Licenziamento per superamento del periodo di comporto e discriminazione indiretta del lavoratore malato oncologico

Il principio di attenuazione dell’onere probatorio di cui all’articolo articolo 40 d.lgs. 198/2006 opera anche nell’ipotesi di discriminazione indiretta, realizzata mediante licenziamento per superamento dell'ordinario periodo di comporto nei confronti del lavoratore disabile e vale anche in riferimento alla consapevolezza del datore di lavoro dell’“handicap di salute” del proprio dipendente, determinando in capo al datore, una volta che sia reso edotto della condizione effettiva di handicap del dipendente, l’onere di attivarsi per approfondire le ragioni delle assenze per malattia eventualmente derivanti dall’handicap noto.

La Corte di Appello di Firenze – con sentenza numero 760 del 4 novembre 2021 – ha rigettato il reclamo di una società avverso la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Livorno che aveva giudicato nullo il licenziamento intimato ad un dipendente malato oncologico per superamento del periodo di comporto stabilito all'interno del CCNL applicato, in quanto ritenuto discriminatorio. Il giudice di primo grado aveva condannato la società alla reintegrazione del dipendente ed al pagamento di una indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal licenziamento alla reintegrazione, oltre che al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per lo stesso periodo. La Corte Territoriale, così come il Tribunale, aveva infatti ritenuto sussistente la discriminazione indiretta del dipendente con disabilità in ragione del fatto che la previsione di un periodo di comporto unico ed indifferenziato che ricomprendesse anche periodi di malattia imputabili alla medesima disabilità non fosse uno strumento appropriato per la tutela della condizione di rischio del dipendente, ritendo altresì provato l'elemento soggettivo della società in quanto pienamente consapevole della condizione del lavoratore e del rischio di discriminazione derivante dal computo indifferenziato di tutte le assenze nel periodo di comporto. Avverso tale sentenza la società ricorreva in Cassazione. La Corte di Cassazione, condividendo le conclusioni della Corte di Appello, ritiene infondati tutti i motivi della società ricorrente. La Corte di Cassazione ritiene in primo luogo sussistente la discriminazione indiretta – ossia un criterio/disposizione/prassi apparentemente neutra che mette in una posizione di particolare svantaggio i dipendenti appartenenti ad uno specifico gruppo sociale protetto – facendo espressa menzione della sentenza della stessa Corte del numero 9095 del 31 marzo 2023, che aveva ritenuto discriminatoria l'applicazione dello stesso periodo di comporto a tutti i malati, senza le dovute distinzioni per coloro che hanno una disabilità, in considerazione dei maggiori rischi collegati a quest'ultima condizione. La Sezione Lavoro ricorda altresì che, a norma dell'articolo 3, comma 3-bis d.lgs. 216/2003 sussiste in capo ai datori di lavoro, pubblici e privati, il dovere di adottare ogni ragionevole accomodamento organizzativo «che […] sia idoneo a contemperare […] l'interesse del disabile al mantenimento di un lavoro confacente alla sua condizione psico-fisica con quello del datore a garantirsi una prestazione lavorativa utile all'impresa». I Giudici di Piazza Cavour poi, in merito al lamentato difetto di allegazione delle prove fondanti la discriminazione indiretta ed alla “giustificazione” resa dalla società con riferimento alla propria incolpevole non conoscenza del reale stato di salute del dipendente che nel corso del rapporto aveva prodotto dei certificati medici privi di riferimenti alla sofferta patologia oncologica cronica , richiamano sul punto la consolidata giurisprudenza in tema di onere della prova nei casi di procedimento speciale antidiscriminatorio e di azione ordinaria promossi dal lavoratore o dal consigliere di parità. Secondo costante giurisprudenza, infatti, l'articolo 40 d.lgs. 198/2006, non stabilisce un'inversione dell'onere probatorio, ma solo un'attenuazione del regime probatorio ordinario in favore del ricorrente, prevedendo a carico del datore di lavoro l'onere di fornire la prova dell'inesistenza della discriminazione a condizione che il ricorrente abbia previamente fornito al