Ponendosi in aperto contrasto con altro orientamento di legittimità, la Quinta sezione di Cassazione riconosce la possibilità di ricorrere in cassazione avverso la sentenza di non luogo a procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo.
Decisivo il dato per il quale, all'interno di questo ibrido provvedimento giurisdizionale, convergono, in parallelo, due binari che vanno tuttavia tenuti distinti la pronuncia di improcedibilità virtualmente conclusiva e la vocatio in iudicium della nuova ed eventuale fase processuale. La decisione di merito e il ricorso del PG. Una donna veniva tratta in giudizio per rispondere del delitto di tentato furto in abitazione aggravato. In sede di udienza preliminare, il GIP del Tribunale di Rimini dichiarava non doversi procedere, ai sensi dell'articolo 420-quater c.p.p., per mancata conoscenza, da parte dell'imputata, della pendenza del processo, disponendo al contempo le sue ricerche sino al 27 dicembre 2029, data in cui maturerà il termine prescrizionale di cui all'articolo 159, ultimo comma c.p. ai sensi del quale, «non può essere superato il doppio dei termini di prescrizione di cui all'articolo 157» . Nel caso in cui la donna venisse nel frattempo rintracciata la stessa sentenza di non luogo a procedere le venga consegnata. La procura interpone ricorso per cassazione deducendo, con unico motivo di gravame, due censure attinenti alla violazione di legge in relazione all'articolo 420-quater c.p.p. il giudice avrebbe erroneamente applicato la disciplina della prescrizione previgente insieme alla disciplina processuale successiva come ridisegnata dalla riforma Cartabia ha comunque calcolato il termine, corrispondente alla prescrizione massima per il delitto contestato, in maniera errata. Possibile ricorrere in Cassazione avverso la sentenza di mancata conoscenza del processo? Prima di entrare nel cuore del gravame, i giudici di legittimità devono affrontare la questione processuale se sia ammesso il ricorso in Cassazione avverso la sentenza di non luogo a procedere emessa ai sensi dell'articolo 420-quater c.p.p. che, come precisato dalla recente Circolare del Ministero della Giustizia del 20 maggio 2024, «non deve essere iscritta nel SIC, non essendo previsto dallo stesso articolo 3 del TUCG l'iscrivibilità di tale provvedimento». Si dà conto di un orientamento, sorto in sede alla seconda sezione di Cassazione, che lo esclude, stante il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, fintantoché non sia spirato il termine previsto dall'articolo 159, ultimo comma c.p., trattandosi di pronuncia revocabile, di natura sostanzialmente interlocutoria, per la quale non opera la garanzia sancita dall'articolo 111, comma 7, Cost. Sez. II, nnumero 11757/2024 e 50426/2023 . Nasce il contrasto giurisprudenziale La sentenza in commento non condivide tale approdo ermeneutico. Abbandonando la soluzione della sospensione del processo – in cui lasciava una sorta di limbo i processi per i quali non era possibile procedere in assenza, dovendo il giudice ogni anno disporre ricerche, e “condannava” l'accusato a diventare imputato per sempre o eterno giudicabile – l'articolo 23 del d.lgs. numero 150/2022 ha introdotto la nuova sentenza di non luogo a procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell'imputato. Pacifico che si tratti di una pronuncia in rito, che prescinde da ogni accertamento di merito e dalla verifica dell'eventuale sussistenza delle condizioni legittimanti l'adozione di una decisione ai sensi dell'articolo 129 c.p.p. inappellabile e dotata di un'efficacia preclusiva limitata, in quanto destinata ad essere revocata, sia pure entro scanditi limiti temporali, quando l'imputato venga rintracciato. La sua definitività è ancorata ad un decorso del tempo stabilito ad hoc dal legislatore, individuato nel decorso del doppio dei termini di prescrizione previsti dall'articolo 157 c.p., termine che può essere in concreto molto lungo per evitare che l'imputato si sottragga “maliziosamente” allo svolgimento del processo. Sentenza sui generis e di natura bifronte Per riconoscere la possibilità di ricorrere in cassazione avverso