In contesti carcerari, soprattutto in situazioni critiche come una rissa tra detenuti, l'utilizzo delle registrazioni del sistema di videosorveglianza assume un ruolo fondamentale nella valutazione della sicurezza interna dell'istituto. Queste registrazioni poi, possono essere impiegate per contestazioni disciplinari.
Questo è il punto di diritto espresso nel caso - che ci si appresta ad esaminare - di un sovrintendente della polizia penitenziaria a cui è stata inflitta una sanzione disciplinare di deplorazione per non aver supervisionato adeguatamente. Il Consiglio di Stato ha sottolineato che la normativa che regola l'inutilizzabilità delle prove acquisite in modo illegittimo, infatti, si applica, infatti, esclusivamente nei processi penali, come stabilito dall'articolo 191 c.p.p. che prescrive «La sanzione dell'inutilizzabilità prevista in via generale dall'articolo 191 cod. proc. penumero si riferisce alle prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge e non a quelle la cui assunzione, pur consentita, sia avvenuta senza l'osservanza delle formalità prescritte, dovendosi applicare in tal caso la disciplina delle nullità processuali » , riflettendo le garanzie del diritto dell'Unione europea e della Convenzione Europea dei Diritti Umani. Questo principio, però, non si estende ai procedimenti disciplinari promossi dall'amministrazione pubblica contro i suoi dipendenti. Infatti, il processo penale si focalizza sull'accertamento di responsabilità che minacciano la libertà personale degli imputati, richiedendo restrizioni severe nella raccolta delle prove per proteggere i diritti fondamentali. Diversamente, il procedimento disciplinare mira a una completa verificazione dei fatti, assicurando un contraddittorio efficace e la partecipazione dell'accusato, promuovendo al contempo l'affidabilità e la credibilità delle funzioni di polizia, essenziali per il mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica. Venendo specificatamente al Parere in esame, i fatti possono essere così ricostruiti. La vicenda riguarda il provvedimento a carico del Vice Sovraintendente del Corpo di Polizia penitenziaria da parte del Provveditorato Regionale Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria del Ministero della Giustizia, che ha inflitto al dipendente una sanzione disciplinare di deplorazione, secondo quanto previsto dal Regolamento di servizio del Corpo di Polizia penitenziaria. Le circostanze contestate al Ricorrente sono avvenute alla fine di una giornata in cui il Ricorrente aveva il ruolo di coordinatore della sorveglianza generale dell'istituto. Alla fine della giornata lavorativa, intorno alle 22, si era verificato un alterco nella sezione di Media sicurezza tra due detenuti, e il Ricorrente, dopo essersi recato sul posto, aveva ordinato il loro trasferimento. Seguivano i controlli che avevano poi portato l'Amministrazione a procedere in via disciplinare. Dall'istruttoria amministrativa, si scopriva che la sera del 3 agosto, il Vice Sovraintendente aveva permesso a certi assistenti di lasciare i propri posti di servizio e, insieme, di sedersi in cerchio nel cortile a bere birra, causando la mancata sorveglianza di posti cruciali per la sicurezza dell'istituto nel suo turno, poi, l'Amministrazione aveva altresì verificato, mediante l'esame dai registri di sezione, che il dipendente non entrava mai nelle sezioni Alta Sicurezza , né nella sezione di “Media Sicurezza” e che, inoltre, aveva omesso altre misure di controllo della struttura. Il Ricorrente, tuttavia, ritenendo il provvedimento disciplinare illegittimo, ha presentato un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. Prima di addentrarsi sulle questioni di diritto che questo Parere porta in luce, occorre brevemente ripercorrere – in astratto – le fasi che caratterizzano l'instaurazione di un ricorso straordinario innanzi al Presidente della Repubblica. Il ricorrente, anche in proprio, può presentare Ricorso Straordinario al Presidente della Repubblica, impugnando il provvedimento entro 120 giorni dall'adozione dello stesso. Il ricorso deve essere motivato, indicando le ragioni di fatto e di diritto che sostengono la richiesta di annullamento. L'atto introduttivo, unitamente all'atto impugnato e ai documenti che si vogliono offrire in produzione, viene inoltrato al Ministero competente per il settore specifico interessato dalla questione. Il Ministero esamina le