mentali sul matrimonio. La Corte d'appello ha ritenuto non delibabile la sentenza per contrarietà all'ordine pubblico poiché vi era stata una convivenza, protratta per oltre tre anni caratterizzata dal reciproco affetto, consuetudine di vita, progettualità familiare e riconoscibilità esteriore in una vita di contatti sociali e comune responsabilità genitoriale di due figli. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione H.A., affidandosi a quattro motivi. Si è difesa con controricorso P.A Entrambe le parti hanno depositato memoria. La causa è stata trattata alla udienza camerale non partecipata del 9 aprile 2024. Ritenuto che 1. Con il primo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex articolo 360 numero 3 e numero 4 c.p.c. , in relazione agli articolo 115 c.p.c. , articolo 132, numero 4 c.p.c. , articolo 2697 c.c. , articolo 8 dell'Accordo internazionale di revisione del Concordato del 1984. Il ricorrente deduce che la Corte d'appello avrebbe dovuto valutare che non vi è stata vera convivenza tra i coniugi in quanto priva dell'elemento soggettivo del consenso, risultando da diverse perizie in atti delle patologie narcisistiche che impedivano una effettiva instaurazione della convivenza coniugale connotata sia dagli elementi oggettivi che dagli elementi soggettivi. Ciò risulta non solo dalla perizia espletata nel corso del giudizio ecclesiastico ma anche da quella espletata nel giudizio di separazione non contestata dalla controparte e da una perizia di parte. Deduce che è illegittimo il principio dedotto a supporto della impugnata sentenza in cui il matrimonio inteso come rapporto, andrebbe a sanare il matrimonio inteso come atto, nonostante affetto da vizio del consenso che si presta ogni giorno nel proseguire la convivenza e la vita coniugale. Oggetto del giudizio di delibazione deve, pertanto, essere l'accertamento della sussistenza di tutti questi elementi, sia oggettivi ed esterni sia di quelli interni. Rileva di avere esibito, dedotto ed allegato numerosi elementi di prova a suffragio della mancanza assoluta di un rapporto con la P.A., che potesse definirsi veramente coniugale un rapporto che seppur presentava i tre elementi c.d. oggettivi, invero non ha adempiuto quegli elementi interni, essenziali ed idonei a configurare valido il matrimonio. Deduce che il disturbo psicologico riscontrato nei coniugi, narcisismo, ha reso loro impossibile l'instaurare una vera «convivenza coniugale» perché li ha portati, al contrario, ad instaurare una convivenza senza empatia quindi con incapacità di comprendere ed assecondare i bisogni dell'altro , senza equilibrio convivenza patologicamente agìta come strumento di soddisfacimento delle loro necessità patologiche , senza paritarietà volontà di prevaricare l'altro . 2. Con il secondo motivo del ricorso si lamenta ex articolo 360, nr. 5 c.p.c. l'omesso esame di un fatto decisivo. Il ricorrente deduce che la sua domanda si fonda sul presupposto provato in atti che le parti erano affette da una patologia psichiatrica tale da avere inficiato gravemente la loro capacità di costituire, far fiorire, consolidare e far crescere il rapporto coniugale. La Corte di appello, non addentrandosi nel merito delle contestazioni attoree né motivando le ragioni per quali non ha analizzato tale merito, si è limitata nel proporre una applicazione apodittica e numerica del termine triennale, nulla riferendo se effettivamente, nel caso specifico, si è instaurata fra le parti e per oltre un triennio un rapporto che possa veramente considerarsi coniugale. 3. Con il terzo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell' art 360 numero 3 e numero 4 c.p.c. la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli articolo 115 c.p.c. , articolo 132 nr. 4 c.p.c. , articolo 167 c.p.c. , previgente articolo 183 c.p.c. articolo 2697 c.c. , articolo 8 dell'Accordo internazionale di revisione del Concordato del 1984. Il ricorrente deduce che in tutti i propri atti la controparte si è semplicemente ed unicamente limitata ad enunciare l'esistenza degli elementi oggettivi del matrimonio consuetudine di vita comune, triennalità e riconoscibilità nulla però dichiarando né allegando né provando alcunché circa gli altri elementi cd. interni, “strettamente connessi” e quindi assolutamente essenziali quali requisiti necessari per poter fondare detta eccezione, così non dimostrando che il «matrimonio-rapporto» sia stato effettivamente convivenza coniugale, «come coniugi» di contro, la parte che solleva l'eccezione di non delibabilità, ha l'obbligo di dimostrare la sussistenza di una vera «convivenza coniugale» di durata ultra triennale, nella specie non adempiuto. 