In tema di responsabilità da diffamazione a mezzo stampa, la Cassazione ha disposto la trasmissione del ricorso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione sul rilievo da assegnare, ai fini della diffamazione o della scriminante del diritto di cronaca, alla circostanza che al soggetto asseritamente leso dall’articolo di stampa sia stata attribuita, direttamente o indirettamente, la qualità di imputato piuttosto che di indagato e la commissione di un reato consumato piuttosto che tentato.
Un imprenditore citava in giudizio il giornalista, il direttore del giornale e l'editore al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza della pubblicazione di un articolo in cui era indicato come imputato per truffa, mentre all'epoca egli era solo indagato per tentata truffa e non per truffa, e gli attribuiva l'effettivo incameramento di una somma consistente di danaro erogata dal soggetto asseritamente truffato. Il Tribunale rigettava la domanda, escludendo il carattere diffamatorio dell'articolo, sul rilievo che gli errori in esso contenuti non avevano scalfito l'aderenza al vero della ricostruzione complessiva. I giudici di appello riformavano la sentenza di primo grado, osservando che la falsità dell'addebito essere imputato per aver effettivamente intascato a seguito di attività truffaldina cinque milioni di dollari non poteva ritenersi assorbita dall'essere effettivamente l'appellante indagato per un altro episodio meramente tentato. Proposto ricorso in Cassazione, i giudici di legittimità hanno chiesto l'intervento delle Sezioni Unite la fine di stabilire se sia configurabile la diffamazione nel caso di articolo di stampa che attribuisca, direttamente o indirettamente anche mediante il richiamo ad atti giudiziari tipizzati o a norme codicistiche la qualità di imputato, piuttosto che quella di indagato, e la commissione di un reato consumato piuttosto che di un reato tentato. È stato affermato che la lesione dell'onore e della reputazione altrui non si verifica quando la diffusione a mezzo stampa delle notizie costituisce legittimo esercizio del diritto di cronaca, condizionato all'esistenza dei seguenti presupposti la verità oggettiva o anche solo putativa dei fatti riferiti, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca, tenuto conto della gravità della notizia pubblicata l'interesse pubblico alla conoscenza del fatto cosiddetta pertinenza la correttezza formale dell'esposizione cosiddetta continenza . In particolare, nel caso di notizie lesive mutuate da provvedimenti giudiziari, il presupposto della verità deve essere restrittivamente inteso salva la possibilità di inesattezze secondarie o marginali, inidonee a determinarne o aggravarne la valenza diffamatoria , nel senso che la notizia deve essere fedele al contenuto del provvedimento e che deve sussistere la necessaria correlazione tra fatto narrato e quello accaduto, senza alterazioni o travisamenti di sorta, non essendo sufficiente la mera verosimiglianza, in quanto il sacrificio della presunzione di non colpevolezza richiede che non si esorbiti da ciò che è strettamente necessario ai fini informativi Cass. numero 22190/2009 . Il potere-dovere di raccontare e diffondere a mezzo stampa notizie e commenti, quale essenziale estrinsecazione del diritto di libertà di informazione e di pensiero, incontra limiti in altri diritti fondamentali della persona, quali l'onore e la reputazione, anch'essi costituzionalmente protetti dagli articolo 2 e 3 Cost., dovendo altresì richiamarsi, in materia di cronaca giudiziaria, la presunzione di non colpevolezza di cui all'articolo 27 Cost. Essenziale, al riguardo, il requisito della verità oggettiva o anche soltanto putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca della notizia, la quale non sussiste quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano, dolosamente o anche soltanto colposamente, taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato ovvero quando i fatti riferiti siano accompagnati da sollecitazioni emotive ovvero da sottintesi, accostamenti, insinuazioni, allusioni o sofismi obiettivamente idonei a creare nella mente del lettore od ascoltatore rappresentazioni della realtà oggettiva false Cass. numero 14822/2012 . Nell'esercizio del diritto di cronaca giornalistica, il presupposto della verità di una notizia mutuata da un provvedimento giudiziario - che dev'essere restrittivamente inteso - sussiste solo allorché essa sia fedele al contenuto del provvedimento stesso, senza alterazioni o travisamenti di sorta onde non