questioni sollevate e formula un parere. Il Ministero può richiedere un parere al Consiglio di Stato, l'organo consultivo superiore in materia amministrativa, per un'ulteriore valutazione legale e tecnica. Basandosi sulle valutazioni e sui pareri ricevuti, il Presidente della Repubblica prende una decisione finale sul ricorso, che può essere l'accoglimento o il rigetto. La decisione viene comunicata al ricorrente e agli altri soggetti interessati, chiudendo il procedimento. Tornando alla vicenda che qui ci occupa, si comprende quindi che ciò che è in esame è il Parere reso al Ministero dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con riferimento alle censure del Ricorrente a «illegittimità per eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento di potere e dell'inosservanza di atti di indirizzo, illegittimità per violazione e falsa applicazione di legge, in particolare degli articolo 8, Carta dei diritti fondamentali dell'unione europea, e 6, direttiva 95/46/CE, dei principi di cui all'articolo 4, statuto dei lavoratori, come modificato dall'articolo 23, d.lgs. numero 151/2015 degli articolo 11 e 53 d.lgs numero 196/2003» b «illegittimità per violazione e falsa applicazione dell'articolo 4, comma 1, lett. b , lett. i , lett. l , d. lgs. 449/1992, nonché per violazione e falsa applicazione dell'articolo 3, legge numero 241/1990 e 17, comma 3, d.lgs. 449/1992. illegittimità per eccesso di potere sotto il profilo della manifesta ingiustizia, difetto di istruttoria, irragionevolezza, difetto dei presupposti, travisamento dei fatti». Il punto controverso – secondo il Ricorrente – è che l'Amministrazione avrebbe utilizzato videoregistrazioni per fini disciplinari, adoperando un sistema destinato al controllo dei detenuti per sorvegliare indebitamente gli agenti e semplificare in modo irragionevole e non garantito l'accertamento della sanzione. L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, tuttavia, esprime parere negativo, ritenendo il ricorso infondato, non rilevando infrazioni delle norme nazionali, europee e della Convenzione Europea dei Diritti Umani CEDU invocate dal Ricorrente. Quanto al primo motivo di ricorso, il Consiglio di Stato ricostruisce a livello fattuale la vicenda, segnalando che dalle informazioni raccolte, dopo il ritrovamento di due bottiglie di vino e sei di birra nella sala mensa, per indagare sulle condizioni di sicurezza dell'istituto penitenziario a seguito di eventi avvenuti il giorno precedente giorno non lavorativo per il comandante , l'Amministrazione aveva richiesto chiarimenti a un assistente capo. Questo aveva ammesso di aver consumato alcolici insieme alla sorveglianza generale, precisando di aver lasciato il proprio posto solo dopo il cambio con l'addetto alla portineria. Pertanto, indipendentemente dalla controversa analisi delle riprese di videosorveglianza, l'Amministrazione aveva già acquisito dettagli circa il fatto che il ricorrente aveva permesso ai colleghi di riunirsi nel piazzale dell'istituto per consumare alcolici durante l'orario di servizio, prima di esaminare le registrazioni della videosorveglianza. Di conseguenza, con riguardo al primo aspetto, il ricorso sarebbe infondato poiché la sanzione non si baserebbe, come ex adverso sostenuto, esclusivamente su filmati impropriamente utilizzati dall'Amministrazione. Peraltro, il suddetto raduno si era svolto dopo un incidente nella sezione di “media sicurezza” oltre le 22, l'uso delle riprese è collegato alla valutazione delle condizioni di sicurezza dell'istituto, come evidenziato dal rapporto informativo riguardante l'allontanamento dal servizio degli addetti alla sorveglianza, incluso il Ricorrente. Pertanto, tali riprese non possono essere considerate utilizzate a scopo disciplinare in modo improprio, contrariamente a quanto affermato dal Ricorrente, in violazione dell' abrogato articolo 11 del d.lgs. numero 196/2003, senza adeguata informativa e in contrasto con i principi di tutela della dignità e della privacy dei lavoratori, come sottolineato dal Garante per la protezione dei dati personali. Va notato, infatti, che gli scontri tra detenuti sono considerati eventi critici , come riportato dall'Amministrazione, e sono registrati in un portale informatico sempre connesso con la sede centrale del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria e con il Provveditorato Regionale dell'Amministrazione Penitenziaria presso cui