la sentenza di non luogo a processo per mancata conoscenza della pendenza del processo, gli ermellini si soffermano su un aspetto sui generis della stessa che ne evidenzia la natura complessa. Sottolineata la natura “bifronte” della sentenza riconosciuta di recente dalla Corte costituzionale, nella sentenza numero 192/2023 – da un lato, definisce il processo appena iniziato e, dall'altro, lo riapre quando l'originario imputato verrà rintracciato – proprio la funzione di definizione del processo, propria di un provvedimento potenzialmente in grado di acquisire il crisma della irrevocabilità ovvero di essere posto nel nulla attraverso il decreto di revoca, a seconda dell'esito delle disposte ricerche ad opera della polizia giudiziaria, fa propendere per la tesi dell'impugnabilità e, in particolare della possibilità di impugnare la sentenza attraverso il rimedio del ricorso per cassazione. Occorre distinguere due binari “paralleli” Decisiva, per l'odierna sentenza, la circostanza che all'interno di questo ibrido provvedimento giurisdizionale, convergono, infatti, in parallelo, due binari i quali vanno tuttavia tenuti distinti la pronuncia di improcedibilità virtualmente conclusiva e la vocatio in iudicium della nuova ed eventuale fase processuale. Allo stesso tempo la natura definitoria della decisione va separata dalla sua eventuale irrevocabilità in quanto è proprio tale natura che rende la sentenza impugnabile attraverso il ricorso per cassazione, una volta escluso dal legislatore l'appello. La norma di chiusura del sistema Non risulta dirimente che la disciplina di nuovo conio non preveda espressamente tale rimedio giurisdizionale in quanto a parte che nemmeno lo esclude ai sensi dell'articolo 111, comma 7, Cost., è sempre ammesso il ricorso per cassazione per violazione di legge per i provvedimenti a contenuto decisorio che incidano sui diritti di libertà, patrimoniali o sulla pretesa punitiva dello Stato. In tale direzione, si è già riconosciuta la possibilità di ricorrere in cassazione per i provvedimenti emessi, in tema di patrocinio dei non abbienti a spese dello Stato, in sede di reclamo avverso il decreto di liquidazione dei compensi dei difensori che hanno carattere decisorio e capacità di incidere in via definitiva sui diritti soggettivi Sez. Unite, numero 25080/2023 per l'ordinanza di archiviazione per particolare tenuità del fatto emessa a seguito di opposizione dell'indagato in quanto anch'essa capace di incidere, in via definitiva, su situazioni di diritto soggettivo Sez. V, numero 36468/2023 . E se si ricorre dopo l'inutile decorso del termine per le ricerche? La sentenza in commento si confronta anche con la soluzione intermedia per cui, partendo dall'assunto che la sentenza di non luogo a procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell'imputato diventa effettiva nel momento in cui essa, decorso inutilmente il termine di cui al comma 3 dell'articolo 420-quater c.p.p., non è più revocabile, rendendo definitivo il proscioglimento in rito. Sicché si potrebbe sostenere che solo a partire da tale momento sarebbe esperibile il ricorso per cassazione. Anche se per certi versi tale prospettiva sembra condivisibile, per i giudici della quinta sezione di legittimità, tuttavia, all'interno della sentenza exarticolo 420-quater c.p.p. è rinvenibile un segmento decisorio dotato di un'immediata e concreta ricaduta sui diritti delle parti, idoneo sin da subito ad incidere in via definitiva sugli interessi in gioco, perché da esse non contestabile, se non di riconoscesse loro la possibilità di impugnare la decisione quanto meno sotto questo profilo quello relativo alla determinazione del tempo di durata delle ricerche dell'imputato, perché su di esso di fonda l'intera sequenza procedimentale, che potrebbe condurre all'impossibilità di procedere alla revoca della sentenza de qua. Attraverso il ricorso per cassazione si consente così di mettere un punto fermo sul tempo necessario allo svolgimento delle ricerche dell'imputato, evitandone la ripetizione nel caso di annullamento della sentenza per erronea determinazione che, altrimenti, dovrebbero riprendere . La fondatezza del proposto ricorso per cassazione E' proprio quello che accade nell'impugnazione sottoposta all'attenzione della Suprema Corte che, in accoglimento del ricorso, corregge l'error iuris legato al tempo di durata delle ricerche dell'imputato. Il GUP, infatti, non ha tenuto conto che la contestata aggravante dell'articolo 112, comma 2, c.p. – circostanza ad effetto speciale che impone l'aumento sino alla metà della pena perché si è avvalso di persona non imputabile o non punibile – per cui la pena massima da prendere in considerazione è di dieci anni e sei mesi di reclusione, più grave di quella di dieci anni tenendo conto del solo concorso delle aggravanti previste nell'articolo 625 c.p. Poiché è contestato il delitto tentato, la pena massima va individuata, in conseguenza della diminuzione minima di un terzo, in sette anni di reclusione e non di sei anni e otto mesi come calcolato dal giudice di merito . Con l'ulteriore conseguenza che il doppio del termine ordinario di prescrizione, per svolgere le ricerche dell'imputato, va individuato in quattordici anni e non in otto anni e quatto mesi come ritenuto dal giudice di merito.
Presidente Pezzullo – Relatore Guardiano Fatto e diritto 1. Con la sentenza di cui in epigrafe il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Rimini, decidendo in sede di udienza preliminare, dichiarava non doversi procedere nei confronti di S.V., in relazione al reato ex articolo 56,110,111,112, co. 2, 624 bis, 625 co. 1, numero 2 e numero 5 , c.p., in rubrica ascrittole, ai sensi dell'articolo 420 quater, c.p.p., per mancata conoscenza da parte dell'imputata della pendenza del processo, disponendo, nel contempo, che il personale della stazione dei Carabinieri di Legnago proceda alle ricerche della S.V. sino al 27.12.2029, giorno in cui maturerà il termine di cui all'articolo 159, ultimo comma, c.p., e, qualora la rintracci, provveda a notificarle personalmente copia della sentenza di non doversi procedere, nonché gli ulteriori adempimenti previsti dall'articolo 420-quater, c.p.p. 2. Avverso la sentenza del giudice per le indagini, di cui chiede l'annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Rimini, fondato su di un unico motivo di ricorso, articolato in due censure, con cui lamenta violazione di legge, in relazione all'articolo 420 quater, c.p.p., derivante da un duplice errore in cui sarebbe incorso il giudice procedente, che, da un alto, ha applicato la disciplina della prescrizione previgente insieme alla disciplina processuale successiva dall'altro ha comunque calcolato il termine, corrispondente alla prescrizione massima per il delitto contestato, in maniera errata . 3. Con requisitoria scritta del 26.1.2024, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, dott.ssa Francesca Romana Pirrelli, chiede che il ricorso venga accolto, sollecitando la Corte, ai sensi dell'articolo 620, lett. l , c.p.p., a procedere direttamente alla rettifica del termine di durata massima delle ricerche, da fissare al 27 febbraio del 2032, come richiesto dal pubblico ministero ricorrente. 4. Preliminarmente occorre risolvere la questione processuale, invero decisiva, sulla possibilità di proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell'imputato, prevista dall'articolo 420 quater, c.p.p., di cui appare opportuno riportare integralmente il testo. 1. Fuori dei casi previsti dagli articoli 420-bis e 420-ter, se l'imputato non è presente, il giudice pronuncia sentenza inappellabile di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell'imputato. 2. La sentenza contiene a l'intestazione in nome del popolo italiano e l'indicazione dell'autorità che l'ha pronunciata b le generalità dell'imputato o le altre indicazioni personali che valgono a identificarlo, nonché le generalità delle altre parti private c l'imputazione d l'indicazione dell'esito delle notifiche e delle ricerche effettuate e l'indicazione della data fino alla quale dovranno continuare le ricerche per rintracciare la persona nei cui confronti la sentenza è emessa f il dispositivo, con l'indicazione degli articoli di legge applicati g la data e la sottoscrizione del giudice. 