Dolo generico e prova della volontà abortiva sotto la lente del reato di interruzione della gravidanza non consensuale

«In relazione al delitto ex articolo 593-ter, comma 1, c.p., si verte in tema di reato comune di evento, per il quale è richiesto il dolo generico di cagionare l’interruzione della gravidanza in assenza del consenso della donna».

Non abbondando le pronunce della Suprema Corte sul reato di interruzione di gravidanza non consensuale tuttavia, con la sentenza in commento, la Cassazione traccia un importante solco ermeneutico sul tema dell'elemento soggettivo e della prova della volontà della donna in sede di aborto. L'assenza di consenso, allorquando estorto con violenza, minaccia o carpito con l'inganno, deve sostanziarsi in un'attenta indagine della volontà della gestante al momento in cui l'intervento abortivo viene eseguito, avendo rilievo anche gli eventi anteriori e successivi all'interruzione della gravidanza. I fatti La Corte di Appello di Ancona, in parziale riforma alla pronuncia di primo grado, riteneva insussistenti i fatti contestati integranti il delitto di cui all'articolo 593-ter c.p. commessi dell'imputato nell'estate 2015 e nell' aprile 2017, confermava invece la sussistenza del delitto de quo per un terzo episodio avvenuto nel giugno 2018. Veniva altresì riconfermata la penale responsabilità dell'imputato in ordine agli ulteriori delitti di lesioni personali, atti persecutori e violenza privata avvinti dal vincolo di cui all'articolo 81, comma 2, c.p. Il ricorso per Cassazione L'imputato a mezzo del proprio difensore presentava ricorso per cassazione lamentandosi del vizio di motivazione in ordine al delitto di interruzione di gravidanza non consensuale. L'identità del materiale probatorio posto a fondamento della originaria triplice contestazione di cui all'articolo 593-ter c.p. avrebbe dovuto orientare la Corte territoriale ad una pronuncia assolutoria per tutti gli episodi delittuosi. E in ogni caso, a dire del ricorrente, l'interruzione della gravidanza avvenuta nel giugno 2018 si realizzava in forza di una libera volontà della persona offesa, poiché animata dal desiderio di liberarsi da ogni rapporto con l'imputato. Lamentava altresì la reciprocità delle condotte persecutorie tali da escludere l'integrazione del medesimo delitto in capo al ricorrente, il difetto di motivazione in ordine al reato di violenza privata nonché l'assenza di evidenze probatorie al delitto di lesioni. Gli elementi costitutivi del delitto di cui all'articolo 583-ter c.p. La Suprema Corte dichiarava inammissibile il ricorso. Dopo aver ripercorso gli elementi probatori da cui si evinceva l'intensità persecutoria e maltrattante dell'azione delittuosa dell'imputato nonchè le minacce proferite dallo stesso volte a far interrompere la gravidanza della persona offesa, vengono delineati i principi cardine del delitto di cui all'articolo 583 ter c.p. La Corte individua i beni giuridici oggetto di tutela da un lato risiede infatti il diritto all'integrità fisica nonché il diritto alla generazione della madre, dall'altro i diritti in capo al futuro nascituro. Reato comune, reato di evento e dolo generico Viene altresì chiarita la natura di “reato comune” del delitto di cui all'articolo 583-ter c.p. dal momento che l'azione criminosa può essere commessa da chiunque sia nel caso in cui venga cagionata l'interruzione della gravidanza in assenza di consenso della donna, sia anche quando lo stesso venga estorto tramite violenza o minaccia, ovvero carpito con inganno. E in ogni caso, trattasi comunque di reato di “evento” «per il quale è richiesto il dolo generico di cagionare l'interruzione della gravidanza in assenza del consenso della donna». La prova della volontà