La liquidazione volontaria della società non è causa di estinzione della partecipazione sociale dell’usufruttuario

L’usufrutto sulla partecipazione sociale non cessa in caso di messa in liquidazione volontaria della società. Attesa la mancanza di una norma settoriale che disciplini tale ipotesi, sarà applicata la disciplina generale prevista all’articolo 1104 c.c. che prevede le cause di estinzione dell’usufrutto non ricomprendendovi la liquidazione volontaria della società .

Fatto Tizio presentava dichiarazione dei redditi Modello Unico 2003 completo di quadro RM redditi a tassazione separata nella cui sezione III furono indicati redditi pari ad euro 5.277.090, derivanti dalla liquidazione della società “Profilo s.r.l.”, con indicazione del credito di imposta limitato di euro 616.196 e del credito d'imposta pieno pari ad euro 2.837,556. Il contribuente si aspettava la liquidazione del credito d'imposta e, in considerazione della condotta inerte dell'Amministrazione Finanziaria, presentava istanza di rimborso a cui l'Amministrazione non aveva fornito alcuna risposta. Avverso il silenzio rifiuto proponeva impugnazione Tizio dinnanzi alla CTP. Tra i motivi di ricorso Tizio adduceva che il residuo attivo risultante dalla liquidazione volontaria della società spetti al socio nudo proprietario, non all'usufruttuario. La CTP rigettava il ricorso, con sentenza confermata in appello. Avverso la pronuncia della CTR proponeva ricorso il contribuente con l'unico motivo di ricorso, rubricato «violazione e falsa applicazione degli articolo 981, 982, 984, 1000 e 2352 c.c. , 44, comma 7 e 14 Tuir vigenti ratione temporis , in relazione all' articolo 360, comma 1, numero 3 c.p.c. », il contribuente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato che «in sede di liquidazione era stato distinto, all'interno dell'attivo complessivamente risultante e poi distribuito, l'importo derivante dal capitale da quello derivante dagli utili, ed il fatto che questi utili non siano stati distribuiti in precedenza per la Commissione non ne fa venir meno la natura giuridica di frutto della gestione economica del capitale». La Suprema Corte concludeva per il rigetto del ricorso. Principio di diritto « Nel caso in cui la quota sociale di una società a responsabilità limitata sia costituita in usufrutto , le somme ricavate dalla liquidazione volontaria della società , costituenti un utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l'acquisto o la sottoscrizione delle quote, spettano all'usufruttuario , con la conseguenza che il rapporto d'imposta avente ad oggetto tale utile sorge, ad ogni effetto, tra l'amministrazione e l'usufruttuario”. Ne deriva che in caso di utili, questi devono essere corrisposti all'usufruttario, anche dopo l'estinzione della società, in quanto i diritti dell'usufruttuario non sono limitati ai dividendi prodotti durante la vita “ordinaria” della società, ma permangono anche successivamente come quota di liquidazione. D'altronde anche l' articolo 47, comma 7, del Tuir prevede che “le somme o il valore normale dei beni ricevuti dai soci in caso di recesso o di esclusione, di riscatto o di riduzione del capitale esuberante o di liquidazione anche concorsuale delle società enti costituiscono utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l'acquisto o la sottoscrizione delle azioni o quote annullate», sicché l'obbligazione tributaria nasce tra l'usufruttuario e l'Ufficio. Conclusioni I giudici supremi enunciano il predetto principio di diritto muovendo dall'assunto che manca nella disciplina speciale una norma che prescriva la liquidazione volontaria della società come causa di estinzione della partecipazione sociale dell'usufruttuario e, pertanto, dopo la messa in liquidazione della società la partecipazione continua a produrre utili. Ogni condotta, infatti, deve essere sorretta da un addentellato normativo che, nel caso di specie, non risulta pertanto, ammettere, l'estinzione della partecipazione sociale dell'usufruttuario, conseguente alla estinzione della società, nel silenzio della legge, significherebbe creare una nuova figura iuris . Come noto, l'ordinamento si fonda sul principio di legalità, sicché il riconoscimento di un diritto ovvero l'estinzione del medesimo devono essere sorretti da una previsione ex lege che manca nella disciplina tributaria.