è sufficiente la mera verosimiglianza, in quanto il sacrificio della presunzione di non colpevolezza richiede che non si esorbiti da ciò che è strettamente necessario ai fini informativi ne deriva che eventuali inesattezze, pur secondarie o marginali, possono considerarsi irrilevanti, ai fini della lesione dell'altrui reputazione, solo qualora si riferiscano a particolari di scarso rilievo e privi di qualsiasi valore informativo e, pertanto, siano del tutto inidonee a determinarne o aggravarne la valenza diffamatoria Cass. numero 22190/2009 . Al riguardo, la Corte di Cassazione ha ritenuto corretta la decisione di merito circa la natura diffamatoria della notizia, inesatta, relativa alla richiesta del PM di rinvio a giudizio degli indagati, in luogo della notifica agli stessi dell'avviso di cui all'articolo 415-bis c.p.p. Cass. numero 18264/2014 . In tale prospettiva, si deve sottolineare il particolare rigore con cui deve essere valutato il requisito della verità della notizia, precisando che, quando sia mutuata da un provvedimento giudiziario, occorre che essa sia fedele al contenuto del provvedimento stesso, senza alterazioni o travisamenti di sorta, dovendo il limite della verità essere restrittivamente inteso e risultando inaccettabili i valori sostitutivi, quale quello della verosimiglianza, in quanto il sacrificio della presunzione di innocenza richiede che non si esorbiti da ciò che è strettamente necessario ai fini informativi. Onde l'esimente, anche putativa, del diritto di cronaca giudiziaria di cui all'articolo 51 c.p. ricorre solo qualora, nel riportare un evento storicamente vero, siano rappresentate modeste e marginali inesattezze, che riguardino semplici modalità del fatto, senza modificarne la struttura essenziale Cass. penumero numero 41099/2016 . In particolare, è stato chiarito che, in materia di diffamazione a mezzo stampa, non sussiste l'esimente del diritto di cronaca nel caso in cui il giornalista abbia affermato, contrariamente al vero, l'avvenuto esercizio dell'azione penale nei confronti di un soggetto soltanto sottoposto a indagini preliminari Cass. penumero numero 13702/2010 . Sicché si è affermato che integra diffamazione a mezzo stampa, per l'insussistenza dell'esimente del diritto di cronaca giudiziaria, l'attribuzione ad un soggetto nell'ambito di un articolo giornalistico della falsa posizione di imputato, anziché di indagato, in quanto il giornalista riferisca di un'avvenuta richiesta di rinvio a giudizio, in luogo della reale circostanza della notificazione dell'avviso di conclusioni delle indagini preliminari di cui all'articolo 415-bis c.p.p., non potendo detti atti reputarsi equivalenti, dal momento che quest'ultimo, a differenza del primo, non comporta esercizio dell'azione penale ed ha lo scopo di consentire all'indagato l'esercizio del diritto di difesa con la possibilità di un approfondimento delle stesse indagini. Altro formante di legittimità, sorto in sede penale, facendo leva sulla distinzione tra falsità e mera inesattezza, ha specificato che essa è idonea ad integrare l'esimente dell'esercizio del diritto di cronaca qualora, nel riportare un evento storicamente vero, siano rappresentate modeste e marginali inesattezze che riguardino semplici modalità del fatto, senza modificarne la struttura essenziale Cass. numero 41099/2016 oppure inesattezze in altri casi definite secondarie in quanto non idonee ad intaccare il nucleo, vero, essenziale della notizia principale. La ratio comune di tale orientamento è quella di configurare una soglia di tolleranza, capace di sottrarre all'area della rilevanza penale quelle discrasie tra la realtà oggettiva e i fatti così come filtrati ed esposti nell'articolo, che anche alla luce del contesto in cui si inseriscono, sono definibili come marginali o secondarie, individuando di volta in volta il discrimine nella effettiva capacità offensiva dei bene giuridico tutelato dalla fattispecie incriminatrice. In buona sostanza è stata riconosciuta l'esimente del diritto di cronaca quando l'inesattezza ha riguardato dati comunque ritenibili come secondari, che, nel contesto dell'informazione, erano inidonei a ledere ulteriormente la reputazione del soggetto, reputazione già compromessa dalla verità della notizia principale. Si è, ad esempio, affermato che in tema di diffamazione a mezzo stampa ricorre la scriminante dell'esercizio del diritto di cronaca qualora eventi storicamente veri siano stati rappresentati in forma giuridicamente non corretta Cass. numero 6410/2010, fattispecie relativa ad