abortiva della donna La Cassazione sottolinea la centralità della formazione della volontà della donna al momento dell'intervento abortivo pertanto, la valutazione delle risultanze probatorie deve sostanziarsi in una verifica dell'esistenza o meno del consenso avendo rilievo gli eventi anteriori e successivi all'interruzione di gravidanza. In questa prospettiva si comprende come la genericità del dolo dell'imputato indirizzata alla eterodeterminazione della persona offesa sulla propria volontà abortiva sia ritenuta più che sufficiente ai fini dell'integrazione dell'elemento soggettivo. Gli “eventi antecedenti e successivi” nel caso di specie L'interpretazione dei fatti oggetto di giudizio fornite dal ricorrente, diametralmente opposta alle determinazioni della Suprema Corte, a una prima lettura sembrerebbe suggestionare l'impenetrabilità della volontà abortiva della persona offesa. Come se non si possa conoscere con certezza l'origine del consenso della donna, laddove questo sia il frutto della libera scelta di troncare ogni rapporto con il proprio partner o, al contrario, sia stato determinato tramite violenza o minaccia. La Corte però fuga ogni dubbio, citando le violente condotte persecutorie subite dalla persona offesa che subiva la «minaccia implicita quella di promettere la libertà alla donna dalla relazione e dalla persecuzione connessa, solo in caso di intervenuta interruzione di gravidanza, in quanto nel caso contrario tale libertà non sarebbe stata riguadagnata. La ‘promessa' sarebbe stata poi comunque disattesa, da parte dell'imputato» al punto che, a seguito dell'intervento abortivo, la stessa persona offesa avrebbe tentato il suicidio. Sulla reciprocità delle condotte persecutorie La sentenza rigetta le doglianze difensive in ordine alla mancata realizzazione del reato di stalking per reciprocità delle condotte persecutorie. Preliminarmente la Corte chiarisce come il rapporto tra l'imputato e la persona offesa non possa dirsi paritario stante la personalità del reo che viene definita come «egemonica, vessatoria e dispotica” allorquando “consentiva alla donna solo in alcune occasioni di reagire a propria difesa». Viene poi richiamato quel filone giurisprudenziale - rappresentato da Cass. numero 42643/2021 - che esclude ogni valore scriminante alla reciprocità delle condotte persecutorie ma che tuttalpiù aggrava l'onere motivazionale del giudice sulla sussistenza dell'evento dannoso, lo stato di ansia o di paura della vittima. Sulla rilevabilità d'ufficio della prescrizione del reato Infine, la Cassazione si occupa della richiesta avanzata dalla Procura generale che richiedeva l'annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato per intervenuta prescrizione del delitto di lesioni personali e la conseguente rideterminazione del trattamento sanzionatorio. La Corte, sulla scorta dei corollari già sanciti dalle Sezioni Unite Cass. numero 12602/2015 , rigetta le istanze della Pubblica Accusa ribandendo come sia precluso al Giudice di legittimità rilevare d'ufficio la prescrizione del reato non rilevata in sede di appello né eccepita in quella sede né dedotta con i motivi di ricorso. Il “promemoria” della Suprema Corte al summenzionato indirizzo ermeneutico della Cassazione lascia auspicare la celere approvazione della proposta di legge numero 1120 assegnata il 26/6/2023 alla Commissione Giustizia della Camera recante «Modifiche agli articoli 610 e 615 del codice di procedura penale in materia di declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione nel giudizio di cassazione». Riforma legislativa che per certo sopperirà alle esigenze di giustizia e di celerità, nonché allo stesso principio favor rei sull'ingiusta permanenza del giudizio.