4. Il quarto motivo del ricorso è rubricato “circa gli effetti, anche ex articolo 336 cpc , della cassazione e/o riforma della sentenza impugnata sulle parti ad essa dipendenti”. Con il motivo si rileva che l'accoglimento di anche uno solo dei motivi di ricorso proposti comporterebbe la riforma delle ulteriori parti della sentenza impugnata. La parte deduce che la Corte di appello di Roma non ha rettamente applicato in casu il principio enunciato dalla sentenza della Suprema Corte a sezioni unite nr. 16379/2014 , né ha inteso valutare gli elementi probatori proposti a tale scopo da parte dell'attore limitandosi al contrario all'accertamento del solo dato numerico della durata della convivenza coniugale soprattutto il dato peritale che emerge dalle sentenze di cui si chiede la delibazione e la CTP esibita, a firma dott. L. H., chiarissima nel dichiarare che la P.A. – per il suo grave disturbo di personalità – era certamente incapace di creare e far crescere una relazione che potesse essere considerata veramente coniugale, cioè duale, di reciproco sostegno, di reciproca crescita, né la stessa Corte territoriale ha disposto l'apertura della fase istruttoria, né ha, infine, inteso valutare – in punto di diritto e nei fatti – l'inadempimento dell'onere della prova da parte della medesima P.A. cui spettava, avendo ella sollevato la eccezione di ostacolo di ordine pubblico. 5. I motivi possono esaminarsi congiuntamente e sono tutti infondati. 5.1. La Corte territoriale si è attenuta al principio di diritto enunciato nel 2014 da questa Corte di legittimità a sezioni unite, secondo il quale la convivenza come coniugi, quale elemento essenziale del matrimonio-rapporto, ove protrattasi per almeno tre anni dalla celebrazione del matrimonio concordatario, integra una situazione giuridica di ordine pubblico italiano, la cui inderogabile tutela trova fondamento nei principi supremi di sovranità e di laicità dello Stato, ostativa alla dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità pronunciata dal tribunale ecclesiastico. La convivenza deve essere connotata dai requisiti della esteriorità, della stabilità, e da comportamenti dai quali può legittimamente inferirsi una piena ed effettiva accettazione del rapporto matrimoniale Cass. S.U.17/07/2014 numero 16379 . 5.2. Sul punto questa stessa Corte ha reso nel tempo alcune precisazioni, affermando che pur se la convivenza come coniugi protratta per almeno tre anni integra una situazione giuridica di ordine pubblico italiano, tuttavia, non impedisce la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità per vizi genetici del matrimonio-atto, a loro volta presidiati da nullità nell'ordinamento italiano. La protrazione del rapporto coniugale non può infatti risultare impeditiva dell'accertamento di vizi genetici che rilevano come tali anche per il codice civile italiano senza rilevanza di limiti temporali alla loro deduzione Cass. numero 17910 del 01/06/2022 pertanto si è enunciato il principio che la convivenza ultra triennale non è ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità per un vizio psichico che renda incapaci a contrarre matrimonio, corrispondente a quello previsto nell'ordinamento italiano dall' articolo 120 c.c. Cass. numero 149 del 04/01/2023 . Al tempo stesso si è con chiarezza precisato che il vizio di capacità previsto dall' articolo 120 c.c. non è integrato dalla mera deficienza caratteriale o immaturità del coniuge, in quanto l'incapacità di valutare ex ante la rilevanza di un vincolo senza termini non si traduce in un deficit psichico, ossia in un vero stato patologico idoneo a incidere sulla capacità di intendere e volere del soggetto e sul corretto formarsi della sua volontà cosciente. Spetta, peraltro, alla Corte d'appello, quale giudice della delibazione, il controllo sulla circostanza se i vizi, come riscontrati dalla sentenza del tribunale ecclesiastico, si inquadrino in una delle cause di nullità del matrimonio riconosciute dall'ordinamento italiano Cass. numero 28307 del 10/10/2023 . 