In tema di fusione per incorporazione, la società incorporata, qualora insolvente, è assoggettabile a fallimento ai sensi dell’articolo 10 l.fall. entro un anno dalla sua cancellazione dal registro delle imprese.
A seguito un'operazione di fusione una s.p.a. veniva incorporata in una s.r.l. e veniva cancellata dal registro imprese. Entro un anno però dalla cancellazione la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catania chiedeva ex articolo 10 l.fall. il fallimento della s.p.a. Il Tribunale provvedeva in tal senso con decisione confermata dalla Corte d'Appello in sede di reclamo. La s.p.a. ricorreva allora in Cassazione. Con il ricorso in Cassazione la s.p.a. si duole del fatto che la Corte d'Appello e il Tribunale abbiano affermato l'assoggettabilità a fallimento della società incorporata entro un anno dalla cancellazione dal registro imprese ritenendo determinante il fatto estintivo dell'operazione di fusione e senza dare rilievo all'assoggettabilità a fallimento della società incorporante. In sostanza la ricorrente non nega che l'operazione straordinaria menzionata determini l'estinzione e la cancellazione dell'incorporata si domanda tuttavia se tale cancellazione non possa dirsi meramente “tecnica” e come tale inidonea ad innescare l'articolo 10 l.fall. In altri termini la s.p.a. ambisce a dare preminenza alla continuità dei rapporti giuridici conseguente alla fusione considerando l'operazione come una vicenda modificativa della vita dell'ente e tralasciandone, per così dire, l'effetto estintivo. Tale tesi, pur considerata “suggestiva”, è contrastata dal fallimento controricorrente e dalla Procura Generale con considerazioni ed argomentazioni integralmente condivise dalla Cassazione. Secondo il recente arresto delle Sezioni Unite numero 21970/2021 – dal quale l'ordinanza in commento non si discosta – in simile fattispecie il percorso logico-giuridico da seguire è in realtà il seguente la fusione per incorporazione determina l'estinzione a tutti gli effetti della società incorporata l'estinzione di quest'ultima comporta la cessazione dell'attività di impresa e la cancellazione dal registro imprese il fatto che l'incorporante si avvalga della stessa azienda dell'incorporata nella cui titolarità subentra , non significa che prosegua la medesima attività di impresa così delineato il quadro, è dunque applicabile alla società incorporata l'articolo 10 l.fall. ove ne ricorrano i presupposti. Osserva inoltre la Procura Generale che un fenomeno di riorganizzazione societario – quale appunto la fusione in esame – non può per principio consentire all'impresa di sottrarsi all'assoggettabilità a procedure concorsuali riducendo così la tutela del ceto creditorio. Infatti, la sussistenza di un soggetto – l'incorporante – che dopo la fusione risponda dei debiti non implica di per sé il soddisfacimento dei creditori, i cui diritti non possono perdere, per una iniziativa arbitraria del debitore, le maggiori tutele offerte dal concorso fallimentare. In questo senso l'applicazione dell'articolo 10 l.fall. all'incorporata costituisce una forma di difesa del ceto creditorio da comportamenti potenzialmente in grado di ridurre le garanzie del debitore ex articolo 2740 c.c. Se così non fosse i creditori dell'incorporata finirebbero per concorrere solo sul patrimonio dell'incorporante unitamente ai creditori di quest'ultima. La Cassazione condivide tali argomentazioni e ribadisce che l'articolo 10 l.fall. attraverso una fictio iuris sancisce la fallibilità anche degli imprenditori collettivi ed anche delle società estinte a seguito di incorporazione, fusione o scissione totalitaria entro il termine di un anno dalla loro cancellazione dal registro imprese purché l'insolvenza si sia manifestata anteriormente alla medesima o nel termine detto in questo senso vengono richiamati i precedenti di Cassazione Sez. Unumero 21970/2021 Cass. 11984/2020 Cass. 6324/2023 e Cass. 36526/2023 . Irrilevante quindi è il fatto che i debiti siano stati assunti dall'incorporante, che quest'ultima non sia fallita, che essa sia insolvente o meno e che non vi siano state richieste di pagamento dei riguardi di questa, poiché il fallimento dell'incorporata è conseguenza della sua insolvenza e del mancato decorso dell'anno ex articolo 10 l.fall. La Cassazione respinge dunque il ricorso.