Presidente Pezzullo – Relatore Cananzi Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Ancona, con la sentenza emessa il 13 gennaio 2023, riformava parzialmente quella del G.u.p. del Tribunale di Ascoli Piceno del 23 luglio 2020. Difatti la Corte territoriale riteneva insussistenti i fatti contestati a E.H. integranti il delitto di interruzione di gravidanza non consensuale ex articolo 593-ter cod. penumero capo C commessi nell'estate del omissis e il omissis , mentre confermava la sussistenza dell'episodio del omissis , come anche delle lesioni personali aggravate commesse il omissis e il omissis , ribadendo la responsabilità penale anche quanto alle residue lesioni personali contestate al capo D . Veniva anche confermata la responsabilità dell'imputato in ordine al delitto di atti persecutori aggravato capo A e di violenza privata capo B . 2. Il ricorso per cassazione proposto nell'interesse di E.H. consta di quattro motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'articolo 173 disp. att. cod. proc. penumero 3. Il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al residuo delitto di interruzione di gravidanza non consensuale. Lamenta il ricorrente l'identità del materiale probatorio posto alla base delle tre condotte in origine contestate - in relazione alle minacce - dal che in modo illogico la Corte di appello avrebbe ritenuto di escludere la responsabilità per due episodi e non anche per il terzo. Non avrebbe tenuto in conto, la Corte territoriale, come desiderio della donna fosse quello di liberarsi del rapporto con l'imputato e che la stessa non era stata costretta all'aborto non determinanti risultavano a riguardo le dichiarazioni dei testimoni, presenti in relazione a tutte e tre gli episodi contestati, né la messaggistica whatsapp, che anzi dimostrava l'assenza di minacce e di contatti fra imputato e persona offesa, nel periodo a ridosso dell'intervento abortivo, del quale era ignaro l'imputato. 4. Il secondo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al delitto di atti persecutori, risultando dal compendio probatorio valutato dalla Corte di appello la reciprocità delle condotte, in una dinamica paritaria anche per la gelosia. Inoltre, la Corte territoriale avrebbe omesso la verifica dell'attendibilità della persona offesa, non risultando adeguati quale riscontro i soli episodi occasionali riferiti dai congiunti della persona offesa. Anche la sussistenza del delitto di violenza privata risulterebbe, oltre che per le ragioni espresse, illogicamente motivata, non essendovi riferimento alcuno alla condotta come contestata nell'imputazione nella sentenza impugnata. 5. Il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al delitto di lesione personale, in quanto quella contestata e ritenuta sussistente in data 22 febbraio 2016 è una tumefazione che viene refertata senza prognosi, quindi non tale da integrare malattia, oltre che richiedente una analitica verifica di attendibilità, essendo la persona offesa in quel momento soggetta a maltrattamenti fisici da parte del fratello. 6. Il quarto motivo lamenta vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, in particolare per il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche - confermato pur a fronte del venire meno della responsabilità per alcune condotte - e per la determinazione degli aumenti per la continuazione, pure vanamente oggetto di censura in appello. 7. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale dott.ssa Paola Mastroberardino, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte - ai sensi dell'articolo 23 comma 8, d.l. 127 del 2020 - con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso in quanto il primo motivo risulterebbe manifestamente infondato, gli altri non consentiti, dovendosi solo annullare la sentenza dichiarando l'estinzione del delitto di lesioni personali commesso nel febbraio 2015, in quanto il termine di prescrizione risulterebbe scaduto prima della sentenza di appello, con rideterminazione del trattamento sanzionatorio. 8. Il ricorso è stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi dell'articolo 23, comma 8, d.l. numero 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell'articolo 7, comma 1, d.l. numero 105 del 2021, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dall'articolo 94 del decreto legislativo 10 ottobre 2022 numero 150, come modificato dall'articolo 5-duodecies d.l. 31 ottobre 2022, numero 162, convertito con modificazioni dalla l. 30 dicembre 2022, numero 199, nonché entro il 30 giugno 2024 ai sensi dell'articolo 11, comma 7, del d.l. 30 dicembre 2023, numero 215, convertito in legge 23 febbraio 2024, numero 18. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. In ordine al primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata risulta non viziata da violazione di legge e vizio di motivazione. 