5.3. Pertanto, nell'ambito del giudizio di delibazione in cui sia stato dedotto il limite d'ordine pubblico e positivamente accertata la sussistenza della convivenza coniugale ultra triennale, nei termini descritti dalla citata sentenza a sezioni unite, restano irrilevanti quei deficit della volontà, e ancor più della personalità, pur in concreto riscontrati dalla sentenza del tribunale ecclesiastico, che non corrispondano esattamente al difetto di capacità di intendere e di volere previsto dall' art 120 c.c. , inteso come condizione psico-patologica che toglie alla persona l'attitudine ad intendere il reale significato dei propri atti, tale da impedirle di valutare la rilevanza e la conseguenza dell'impegno che assume con il matrimonio Cass. 21/07/2021, numero 20862 nell'ordinamento italiano, l'annullamento di un atto per incapacità naturale postula l'esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive bensì la prova che il soggetto sia privo della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi in arg. Cass. 15/04/2010, numero 9081 . 5.4. Inoltre, deve osservarsi che nel nostro ordinamento non rilevano gli stati emotivi che, restando in interiore homine, non si traducano in comportamenti oggettivamente apprezzabili e giuridicamente rilevanti e che non ogni vizio del consenso accertato nelle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio consente di riconoscerne l'efficacia nell'ordinamento interno, dandosi rilievo nell'ordinamento canonico, come incidenti sull'iter formativo del volere, anche a motivi e al foro interno non significativo in rapporto al nostro ordine pubblico, per il quale solo cause esterne e oggettive possono incidere sulla formazione e manifestazione della volontà dei nubendi, viziandola o facendola mancare Cass. s.u. numero 19809 del 18/07/2008 . 5.5. Deve qui precisarsi che, pur se nel giudizio di delibazione della sentenza emessa dal giudice ecclesiastico non è consentito il riesame nel merito da parte del giudice italiano, secondo quanto previsto dal Protocollo addizionale del 1984 ratificato con la legge numero 121 del 1985 , sussiste però il potere e dovere di controllo della sentenza canonica sotto il profilo della sua eventuale contrarietà con l'ordine pubblico italiano. Ora, la stabilità del rapporto matrimoniale, e di quell'insieme di diritti, doveri e responsabilità ad esso connessi, dimostrata dalla convivenza ultra triennale, costituisce un bene la cui tutela è principio di ordine pubblico il c.d. favor matrimoni , pur se l'eccezione è rilevabile solo dalla parte di conseguenza è questione di ordine pubblico, cioè di rispondenza a principi fondamentali dell'ordinamento giuridico interno, anche la verifica della concreta operatività di questo limite che, come questa Corte ha già affermato, non può riconoscersi se l'ordinamento nazionale non lo prevede neppure quanto alle fattispecie interamente disciplinate al proprio interno Cass. 17910/2022 cit. . 5.6. Pertanto ove si debba valutare se la convivenza ultra triennale tra i coniugi osti o meno alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio pronunciata per un vizio genetico del matrimonio atto, rispondente a quelli rilevanti anche per l'ordinamento italiano, dovrà farsi riferimento al vizio in concreto accerto nella sentenza ecclesiastica e non al suo nomen iuris e, quanto alla convivenza, accertare se ha avuto le caratteristiche rilevanti per l'ordinamento italiano e non per quello canonico. 