articolo di stampa che indicava il querelante come accusato di fatti di usura, laddove lo stesso era stato rinviato a giudizio per il delitto di estorsione o, ancora che per la gravità dei fatti contestati e per gli elevati incarichi istituzionali rivestiti dalla persona oggetto di notizia, il giudizio negativo indotto nel lettore era conseguenza delle vicende giudiziarie in corso da tempo a carico della stessa - parlamentare - e non dell'equivoco terminologica indagato/rinviato a giudizio. Ed ancora si è ritenuto che la divergenza registrata tra la notizia propalata formulazione della richiesta di rinvio a giudizio da parte del pubblico ministero e lo stato del procedimento emissione dell'avviso di conclusione delle indagini da parte del pubblico ministero costituisce una circostanza inesatta , ovverosia una difformità secondaria, trascurabile, rispetto alla notizia principale che rimane integra nella sua verità storica risultando, in ogni caso, le due presunte persone offese indagate per quei gravi delitti riportati nell'articolo, che consente/pertanto, di ritenere scriminato il reato di diffamazione, non assumendo, di contro, la diversa natura dell'atto erroneamente indicato un ruolo idoneo a stravolgere la notizia, nella sua interezza, pubblicata. Queste osservazioni riposano sul fatto che, sebbene l'avviso di conclusione delle indagini preliminari e la richiesta di rinvio a giudizio costituiscono sicuramente atti processuali con funzioni autonome e conseguenze distinte, essi sono, al contempo, atti definibili processualmente attigui , costituendo il primo presupposto della seconda e facendo ad esso tendenzialmente seguito la richiesta di rinvio a giudizio tranne nel caso in cui sopravvengano elementi che impediscano l'esercizio dell'azione penale in ogni caso, con l'avviso di conclusione delle indagini si è in un certo qual modo cristallizzata la vicenda emersa nelle indagini, che approda, tramite l'avviso di conclusione delle indagini ad un primo punto fermo sia pure sempre nella prospettazione accusatoria ovvero del Pubblico Ministero che conduce le indagini ma a ben vedere la prospettiva non muta, nella sostanza, allorquando è esercitata l'azione penale, dal momento che tale esercizio costituisce pur sempre prerogativa dell'organo dell'accusa, sia pure, in termini processuali, esso si risolva comunque in una progressione del procedimento Cass. penumero 13782/2020 . Per quel che qui rileva, in una siffatta ipotesi non può, quindi, dirsi fuorviato il lettore, non essendosi intaccata la verità della notizia principale né la sostanza di ciò che era accaduto processualmente in ogni caso - ed è questo che accomuna nella sostanza i due atti ai fini che occupano - non si è diffusa la notizia del rinvio a giudizio, che implica il vaglio positivo della fondatezza della prospettazione accusatoria da parte di un giudice, ma pur sempre, e solo, della emissione di un atto rientrante nella sfera dell'accusa e per di più strettamente collegato all'altro effettivamente intervenuto, per sua natura prodromico della richiesta di rinvio a giudizio.
Presidente Genovese – Relatore Tricomi Rilevato che Con sentenza numero 8789/2016 pubblicata il 2 maggio 2016, il Tribunale di Roma respinse la domanda proposta da Da.Al. nei confronti di Lu.Do., in qualità di giornalista redattore di un articolo pubblicato il ventiquattro giugno 2013 sull'edizione on line del settimanale L'espresso , di Ma.Br., in qualità di direttore responsabile, e dell'editore Gruppo Editoriale L'Espresso Spa Da.Al. aveva dedotto che il suddetto scritto riportava nel titolo truffa del superfinanziere , indicava nel corpo del testo lo stesso Da.Al. come imputato per truffa, mentre all'epoca egli era solo indagato per tentata truffa e non per truffa, e gli attribuiva l'effettivo incameramento di una somma consistente di danaro erogata da un terzo soggetto, vittima della condotta riferita carpendone la fiducia con la complicità di un'altra persona, prospettando alla vittima il sicuro acquisto di una forte partecipazione in Telecom Argentina grazie alla loro attività di lobby, a discapito di altri offerenti . Aveva lamentato, quindi, che era stato gravemente leso il suo diritto all'onore, reputazione e immagine ed aveva chiesto la condanna in solido dei convenuti al risarcimento dei danni non patrimoniali da liquidare anche in via equitativa aveva chiesto, inoltre, che Lu.Do. fosse condannato a pagare un'ulteriore somma a titolo di riparazione pecuniaria ex articolo 12 l. 47 /1948 e che fosse disposta la pubblicazione