2.1 Quanto al profilo della incoerenza fra la decisione di assoluzione per i primi due episodi di interruzione della gravidanza rispetto al terzo, la Corte di appello chiarisce senza aporie logiche, alle pagine da 18 a 22 de la sentenza ora impugnata, come diverso sia il quadro probatorio in ordine al terzo episodio rispetto ai primi due, per i quali non era stata raggiunta la prova della responsabilità. La Corte di appello ritiene senza manifesta illogicità che sia comprovata la responsabilità penale di E.H., conseguente alla relazione extraconiugale dell'imputato, sposato e padre di tre figli, con la persona offesa nel terzo episodio di interruzione di gravidanza, l'imputato risulta latore di minacce tese a far abortire la persona offesa. Ciò emerge dal narrato di quest'ultima, rifluito anche nella registrazione operata a sua insaputa da una amica in ospedale, dove la donna era stata ricoverata per un tentato suicidio dopo il terzo aborto. Altre emergenze ritenute convergenti risultano individuate dai giudici del merito nelle testimonianze provenienti non solo da congiunti ma anche dalla amica, quindi estranea allo stretto nucleo familiare. Nel terzo episodio, osserva la Corte territoriale, si registrava di fatto una maggiore e più certa intensità minatoria della condotta dell'imputato, comprovata da plurimi anni di relazione sentimentale connotata da maltrattamenti gli altri due episodi di interruzione di gravidanza erano precedenti , oltre che dallo stato di profonda prostrazione della donna, che voleva tenere il bambino ma temeva per la propria incolumità, tanto da avergli garantito l'imputato che dopo l'interruzione di gravidanza l'avrebbe lasciata libera, evento poi non verificatosi. La riprova dello stato di soggezione e della preoccupazione concreta della donna per la propria incolumità e dell'interruzione di gravidanza come conseguenza della minaccia, anche nella forma della induzione, in quanto se non l'avesse praticata l'uomo l'avrebbe continuata a perseguitare, emergeva anche dalla circostanza che la persona offesa V. - sottoposta all'imputato come dimostrato dalla responsabilità anche per il delitto di atti persecutori - non essendosi liberata dalla relazione con H.E. nonostante la promessa, dopo pochi mesi avrebbe tentato il suicidio. La ricostruzione operata dalla Corte territoriale è attenta e non manifestamente illogica e né contraddittoria, se è vero, come rileva la Corte, che sia per il progredire dell'azione persecutoria nel corso degli anni, sia anche per l'esistenza di riscontri rispetto alle minacce esplicite subite dalla V., quest'ultima fosse stata costretta con minaccia ad abortire, e ciò nonostante la disponibilità dei familiari a sostenerla in caso di nascita del bambino e ben sapendo che il terzo aborto ne avrebbe messo in pericolo la possibilità di generare per il futuro, come la stessa persona offesa confida all'amica nella conversazione registrata a sua insaputa. 2.2 A ben vedere l'articolo 593-ter cod. penumero è stato inserito nel Capo I-bis relativo ai «delitti contro la maternità», inseriti nel Titolo XII, riguardante i delitti contro la persona, del Libro II, ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lett. e d.lgs. 1 marzo 2018, numero 21, che prevedeva le disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale a norma dell'articolo 1, comma 85, lettera q , della legge 23 giugno 2017, numero 103. L'articolo 593-ter cod. penumero riproduce, quindi, il testo dell'articolo 18 l. 22 maggio 1978, numero 194, a sua volta abrogato dall'articolo 7 del d.lgs. 21/2018. Nella relazione allo schema di decreto legislativo emerge come la volontà del legislatore sia quella di assicurare una tutela rafforzata a due soggetti deboli la donna, con riguardo alla sua integrità fisica e il suo diritto alla generazione, e al nascituro. L'interruzione di gravidanza consensuale, ma illecita perché realizzata in assenza delle condizioni previste dalla legge, ex articolo 19 l. 194 del 1978, è rimasta nella legge speciale, in quanto vede responsabile anche la donna e persona offesa solo il concepito. Diversamente nel caso di interruzione di gravidanza non consensuale ex articolo 593-ter cod. penumero , come anche nel caso colposo ex articolo 592-bis cod. penumero , i soggetti tutelati sono la madre, con il proprio diritto alla salute e alla generazione, in tali casi non consenziente all'interruzione di gravidanza, oltre che il nascituro. L'articolo 593-ter cod. penumero configura un reato comune, che può essere commesso da chiunque e che rileva sia nel caso in cui venga cagionata l'interruzione della gravidanza in assenza di consenso della donna, sia anche nel caso in cui il consenso sia insussistente perché invalido, in quanto estorto con la violenza o la minaccia, oppure carpito con l'inganno. Nel caso in esame correttamente la Corte territoriale ha ritenuto che le minacce poste in essere abbiano escluso il consenso della donna, la quale certamente si è recata ad interrompere la gravidanza senza una costrizione fisica, ma eterodeterminata a riguardo dal