Presidente Abete – Relatore Vella Fatti di causa 1. Espone il ricorrente che la società SA.DO. EDITORE Spa, impresa editrice del quotidiano , ha avuto nel tempo necessità di sostegno finanziario da parte del socio di riferimento, il dott. Ci.Ma., il cui patrimonio è stato però colpito, dal 2018 al 2020, dalla misura patrimoniale ablativa del sequestro poi annullata su provvedimento della Corte di Appello di Catania del 24.3.2020 e poi della Corte di Cassazione del 21.1.2021 , sicché, con atto del 24.11.2020, questi, per mettere in sicurezza la società editoriale, ha realizzato un'operazione straordinaria di fusione, all'esito della quale la predetta società è stata incorporata nella SOCIETÀ INIZIATIVE EDITORIALI SICILIANE Srl , che ha assunto la denominazione di SA.DO. EDITORE SOCIETÀ PER AZIONI. 1.1. A seguito di richiesta della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catania, la suddetta società incorporata SA.DO. EDITORE Spa è stata dichiarata fallita dal tribunale di Catania con sentenza 11.12.2021, ed il reclamo ex articolo 18 l. fall., proposto da CI.MA., nella qualità sia di legale rappresentante della Sa.Do. Editore Società Per Azioni che di cessato amministratore unico della Sa.Do. Editore Spa, è stato rigettato dalla Corte d'appello di Catania con la sentenza indicata in epigrafe. 1.2. In particolare, i giudici del reclamo hanno affermato i l'infondatezza dell'eccezione di nullità dell'istanza di fallimento per omessa individuazione nel ricorso introduttivo del soggetto destinatario ii l'infondatezza dell'eccezione di nullità del decreto di convocazione per violazione del diritto di difesa iii la natura estintiva della vicenda di incorporazione per fusione, con conseguente applicabilità dell'articolo 10, comma 1, l. fall. iv il legittimo utilizzo, ai fini della prova dello stato di insolvenza, anche della documentazione postuma prodotta dalla curatela, riferita a fatti anteriori al fallimento v l'esistenza di debiti tributari oltre la soglia di cui all'articolo 15, comma 9, l. fall. 2. Avverso detta decisione CI.MA., nella duplice qualità di cui sopra, ha proposto ricorso per cassazione in tre motivi, cui il FALLIMENTO SA.DO. EDITORE Spa ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno prodotto memoria. Il Pubblico Ministero ha depositato requisitoria scritta, concludendo per il rigetto del ricorso. Ragioni della decisione 2.1. Il primo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione degli articolo 10 l.fall., 2495 e 2504-bis c.c., per avere la corte d'appello affermato l'assoggettabilità a fallimento della società incorporata entro l'anno dalla realizzazione della fusione, in ragione del ritenuto effetto estintivo dell'operazione di fusione, senza dare rilievo alla assoggettabili a fallimento della società incorporante. 2.2. Il secondo lamenta violazione e falsa applicazione degli articolo 5 l. fall. e 2504 bis c.c., per avere la corte territoriale ritenuto irrilevante ogni accertamento circa la solvibilità dell'incorporante. 2.3. Il terzo censura la violazione e falsa applicazione dell'articolo 91 c.p.c. per erroneità della condanna di parte reclamante alla rifusione delle spese del grado, in quanto pronunciata in erronea applicazione del criterio della soccombenza. 3. I primi due motivi, da esaminare congiuntamente perché connessi, sono da rigettare, con assorbimento del terzo. 3.1. In sintesi, e per come ricordato in memoria, il ricorrente sostiene che l'orientamento inaugurato da Cass. Sez. U, 21970/2021, che ha rivitalizzato la lettura della fusione come vicenda non già evolutivo-modificativa, bensì estintivo-successoria, mancherebbe di confrontarsi col dato caratteristico e proprio della fusione, che è quello di comportare l'assegnazione di masse patrimoniali ovvero quote di patrimonio funzionalizzato, ordinate secondo un criterio di appostazione e valutazione contabile che si perpetua, salvo deroghe espresse, nell'ente risultante dall'operazione e non di semplici beni o insiemi di beni . Esso sarebbe comunque proteso a coniugare l'affermazione del principio della continuità nei rapporti giuridici con il disconoscimento dell'ipotesi di una contestuale sopravvivenza, sia pure con assetto organizzativo rinnovato, dell'originario titolare dei detti rapporti tanto da negarsi l'effetto interruttivo del processo , sì da finire per declinare una tesi intermedia, che inquadra la fusione come vicenda modificativa quoad effectum , capace di dar vita ad una vicenda modificativa dell'atto costitutivo per tutte le società che vi partecipano e di determinare un fenomeno di concentrazione giuridica ed economica , salvo solo negare il fenomeno che