Presidente Cirillo - Relatore Napolitano Fatto In data 31/10/2003 fu presentata la dichiarazione Mod. Unico 2003, completo di Quadro RM redditi a tassazione separata , nella cui sezione III furono indicati redditi pari ad euro 5.277.090, derivanti dalla liquidazione della società Profilo Srl , con indicazione del credito di imposta limitato di euro 616.196 e del credito d'imposta pieno pari ad euro 2.837,556. Lo.Lu. d'ora in poi, anche il contribuente o il ricorrente si aspettava la liquidazione di un credito d'imposta pari ad euro 1.882.200. Essendo rimasta inerte l'amministrazione, in data 27/12/2010 il contribuente presentò istanza di rimborso. In esito a confronti tra il contribuente e l'ufficio, la posizione creditoria del primo venne definita in euro 1.484.182, ma ciononostante l'Agenzia delle Entrate non diede seguito alla domanda di rimborso. Avverso il silenzio rifiuto, il contribuente propose ricorso dinanzi alla C.T.P. di Pordenone. Il Lo.Lu. era nudo proprietario delle quote della Profilo Srl , dalla cui liquidazione volontaria fu distribuito un residuo attivo, dopo il pagamento di tutti i debiti. Il contribuente sostiene la tesi che il residuo attivo risultante dalla liquidazione volontaria della società spetti al socio nudo proprietario, non all'usufruttuario. Nella fase di scioglimento del vincolo sociale, la posta di patrimonio netto dalla quale vengono prelevate le somme diverrebbe irrilevante al socio che ha conferito denaro verrebbe conferito denaro in esito alla liquidazione della società, e qualora vi sia un plusvalore , esso apparterrebbe al socio, sicché il rapporto di imposta generatore del credito d'imposta si instaurerebbe tra l'Agenzia delle Entrate e il socio nudo proprietario, non tra l'Agenzia delle Entrate e l'usufruttuario. La C.T.P. rigettò il ricorso, con sentenza confermata in appello. Avverso la sentenza della C.T.R. il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un solo motivo. Resiste l'Agenzia delle Entrate con controricorso. Il sostituto Procuratore Generale, dott. De.Ro., ha depositato requisitoria scritta. Il contribuente ha depositato memoria. Diritto 1. Con l'unico motivo di ricorso, rubricato Violazione e falsa applicazione degli articolo 981,982,984,1000 e 2352 c.c. , 44, comma 7 e 14 Tuir vigenti ratione temporis , in relazione all' articolo 360, comma 1, numero 3 c.p.c. , il contribuente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato che in sede di liquidazione era stato distinto, all'interno dell'attivo complessivamente risultante e poi distribuito, l'importo derivante dal capitale da quello derivante dagli utili, ed il fatto che questi utili non siano stati distribuiti in precedenza per la Commissione non ne fa venir meno la natura giuridica di frutto della gestione economica del capitale . Il contribuente sostiene che, una volta che si addivenga alla liquidazione volontaria della società, il residuo attivo che risulta dalla soddisfazione di tutti i creditori sociali deve essere distribuito ai soci e diventa una massa patrimoniale indistinta , all'interno della quale non possono distinguersi gli utili, sicché quella massa patrimoniale indistinta spetterebbe interamente al socio nudo proprietario. Aggiunge il contribuente che la preoccupazione che l'usufruttuario veda svanire il suo diritto reale non sussiste, in quanto l' articolo 1000 c.c. prevede il mantenimento dell'usufrutto sulle somme assegnate al socio, il quale potrà disporne solo col consenso dell'usufruttuario. Il residuo attivo altro non sarebbe che capitale da restituire al socio, tant'è vero che non viene distribuito in seguito ad una delibera assembleare, ma quale ultimo necessitato atto della vita sociale . Le somme derivanti dal residuo attivo di liquidazione non costituiscono tecnicamente un dividendo e, non essendo tali, non spetterebbero all'usufruttuario, bensì al nudo proprietario. Sostanzialmente, per il contribuente il diritto dell'usufruttuario della partecipazione sociale si estenderebbe solo ai dividendi la cui distribuzione sia deliberata dall'assemblea. 2. Il ricorso è infondato. Le questioni di diritto che pone il ricorrente sono due. 2.1. In primo luogo, occorre stabilire quando cessi il diritto di usufrutto che abbia ad oggetto una partecipazione sociale di una società a responsabilità limitata. 2.2. In secondo luogo, occorre stabilire quali siano i diritti patrimoniali, collegati alla partecipazione sociale, spettanti al soggetto in favore del quale sia stato costituito un usufrutto sulla stessa. 3.1. Si deve premettere che in tema di società a responsabilità limitata, ai fini che qui ci interessano, l' articolo 2471-bis c.c. opera un rinvio formale all' articolo 2352 c.c. , che a sua volta non contiene alcuna disposizione circa le cause di estinzione dell'usufrutto su partecipazioni sociali. Con riferimento, poi, ai diritti patrimoniali connessi alle partecipazioni sociali, il citato articolo si limita a disporre che al socio, e non all'usufruttuario, spetta il diritto di opzione attribuito dalle partecipazioni costituite in usufrutto che, nel caso di aumento gratuito del capitale sociale, l'usufrutto si estende alle azioni di nuova emissione che, se sono richiesti versamenti sulle partecipazioni costituite in usufrutto, l'usufruttuario deve provvedere al versamento, salvo il suo diritto alla restituzione al termine dell'usufrutto. Orbene, osserva il Collegio che le disposizioni di cui all' articolo 2352 c.c. contengono delle norme che si pongono in un rapporto di specie a genere rispetto alle norme