opera il Nucleo Operativo Regionale Eventi Critici-N.O.R.E.C. , per via dei rischi vari connessi, dunque è più che legittimo che l'Amministrazione per accertare gli avvenimenti abbia utilizzato siffatte registrazioni. Quanto poi al fatto che le registrazioni non sarebbero utilizzabili anche ai sensi dell'articolo 191 c.p.p., l'Adunanza ritiene che tale disposizione si possa applicare esclusivamente al processo penale, non al procedimento disciplinare avviato dalla pubblica amministrazione contro un proprio dipendente. Invero, il processo penale si focalizza sull'accertamento delle responsabilità penali, che implicano un rischio per la libertà personale dell'indagato. In questo contesto si giustificano restrizioni severe sulla raccolta delle prove, contrariamente al principio di ricerca della verità materiale che caratterizza il procedimento disciplinare. Insomma, quando ad essere coinvolti sono membri delle forze di polizia, dove prevalgono interessi generali più ampi un accertamento completo dei fatti che garantisce un contraddittorio efficace, una partecipazione adeguata dell'accusato, e l'interesse pubblico a mantenere una credibilità essenziale delle funzioni di polizia. Il Parere, infine, conferma la bontà del provvedimento disciplinare anche nella parte in cui ha ritenuto di contestare al Dipendente il comportamento in contrasto con diverse disposizioni del Regolamento di servizio del Corpo di Polizia penitenziaria, così ritenendo altresì infondate le ulteriori censure oggetto del secondo motivo di ricorso. In conclusione, il caso esaminato mette in luce le sfide complesse che le autorità carcerarie affrontano nel mantenere l'ordine e la sicurezza interna, garantendo al contempo il rispetto dei diritti fondamentali dei lavoratori. La distinzione tra l'uso delle prove nel processo penale e nel procedimento disciplinare non solo evidenzia le diverse finalità di questi sistemi, ma sottolinea anche la necessità di un rigoroso esame giuridico e etico nell'applicazione delle normative. Tuttavia, seppur implicitamente, l'Adunanza Plenaria sembrerebbe, comunque, ritenere essenziale che per l'utilizzo di registrazioni soprattutto in ambiti lavorativi in cui le stesse sono strutturali e continuative occorra un evento a monte o elementi indiziari che facciano scaturire la necessità di un accertamento di fatti accaduti e che le medesime non possano essere utilizzate per un controllo indiscriminato o a campione dei dipendenti, senza giustificato motivo.
Presidente Poli Estensore Ciuffetti Premesso in fatto e considerato in diritto quanto segue. L'oggetto della controversia è costituito dal decreto in data 2 marzo 2018, numero 1523, del Provveditorato regionale per la -OMISSIS Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia, con cui è stata irrogata al ricorrente, vice sovrintendente del Corpo di Polizia penitenziaria, la sanzione disciplinare della deplorazione, ai sensi dell'articolo 4, comma 1, lett. b , lett. i , lett. 1 , e lett. o , del d.lgs. numero 449/1992. 2. Alla stregua della documentazione acquisita al fascicolo d'ufficio e delle circostanze di fatto riportate negli scritti difensivi e non specificamente contestate dalle rispettive controparti, emerge che a il procedimento disciplinare era stato avviato a seguito di rapporto disciplinare del Comandante, commissario capo, al direttore della Casa circondariale in data 7 settembre 2017 in data 18 ottobre 2017 era stata notificata al ricorrente la contestazione degli addebiti per la violazione degli articolo 3, comma 2, lett. f , lett. g e lett. t e 4, comma 1, lett. b , lett. i , lett. 1 , e lett. o , del d.lgs. numero 449/1992 il consiglio di disciplina aveva proposto l'irrogazione della sanzione della deplorazione con riferimento solo al citato articolo 4. b il provvedimento sanzionatorio espone in premessa le seguenti circostanze riferite alla serata del 3 agosto 2017, in cui il ricorrente consentiva ad alcuni assistenti “di allontanarsi dai rispettivi posti di servizio e, insieme a questi, a sedersi a cerchio nel piazzale a bere una birra, determinando la mancata copertura di posti di servizio fondamentali per la sicurezza dell'Istituto” durante il proprio turno di servizio, “non faceva mai ingresso nelle sezioni ‘Alta Sicurezza 3', così come risulta dai registri di sezione, né all'interno della sezione Media Sicurezza” non designava alcuna unità per effettuare un giro di controllo all'interno dell'istituto, così come disposto dall'ordine di servizio in data 16 maggio 2017, numero 12, cd. “auto montata” c i fatti sopra riportati si erano svolti al termine di una giornata in cui il ricorrente rivestiva l'incarico di coordinatore della “sorveglianza generale” dell'istituto in tale giornata, verso le ore 22, era avvenuto un alterco nella sezione “media sicurezza” tra due detenuti, di cui il ricorrente, dopo essersi recato sul posto, aveva disposto il trasferimento in altri locali. 