6. Deve quindi osservarsi che il ricorrente non deduce che i documenti medici che egli ha allegato e che sono stati valutati dal giudice ecclesiastico attestino una patologia psichica tale da determinare la incapacità di intendere e di volere che ai sensi dell' art 120 c.c. costituisce vizio matrimoniale per l'ordinamento italiano, né che il giudice ecclesiastico abbia in concreto accertato detta incapacità di intendere e di volere, quanto un difetto di capacità di “instaurare un rapporto affettivo di tipo sponsale equilibrato, con le dovute esigenze di reciproca oblatività e paritarietà”. Deduce che i documenti da lui allegati offrono una valutazione sulle capacità empatiche dei coniugi e cioè sulla capacità di realizzare e mantenere relazioni autentiche soddisfacenti, capacità cui sarebbe ostativo il loro “narcisismo” sicché la convivenza pur se protratta per oltre nove anni sarebbe priva dei suoi elementi interni e cioè il consenso prestato dai coniugi nei fatti, che sostanzia il matrimonio e non la mera convivenza. Il ricorrente rileva che la sentenza rotale avrebbe accertato che i tratti di personalità della P.A. “di entità comunque psicologicamente rilevante, l'ha resa incapace di instaurare con lo sposo una relazione coniugale autentica, ordinata al bene dei coniugi” e da ciò inferisce che la protratta convivenza non avrebbe sanato il vizio matrimoniale. 6.1. Le censure incorrono in un errore di diritto poiché non si considera che la sussistenza della condizione ostativa costituita dalla convivenza ultra triennale è rimessa alla valutazione del giudice della delibazione il quale deve accertare se vi è stata o meno convivenza matrimoniale in base ai parametri propri dell'ordinamento nazionale e non a quelli dell'ordinamento ecclesiastico. La convivenza come coniugi deve infatti intendersi secondo la Costituzione articolo 2, 3, 29, 30 e 31 , le Carte Europee dei diritti articolo 8, paragrafo 1, della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea , come interpretate dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo, ed il codice civile quale elemento essenziale del matrimonio rapporto , che si manifesta come consuetudine di vita coniugale comune, stabile e continua nel tempo, ed esteriormente riconoscibile attraverso corrispondenti, specifici fatti e comportamenti dei coniugi, e quale fonte di una pluralità di diritti inviolabili, di doveri inderogabili, di responsabilità anche genitoriali in presenza di figli, di aspettative legittime e di legittimi affidamenti dei coniugi e dei figli, sia come singoli sia nelle reciproche relazioni familiari Cass. s.u. numero 16379/2014 cit. 5.7. Questo punto -contrariamente a quanto affermato dall'attore è stato oggetto di specifico esame da parte della Corte d'appello la quale ha valutato, secondo quanto emergeva dagli atti e in particolare dal giudizio di separazione, le caratteristiche della vita matrimoniale e cioè la convivenza protratta per oltre nove anni, connotata da reciproco affetto, consuetudine di vita, progettualità familiare e riconoscibilità esteriore, nonché dalla nascita di due figli, con adempimento dei relativi doveri parentali, con piena accettazione del rapporto matrimoniale e ha ritenuto che questi elementi dimostrassero il superamento consapevole da parte dell'attore di ogni criticità psichica propria e della coniuge e ciò vale non solo ad accertare una convivenza “come coniugi” ostativa alla delibazione, ma anche a escludere che il vizio genetico dedotto e rilevato fosse corrispondete a quelli rilevanti per l'ordinamento italiano. Si tratta di un giudizio di fatto riservato al giudice della delibazione di cui in questa sede, una volta accertata la conformità ai parametri sopra esposti, non è ammessa la revisione né la Corte di merito aveva obbligo di disporre una nuova consulenza tecnica d'ufficio o di motivare espressamente su quanto attestato dalla consulenza di parte essendo il giudice tenuto solo ad esporre le ragioni del suo convincimento in ordine alla delibabilità della sentenza ecclesiastica e non già a rifare ex novo il giudizio sulla nullità matrimoniale. Ne consegue il rigetto del ricorso. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo con distrazione in favore dei difensori della controricorrente che hanno reso le dichiarazioni di rito. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, euro 200,00 per spese non documentabili oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, ed agli accessori di legge, spese distratte in favore degli avvocati omissis e omissis . Ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. numero 115 del 2002, inserito dall 'articolo 1, comma 17 della l. numero 228 del 201 2, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi a norma dell 'articolo 52 d.lgs. 196/200 3.