in motivazione viene descritto come sopravvivenza ad aeternum della società incorporata o fusa nonostante la irreversibile riorganizzazione materiale e giuridica operata . Non nega, il ricorrente, che le citate Sezioni Unite mostrino incidentalmente di ritenere vigente, nel nostro sistema, un principio di fallibilità dell'incorporata , ma assume come da verificare il dubbio se il presunto effetto estintivo a carico della incorporata e la conseguente sua cancellazione dal registro delle imprese corrispondano in tutto all'ipotesi ordinaria di cancellazione prevista dall'articolo 2495 c.c., oppure integrino un fenomeno peculiare, equiparabile ad una cancellazione puramente tecnica , come tale inidonea ad innescare l'applicazione dell'articolo 10 l. fall. , il quale prenderebbe in considerazione un fenomeno la cessazione dell'attività di impresa non ravvisabile nella fusione, la cui peculiarità, secondo le stesse Sezioni Unite, sta nella prosecuzione dei soci nell'attività d'impresa mediante una diversa struttura organizzativa , sicché, al contrario che nello scioglimento e liquidazione della società , la fusione avrebbe un significato opposto non l'uscita dal mercato, ma la permanenza dei soci sul medesimo, sia pure in forme diverse . Di qui la conclusione che il presupposto applicativo uniforme degli articolo 10 e 11 l. fall. sia rappresentato dall'esigenza di scongiurare l'improvviso venir meno della tutela concorsuale del ceto creditorio che potrebbe verificarsi in assenza delle richiamate norme speciali per effetto della intervenuta cessazione dell'attività di impresa, oppure del venir meno, quale centro di imputazione di tale attività, di un soggetto suscettibile di fallimento esigenza che invece non si pone in caso di fusione tra società lucrative fallibili, atteso che l'attività prosegue ed il soggetto risultante dalla fusione è parimenti soggetto alle regole del concorso , similmente a quanto accade nell'ipotesi in cui l'attività di impresa del soggetto imprenditore individuale defunto sia proseguita senza soluzione di continuità dall'erede . Aggiunge il ricorrente che il dato, riaffermato dalle Sezioni Unite, della continuità dell'attività di impresa in ipotesi di fusione rende manifesta l'inapplicabilità di un criterio di valutazione dell'insolvenza che cristallizzi la situazione al momento di perfezionamento della fusione, senza tener conto delle modificazioni successivamente intervenute per effetto della continuazione dell'attività allo stesso modo, in ragione dell'intervenuta confusione tra i patrimoni delle società partecipanti alla fusione, nella valutazione della solvibilità attuale della società dovrebbe tenersi conto anche dell'incremento patrimoniale conseguito per effetto della fusione che nel caso che ha dato origine al presente giudizio era stato particolarmente rilevante , in quanto anch'esso attratto nella garanzia patrimoniale c.d. generica per i debiti già in capo all'incorporata . L'accoglimento della tesi che predica l'autonoma fallibilità post fusione della società incorporata in altra compagine lucrativa fallibile si rivelerebbe allora 1 distonico rispetto alla configurazione normativa dell'istituto della fusione come strumento utile alla soluzione anche delle crisi di impresa arg. ex articolo 2501 c.c. e 160 l. fall., nonché, oggi, 166 CCII 2 contrastante rispetto alla ratio degli articolo 10 e 11 l. fall., che è quella di non privare i creditori della tutela concorsuale e non certo quella di moltiplicare senza costrutto i soggetti fallibili 3 disfunzionale rispetto all'esigenza di un reale accertamento dell'insolvenza attuale . 3.2. Il Fallimento controricorrente sottolinea l'inconferenza dei riferimenti all'articolo 2495 c.c. norma non evocata dalla sentenza impugnata e all'articolo 2504-bis c.c. non essendo in discussione che la società scaturita dalla fusione abbia assunto tutte le posizioni giuridiche, attive come passive, già facenti parte del patrimonio dell'incorporata e valorizza come vero parametro di giudizio l'articolo 10 l. fall., cui correla l'articolo 11 l. fall., norma da applicare in via estensiva o analogica una volta riconosciuto che la fusione per incorporazione comporta tanto l'estinzione della società incorporata, quanto la successione dell'incorporante in universum ius Cass. Sez. U, 21970/2021 , posto che gli effetti normativi implicati non possono più dirsi peculiari e caratteristici dei soggetti, come le persone fisiche, che godono di una vita biologica . Pertanto, gli attivi, materiali come immateriali ivi compresi i rapporti contrattuali confluiti nel patrimonio dell'incorporante, o sono da ritenersi già separati da quest'ultimo per effetto dello stesso fallimento dell'incorporata, in applicazione analogica dell'articolo 11 l.f. oppure potrebbero divenirlo per effetto dell'esercizio delle azioni revocatorie . Taccia poi come suggestivo, ma inefficace , l'argomento per cui la scissione sarebbe un fenomeno disaggregativo del patrimonio, laddove la fusione invece porterebbe alla concentrazione dei patrimoni, dal momento che anche nel caso della trasformazione regressiva i creditori troveranno dopo l'operazione più patrimoni aggredibili di quello della società ante trasformazione i patrimoni dei soci ma questo non vale certo ad escludere come è noto il fallimento della società e comunque il fatto che i creditori della società incorporata trovino un ulteriore patrimonio aggredibile, quello dell'incorporante, non è sufficiente ad escludere il pregiudizio, atteso che la composizione di quest'ultimo, e la necessità di sottostare altresì al concorso con un'ulteriore massa creditoria, potrebbe comunque risultare meno favorevole alla tutela dei primi si pensi non solo e non tanto al caso della incorporante che si trovi in condizioni patrimoniali peggiori dell'incorporata, ma piuttosto, e ad es., ad un attivo della incorporante fortemente immobilizzato, che induca i creditori della stessa ad iniziative aggressive, che possono provocare la disgregazione e la sottovalutazione dell'intero attivo della società scaturita dalla fusione, con danno anche per i creditori delle società incorporate . In memoria, poi, il controricorrente sottolinea che l'idea di una prosecuzione da parte della società incorporante della medesima impresa della società incorporata oltre ad essere circostanza irrilevante ai fini dell'applicazione dell'articolo 10 l.fall. deriva da un'erronea sovrapposizione dei concetti di impresa e di azienda , poiché nei casi, come quello di specie, di fusione per incorporazione, ciò che viene trasferito alla società incorporante è bensì l'azienda già di pertinenza della società incorporata così come gli altri beni extra-aziendali che eventualmente rientravano nel patrimonio dell'incorporata , ma di certo non anche l'impresa che, in quanto attività e non un bene o un rapporto giuridico , non è, come detto, suscettibile di trasferimento alcuno . Di qui la sequenza logica conclusiva i la fusione per incorporazione determina l'estinzione della società incorporata per tutte le ragioni illustrate da Cass. Sez. U, 21970/2021 ii l'estinzione della società incorporata comporta, a sua volta, la cessazione della sua attività di impresa vuoi perché qualunque soggetto di diritto, una volta estinto, evidentemente non può più operare e, quindi, non può neppure svolgere attività di impresa, vuoi, per altro verso, perché non è giuridicamente concepibile la successione di un altro soggetto nella pregressa attività del soggetto estinto, ma solo, come detto, nei rapporti giuridici conseguenti allo svolgimento di detta attività iii il fatto che la società incorporante, avvalendosi dell'azienda dell'incorporata, nella cui titolarità di questa sì è subentrata, non significa anche che l'incorporante sia succeduta e prosegua la medesima attività di impresa dell'incorporata, ma significa semplicemente che l'incorporante ha avviato una nuova attività di impresa ad essa materialmente e giuridicamente riferibile, distinta da quella oramai cessata dell'incorporata, sebbene avente il medesimo oggetto iv chiarito l'equivoco su cui fonda la tesi avversaria pretesa unicità dell'impresa delle due società , la corte territoriale ha correttamente sussunto nella previsione dell'articolo 10 l.fall. il caso concreto, in cui ricorrono gli elementi costitutivi della relativa fattispecie estinzione del soggetto imprenditore e cessazione della relativa impresa . Sotto il profilo dell'insolvenza, il controricorrente evidenzia che l'avvenuta estinzione dell'incorporata, insieme alla circostanza che grandissima parte dei suoi debiti fosse ancora esistente, esigibile e scaduta da tempo, al momento della dichiarazione di fallimento e sulle soglie della scadenza dell'anno dalla fusione , non potrebbe avere altro significato che quello della sua persistenza e rispetto ad essa il fallimento costituisce la risposta inevitabile del sistema mentre solo quando i debiti non configurano una vera e propria insolvenza, per prevenire il pregiudizio che i creditori potrebbero subire dall'operazione il sistema assegna loro un altro strumento di tutela mai esclusivo l'opposizione, che può essere evitata appunto pagando i crediti residui, oppure garantendone con certezza l'adempimento futuro . 