Somma prelevata per conto altrui ma non restituita: la firma per quietanza non è decisiva

Se il debitore adempie l’obbligazione nelle mani di un indicatario al pagamento, la quietanza rilasciata dal creditore costituisce prova dell’adempimento e della liberazione del debitore non costituisce però, da sola e di per sé, prova che l’accipiens abbia restituito al creditore l’importo ricevuto.

Il Tribunale di Lecce veniva adito dalla vedova di un uomo che negli ultimi mesi di vita, incapace di intendere e volere, era stato accudito da una vicina di casa dopo la separazione di fatto dalla moglie. Pochi mesi prima del decesso, la figlia della vicina di casa riscosse dalla banca la somma di oltre 60mila euro che l'uomo aveva ricavato dal contestuale disinvestimento di titoli, poi depositato su un libretto di risparmio, importo mai restituito però al legittimo proprietario. La vedova chiedeva dunque la condanna alla restituzione della somma, oltre accessori e al risarcimento del danno. Il Tribunale accolse la domanda, in sede d'appello però la decisione veniva ribaltata. In base alla presenza di due firme sulla quietanza di pagamento della ragazza e dell'uomo, con la dicitura “per quietanza” la Corte aveva ritenuto che il ritiro della somma fosse avvenuto per ordine dell'uomo, mentre la ragazza era solo l'esecutore materiale del prelievo. La vicenda è giunta all'attenzione della Cassazione che accoglie il ricorso della vedova alla luce del principio secondo cui «se il debitore adempie l'obbligazione nelle mani di un indicatario al pagamento, la quietanza rilasciata dal creditore costituisce prova dell'adempimento e della liberazione del debitore non costituisce però, da sola e di per sé, prova che l'accipiens abbia restituito al creditore l'importo ricevuto». Tornando alla vicenda, l'unico significato giuridico che era possibile trarre dalla sottoscrizione apposta dal defunto in calce alla dicitura “per quietanza” era che il sottoscrittore aveva liberato la banca dalla sua obbligazione. Quella dicitura non costituiva però prova legale, ai sensi dell'articolo 1199 c.c., della “diretta apprensione della somma” da parte dell'uomo, come invece aveva affermato la Corte d'appello. Né, tanto meno, poteva ritenersi dimostrato l'adempimento dell'autonoma obbligazione che faceva capo alla ragazza di riconsegnare al mandante la somma per suo conto ritirata obbligazione che trovava fonte distinta nel diverso rapporto con lui instauratosi e la cui estinzione andava provata rigorosamente, oltretutto in considerazione delle particolari condizioni in cui il mandante versava. La sentenza impugnata viene quindi cassata con rinvio alla Corte d'appello.