3. Con la sentenza il giudice dispone che, fino a quando per tutti i reati oggetto di imputazione non sia superato il termine previsto dall'articolo 159, ultimo comma, del codice penale, la persona nei cui confronti è stata emessa la sentenza sia ricercata dalla polizia giudiziaria e, nel caso in cui sia rintracciata, le sia personalmente notificata la sentenza. 4. La sentenza contiene altresì a l'avvertimento alla persona rintracciata che il processo a suo carico sarà riaperto davanti alla stessa autorità giudiziaria che ha pronunciato la sentenza b quando la persona non è destinataria di un provvedimento applicativo della misura cautelare degli arresti domiciliari o della custodia in carcere per i fatti per cui si procede, l'avviso che l'udienza per la prosecuzione del processo è fissata 1 il primo giorno non festivo del successivo mese di settembre, se la persona è stata rintracciata nel primo semestre dell'anno 2 il primo giorno non festivo del mese di febbraio dell'anno successivo, se la persona è stata rintracciata nel secondo semestre dell'anno c l'indicazione del luogo in cui l'udienza si terrà d l'avviso che, qualora la persona rintracciata non compaia e non ricorra alcuno dei casi di cui all'articolo 420-ter, si procederà in sua assenza e sarà rappresentata in udienza dal difensore. 5. Alla sentenza si applicano le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 dell'articolo 546. 6. Decorso il termine di cui al comma 3 senza che la persona nei cui confronti è stata emessa la sentenza sia stata rintracciata, la sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo non può più essere revocata. 7. In deroga a quanto disposto dall'articolo 300, le misure cautelari degli arresti domiciliari e della custodia in carcere perdono efficacia solo quando la sentenza non è più revocabile ai sensi del comma 6. In deroga a quanto disposto dagli articoli 262, 317 e 323, gli effetti dei provvedimenti che hanno disposto il sequestro probatorio, il sequestro conservativo e il sequestro preventivo permangono fino a quando la sentenza non è più revocabile ai sensi del comma 6 . 4.1. Orbene il tema che ci occupa è stato già affrontato in sede di legittimità, da alcuni arresti in cui è stato affermato il principio, secondo cui in tema di impugnazioni, la sentenza di non doversi procedere ex articolo 420-quater c.p.p., per mancata conoscenza, da parte dell'imputato, della pendenza del processo, per il principio di tassatività dei mezzi d'impugnazione, non è ricorribile per cassazione, fintantoché non sia spirato il termine previsto dall'articolo 159, ultimo comma, c.p., trattandosi di pronunzia revocabile, di natura sostanzialmente interlocutoria, per la quale non opera la garanzia sancita dall'articolo 111, comma 7, Cost., riguardante i soli provvedimenti giurisdizionali aventi natura decisoria e capacità di incidere, in via definitiva, su situazioni giuridiche di diritto soggettivo. In motivazione, la Corte ha precisato che all'erronea dichiarazione di assenza potrà porsi rimedio chiedendo, dinanzi al giudice che l'ha pronunciata, la revoca della sentenza emessa ex articolo 420-quater c.p.p. si vedano, in particolare, Sez. 2, numero 50426 del 26/10/2023, Rv. 285686 e Sez. 2, 9.2.2024, numero 11757, numero m. . Ritiene il Collegio di non condividere tale soluzione, per le seguenti ragioni. Come rilevato con argomentazione condivisibile nella relazione sulla Riforma Cartabia a cura dell'Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, del tutto inedita è la previsione contenuta nell'articolo 420-quater totalmente riformulato dal legislatore delegato in attuazione dell'articolo 1, comma 7, lett. e della legge delega e con la quale viene disciplinata l'ipotesi in cui non ricorrano i presupposti per procedere in assenza e le ulteriori ricerche dell'imputato disposte dal giudice abbiano dato esito negativo. La soluzione della sospensione del processo prevista per tale eventualità dalla l. numero 67 del 2014, la quale lasciava in una sorta di limbo tutti i processi nei quali non era possibile procedere in assenza, viene sostituita dall'articolo 