3.3. La richiesta di rigetto del ricorso formulata dal PM muove da un riepilogo dell'evoluzione giurisprudenziale su natura ed effetti dell'istituto della fusione societaria per incorporazione, culminante nell'affermazione di Cass. Sez. U., 21970/2021 in controtendenza con Cass. Sez. U., 2637/2006 che la fusione per incorporazione estingue la società incorporata, in un'ottica però capace di coniugare riorganizzazione e concentrazione, da un lato, ed estinzione e successione, dall'altra , poiché la fusione realizza una successione a titolo universale corrispondente alla successione mortis causa e produce gli effetti, tra loro interdipendenti, dell'estinzione della società incorporata e della contestuale sostituzione a questa, nella titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, della società incorporante, che rappresenta il nuovo centro di imputazione e di legittimazione dei rapporti giuridici già riguardanti i soggetti incorporati . Di qui il rilievo che, dopo la fusione o la scissione, l'assoggettabilità a fallimento della società, ancorché cancellata dal registro delle imprese, non dipende tanto dalla sua sopravvivenza alla cancellazione, quanto piuttosto dalla presenza nell'ordinamento di una norma speciale come quella dell'articolo 10 l.fall. . Ed infatti, nonostante le oscillazioni giurisprudenziali sulla natura della fusione, non è mai stata negata la possibilità di assoggettare al fallimento la società incorporata, sia pure entro un anno dalla sua cancellazione dal registro delle imprese , dal momento che un fenomeno di riorganizzazione societario come pure, più in generale, di modificazione della struttura conformativa del debitore, non può, come principio, realizzare una causa di sottrazione dell'impresa dalla soggezione alle procedure concorsuali sicché il tema della soggezione della società fusa o scissa alle procedure concorsuali attiene non già al piano dell'organizzazione societaria dell'impresa , quanto, piuttosto, al piano dell'operatività dell'impresa e dei suoi rapporti coi terzi, contraenti e creditori cfr. Cass. 4737/2020, in tema di fallibilità dell'impresa scissa . Secondo l'ufficio della Procura generale, la presenza di un soggetto che, a seguito di successione o trasformazione, possa rispondere dei debiti non implica in sé il soddisfacimento dei creditori, i cui diritti non possono perdere, per un'iniziativa del debitore, l'ampia tutela che è assicurata dal concorso fallimentare, nella convinzione che, diversamente ragionando, si giungerebbe al riconoscimento alla società di un efficace strumento -la fusione per sottrarsi, in caso di dissesto, al fallimento ed alle sue regole . L'articolo 10 l.fall. mira perciò, tra l'altro, a tutelare il ceto creditorio da eventuali comportamenti potenzialmente in grado di diminuire o affievolire la responsabilità dell'imprenditore ex articolo 2740 c.c. e la fusione per incorporazione, pur dando continuità ai rapporti giuridici in essere, arreca un potenziale pregiudizio al ceto creditorio della società fusa, che si trova a concorrere sul patrimonio di quest'ultima unitamente ai creditori dell'incorporante . Pertanto, presupposto dell'applicazione dell'articolo 10 l.fall. altro non è secondo quanto emerge pianamente dalla lettura del suo testo -che la cancellazione dell'imprenditore dal registro dell'impresa , dal momento che la norma non presuppone necessariamente che anche la corrispondente attività di impresa venga a cessare sul piano oggettivo conf. Cass. 23174/2020 . E questa interpretazione soddisfa pienamente la stessa ratio dell'articolo 10 l.fall. che, ammettendo la fallibilità dell'impresa cessata, mira a ad evitare che la condotta del debitore possa vanificare le aspettative dei creditori provocando, con la dissoluzione dell'impresa, quella della loro garanzia b ad evitare un'indefinita incertezza in ordine alla stabilità dei rapporti giuridici coinvolti Cass. 10302/2020 . 