giudice elementi di fatto, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori. Detto principio introduce quindi una parziale inversione dell'onere della prova «dovendo l'attore fornire elementi fattuali che devono rendere plausibile l'esistenza della discriminazione, pur lasciando comunque un margine di incertezza in ordine alla sussistenza dei fatti costitutivi della fattispecie discriminatoria sicché, il rischio della permanenza dell'incertezza grava sul convenuto, tenuto a provare l'insussistenza della discriminazione una volta che siano state dimostrate le circostanze di fatto idonee a lasciarla desumere». La Corte estende poi l'applicabilità di tale principio di attenuazione dell'onere della prova anche alle ipotesi di discriminazione indiretta realizzata mediante licenziamento per superamento dell'ordinario periodo di comporto nei confronti del lavoratore disabile. Infatti, secondo gli Ermellini, il datore che abbia avuto conoscenza dell'“handicap di salute” del proprio dipendente, ha l'onere di attivarsi per approfondire le ragioni delle assenze per malattia potenzialmente dipendenti dal detto handicap «così da superare quell'incertezza su di sé negativamente ridondante, in quanto tenuto a provare l'insussistenza della discriminazione, una volta dimostrate le circostanze di fatto idonee a lasciarla desumere». Alla luce dell'applicabilità dell'enunciato principio, gli Ermellini ritengono che la Corte territoriale abbia correttamente accertato che non vi sia stata alcuna carenza probatoria imputabile al dipendente, ritenendo quindi provato che la quasi totalità delle assenze del dipendente fossero collegate alla di lui disabilità e che sussistesse un'incidenza negativa di quest'ultima sulla sua vita professionale e, quindi, provata e sussistente la discriminazione indiretta.

Presidente Manna – Relatore Patti Fatti di causa 1. Con sentenza 4 novembre 2021, la Corte d'appello di Firenze ha rigettato il reclamo di Terminal Darsena Toscana Srl avverso la sentenza di primo grado, di nullità del licenziamento, siccome discriminatorio, intimato l'11 luglio 2019 al lavoratore indicato in epigrafe suo dipendente dal 2009, con mansioni di operaio, affetto dal luglio 2010 da una doppia neoplasia linfoproliferativa cronica sulla cute del padiglione auricolare destro , per superamento del periodo di comporto previsto dall'articolo 21 CCNL Porti in un periodo di 15 mesi nell'arco di trenta in quanto assente per malattia dal 20 marzo 2017 al 7 luglio 2019 per 458 giorni. Accertata detta nullità, il primo giudice ha condannato la società datrice alla reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro e al pagamento, in suo favore, di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal licenziamento alla reintegrazione, oltre che al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per lo stesso periodo. 2. Come il Tribunale, la Corte territoriale ha ritenuto la discriminazione indiretta subita dal lavoratore in condizione di handicap dipendente dalla documentata patologia oncologica cronica dal 2010, in ragione dell'insufficienza, a norma dell'articolo 2, secondo comma, lett. b della Direttiva 2000/78/CE, nell'individuazione - in funzione del conseguimento della finalità legittima del contemperamento degli interessi contrapposti del lavoratore e del datore di lavoro alla base dell'istituto del comporto - nell'articolo 21 CCNL cit. dello strumento appropriato e necessario di tutela della condizione di rischio del lavoratore svantaggiato, per la previsione di un arco temporale unico e indifferenziato anche per i periodi di malattia imputabili alla sua disabilità né potendo tale situazione essere bilanciata da un ulteriore periodo di aspettativa non retribuita , indistintamente applicabile a lavoratori normodotati e disabili. 3. Essa ne ha inoltre condiviso l'accertamento di gravità e cronicità della patologia oncologica del lavoratore, tale da comprometterne la capacità lavorativa in misura del 70% e dal 2015 del 75% e comportante - per le notevoli assenza dovute alla malattia, agli interventi e alle cure chemioterapiche - il progressivo abbassamento di livello dal IV al VI delle mansioni svolte da addetto al pool operativo ad addetto ufficio formazione e training , quindi ad addetto al gate out e infine ad addetto gestione parco auto aziendale . 