23 del d.lgs. numero 150 del 2022 con la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell'imputato. Attraverso tale previsione il legislatore ha perseguito sia lo scopo di deflazione, sia quello di recuperare efficienza al sistema dal momento che tale pronuncia definisce il procedimento, evitando che esso rimanga pendente e che il giudice ogni anno debba disporre nuove ricerche dell'imputato . Si tratta di una sentenza in rito, che prescinde da ogni accertamento di merito e dalla verifica della eventuale sussistenza delle condizioni legittimanti l'adozione di una pronuncia ai sensi dell'articolo 129, c.p.p. inappellabile e dotata di un'efficacia preclusiva limitata, in quanto destinata ad essere revocata, sia pure entro determinati limiti temporali indicati nella sentenza stessa, quando la persona nei cui confronti è stata emessa viene rintracciata articolo 420-sexies, c.p.p. . La sua definitività, invero, è ancorata al decorso di un temine stabilito ad hoc dal legislatore, individuato nel decorso del doppio dei termini di prescrizione previsti dall'articolo 157, c.p., termine che può in concreto essere anche molto lungo e la cui previsione si giustifica al fine di evitare che l'interessato si sottragga maliziosamente allo svolgimento del processo. Dunque, per quel che interessa strettamente il tema affrontato in questa sede, va ribadito che la sentenza di non doversi procedere è destinata ad essere revocata quando sia rintracciata la persona nei cui confronti è stata emessa, sempre che ciò avvenga entro il limite temporale, individuato dal comma 3 dell'articolo 420-quater, c.p.p., nel doppio dei termini di prescrizione del reato, a garanzia del rispetto del quale, l'articolo 420-quater, comma 2, lett. e , c.p.p., stabilisce che la sentenza debba indicare la data fino alla quale le ricerche dovranno continuare cfr. la menzionata relazione dell'Ufficio del Massimario . In caso contrario, vale a dire ove nell'indicato termine le ricerche disposte dal giudice non abbiano dato esito, la sentenza di non doversi procedere diventerà non più revocabile. Preme evidenziare un aspetto sui generis della sentenza, di cui si discute, che ne evidenzia la natura complessa. Come affermato in una recente decisione della Corte Costituzionale sostituito dall'articolo 23, comma 1, lettera e , del d.lgs. numero 150 del 2022, l'articolo 420-quater cod. proc. penumero stabilisce che, quando non ricorre un'ipotesi di assenza procedibile, né un legittimo impedimento a comparire, se l'imputato non è presente, il giudice pronuncia sentenza inappellabile di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo. La trasformazione dell'assenza impeditiva da causa di sospensione del processo a fattispecie di improcedibilità si allinea alla soluzione adottata per gli infermi eterni giudicabili dall'articolo 72-bis cod. proc. penumero , inserito dalla legge numero 103 del 2017, come osservato da questa Corte nella sentenza numero 65 del 2023, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del medesimo articolo 72-bis, comma 1, nella parte in cui si riferiva al solo stato «mentale» dell'imputato, anziché al suo stato «psicofisico». Attesa la forma-contenuto della sentenza di cui all'articolo 420-quater cod. proc. penumero , recante sia una pronuncia di improcedibilità virtualmente conclusiva, sia una vocatio in iudicium a udienza predefinita per il caso di rintraccio dell'imputato, se ne sottolinea la natura bifronte ambivalenza destinata tuttavia a sciogliersi con il decorso del tempo, in quanto, ai sensi dei commi 3 e 6 dello stesso articolo 420-quater, nel momento in cui per tutti i reati oggetto di imputazione sia superato il termine previsto dall'articolo 159, ultimo comma, del codice penale cioè il doppio del tempo necessario a prescrivere il reato , senza che la persona nei cui confronti è stata emessa sia stata rintracciata, la sentenza di non doversi procedere diviene irrevocabile cfr. Corte Costituzionale, numero 192 del 27.9.2023 . Stante, dunque, la natura bifronte della sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell'imputato, che, come affermato in dottrina