3. Il ricorrente ha proposto ricorso straordinario, nel quale premesso in fatto che il rapporto disciplinare sopra richiamato al numero 2, lett. a , sarebbe basato esclusivamente sull'utilizzazione delle riprese del sistema di videosorveglianza “tutti i comportamenti sono stati ben delineati grazie alla visione dei filmati acquisiti dalla Sala Regia” articola i seguenti due motivi svolti da pag. 7 a pag. 15 del gravame a “illegittimità per eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento di potere e dell'inosservanza di atti di indirizzo, illegittimità per violazione e falsa applicazione di legge, in particolare degli articolo 8, Carta dei diritti fondamentali dell'unione europea, e 6, direttiva 95/46/CE, dei principi di cui all'articolo 4, statuto dei lavoratori, come modificato dall'articolo 23, d.lgs. numero 151/2015 degli articolo 11 e 53 d.lgs numero 196/2003” esposto da pag. 7 a pag. 12 b “illegittimità per violazione e falsa applicazione dell'articolo 4, comma 1, lett. b , lett. i , lett. l , d. lgs. 449/1992, nonché per violazione e falsa applicazione dell'articolo 3, legge numero 241/1990e 17, comma 3, d.lgs. 449/1992. illegittimità per eccesso di potere sotto il profilo della manifesta ingiustizia, difetto di istruttoria, irragionevolezza, difetto dei presupposti, travisamento dei fatti” esposto da pag. 12 a pag. 15 . A supporto delle deduzioni del ricorrente al gravame sono allegati, tra gli altri documenti, due comunicati di associazioni sindacali, nonché una comunicazione del Provveditorato regionale per la -OMISSIS in data 14 settembre 2017. 4. Nel corso del procedimento a il Ministero della giustizia ha depositato, in data 2 agosto 2023, la relazione con la quale ha chiesto che il ricorso venga respinto in conformità a quanto richiesto dalla nota presidenziale in data 13 giugno 2023, tale relazione è stata trasmessa al ricorrente da parte dello stesso Ministero, con nota in pari data, con la quale è stato assegnato all'interessato un termine di 30 giorni per la presentazione di eventuali motivi aggiunti, atti o memorie difensive b il ricorrente non ha presentato alcuna replica, né ha risposto alla nota presidenziale in data 18 ottobre 2023 con tale nota sono stati chiesti elementi informativi anche in merito alla permanenza dell'interesse alla definizione del gravame, con l'avvertenza che la mancata comunicazione di tali elementi “potrà essere valutata anche ai fini della eventuale declaratoria di sopravvenuta carenza di interesse alla definizione del gravame ovvero agli effetti di cui agli articolo 116, comma 2, c.p.c. e 64, comma 4, c.p.a.”. 5. All'adunanza del 27 marzo l'affare è stato deciso. 6. Il ricorso è infondato. 6.1. Non si ravvisano le violazioni delle disposizioni dell'ordinamento nazionale, dell'Unione europea e della CEDU, richiamate con il primo motivo di ricorso. 6.1.1. Dal rapporto informativo risulta che, a seguito del rinvenimento nella sala mensa di due bottiglie di vino e di sei bottiglie di birra, al fine di acquisire informazioni in merito alla garanzia delle condizioni di sicurezza dell'istituto penitenziario in relazione ai fatti occorsi nel corso del giorno precedente nel quale egli non aveva prestato servizio il comandante aveva chiesto informazioni ad uno degli assistenti capo. Quest'ultimo aveva riferito “di aver bevuto unitamente alla Sorveglianza Generale, ma di essersi allontanato dal proprio posto di servizio solo dopo aver ricevuto il cambio da parte dell'Addetto Portineria”. Dunque, a prescindere dalla contestata visione delle riprese del sistema di video sorveglianza, il comandante aveva già assunto l'informazione in merito alla circostanza che il ricorrente aveva consentito il raduno dei colleghi nel piazzale dell'istituto per il consumo di alcolici durante l'orario di servizio. Perciò deve ritenersi infondata la censura secondo la quale la contestazione degli addebiti e l'irrogazione della sanzione sarebbero fondati esclusivamente sulle risultanze di filmati indebitamente acquisiti dal comandante e utilizzati nel procedimento disciplinare, adoperando un impianto destinato al controllo dei detenuti e alla tutela degli agenti di Polizia penitenziaria “contro questi ultimi allo scopo di monitorarne l'attività e di semplificare oltre il limite della ragionevolezza e delle garanzie del giusto procedimento l'accertamento della sanzione”. 