timore di ulteriori atti persecutori, già comprovati da quelli posti in essere da tempo dal compagno d'altro canto, costituisce anche minaccia implicita quella di promettere la libertà alla donna dalla relazione e dalla persecuzione connessa, solo in caso di intervenuta interruzione di gravidanza, in quanto nel caso contrario tale libertà non sarebbe stata riguadagnata. La 'promessa' sarebbe stata poi comunque disattesa, da parte dell'imputato. E bene la ricostruzione operata dalla Corte di appello risulta in linea con il principio per cui il consenso debba essere verificato al momento in cui viene effettuato l'intervento di interruzione della gravidanza cfr. Sez. 3, numero 8079 del 12/05/1994, Carbone, Rv. 200118 - 01 gli elementi analizzati dalla Corte territoriale prima e dopo l'evento del reato, come il successivo tentato suicidio, dimostrano l'assenza di consenso al momento dell'intervento. Tale difetto di consenso e la correlata coartazione non risultava, secondo la Corte di merito, analogamente accertata in relazione ai precedenti due aborti, verificatisi «in una fase del rapporto in cui le facoltà volitive e decisorie della donna, ancorché sottoposta a costanti maltrattamenti fisici e verbali, si presume che avessero conservato dei margini di integrità tali da non sottoporla a una vera e propria coartazione» fol. 18 della sentenza impugnata . Tale attenta indagine della Corte di appello si correla correttamente, dunque, al momento specifico delle singole interruzioni di gravidanza, riscontrando in modo non illogico una narrazione più ricca e dettagliata della persona offesa e molteplici elementi di riscontro non solo narrativi ma anche documentali, quali la citata registrazione, che sono propri solo del terzo episodio e non anche dei primi due. Né emergono elementi - a fronte di una condotta univoca dell'imputato, oppressiva e persecutoria, oltre che nello specifico diretta a etero-determinare la persona offesa in ordine alla interruzione di gravidanza - che escludano il dolo generico richiesto. 2.3 Pertanto può affermarsi il principio per cui, in relazione al delitto ex articolo 593-ter, comma 1, cod. penumero , si verte in tema di reato comune di evento, per il quale è richiesto il dolo generico di cagionare l'interruzione della gravidanza in assenza del consenso della donna. L'assenza di consenso, perché estorto con violenza, minaccia o carpito con l'inganno, deve sostanziarsi in una verifica della volontà della donna e dell'esistenza o meno del consenso rispetto al momento in cui l'intervento viene eseguito, cosicché in tale prospettiva hanno rilievo gli eventi anteriori e successivi all'intervento medesimo. 2.4 A fronte di tale completa motivazione, il motivo di ricorso risulta sostanzialmente reiterativo di quello di appello e non si confronta con la sentenza impugnata quanto alle modalità di comunicazione fra l'imputato e la persona offesa, la Corte territoriale indicava l'utilizzo di altre piattaforme di comunicazione tra l'imputato e la persona offesa, oltre whatsapp, documentato al fol. 19 della sentenza, tanto più che l'imputato e la V. si incontrarono il giorno prima dell'aborto né si confronta, il motivo, con una rinnovata valutazione di attendibilità della persona offesa, operata dalla Corte di appello con esito positivo, in conformità a quella operata già dalla sentenza di primo grado. Da ciò deriva l'aspecificità della doglianza. D'altro canto, la Corte territoriale fa buon governo, in modo attento, tanto da escludere la sussistenza delle due condotte di interruzione di gravidanza non consensuali per difetto di riscontri, come anticipato, del principio consolidato e autorevole per cui le regole dettate dall'articolo 192, comma terzo, cod. proc. penumero non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone in motivazione la Corte ha altresì precisato come, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi - Sez. U, numero 41461 del 19/07/2012 - dep. 24/10/2012, Bell'Arte ed altri, Rv. 253214 . E, come osserva correttamente la Procura generale, il motivo è anche non decisivo nella parte in cui fa leva sulla circostanza, trascurata dalla Corte territoriale secondo il ricorrente, per cui non avendo la donna mai usato metodi anticoncezionali, confidando di non restare incinta, non intendesse portare a termine la gravidanza l'argomentazione non comprova, neanche logicamente, che una volta rimasta incinta la persona offesa volesse automaticamente abortire, il che anzi viene smentito dall'insieme delle risultante analizzate dalla sentenza impugnata. Ne consegue la genericità e la non manifesta infondatezza del primo motivo. 