con annotazione condivisibile, da un lato, chiude una regiudicanda esauritasi, ma, allo stesso tempo, costituisce l'atto propulsivo di una nuova, destinata ad aprirsi se e quando l'originario imputato sarà rintracciato , non va sottovalutata, ad avviso del Collegio, ai fini della soluzione della questione che ci occupa, la riconosciuta natura definitoria di tale sentenza, che, per l'appunto, definisce, dunque conclude il processo iniziato con l'esercizio dell'azione penale e la richiesta di fissazione dell'udienza preliminare, sul presupposto della mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell'imputato. Natura evidenziata in un passaggio della Relazione illustrativa al decreto legislativo recante attuazione della legge 27 settembre 2021 numero 134, in cui si legge «la pronuncia definisce il procedimento, sicché il destinatario della medesima non è più imputato e il fascicolo va specificamente archiviato per un più agevole recupero». Proprio la funzione di definizione del processo, propria di un provvedimento potenzialmente in grado di acquisire il crisma della irrevocabilità ovvero di essere posto nel nulla attraverso il decreto di revoca previsto dall'articolo 420-sexies, co. 4, c.p.p., a seconda dell'esito delle disposte ricerche ad opera della polizia giudiziaria, fa propendere per la tesi dell'impugnabilità, e, in particolare, della possibilità di impugnare la sentenza attraverso il rimedio del ricorso per cassazione, soluzione, peraltro, condivisa dalla prevalente dottrina. All'interno di questo ibrido provvedimento giurisdizionale, infatti, convergono, in parallelo, due binari, che vanno, tuttavia, mantenuti distinti la pronuncia di improcedibilità virtualmente conclusiva e la vocatio in iudicium della nuova ed eventuale fase processuale. Allo stesso tempo la natura definitoria della decisione va separata dalla sua eventuale irrevocabilità, in quanto è proprio tale natura che rende la sentenza impugnabile attraverso il ricorso per cassazione, una volta esclusa dal legislatore l'impugnabilità attraverso l'appello. Vero è che la disciplina di nuovo conio non prevede espressamente tale rimedio giurisdizionale, ma nemmeno l'esclude, dovendo trovare, pertanto, applicazione la regola di carattere generale prevista dall'articolo 568, co. 2, c.p.p., secondo cui sono sempre soggetti a ricorso per cassazione, quando non sono altrimenti impugnabili, i provvedimenti con i quali il giudice decide sulla libertà personale e le sentenze, salvo quelle sulla competenza che possono dare luogo a un conflitto di giurisdizione o di competenza a norma dell'articolo 28 . Regola che rimanda, a sua volta, alla previsione costituzionale ex articolo 111, co. 7, Cost., secondo cui, come è noto, contro le sentenze è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge, vera e propria norma di chiusura del sistema, nel senso di condizionare la definitività dei provvedimenti a contenuto decisorio alla possibilità che contro di essi sia esperibile, come si è sottolineato, almeno il ricorso straordinario in Cassazione per violazione di legge. Dovendosi intendere per sentenze, come affermato da autorevole dottrina, quei provvedimenti che abbiano un contenuto decisorio e che incidano sui diritti di libertà, patrimoniali o sulla pretesa punitiva dello Stato. Non mancano, del resto, nella giurisprudenza di legittimità pronunce che, tenuto conto della natura decisoria del provvedimento, ne hanno riconosciuto l'impugnabilità a mezzo del ricorso per cassazione, pur nel silenzio della legge processuale. Si è così affermato che, in tema di patrocinio dei non abbienti a spese dello Stato, i provvedimenti emessi dal Tribunale o dalla Corte d'appello in sede di reclamo avverso il decreto di liquidazione del compenso al difensore sono ricorribili per cassazione per violazione di legge ai sensi dell'articolo 111 della Costituzione, in quanto, pur non essendo formalmente qualificati come sentenze, hanno carattere decisorio e capacità di incidere in via definitiva su diritti soggettivi cfr. Sez. U, numero 25080 del 28/05/2003, Rv. 224610 . Ovvero, più di recente, che l'ordinanza di archiviazione