per estratto della sentenza ex articolo 120 cod.proc.civ. Il Giudice di prime cure ritenne non diffamatorio l'articolo, assumendo che gli errori in esso contenuti non avevano scalfito l'aderenza al vero della ricostruzione complessiva, ravvisando la sostanziale corrispondenza dello scritto alla realtà, atteso il significativo coinvolgimento di Da.Al., oltre a un correo, nell'attività truffaldina ai danni di un uomo d'affari sudamericano. La Corte di appello di Roma, con la sentenza numero 6470/2022 pubblicata il 17 ottobre 2022, ha accolto l'appello proposto da Da.Al. e ravvisato la condotta diffamatoria. La Corte di merito ha affermato che La falsità dell'addebito essere imputato per aver effettivamente intascato a seguito di attività truffaldina cinque milioni di dollari non può ritenersi sfumata e assorbita dall'essere effettivamente l'appellante indagato per un altro episodio meramente tentato ciò alla luce del prestigioso incarico ricoperto dal Da.Al. amministratore della banca d'affari Rotschild Italia, tanto da essere stato definito nel titolo un superfinanziere e dalla conseguente intuibile pregnanza in termini di attacco alla carriera e alla solidità della posizione ricoperta. fol.4 . Ha, quindi, proceduto alla quantificazione del danno non patrimoniale sulla base di elementi presuntivi, utilizzando le tabelle emanate dal Tribunale di Milano in materia, e ha determinato il risarcimento a carico degli appellati in solido in euro 25.000,00=, somma attualizzata fino alla pronuncia giudiziaria, oltre interessi legali dalla pubblicazione fino al saldo. Ha aggiunto a detta somma, l'importo di euro 5.000,00= a carico solo del giornalista Lu.Do., ai sensi dell'articolo 12 legge 47 del 1948, oltre interessi legali dalla sentenza al saldo. Ha, infine, accolto la domanda di pubblicazione della sentenza ex articolo 120 cod. proc. civ., regolando le spese di lite secondo il principio della soccombenza. G. - Gruppo Editoriale Spa, Ma.Br. e Lu.Do. hanno proposto ricorso con cinque mezzi, illustrati con memoria, ed hanno chiesto la cassazione della sentenza impugnata. Da.Al. ha replicato con controricorso e memoria. È stata disposta la trattazione camerale. Considerato che 2.1. - Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti hanno lamentato la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto articolo 21 Cost., 2043 cod. civ., 51 e 595 cod. penumero e 11 legge 8 febbraio 1948 numero 47 , con riferimento ai principi elaborati dalla giurisprudenza in tema di diffamazione a mezzo stampa. Essi sostengono la erroneità della sentenza impugnata, laddove ha riformato la sentenza di primo grado che aveva escluso il carattere lesivo dell'articolo censurato. I ricorrenti si dolgono che sia stata negata l'esimente del diritto di cronaca, in applicazione del principio espresso da Cass. numero 11769/2022, perché essenzialmente nell'articolo in parola, Da.Al. sarebbe stato indicato come imputato , mentre all'epoca era solamente indagato , e sarebbe stato prospettato a suo carico il reato consumato di truffa, mentre l'accusa nei confronti dell'originario attore atteneva ad una presunta tentata truffa. Con riferimento al primo profilo, a discarico i ricorrenti deducono che, nell'articolo, Da.Al. non venne indicato esplicitamente come imputato, ma venne riferito che la Procura di Roma ne aveva chiesto il rinvio a giudizio. Pur convenendo che prima della pubblicazione dell'articolo era stato emesso nei confronti dell'originario attore solo l'avviso ex articolo 415 bis cod. proc. penumero notificatogli nella qualità di indagato, opinano che ciò fosse sintomatico della probabile intenzione del pubblico ministero di esercitare l'azione penale. Con riferimento all'attribuzione del reato consumato di truffa anziché del tentativo di truffa, lamentano da parte della Corte di merito l'errata applicazione dei principi giurisprudenziali relativi alla marginalità dell'errore che invece erano stati correttamente applicati dal Tribunale che aveva ritenuto l'inesattezza irrilevante e non già un addebito falso , di per sé capace di inficiare la carriera e la posizione del l'originario attore. 2.2.