4. Infine, la Corte d'appello ha escluso la carenza dell'elemento soggettivo della società datrice, per la rilevanza oggettiva della discriminazione, attesa la sua piena consapevolezza del fattore di handicap del lavoratore e del rischio di trattamenti discriminatori nel computo indifferenziato di tutte le assenze per malattia ai fini del comporto, non avendo essa verificato la loro riconducibilità o meno alla patologia oncologica, pur essendone onerata, in considerazione del regime probatorio attenuato, in favore del soggetto portatore del rischio, vigente in materia. 5. Con atto notificato il 3 gennaio 2022, la società ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, illustrati da memoria finale, mentre il lavoratore intimato non ha svolto difese. 6. Il P.G. ha comunicato requisitoria nel senso del rigetto del ricorso. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo, la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli articolo 1 e 2 Direttiva 2000/78/CE, 1, 2 e 3, comma 3bis D.Lgs. 216/2003, 7 D.Lgs. 119/2011, 1218 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto il licenziamento intimato antidiscriminatorio sull'erroneo presupposto dell'indifferenziato regime di comporto per tutti i lavoratori, normodotati e non, senza considerare la disciplina complessiva al riguardo, di previsione di un'aspettativa non retribuita, esaurito il periodo di comporto, a richiesta del lavoratore, di quattro mesi elevabile a sei, prorogabile di ulteriori sei mesi e il diritto di godimento, sempre a richiesta, di un congedo annuale di trenta giorni per cure non computabile nel periodo di comporto, per i lavoratori con invalidità superiore al 50%, come appunto il lavoratore de quo, che tuttavia non aveva proposto domande in tale senso. 2. Con il secondo, essa ha dedotto violazione e falsa applicazione degli articolo 2, secondo comma, lett. b Direttiva 2000/78/CE, 3, comma 4Lireer D.Lgs. 216/2003, per avere la Corte territoriale ritenuto - in funzione del contemperamento degli interessi del datore di lavoro di sostenere i costi retributivi e contributivi corrispettivi all'effettiva prestazione lavorativa e del lavoratore di potersi curare senza perdere i mezzi alla sua realizzazione - mezzo appropriato e necessario , rimesso alla discrezionalità degli Stati membri dell'Unione europea, soltanto il trattamento differenziato del periodo di comporto per lavoratori normodotati e lavoratori con handicap, e non la suindicata disciplina complessiva. 3. Con il terzo motivo, la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli articolo 115,116 c.p.c., 2697 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto sussistenti elementi costitutivi della condizione di handicap del lavoratore, quali l'incidenza negativa della patologia sofferta sulla sua vita professionale per l'assiomatica affermazione di incidenza negativa del passaggio da mansioni operative a mansioni d'ufficio e di compromissione delle possibilità di progressioni future in carriera e l' interazione con barriere di diversa natura condizioni di costrittività ambientale incompatibili con lo stato della malattia, in luogo di possibilità agevolate di lavoro da casa in smart working , in difetto di allegazione della parte, né risultanti dagli atti. 4. Con il quarto, essa ha dedotto violazione e falsa applicazione degli articolo 1 e 2 Direttiva 2000/78/CE, 1, 2 e 3, comma 3bis D.Lgs. 216/2003, 1175 e 1375 c.c., per non avere la Corte territoriale ritenuto incolpevole il proprio comportamento di discriminazione indiretta nei confronti del dipendente, avendo avuto conoscenza della ragione delle sue assenze per malattia soltanto in giudizio, avendo egli prodotto le certificazioni mediche indicanti tali ragioni, ma prima giustificato le assenze con certificazioni neutre, prive di ogni riferimento alla sua patologia oncologica cronica, neppure segnalando con barratura le caselle relative a patologie gravi che richiedano terapie salvavita ovvero a stato patologico connesso all'invalidità riconosciuta . 5. Essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati. 6. Giova ribadire, in premessa, la riconducibilità dell'istituto del comporto a quel punto di equilibrio fra l'interesse del lavoratore a disporre d'un congruo periodo di assenze per ristabilirsi a seguito di malattia o infortunio e quello del datore di lavoro di non doversi fare carico a tempo indefinito del contraccolpo che tali assenze cagionano all'organizzazione aziendale astrattamente predeterminato nell'articolo 2110, secondo comma c.c. Cass. 16 settembre 2022, numero 27334, in motivazione, sub p.to 20 . E come es Data p rientri nella più ampia categoria dei c.d. accomodamenti ragionevoli , gravanti il datore di lavoro dell'obbligo di previa verifica della possibilità di adattamenti organizzativi, appunto ragionevoli, nei luoghi di lavoro ai fini della legittimità del recesso, secondo una interpretazione conforme agli obiettivi della direttiva 2000/78/CE Cass. 9 marzo 2021, numero 6497, in motivazione, sub p.to 4 . 7. È noto che, in tema di licenziamento, costituisca discriminazione indiretta l'applicazione dell'ordinario periodo di comporto al lavoratore disabile, perché la mancata considerazione dei rischi di maggiore morbilità dei lavoratori disabili, proprio in conseguenza della disabilità, converte il criterio, in apparenza neutro, del computo del periodo di comporto breve in una prassi discriminatoria nei confronti del particolare gruppo sociale protetto, siccome in posizione di particolare svantaggio Cass. 31 marzo 2023, numero 9095, in motivazione . Al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento delle persone con disabilità, appare allora necessaria, a norma dell'articolo 3, comma 3bis D.Lgs. 216/2003, l'adozione, da parte dei datori di lavoro pubblici e privati, di ogni ragionevole accomodamento organizzativo che, senza comportare oneri finanziari sproporzionati, sia idoneo a contemperare, in nome dei principi di solidarietà sociale, buona fede e correttezza, l'interesse del disabile al mantenimento di un lavoro confacente alla sua condizione psico-fisica con quello del datore a garantirsi una prestazione lavorativa utile all'impresa, anche attraverso una valutazione comparativa con le posizioni degli altri lavoratori fermo il limite invalicabile del pregiudizio alle situazioni soggettive di questi ultimi aventi la consistenza di diritti soggettivi Cass. 9 marzo 2021, numero 6497, in tema di licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta del lavoratore . 7.1. D'altro canto, l'adozione di accomodamenti ragionevoli presuppone l'onere del lavoratore di allegare e provare la limitazione risultante dalle proprie menomazioni fisiche, mentali e psichiche durature e la traduzione di tale limitazione, in interazione con barriere di diversa natura, in un ostacolo alla propria partecipazione, piena ed effettiva, alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori, posto che non ogni situazione di infermità fisica che renda il lavoratore inidoneo alle mansioni di assegnazione risulta ex se riconducibile alla nozione di disabilità di cui alla disposizione suddetta Cass. 28 ottobre 2019, numero 27502, in motivazione, sub p.to 8.4, pure in tema di licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta del lavoratore derivante da una condizione di handicap . È bene in proposito chiarire che l'articolo 40 D.Lgs. 198/2006, nel fissare un principio applicabile sia nei casi di procedimento speciale antidiscriminatorio che di azione ordinaria promossi dal lavoratore ovvero dal consigliere di parità, non stabilisce un'inversione dell'onere probatorio, ma solo un'attenuazione del regime probatorio ordinario in favore del ricorrente, prevedendo a carico del datore di lavoro, in linea con quanto disposto dall'articolo 19 della Direttiva CE numero 2006/54 come interpretato da Corte di Giustizia Ue 21 luglio 2011, C-104/10 , l'onere di fornire la prova dell'inesistenza della discriminazione, ma a condizione che il ricorrente abbia previamente fornito al giudice elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, anche se non gravi, la presunzione dell'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso Cass. 12 ottobre 2018, numero 25543 . Esso introduce così un'agevolazione probatoria mediante lo strumento di una parziale inversione dell'onere dovendo l'attore fornire elementi fattuali che, anche se privi delle caratteristiche di gravità, precisione e concordanza devono rendere plausibile l'esistenza della discriminazione, pur lasciando comunque un margine di incertezza in ordine alla sussistenza dei fatti costitutivi della fattispecie discriminatoria sicché, il rischio della permanenza dell'incertezza grava sul convenuto, tenuto a provare l'insussistenza della discriminazione una volta che siano state dimostrate le circostanze di fatto idonee a lasciarla desumere Cass. 28 marzo 2022, numero 9870, in riferimento all'articolo 28, quarto comma D.Lgs. 150/2011, quale disposizione speciale rispetto all'articolo 2729 c.c., in tema di discriminazione indiretta nei confronti di persone con disabilità ai sensi della legge numero 67 del 2006 . 