per particolare tenuità del fatto emessa, ex articolo 411, comma 1-bis, c.p.p., a seguito di opposizione dell'indagato, è impugnabile con ricorso per cassazione per violazione di legge, ai sensi dell'articolo 111, settimo comma, Cost. In motivazione, la Corte ha precisato che tale ordinanza, pur non avendo forma di sentenza, ha carattere decisorio e capacità di incidere, in via definitiva, su situazioni di diritto soggettivo, sicché, non essendo previsto alcun altro mezzo di impugnazione, è ricorribile per cassazione cfr. Sez. 5, numero 36468 del 31/05/2023, Rv. 285076 . Si potrebbe obiettare, come si è obiettato, che la capacità della sentenza prevista dall'articolo 420-quater, c.p.p., di incidere in via definitiva sulle posizioni delle parti private e della parte pubblica diventa effettiva solo nel momento in cui essa, decorso inutilmente il termine di cui al comma 3, non è più revocabile, rendendo definitivo il proscioglimento in rito, sicché solo a partire da questo momento, risolta una volta per tutte la natura bifronte della pronuncia in ragione del decorso del tempo, sarebbe esperibile il ricorso per cassazione, per evitare che alla irrevocabilità procedimentale della sentenza, derivante dall'esaurimento della descritta fase iniziata con la presa d'atto della mancata conoscenza del processo da parte dell'imputato, faccia seguito l'irrevocabilità processuale , prevista dall'articolo 648, co. 1, c.p.p. Tuttavia, ad avviso del Collegio, tale prospettiva, per certi versi condivisibile, non tiene nel dovuto conto la circostanza che, all'interno del contenuto della sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell'imputato, è possibile rinvenire un segmento decisorio dotato di un'immediata e concreta ricaduta sui diritti delle parti, idoneo sin da subito a incidere in via definitiva sugli interessi in gioco, perché da esse non contestabile, se non si riconoscesse loro la possibilità di impugnare la decisione quanto meno rispetto a tale profilo. Si tratta, in particolare, del segmento relativo alla determinazione del tempo di durata delle ricerche dell'imputato, perché su di esso si fonda l'intera sequenza procedimentale, che potrebbe condurre all'impossibilità di procedere alla revoca della sentenza di cui si discute. Ammettere il ricorso per cassazione, quanto meno nei limiti in precedenza indicati della violazione di legge, appare, peraltro una soluzione conforme ai principi costituzionali e convenzionali in materia di ragionevole durata del processo e di efficienza della giurisdizione cfr. articolo 111, Cost., 6, Convenzione EDU , posto che consentirebbe di mettere un punto fermo sul tempo necessario allo svolgimento delle ricerche dell'imputato, evitandone la ripetizione nel caso di epilogo decisorio rappresentato dal possibile annullamento della sentenza per erronea determinazione della durata delle ricerche, non apparendo revocabile in dubbio che in tale ipotesi esse debbano riprendere. In tal senso, dunque, la soluzione prospettata appare in linea con le già evidenziate finalità di deflazione e di recupero di efficienza del sistema, evitando il rischio che il procedimento rimanga comunque pendente e che il giudice debba disporre nuove ricerche dell'imputato. Laddove non sembra convincente la tesi, secondo la quale a eventuali errori commessi nella sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell'Imputato, che, come dimostrato dal caso in esame, possono non riguardare la dichiarazione della mancata conoscenza del processo da parte del prevenuto, si possa rimediare chiedendone la revoca al giudice che l'ha pronunciata. Tale rimedio, infatti, risulta del tutto avulso dal sistema delineato dal legislatore, che ammette la revoca, con decreto, della sentenza solo nel caso, disciplinato dall'articolo 420-sexies, c.p.p., in cui la polizia giudiziaria delegata abbia rintracciato la persona nei confronti della quale è stata emessa la sentenza di non doversi procedere e abbia provveduto agli adempimenti previsti dai primi tre commi del menzionato articolo 420-sexies, c.p.p. Appare del resto evidente come la soluzione della revoca atipica , prospettata in alternativa alla possibilità di ricorrere per cassazione, trovi la sua giustificazione nel convincimento che il provvedimento previsto dall'articolo 420-quater, c.p.p., abbia solo gli aspetti formali della sentenza dato incontestabile, anche alla luce dell'esplicito richiamo operato dall'articolo 420-quater, c.p.p., alle disposizioni di cui all'articolo 546, co. 2 e 3, c.p.p. , ma non anche il contenuto decisorio, tesi, tuttavia, che, per le ragioni già esposte, il Collegio non condivide. 