3. Il secondo e terzo motivo di ricorso vanno trattati congiuntamente in quanto generici. A ben vedere è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione Sez. 4, numero 18826 del 09/02/2012 - dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849 . Tale è anche il ricorso con al più l'aggiunta di espressioni che contestino, in termini meramente assertivi ed apodittici, la correttezza della sentenza impugnata, laddove difettino di una critica puntuale al provvedimento e non prendano in considerazione, per confutarle in fatto e/o in diritto, le argomentazioni in virtù delle quali i motivi di appello non sono stati accolti Sez. 6 numero 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521 . Nel caso in esame, quanto al delitto di atti persecutori, l'ampia motivazione impugnata rende conto di come il tentativo di suicidio messo in atto dalla persona offesa, la testimonianza del padre della stessa, la condotta complessivamente emersa in ragione della attendibilità delle dichiarazioni, della persona offesa e delle testimonianze a riscontro, abbiano dato atto del verificarsi degli eventi propri del delitto di atti persecutori, nella forma del forte stato di ansia e del turbamento emotivo fol. 13 della sentenza , temendo la donna per sé e per i suoi congiunti. Con tale motivazione non si confronta il ricorso, che anche elude la motivazione offerta dalla Corte territoriale che esclude la reciprocità e la natura paritaria nel rapporto sentimentale, reciprocità per altro smentita anche dalle narrazioni della cugina della persona offesa, e del di lei marito, in ordine a due episodi di umiliazioni e violenza fisica subiti dalla V. per mano dell'imputato, la cui personalità, egemonica, vessatoria e dispotica, secondo la Corte di appello, consentiva alla donna solo in alcune occasioni di reagire a propria difesa, tanto più che l'imputato l'aveva sempre più isolata dal contesto familiare, lasciandola in balia di se stesso. D'altro canto, anche la dedotta reciprocità dei comportamenti molesti non esclude la configurabilità del delitto di atti persecutori, incombendo, in tali ipotesi, sul giudice un più accurato onere di motivazione in ordine alla sussistenza dell'evento di danno, ossia dello stato d'ansia o di paura della presunta persona offesa, del suo effettivo timore per l'incolumità propria o di persone ad essa vicine o della necessità del mutamento delle abitudini di vita Sez. 5, numero 42643 del 24/06/2021, A., Rv. 282170 - 01 , onere nel caso in esame assolto. Comunque, il secondo motivo, oltre a non confrontarsi con la circostanza che la Corte di appello abbia escluso la natura paritaria della relazione, anche, quanto al delitto di violenza privata, trascura la circostanza che H.E. al momento dell'arresto si liberò di un telefono cellulare sul quale deteneva i video e le foto con i quali minacciava la donna, affinché non interrompesse la relazione fol. 17 . Sul punto il motivo è aspecifico, anche perché non tiene in conto quanto riportato dalla sentenza di primo grado in ordine al rinvenimento nel personal computer dell'imputato di video e foto relativi ai rapporti sessuali fra i due e della minaccia contenuta in un messaggio del 2 agosto 2018 fol. 19 sentenza di primo grado . Inoltre, deve evidenziarsi, come prospettato dalla Procura generale, che in tema di prove, la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che, come tale, non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni Sez. 2, numero 41505 del 24/09/2013 - dep. 08/10/2013, Terrusa, Rv. 257241 , il che nel caso in esame non è. Quanto al terzo motivo, lo stesso è versato in fatto, oltre a essere generico per le lesioni personali commesse in data omissis risulta esservi un riscontro al narrato della persona offesa consistente nel referto medico, quanto alla diagnosi di una piccola tumefazione laterocervicale destra. A riguardo, argomentata è la esclusione del reato per altre due lesioni contestate. Tale differenza fra i diversi episodi emerge in modo non manifestamente illogico. Per altro, anche corretta è l'attribuzione di rilievo penale alla tumefazione, che consiste in un gonfiore e che certamente integra malattia, che si sostanzia in qualsiasi alterazione anatomica o funzionale dell'organismo, ancorché localizzata, di lieve entità e non influente sulle condizioni organiche generali, onde lo stato di malattia perdura fino a quando sia in atto il suddetto processo di alterazione, il che era ancora al momento del referto Sez. 5, numero 43763 del 29/09/2010, Adamo, Rv. 248778 - 01, fattispecie relativa ad escoriazioni . I motivi sono quindi generici e manifestamente infondati. 