6.1.2. In ogni caso, poiché il suddetto raduno seguiva l'evento accaduto nella sezione di “media sicurezza” dopo le ore 22, il contestato utilizzo delle suddette riprese risulta connesso alla valutazione delle condizioni di sicurezza dello stesso istituto, come emerge dalle circostanze evidenziate dal rapporto informativo in merito all'allontanamento dal servizio degli addetti alla sorveglianza, tra cui il ricorrente. Dunque tali riprese non possono ritenersi essere state utilizzate, come asserisce il ricorrente, per la contestazione disciplinare in violazione anche dell' abrogato articolo 11 d.lgs. numero 196/2003, per mancanza di adeguata informativa e in contrasto con i principi posti a tutela della dignità e riservatezza dei lavoratori, evocati dal Garante per il trattamento dei dati personali con riferimento alle riprese effettuate dal sistema di video sorveglianza in mobilità. Infatti, non può non tenersi conto della natura di “evento critico” delle liti tra detenuti, sottolineata dalla relazione dell'Amministrazione, che aggiunge che esso è “registrato in apposito portale informatico collegato costantemente con la sede centrale del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria Sala Situazioni e con il Provveditorato Regionale dell'Amministrazione Penitenziaria dove è istituito il Nucleo Operativo Regionale Eventi Critici-N.O.R.E.C. , perché vi sono aspetti di potenziale rischio di varia natura”. Non pare coerente con le esigenze di sicurezza dell'istituto, oltre che con i doveri di diligenza e di sorveglianza, nonché di mantenimento del proprio decoro, la circostanza ammessa dallo stesso ricorrente che egli, nella qualità di coordinatore della sicurezza, avesse consentito il contemporaneo allontanamento dal servizio di una pluralità di agenti e avesse con loro partecipato all'assunzione di bevande alcoliche durante l'orario di servizio. 6.1.3. Per completezza la sezione rileva che le censure in esame non sono suscettibili di favorevole esame neppure se ritenute evocative della tematica dell'inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite nel processo penale articolo 191, c.p.p. nel quadro delle garanzie del diritto dell'Unione europea e della Cedu. Tale principio, invero, opera nel solo processo penale e non anche nell'ambito del procedimento disciplinare attivato dalla pubblica amministrazione nei confronti del proprio dipendente in tal senso da ultimo Cons. Stato, sez. VII, numero 2905 del 2024, sez. II, numero 7824 del 2021 . Il processo penale è, infatti, deputato all'accertamento delle responsabilità appunto penali che, rispondendo ad un tipico disvalore, pongono a rischio la libertà personale dell'imputato o dell'indagato . Sotto il profilo ora evidenziato si giustificano le più stringenti limitazioni in ordine all'acquisizione della prova, in deroga al principio fondamentale della ricerca della verità materiale, che invece connatura il procedimento disciplinare specie se a carico di un appartenente alle Forze di polizia , nel quale, è opportuno evidenziare, sono in gioco più interessi generali quello ad un accertamento dei fatti tale da garantire la pienezza del contraddittorio, quello ad un adeguato grado di partecipazione da parte dell'incolpato, e quello pubblico a che le funzioni di polizia siano affidate e svolte in modo da conservare la loro essenziale credibilità. Il complesso delle argomentazioni del ricorrente, in sostanza, presentando la vicenda dentro una pretesa logica penale, nega erroneamente che siffatte funzioni debbano essere svolte dentro la logica pubblica del procedimento amministrativo caratterizzato dall'ampio potere officioso nell'acquisire la prova dell'illecito disciplinare che connota di specialità anche il relativo giudizio disciplinare, in quanto marcatamente orientato all'accertamento dell'effettiva sussistenza dell'addebito arg. da Cass. civ., sez. unumero , numero 12717 del 2009 Corte cost. numero 89 del 2009 . 