5. Passando ad esaminare il contenuto del ricorso del pubblico ministero, se ne deve rilevare la fondatezza. Come si è visto il comma terzo dell'articolo 420-quater, c.p.p., di nuovo conio, richiama espressamente il termine previsto dall'articolo 159, ultimo comma, c.p., allo scopo di indicare il limite massimo temporale entro il quale la persona nei cui confronti è stata pronunciata la sentenza di proscioglimento per mancata conoscenza del processo deve essere rintracciata, scaduto inutilmente il quale la sentenza non potrà più essere revocata. L'articolo 159, ultimo comma, c.p., inserito dall'articolo 1, co. 1, lett. i , d.lgs. 10 ottobre 2022, numero 150, a decorrere dal 30 dicembre 2022, ex articolo 6, d.l., 31 ottobre 2022, numero 162, prevede che quando è pronunciata la sentenza di cui all'articolo 420 quater del codice di procedura penale il corso della prescrizione rimane sospeso sino al momento in cui è rintracciata la persona nei cui confronti è stata pronunciata, ma in ogni caso non può essere superato il doppio dei termini di prescrizione di cui all'articolo 157 . A sua volta, il disposto dell'articolo 157, co. 1 e 2, c.p., prevede che la prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria. Per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato, senza tener conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e dell'aumento per le circostanze aggravanti, salvo che per le aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e per quelle ad effetto speciale, nel qual caso si tiene conto dell'aumento massimo di pena previsto per l'aggravante . Orbene, nel caso in esame è stato contestato all'imputata il delitto di tentativo di furto in abitazione, aggravato ai sensi dell'articolo 112, co. 2, c.p., circostanza a effetto speciale, che impone l'aumento della pena sino alla metà per chi si è avvalso di una persona non imputabile, perché minore degli anni quattordici. Concorrendo con le altre circostanze aggravanti ad effetto speciale, di cui all'articolo 525, co. 1, numero 2 e numero 5 , c.p., ai sensi dell'articolo 69, co. 4, c.p., si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave, anche se il giudice può aumentarla. Ne consegue che la pena massima da prendere in considerazione ai fini che ci occupano è quella prevista dagli articolo 624 bis, co. 1, 112, co. 2, c.p., pari a dieci anni e sei mesi di reclusione, in quanto più grave della pena, pari a dieci anni di reclusione, prevista dall'articolo 624 bis, co. 3, c.p., per il caso di concorso di una o più delle circostanze aggravanti di cui all'articolo 625, c.p. Se ciò è vero, come è vero, allora la pena massima per il tentativo va individuata, in conseguenza della diminuzione minima di un terzo, in sette anni di reclusione e non in sei anni e otto mesi, come calcolato dal giudice di merito, con l'ulteriore conseguenza che il doppio del termine ordinario di prescrizione, cui va parametrato il tempo entro il quale devono essere svolte le ricerche della persona nei cui confronti è stata pronunciata la sentenza di proscioglimento per mancata conoscenza del processo, va individuato in quattordici anni, con scadenza il 27 agosto 2035, e non in otto anni e quattro mesi, con scadenza il 27.12.2029, come ritenuto dal giudice di merito. Si impone, pertanto, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, con rinvio al giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Rimini, per l'ulteriore corso, che tenga conto del nuovo termine indicato per la conclusione delle ricerche. P.Q.M. Annulla senza rinvio la impugnata e dispone trasmettersi gli atti al tribunale di Rimini per l'ulteriore corso.