generali del codice civile in tema di usufrutto, con la conseguenza che, fuori dal campo di applicazione delle norme speciali, si applicano le norme generali, con i necessari adattamenti resi necessari dal peculiare oggetto la partecipazione sociale del diritto di usufrutto. In assenza, dunque, di una norma ad hoc che disciplini l'estinzione del diritto di usufrutto su una partecipazione sociale, non si può che applicare la disciplina generale di cui all' articolo 1014 c.c. , sicché l'usufrutto sulla partecipazione sociale non cessa con la messa in liquidazione della società se non sia scaduto il termine di durata non superiore al tempo di vita dell'usufruttuario persona fisica o ai trent'anni se l'usufruttuario è una persona giuridica , ed a parte i casi di cui ai nnumero 1 e 2 dell' articolo 1014 c.c. , l'usufrutto cessa per il totale perimento della cosa su cui è costituito numero 3 dell'articolo 1014 cit. . Quando, cioè, viene totalmente a mancare l'oggetto dell'usufrutto, il diritto si estingue. Sicché, anche quando l'usufrutto sulla partecipazione sociale sia costituito per tutta la vita del beneficiario persona fisica, il venir meno della partecipazione sociale nella sua consistenza giuridica determina, comunque, in base alle norme generali, l'estinzione dell'usufrutto. Non vi è dubbio, d'altra parte, che la partecipazione sociale di una società a responsabilità limitata, quale bene immateriale che rappresenta la misura dei diritti e degli obblighi di un socio, non viene meno non perisce , per usare il termine normativo con la liquidazione volontaria della società, bensì con la cancellazione di quest'ultima dal registro delle imprese, che ne determina l'estinzione. 3.2. Se dunque, da una parte, l'usufrutto su una partecipazione sociale di una Srl si estingue certamente con la cancellazione della società dal registro delle imprese, d'altra parte non vi è alcuna norma che limiti l'estensione oggettiva dei diritti dell'usufruttuario ai dividendi che si sia deciso di distribuire durante la vita ordinaria prima della messa in liquidazione della società. In altri termini, non si può affermare che i diritti dell'usufruttuario di una partecipazione sociale siano limitati ai dividendi l'usufruttuario fa suoi tutti i frutti civili prodotti dalla partecipazione sociale in costanza di usufrutto, sicché, una volta chiarito che l'usufrutto se non si estingue prima per una delle altre cause enunciate nell' articolo 1014 c.c. si estingue certamente con l'estinzione della società e dunque, per la Srl, con la cancellazione di quest'ultima dal registro delle imprese , il problema da risolvere è se anche dopo la messa in liquidazione della società la partecipazione sociale possa produrre utili. A tale problema deve darsi risposta positiva. L'individuazione di quali siano i frutti civili prodotti da un bene giuridico, infatti, deve essere risolto in base all'intero ordinamento giuridico, compreso quello tributario. Orbene, sovviene a questo punto, ai nostri fini, l' articolo 47 ex articolo 44 , comma 7, del Tuir D.P.R. numero 917 del 1986 , a norma del quale le somme ricevute dai soci in caso di liquidazione delle società costituiscono utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l'acquisto o la sottoscrizione delle azioni o quote annullatela pubblicazioni. Ne consegue che, quando si tratta di determinare il reddito imponibile di un socio di società di capitali, deve essere considerata anche la quota di patrimonio netto attribuitagli risultante dalla liquidazione, nella misura prevista dal citato comma 7 dell' articolo 47 ex articolo 44 del Tuir . Tale misura, allora, in quanto utile , rappresenta un frutto civile della partecipazione sociale, sicché esso spetta, in costanza di usufrutto, all'usufruttuario di detta partecipazione cfr. l' articolo 1008 c.c. , a norma del quale, per la durata del suo diritto, l'usufruttuario è tenuto al pagamento delle imposte che gravano sul reddito . Il fatto, dunque, che, sul piano delle nozioni commercialistiche, vi sia una netta distinzione tra utili netti e patrimonio netto risultante dalla liquidazione articolo 2350 c.c. non esclude che la differenza tra la somma spettante in caso di liquidazione e il prezzo pagato per l'acquisto o la sottoscrizione della quota costituisca un reddito , cioè un frutto civile della partecipazione sociale, con la conseguenza che, nel caso in cui tale partecipazione sociale sia costituita in usufrutto, quel reddito utile spetta all'usufruttuario e non al socio. 4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, in base al seguente principio di diritto nel caso in cui la quota sociale di una società a responsabilità limitata sia costituita in usufrutto, le somme ricavate dalla liquidazione volontaria della società, costituenti un utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l'acquisto o la sottoscrizione delle quote, spettano all'usufruttuario, con la conseguenza che il rapporto d'imposta avente ad oggetto tale utile sorge, ad ogni effetto, tra l'amministrazione e l'usufruttuario . 5. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi dell' articolo 13 comma 1 quater del D.P.R. numero 115 del 2002 , si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Condanna Lo.Lu. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dell'Agenzia delle Entrate, che si liquidano in euro diciottomila per onorari, oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi dell 'articolo 13 comma 1 quater del D.P.R. numero 115 del 200 2, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.