6.2. Anche il secondo motivo di ricorso non è suscettibile di favorevole esame. Il ricorrente si duole della “cieca vis repressiva che ha animato l'azione amministrativa” ravvisandone il sintomo nella circostanza che la sanzione sarebbe fondata anche sulla lett. o dell'articolo 4, comma 1, d.lgs. numero 449/1992 che non esisterebbe, come si rileva anche nella parte in fatto del gravame. Tale doglianza è infondata poiché non solo il citato articolo 4, comma 1, reca la lett. o , ma essa prevede specificamente come condotta illecita “la tolleranza di abusi commessi dai dipendenti” da cui fa discendere la sanzione della deplorazione. Che è quanto si è verificato nel caso di specie, dato che il ricorrente ha consentito l'allontanamento dal servizio di agenti penitenziari affinché consumassero bevande alcoliche all'interno del carcere. Nell'operato del ricorrente si ravvisano anche le fattispecie di negligenza di cui alle lett. b “il dare prove manifeste di negligenza nel comando o nel mantenere la disciplina” e i “la negligenza nel governo o nella cura delle condizioni di vita o di benessere del personale o nel controllo sul comportamento disciplinare dei dipendenti” del medesimo articolo 4, comma 1, che il provvedimento sanzionatorio riconduce all'omesso ingresso del ricorrente nelle sezioni di “alta e media sicurezza” dell'istituto, nonostante la lite avvenuta tra detenuti, e nell'omessa designazione di personale per l'effettuazione di un giro di controllo all'interno dello stesso istituto. Il travisamento delle disposizioni dell'articolo 4, comma 1, che emerge dal gravame e quindi l'infondatezza delle censure ad esse riferite si rivela anche nell'erroneità dell'asserita formulazione della lett. l , poiché si riporta la declaratoria della lett. n , che non è richiamata nell'atto impugnato. La lett. l concerne “la negligenza o l'imprudenza o la inosservanza delle disposizioni sull'impiego del personale e dei mezzi o nell'uso, nella custodia o nella conservazione di armi, mezzi, materiali, infrastrutture, carteggio e documenti”, fattispecie integrata, con riferimento all'impiego del personale, dal comportamento del ricorrente descritto nel provvedimento impugnato. Le deduzioni dell'interessato di aver svolto comunque il controllo delle sezioni da remoto e di non essere stato portato a conoscenza dell'ordine di servizio in merito alla sorveglianza automontata, non possono avere alcun seguito. Come sottolinea il Ministero riferente, il comportamento tenuto dal ricorrente contrasta con l'articolo 10 “Norme generali di condotta” , primo comma, d.P.R. numero 82/1999 “Regolamento di servizio del Corpo di Polizia penitenziaria” che stabilisce che “Il personale del Corpo di polizia penitenziaria ha in servizio un comportamento improntato a professionalità, imparzialità e cortesia e mantiene una condotta irreprensibile, operando con senso di responsabilità ed astenendosi altresì da comportamenti o atteggiamenti che possono recare pregiudizio al corretto adempimento dei compiti istituzionali”. L'aver consentito e partecipato ad una bevuta collettiva di bevande alcooliche con allontanamento dai posti servizio da parte di altri assistenti, a prescindere dalle circostanze metereologiche del momento, sostanzia un comportamento privo di senso di responsabilità e suscettibile di recare pregiudizio alla sicurezza dell'istituto proprio da parte del soggetto incaricato di coordinarne la sorveglianza, integrando altresì la violazione dei doveri di adempimento degli obblighi di servizio e di vigilanza stabiliti dall'articolo 24 “Doveri generali nell'espletamento del servizio” del medesimo regolamento di servizio. 7. Il gravame sarebbe comunque improcedibile, considerato che, come sopra esposto al punto numero 4, lett. b , il ricorrente, benché avvisato, non ha risposto alla nota presidenziale in data 10 ottobre 2023 diretta ad acquisire elementi anche in merito alla permanenza dell'interesse alla definizione del ricorso. Da tale circostanza si evince, ai sensi dell'articolo 64, comma 4, c.p.a., la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione del gravame. P.Q.M. Esprime il parere che il ricorso sia infondato. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, numero 196 e degli articoli 5 e 6 del Regolamento UE 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 , a tutela dei diritti o della dignità dell'interessato, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.