Presidente De Stefano – Relatore Rossetti Fatti di causa 1. Nel 2009 L.M.C. convenne dinanzi al Tribunale di Lecce P.G., esponendo - di essere la vedova ed erede di A.P., deceduto il omissis - A.P., negli ultimi mesi di vita, era incapace di intendere e di volere e, dopo la separazione di fatto dalla moglie omissis fu accudito da una vicina di casa, tale V.L. - il 5.2.2004 P.G., figlia di V.L., riscosse dalla filiale di Maglie della banca omissis l'importo di euro 60.700, che il A.P. aveva ricavato dal contestuale disinvestimento di titoli, poi depositato su un libretto di risparmio, importo mai restituito al legittimo proprietario. Chiese, pertanto, la condanna della convenuta alla restituzione della somma suddetta, oltre accessori e risarcimento del danno. 2. Con sentenza 18.2.2016 numero 873 il Tribunale di Lecce ex sezione distaccata di Maglie accolse la domanda. La sentenza fu appellata da P.G 3. Con sentenza 2.7.2020 numero 616 - per quanto qui ancora rileva - la Corte d'appello di Lecce accolse il gravame e rigettò la domanda. La Corte d'appello ritenne che - la banca omissis , al momento del ritiro della somma di euro 60.700, rilasciò una quietanza sulla quale comparivano due firme - la prima era apposta da P.G. in calce alla dicitura “ritirati dalla sig.a P.G.” - la seconda firma era apposta da A.P. in calce alla dicitura “per quietanza” - doveva pertanto ritenersi che il ritiro della somma avvenne per ordine di A.P. e che P.G. fu solo l'esecutore materiale del prelievo - di conseguenza, P.G. “non aveva alcun obbligo di rendere conto o di restituire una somma che ab origine non è stata nella sua disponibilità, ma prelevata e appresa direttamente dal titolare presente”. 4. La sentenza d'appello è stata impugnata per Cassazione da L.M.C. con ricorso fondato su tre motivi ed illustrato da memoria. P.G. è rimasta intimata. Il Collegio ha disposto il deposito della motivazione nel termine di cui all'articolo 380 bis, secondo comma, c.p.c Ragioni della decisione 1. Col primo motivo è denunciata la nullità della sentenza per mancanza di motivazione, ai sensi dell'articolo 132 c.p.c 1.1. Il motivo è manifestamente infondato, alla luce dei noti principi stabiliti dalle Sezioni Unite di questa Corte Sez. U, Sentenza numero 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 e, cioè, che una sentenza può dirsi nulla per mancanza di motivazione, ai sensi dell'articolo 132 c.p.c., solo in quattro casi “mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico”, “motivazione apparente”, “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, “esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza' della motivazione”. Nel caso di specie la motivazione non manca come segno grafico, né è inintelligibile la Corte d'appello in sostanza ha ritenuto che P.G. nulla dovesse restituire, perché la somma prelevata “fu appresa direttamente dal titolare presente”. Una motivazione dunque esistente, chiara, non contraddittoria. 2. Col secondo e col terzo motivo - che possono essere esaminati congiuntamente - la ricorrente prospetta la violazione degli articoli 1703 e 1713 del codice civile. Nelle illustrazioni dei motivi si espone una tesi così riassumibile - A.P., dopo aver disinvestito i titoli da lui posseduti e monetizzato il relativo controvalore, “ha chiesto ed ottenuto che materialmente la somma di denaro fosse consegnata direttamente alla signora P.G.” - la circostanza che A.P. avesse chiesto alla banca di effettuare il pagamento nelle mani di P.G. non consentiva certo a quest'ultima di appropriarsi della somma, dal momento che - ai sensi dell'articolo 1713 del codice civile - il mandatario è tenuto a restituire al mandante le somme acquisite nell'esecuzione del mandato - sicché, una volta dimostrata in giudizio l'apprensione materiale della somma da parte di P.G., gravava su quest'ultima l'onere della prova di averla restituita - in ogni caso la firma “per quietanza” apposta da A.P., secondo la disciplina codicistica della quietanza, ha avuto l'effetto di liberare la banca dall'obbligazione contrattuale, ma non pure P.G. dalla sua distinta obbligazione restitutoria della somma della cui riscossione era stata incaricata dal creditore. 2.1. Il motivo è fondato. La Corte d'appello ha accertato in punto di fatto che - la banca consegnò il denaro a P.G. - A.P. firmò “per quietanza” il documento emesso dalla banca. Dopo avere accertato questi fatti, la Corte d'appello ne ha tratto la conclusione che, per effetto della quietanza rilasciata da A.P. alla banca, la somma prelevata fu “appresa direttamente dal titolare presente”. In tale statuizione si annida un errore di diritto. 2.2. La quietanza articolo 1199 c.c. è l'atto il quale dimostra l'estinzione dell'obbligazione e la liberazione del debitore la banca, nel nostro caso , ma non l'apprensione del denaro da parte del creditore. La liberazione del debitore, infatti, può avvenire anche se il creditore non sia stato materialmente soddisfatto del credito come ad esempio nell'ipotesi di pagamento effettuato nelle mani dell'indicatario di pagamento, oppure di pagamento al creditore apparente. Dunque, il debitore può legittimamente esigere il rilascio della quietanza anche quando non abbia effettuato alcun pagamento nelle mani del creditore come avviene, oltre che nell'ipotesi già ricordata di indicazione al pagamento articolo 1188 c.c. , nei casi di contratto a favore del terzo articolo 1411 c.c. , di cessione del credito a scopo solutorio di assicurazione con appendice di vincolo a favore d'un terzo. Pertanto, in tutti i casi in cui il debitore adempie col consenso del creditore nelle mani d'un terzo, la quietanza rilasciata dal creditore costituisce prova della liberazione del debitore non costituisce prova che l'accipiens abbia restituito al creditore quanto ricevuto dal solvens. 2.3. Di conseguenza, l'unico significato giuridico che era consentito trarre dalla sottoscrizione apposta da A.P. in calce alla dicitura “per quietanza” era che il sottoscrittore aveva liberato la banca OMISSIS dalla sua obbligazione. Quella dicitura non costituiva però prova legale, ex articolo 1199 c.c., della “diretta apprensione della somma” da parte di A.P., come affermato dalla Corte d'appello né, tanto meno, dell'adempimento dell'autonoma obbligazione che faceva capo alla P.G., di riconsegnare al mandante A.P. la somma per suo conto ritirata obbligazione che trovava fonte distinta nel diverso rapporto con lui instauratosi e la cui estinzione andava provata rigorosamente, oltretutto in considerazione delle particolari condizioni in cui il mandante versava. 2.4. La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio, affinché sia esaminato ex novo l'appello proposto da P.G., alla luce del seguente principio di diritto “se il debitore adempie l'obbligazione nelle mani di un indicatario al pagamento, la quietanza rilasciata dal creditore costituisce prova dell'adempimento e della liberazione del debitore non costituisce però, da sola e di per sé, prova che l'accipiens abbia restituito al creditore l'importo ricevuto”. 3. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio. P.Q.M. - accoglie il secondo motivo di ricorso rigetta il primo cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d'appello di Lecce, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giu