- Con il secondo motivo i ricorrenti hanno lamentato la violazione e/o falsa applicazione degli articolo 1223,2043 e 2059 cod. civ. laddove la Corte di Appello ha ritenuto provata la sussistenza del danno non patrimoniale in via presuntiva in carenza di ogni allegazione avversaria, senza avere svolto una preventiva valutazione circa la sussistenza di un nesso di causalità effettivamente immediato e diretto tra il danno non patrimoniale lamentato e l'articolo contestato. A parere dei ricorrenti, la Corte di Appello ha ritenuto dimostrata, anche solo in via presuntiva, la sussistenza del danno non patrimoniale subito dall'originario attore, che non aveva provato nel corso del giudizio di primo e secondo grado la esistenza effettiva del danno non patrimoniale, asseritamente subito, e il nesso di causalità tra i presunti danni e la pubblicazione contestata. Secondo i ricorrenti, la sentenza della Corte territoriale risulta quindi aver violato gli articolo 1223,2043 e 2059 cod. civ. perché non ha tenuto conto che, secondo l'orientamento della Suprema Corte, il danno non patrimoniale di cui all'articolo 2059 cod. civ. partecipa della medesima struttura del danno patrimoniale ex articolo 2043 cod. civ. e, quindi, è da considerarsi non come danno evento ma come danno conseguenza di talché, per la risarcibilità del danno non patrimoniale quale conseguenza della lesione di un diritto fondamentale, è indispensabile - anche per una valutazione equitativa - non solo che il presunto danneggiato abbia offerto la prova della sussistenza del lamentato danno o quantomeno abbia allegato indici specifici obiettivi e univoci per provarne l'esistenza, ma anche che il citato soggetto abbia preliminarmente dato rigorosa prova dell'esistenza di un nesso di causalità immediato e diretto tra il pregiudizio lamentato e l'articolo di cui è causa. Una prova che nel caso non sarebbe stata offerta dall'originario attore. 2.3.- Con il terzo motivo è denunciata la violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 12 legge numero 47/1948. Il ricorrente Lu.Do. sostiene, sulla scorta delle argomentazioni svolte con il primo motivo, che l'articolo in parola era pienamente corretto, e che, a seguito dell'accoglimento di tale motivo, anche la condanna alla sanzione pecuniaria dovrebbe essere caducata. Soggiunge che essa dovrà essere rivista in ogni caso, in quanto non vi era e non v'è traccia alcuna dell'integrazione del dolo necessario affinché possa essere irrogata la sanzione ex articolo 12 della legge numero 47/48. 2.4.- Con il quarto motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione dell'articolo 120 cod. proc. civ., laddove la Corte di Appello ha accolto la domanda di pubblicazione della sentenza. I ricorrenti chiedono l'accoglimento del motivo in diretta conseguenza dell'accoglimento delle precedenti censure. 3. - Ritiene il Collegio che in relazione alla questione posta dal primo motivo - concernente il rilievo che assume, al fine della ricorrenza della diffamazione e della scriminante dell'esercizio del diritto di cronaca, la circostanza che, al soggetto che si assume leso dall'articolo di stampa, sia stata attribuita, direttamente o indirettamente mediante il richiamo ad atti giudiziari tipizzati o a norme codicistiche la qualità di imputato, piuttosto che quella di indagato, e la commissione di un reato consumato piuttosto che di un reato tentato -, vada disposta la rimessione del ricorso alla Prima Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, in quanto, dalla disamina delle pronunce di legittimità civili e penali in merito, appare emergere un contrasto interpretativo tra plessi giurisdizionali quello penale e quello civile e che, per il rilievo mediatico e le ricadute pratiche sull'esercizio del diritto di e all'informazione, costituente un'importante funzione della vita pubblica, acquista al contempo anche le caratteristiche di una questione di rilievo, e cioè una questione di massima di particolare importanza. 4.1.- Secondo consolidati arresti della giurisprudenza civile di legittimità, in tema di responsabilità civile per diffamazione, l'esercizio del diritto di cronaca può ritenersi legittimo quando sia riportata la verità oggettiva o anche solo putativa della notizia sicché, secondo la distribuzione degli oneri probatori disciplinata dall'articolo 2697 cod. civ., una volta provato dall'attore, che assume di essere stato leso da una notizia di stampa, il fatto della pubblicazione diffamatoria, spetterà al convenuto dimostrare, a fondamento dell'eccezione di esercizio del diritto di cronaca e della sussistenza della relativa esimente, la verità della notizia, che può atteggiarsi anche in termini di verità putativa, laddove sussista verosimiglianza dei fatti in relazione alla attendibilità della fonte, nel qual caso competerà all'attore dimostrarne l'inattendibilità Cass. civile numero 12985/2022 . Come più volte affermato, il legittimo esercizio del