4. Il Collegio ritiene di condividere la ricostruzione sistematica offerta dalla Procura generale e dal controricorrente, in linea con gli approdi nomofilattici precedenti e successivi alla nota pronuncia delle Sezioni Unite del 2021 di cui è superfluo qui ulteriormente richiamare le argomentazioni in base alle quali è stato puntualizzato che, anche nel sistema societario successivo alla riforma del 2003, così come in quello antecedente cfr. Cass. Sez. U., 19698/2010 , la fusione per incorporazione estingue la società incorporata i quali valorizzano l'articolo 10 l. fall. come norma affatto speciale che, attraverso una fictio iuris e in perfetta equiparazione al debitore persona fisica , sancisce la fallibilità anche degli imprenditori collettivi, e segnatamente delle società -quand'anche estinte a seguito di incorporazione, fusione o scissione totalitaria Cass. 11984/2020 entro il termine di un anno dalla loro cancellazione dal registro delle imprese, purché l'insolvenza si sia manifestata anteriormente alla medesima o nel termine detto. 4.1. Anche di recente è stato infatti ribadito che la fusione per incorporazione estingue la società incorporata, rendendone possibile la declaratoria di fallimento solo entro l'anno previsto dall'articolo 10 l. fall., pena l'inesistenza della relativa statuizione Cass. 6324/2023 ma anche, e più direttamente, che nell'ipotesi di cancellazione societaria generata dal fenomeno della incorporazione opera la disciplina di cui all'art 10 l.fall. , la quale comporta la fallibilità della società incorporata entro l'anno dalla cancellazione dal registro delle imprese Cass. 36526/2023 . 4.2. Né sussiste la prospettata distonia rispetto alla configurazione normativa dell'istituto della fusione come strumento utile alla soluzione anche delle crisi di impresa, poiché è evidente che ciò vale solo se e nella misura in cui esso sia effettivamente canalizzato nei corrispondenti strumenti concorsuali preventivi, diretti a superare lo stato di crisi o di insolvenza, non potendo invece la fusione, di per sé, scongiurare il rischio della dichiarazione di fallimento o liquidazione giudiziale, essendo quantomeno necessario che l'operazione riesca a coagulare una desistenza dei creditori intenzionati a conseguire quella dichiarazione. 4.3. Se dunque deve ritenersi un punto fermo l'estinzione della società incorporata, e che detta estinzione comporta la cessazione dell'attività d'impresa sua propria non esclusa dalla prosecuzione dei soli rapporti ad essa connessi in capo alla società incorporante, che in quanto ente distinto svolge una sua propria e distinta attività d'impresa è inevitabile l'applicazione dello speciale regime declinato dall'articolo 10 l.fall., avuto riguardo ad uno stato di insolvenza manifestatosi anteriormente alla cancellazione dal registro delle imprese, o entro l'anno successivo. 4.4. Risulta insomma ancora attuale sebbene relativo a fattispecie di fusione di società di persone anteriore all'entrata in vigore della riforma del diritto societario introdotta con D.Lgs. 17 gennaio 2003, numero 6 l'insegnamento per cui è irrilevante che i debiti siano stati, con la fusione, assunti dalla società incorporante che la fusione non sia stata contrastata dai creditori che sia mancato il fallimento della società incorporante che sia mancata qualsiasi richiesta di pagamento rivolta dai creditori dell'incorporata alla società incorporante , poiché il fallimento della società incorporata è conseguenza della sua insolvenza e del mancato decorso dell'anno dalla sua estinzione per fusione e prescinde dalla solvibilità o meno della società incorporante, che può semmai costituire ragione di eventuale soggezione di quest'ultima a procedura concorsuale, al pari di quanto si verifica per l'imprenditore individuale defunto ai sensi dell'articolo 11, primo comma, legge fall., norma, quest'ultima, che postula una sorta di sopravvivenza dell'impresa rispetto al soggetto che ne era titolare, a garanzia della massa dei creditori Cass. 2210/2007 . 4.5. Va dunque affermato il seguente principio di diritto In tema di fusione per incorporazione, la società incorporata, qualora insolvente, è assoggettabile a fallimento, ai sensi dell'articolo 10 l.fall., entro un anno dalla sua cancellazione dal registro delle imprese. 5. Al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese in favore del controricorrente, liquidate in dispositivo. 6. Sussistono i presupposti di cui all'articolo 13, comma 1-quater, d.P.R. 115/02 cfr. Cass. Sez. U, 23535/2019, 4315/2020 . P.Q.M. Rigetta i primi due motivi di ricorso, con assorbimento del terzo. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del d.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 25 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 23 maggio 2024.