4. Il quarto motivo lamenta vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio la Corte territoriale argomenta diffusamente quanto alla gravità dei fatti e alla molteplicità delle condotte poste in essere dall'imputato, all'entità del danno alla persona offesa provocato, come anche in ordine ai precedenti penali e all'assenza di resipiscenza, convalidata anche dopo l'arresto, in quanto in una conversazione l'imputato si rammaricava di non aver ucciso la donna. Si tratta di elementi che, per un verso, giustificano la misura della pena, per altro verso integrano motivazioni adeguate a sostegno sia degli aumenti per la continuazione, che per il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, confermato pur a fronte del venire meno della responsabilità per alcune condotte. Quanto agli aumenti di pena, va evidenziato come sul punto la censura sia generica e deve, per altro, rilevarsi come l'obbligo motivazionale in tema di incrementi di pena per la continuazione può esser assolto in modo plurimo. Sul punto basti qui richiamare Sez. U, numero 47127 del 24/06/2021, Pizzone, Rv. 282269, che ha fissato il seguente principio di diritto ove riconosca la continuazione tra reati, ai sensi dell'articolo 81 cod. penumero , il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base per tale reato, deve anche calcolare e motivare l'aumento di pena in modo distinto per ognuno dei reati satellite . La Corte di appello, nel caso che occupa, ha distinto i singoli aumenti per ogni reato satellite e, soprattutto, ha rispettato i parametri individuati da Sez. U., Pizzone i limiti dell'articolo 81 cod. penumero che non sia stato operato un surrettizio cumulo materiale di pene la sussistenza della proporzione fra pena principale e pene dei delitti satellite per verificare l'adeguatezza della motivazione, sui quali il ricorso nulla adduce, cosicché sul punto si palesa assolutamente generico. Quanto alle circostanze attenuanti generiche, la motivazione che le nega risulta assolutamente congrua e in sintonia con i principi in materia, risultando indicate le ragioni ostative al riconoscimento. Difatti, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte le circostanze attenuanti generiche hanno lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all'imputato in considerazione di altrimenti non codificabili situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull'apprezzamento dell'entità del reato e della capacità a delinquere del suo autore. In tal senso la necessità di tale adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, avendo il giudice l'obbligo, quando ne affermi la sussistenza, di fornire apposita e specifica motivazione idonea a fare emergere gli elementi atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio ex multis Sez. 3, numero 19639 del 27 gennaio 2012, Gallo e altri, Rv. 252900 Sez. 5, numero 7562 del 17/01/2013 - dep. 15/02/2013, P.G. in proc. La Selva, Rv. 254716 . Ed è in questa cornice che devono essere inseriti gli ulteriori principi per cui la concessione o meno delle attenuanti generiche rientra nell'ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l'adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo, anche quindi limitandosi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'articolo 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio Sez. 6 numero 41365 del 28 ottobre 2010, Straface, rv 248737 Sez. 2, numero 3609 del 18 gennaio 2011, Sermone e altri, Rv. 249163 . Ed è a ciò che la Corte di merito si è attenuta. 5. In ordine all'annullamento della sentenza senza rinvio richiesto dalla Procura generale, deve rilevarsi come né con il presente ricorso, né con l'atto di appello è stata eccepita la prescrizione cosicché, a fronte della inammissibilità complessiva del ricorso ora in esame non è consentito a questa Corte di rilevare l'eventuale estinzione per prescrizione dei reati intervenuta prima della sentenza di appello. Difatti, autorevolmente è stato affermato che l'inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la possibilità di rilevare d'ufficio, ai sensi degli articolo 129 e 609 comma secondo, cod. proc. penumero , l'estinzione del reato per prescrizione maturata in data anteriore alla pronuncia della sentenza di appello, ma non rilevata né eccepita in quella sede e neppure dedotta con i motivi di ricorso Sez. U, numero 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818 - 01 in motivazione la Corte ha precisato che l'articolo 129 cod. proc. penumero non riveste una valenza prioritaria rispetto alla disciplina della inammissibilità, attribuendo al giudice dell'impugnazione un autonomo spazio decisorio svincolato dalle forme e dalle regole che presidiano i diversi segmenti processuali, ma enuncia una regola di giudizio che deve essere adattata alla struttura del processo e che presuppone la proposizione di una valida impugnazione . 6. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p. come modificato ex L. 23 giugno 2017, numero 103 , al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Inoltre, il ricorrente va condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi euro 1.800,00, oltre accessori di legge. 7. D'ufficio va disposto l'oscuramento dei dati personali, attesa la necessità prevista dall'articolo 52, comma 2, d.lgs. 196/2003 di predisporre tale misura a tutela dei diritti e della dignità degli interessati. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi euro 1800,00, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento andranno omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'articolo 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.