7.2. I suenunciati principi di attenuazione dell'onere probatorio operano anche nell'ipotesi di discriminazione indiretta, realizzata mediante licenziamento per superamento dell'ordinario periodo di comporto nei confronti del lavoratore disabile Cass. 31 marzo 2023, numero 9095, in motivazione sub p.to 28 e valgono anche in riferimento alla consapevolezza del datore di lavoro dell' handicap di salute del proprio dipendente, nel senso dell'onere del primo, una volta che sia edotto della condizione effettiva di handicap del secondo nel caso di specie documentata affezione dal luglio 2010 da una doppia neoplasia linfoproliferativa cronica sulla cute del padiglione auricolare destro , di attivarsi per approfondire le ragioni delle assenze per malattia eventualmente dipendenti dall'handicap noto, così da superare quell'incertezza su di sé negativamente ridondante, in quanto tenuto a provare l'insussistenza della discriminazione, una volta dimostrate le circostanze di fatto idonee a lasciarla desumere così dovendosi intendere le affermazioni, in merito all'irrilevanza dell'atteggiamento soggettivo dell'autore della discriminazione, in Cass. 31 marzo 2023, numero 9095, in motivazione sub p.to 29 . 8. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha compiuto un accertamento in fatto, in ordine all'effettiva condizione di handicap del lavoratore per la documentata sua affezione dal luglio 2010 da una doppia neoplasia linfoproliferativa cronica sulla cute del padiglione auricolare destro ultimo capoverso di pg. 5 della sentenza , nota alla società datrice così al secondo capoverso di pg. 9 della sentenza e comportante la quasi totalità delle assenze per malattia computate ai fini del periodo di comporto primo periodo di pg. 6 della sentenza , nonché il progressivo abbassamento di livello dal IV al VI delle mansioni svolte dal lavoratore e l'incidenza negativa sulla sua vita professionale ultimo capoverso di pg. 7 e primo di pg. 8 della sentenza , senza alcuna carenza di allegazione, né di prova a carico del lavoratore secondo capoverso di pg. 8 della sentenza , in corrispondenza dei principi di diritto suenunciati in tema di attenuazione dell'onere probatorio in materia. Tale accertamento in fatto non è più censurabile, né è stato in effetti censurato, come rilevato anche dal P.G. al p.to 4.1 della requisitoria . Rispetto ad esso, la deduzione di violazione, con il terzo motivo, degli articolo 115,116 c.p.c. e 2697 c.c., si declina allora come sostanziale contestazione della valutazione probatoria giudiziale, in difetto di un'appropriata deduzione di errores in iudicando quanto alle prime due norme inammissibilmente denunciate Cass. s.u. 30 settembre 2020, numero 20867 Cass. 9 giugno 2021, numero 16016 quanto alla terza Cass. 17 giugno 2013, numero 15107 Cass. 29 maggio 2018, numero 13395 Cass. 31 agosto 2020, numero 18092 , con la sottesa sollecitazione ad una rivisitazione del merito con una diversa ricostruzione del fatto Cass. 7 dicembre 2017, numero 29404 Cass. s.u. 27 dicembre 2019, numero 34476 Cass. 4 marzo 2021, numero 5987 9. Per le superiori ragioni, il ricorso deve essere rigettato pub senza l'assunzione di provvedimenti sulle spese del giudizio, non avendo il lavoratore vittorioso svolto attività difensiva, con raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, numero 23535 e con oscuramento come disposto in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso nulla sulle spese. Ai sensi dell'articolo 13 comma I quater del d.p.r. numero 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13, se dovuto. Ai sensi dell'articolo 52 del D.Lgs. numero 196/2003 e succ. mod., in caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei lavoratori indicati in epigrafe.