diritto di cronaca esonera il giornalista dall'obbligo di verificare l'attendibilità della fonte informativa nel caso in cui questa provenga dall'autorità investigativa o giudiziaria o da un procedimento disciplinare interno a una P.A., valido ed efficace al momento della sua divulgazione, trattandosi di un atto di investigazione interna, di rilievo pubblico sul quale il giornalista può fare legittimo affidamento tuttavia l'applicabilità della esimente del diritto di cronaca di cui all'articolo 59, ultimo comma, cod. penumero , impone al giornalista di verificare e di accertare la verità quantomeno putativa del fatto pubblicato, e gli impone di verificare in modo completo e specifico, mediante un necessario aggiornamento temporale, la veridicità della notizia al momento della sua divulgazione, restando altrimenti responsabile dei danni derivati dal reato di diffamazione a mezzo stampa, salvo che provi la sua buona fede Cass. civile numero 21969/2020 Cass. civile numero 29265/2022 Cass. civile numero 4242/2023 . A tal fine la cosiddetta verità putativa del fatto non dipende dalla mera verosimiglianza dei fatti narrati, essendo necessaria la dimostrazione dell'involontarietà dell'errore, dell'avvenuto controllo - con ogni cura professionale, da rapportare alla gravità della notizia e all'urgenza di informare il pubblico - della fonte e della attendibilità di essa, onde vincere dubbi e incertezze in ordine alla verità dei fatti narrati e dovendo la verosimiglianza del fatto essere valutata al momento in cui ne è fatta divulgazione Cass. civile numero 29265/2022 . È stato, quindi, chiarito che il giornalista, nel narrare un fatto di cronaca vero nei suoi aspetti generali, può anche riferire una notizia inesatta, a condizione che tale discrasia non sia in grado di offendere l'altrui reputazione Cass. civile numero 11233/2017 e che la verità dei fatti oggetto della notizia non è scalfita da inesattezze secondarie che non alterino, nel contesto dell'articolo, la portata informativa dello stesso rispetto al soggetto al quale sono riferibili, con la puntualizzazione che Sono da considerare marginali le imprecisioni che non mutano in peggio l'offensività della narrazione e, per contro, sono rilevanti quelle che stravolgono il fatto vero in maniera da renderne offensiva l'attribuzione a taluno, all'esito di una valutazione del loro peso sull'intero fatto narrato al fine di stabilire se siano idonee a renderlo falso e, oltre che tale, diffamatorio. Cass. civile numero 7757/2020 . È stato, inoltre, precisato che, nel caso di attribuzione al danneggiato di una pluralità di fatti lesivi della sua reputazione, ai fini della configurabilità dell'esimente dell'esercizio del diritto di cronaca, il requisito della verità della notizia deve sussistere con riguardo a ciascuno di essi, non potendo un fatto diffamatorio perdere tale valenza per la sua portata offensiva marginale , vale a dire solo perché affiancato da altro più grave Cass. civile numero 11769/2022 . 4.2.- Con riferimento allo specifico tema in esame -concernente il rilievo che assume, al fine della ricorrenza della diffamazione e della scriminante dell'esercizio del diritto di cronaca, la circostanza che, al soggetto che si assume leso dall'articolo di stampa, sia stata attribuita, direttamente o indirettamente - mediante il richiamo ad atti giudiziari tipizzati o a norme codicistiche - la qualità di imputato, piuttosto che quella di indagato, e la commissione di un reato consumato piuttosto che tentato, la Corte di legittimità in sede civile si è espressa con orientamento che appare consolidato, affermando che integra diffamazione a mezzo stampa, per l'insussistenza dell'esimente del diritto di cronaca giudiziaria, l'attribuzione ad un soggetto nell'ambito di un articolo giornalistico della falsa posizione di imputato ex articolo 60 cod. proc. penumero , anziché di indagato, allorché il giornalista riferisca di un'avvenuta richiesta di rinvio a giudizio, in luogo della reale circostanza della notificazione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui all'articolo 415 bis cod. proc. penumero , non potendo detti atti reputarsi equivalenti, dal momento che quest'ultimo, a differenza del primo, non comporta esercizio dell'azione penale e risponde allo scopo di consentire all'indagato l'esercizio del diritto di difesa con la possibilità di un approfondimento delle stesse indagini Cass. civile numero 12370/2018 . In tal modo si è data continuità ad un precedente in termini, che ha ritenuto corretta la decisione di merito circa la natura diffamatoria della notizia, inesatta, relativa alla richiesta del p.m. di rinvio a giudizio degli indagati, in luogo della notifica agli stessi dell'avviso di cui all'articolo 415 bis cod. proc. penumero Cass. civile numero 18264/2014 in base allo stesso principio, è stata esclusa la diffamazione, allorché dal contesto dell'articolo era percepibile, da parte del lettore, che la richiesta di rinvio a giudizio non fosse riferita a tutti gli indagati, lasciandosi quindi comprendere l'esistenza del mero avviso per altri Cass. civile numero 17197/2015 Cass. civile numero 22190/2009 . Anche la più recente Cass. civile numero 11769/2022, in linea con Cass. civile numero 12370/2018, ha ribadito in motivazione che integra diffamazione a mezzo stampa, per l'insussistenza dell'esimente del diritto di cronaca giudiziaria, l'attribuzione ad un soggetto nell'ambito di un articolo giornalistico della falsa posizione di imputato, anziché di indagato, allorché il giornalista riferisca di un'avvenuta richiesta di rinvio a giudizio, in luogo della reale circostanza della notificazione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui all'articolo 415-bis cod. proc. penumero , non potendo detti atti reputarsi equivalenti, dal momento che quest'ultimo, a differenza del primo, non comporta esercizio dell'azione penale e risponde allo scopo di consentire all'indagato l'esercizio del diritto di difesa con la possibilità di un approfondimento delle stesse indagini di contro, ha ritenuto che integra un'inesattezza secondaria e marginale, insuscettibile di assumere valenza diffamatoria, la falsa attribuzione della qualità di indagato ad un soggetto che sia stato sentito come persona informata dei fatti, trattandosi di figure pur sempre afferenti alla fase delle indagini preliminari anteriore all'esercizio dell'azione penale , e non potendosi pretendere da un giornalista l'uso tecnicamente ineccepibile dei corretti termini tecnici processuali. 5.1.- In tema, si contano numerose pronunce emesse dalla Corte di legittimità in sede penale, con riferimento alla fattispecie della diffamazione a mezzo stampa ex articolo 595 cod. penumero In ambito penale, nel ricostruire la fattispecie di reato, si è affermato che, in tema di diffamazione a mezzo stampa, l'esimente del diritto di cronaca giudiziaria è configurabile, qualora la notizia sia mutuata da un provvedimento giudiziario, quando l'attribuzione del fatto illecito ad un soggetto sia rispondente a quella presente negli atti giudiziari e nell'oggetto dell'imputazione, sia sotto il profilo dell'astratta qualificazione che della sua concreta gravità, con la conseguenza che essa non è invocabile se il cronista attribuisca ad un soggetto un fatto diverso nella sua struttura essenziale rispetto a quello per cui si indaga, idoneo a cagionare una lesione della reputazione Cass. penale numero 13782/2020 si è così confermato il precedente indirizzo, secondo cui, non sussiste l'esimente del diritto di cronaca, nei confronti del direttore responsabile di un quotidiano nel quale sia pubblicato un articolo non firmato che affermi, contrariamente al vero, che nei confronti di un presidente dei revisori dei conti di una banca, si svolgano indagini per il reato di appropriazione indebita anziché per il delitto di ostacolo alle funzioni di vigilanza, ex articolo 2638 cod. civ. non è, infatti, irrilevante per la reputazione di un soggetto l'attribuzione di un fatto illecito diverso da quello su cui effettivamente si indaga Cass. penale numero 5760/2013 . È stato, inoltre, rimarcato che, ai fini del corretto esercizio del diritto di cronaca, il giornalista che riporti una notizia tratta da un procedimento penale, in particolare se risalente nel tempo, è tenuto a verificarne gli esiti giudiziali, onde accertare se la stessa si sia poi rivelata priva di fondamento, tanto da comportare l'assoluzione dell'accusato Cass. penale numero 21703/2021 . È stato altresì precisato che, in ordine alla sussistenza della scriminante del diritto di cronaca nella ipotesi in cui una serie di fatti venga attribuita ad un gruppo di persone, perché possa dirsi soddisfatto il principio del rispetto della verità obiettiva occorre che sia specificato a quali di tali persone i singoli episodi vengono attribuiti per intero ed a quali in modo parziale, determinandosi altrimenti nel destinatario della notizia la falsa impressione che ad ognuno dei soggetti indicati i fatti sono stati attribuiti nel loro insieme Cass. penale numero 43483/2001 . 5.2.- Pur potendosi rilevare una sostanziale coerenza di massima tra i principi espressi in tema di diffamazione a mezzo stampa nei settori che trattano la materia civile e quella penale, si ravvisano punti di divergenza significativi proprio sul tema che interessa questo procedimento, concernente il rilievo che assume, al fine della ricorrenza della diffamazione e della scriminante dell'esercizio del diritto di cronaca, la circostanza che, al soggetto che si assume leso dall'articolo di stampa, sia stata attribuita, direttamente o indirettamente - mediante il richiamo ad atti giudiziari tipizzati o a norme codicistiche - la qualità di imputato, piuttosto che quella di indagato, e la commissione di un reato consumato piuttosto che di un reato tentato. È stato affermato, infatti che in tema di cronaca giudiziaria, non integra un'ipotesi di diffamazione a mezzo della stampa la divulgazione di una notizia d'agenzia riportante l'erronea affermazione che taluno sia stato raggiunto da richiesta di rinvio a giudizio anziché da avviso di conclusione delle indagini preliminari, dal momento che, in tal caso, la divergenza tra quanto propalato e l'effettivo stato del procedimento costituisce una mera inesattezza su un elemento secondario del fatto storico, che non intacca la verità della notizia principale, secondo cui il procedimento, nella prospettiva della pubblica accusa, è approdato ad una cristallizzazione delle risultanze d'indagine funzionale alla sua progressione al contrario , secondo la Corte non viene meno la rilevanza penale del fatto in caso di diffusione dell'erronea notizia a termini della quale una persona è stata rinviata a giudizio, implicando questo atto il positivo vaglio della prospettazione accusatoria da parte di un giudice Cass. penale numero 15093/2020 . 6.1.- Il recente approdo di Cass. penale numero 15093/2020 sembra porsi in contrasto con i principi espressi dalle decisioni civili numero 12370/2018 e numero 11769/2022. Sembra, inoltre, allontanarsi sensibilmente anche dal più rigoroso precedente di legittimità penale che, sia pure in relazione alla posizione dell'indagato, ha ritenuto configurabile il reato di diffamazione a mezzo stampa nel caso in cui un organo di stampa abbia diffuso la falsa notizia del coinvolgimento dell'indagato in un procedimento in quanto destinatario di una informazione di garanzia, laddove lo stesso era stata solo iscritto, nella qualità di indagato, nel registro delle notizia di reato in proposito, la Corte ha affermato che, attesa l'avvenuta sensibilizzazione dell'opinione pubblica, resasi oramai avvezza a valutare il differente grado di coinvolgimento dell'indagato in un procedimento a seconda che egli sia soltanto iscritto nel registro delle notizie di reato o sia anche destinatario di una informazione di garanzia, la falsa notizia circa quest'ultima ricorrenza integra il reato di diffamazione Cass. penale numero 34544/2001 . 6.2.- Anche il profilo attinente al rilievo o meno diffamatorio, da riconoscere alla propalazione di una notizia riguardante un reato consumato, piuttosto che un reato tentato non appare divisato in maniera uniforme invero, in sede penale si è affermato che non è irrilevante per la reputazione di un soggetto l'attribuzione di un fatto illecito diverso da quello su cui effettivamente si indaga, tale essendo - alla luce degli elementi costitutivi - la fattispecie del reato tentato, rispetto a quella del reato consumato in sede civile la valutazione delle imprecisioni , al fine dell'accertamento dell'offensività tende ad esprimersi come una valutazione del loro peso sull'intero fatto narrato al fine di stabilire se siano idonee a renderlo falso e, oltre che tale, diffamatorio. 7.- Ritiene dunque il Collegio di rimettere gli atti alla Prima Presidente perché valuti l'opportunità di investire le Sezioni Unite di questa Corte sulla questione al contempo di massima di particolare importanza e oggetto di contrasto, concernente il rilievo che assume, al fine della ricorrenza della diffamazione e della scriminante dell'esercizio del diritto di cronaca, la circostanza che, al soggetto che si assume leso dall'articolo di stampa, sia stata attribuita, direttamente o indirettamente - mediante il richiamo ad atti giudiziari tipizzati o a norme codicistiche - la qualità di imputato, piuttosto che quella di indagato, e la commissione di un reato consumato piuttosto che di un reato tentato. P.Q.M. Dispone la trasmissione degli atti alla Prima Presidente della Corte di cassazione per l'eventuale assegnazione della causa alle Sezioni Unite.