Non può essere riconosciuto l'indennizzo per irragionevole durata del processo a favore della parte che ha agito o resistito in giudizio consapevole dell'infondatezza originaria o sopravvenuta delle proprie domande e difese.
A seguito del rigetto dell'opposizione ex articolo 5-ter l. numero 89/2001 avverso il decreto di rigetto della domanda di equo indennizzo per la durata non ragionevole di un processo contabile in materia di trattamento pensionistico privilegiato, l'istante ha proposto ricorso in Cassazione. Secondo la tesi del ricorrente la Corte d'appello avrebbe erroneamente ritenuto applicabile l'articolo 2, comma 2-quinquies, l. numero 89/2001, avendo la ricorrente già ottenuto in sede amministrativa il riconoscimento di una congrua pensione, inoltre non erano state allegate prove a sostegno della pretesa e il quadro clinico del dante causa non giustificava un più alto livello pensionistico. La ricorrente esclude però l'ipotesi di abuso, riscontrata invece dalla Corte d'appello, avendo il giudizio lo scopo di conseguire un beneficio assistenziale a causa della presenza di una grave invalidità di guerra del padre. Ad ogni modo, non è stato comunque accertato l'elemento soggettivo della “consapevolezza della infondatezza” della pretesa. Il ricorso si rivela infondato. L'articolo 2, comma 2-quinquies, l. numero 89/2001, come modificato dalla l. numero 208/2015, «esclude l'indennizzo in favore della parte che ha agito o resistito in giudizio consapevole dell'infondatezza originaria o sopravvenuta delle proprie domande e difese». Come da consolidata giurisprudenza di Cassazione, «in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, il patema d'animo derivante dalla situazione di incertezza per l'esito della causa è perciò da escludersi non solo ogni qualvolta la parte rimasta soccombente abbia proposto una lite temeraria, difettando in questi casi la stessa condizione soggettiva di incertezza sin dal momento dell'instaurazione del giudizio, ma anche per il periodo comunque conseguente alla consapevolezza dell'infondatezza delle proprie pretese che sia sopravvenuta dopo che la durata del processo abbia superato il termine di durata ragionevole» Cass. civ. numero 2020/2023 . La Corte aggiunge che la valutazione di temerarietà del giudizio presupposto da parte del giudice di merito è esclusa dal sindacato di legittimità motivazionale, per effetto dei limiti introdotti dal nuovo testo dell'articolo 360, comma 1 numero 5, c.p.c. In conclusione, il provvedimento impugnato risulta immune dalle censure sollevate e il ricorso viene rigettato.
Presidente Falaschi – Relatore Scarpa Fatti di causa e ragioni della decisione 1. D.N. ha proposto ricorso articolato in unico motivo avverso il decreto numero 1172/2022 della Corte d'appello di Napoli, depositato il 16 aprile 2022. Il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha resistito con controricorso. 2. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli articolo 375, comma 2, 4-quater, e 380-bis.1 c.p.c. 3. Il decreto impugnato ha rigettato l'opposizione ex articolo 5-ter della l. numero 89 del 2001, proposta dalla ricorrente avverso il decreto del magistrato designato dell'11 novembre 2021, con cui, in riferimento al ricorso d'ingiunzione presentato l'8 aprile 2021, era stata rigettata la domanda di equo indennizzo per la durata non ragionevole di un processo contabile in materia di trattamento pensionistico privilegiato, promosso da A.D. in data 17 luglio 1967 e proseguito dalla ricorrente il 21 settembre 2007. La Corte d'appello di Napoli ha ritenuto applicabile l'ipotesi di esclusione del diritto all'indennizzo di cui all'articolo 2, comma 2-quinquies, lettera a della l. numero 89 del 2001, come modificato dalla l. numero 208 del 2015, in quanto in favore di A.D. era stata già riconosciuta in sede amministrativa congrua pensione non erano state allegate prove a sostegno della pretesa il quadro clinico di A.D. non giustificava un più alto livello pensionistico l'erede D.N. aveva riassunto solo il 21 settembre 2007 il processo dinanzi alla Corte dei Conti, a fronte della morte di A.D. avvenuta l'8 dicembre 1983. 4. Il motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell'articolo 2, comma 2-quinquies, lettera a della l. numero 89 del 2001. La ricorrente espone che il giudizio presupposto si era strutturato in tre sole udienze che il ricorso era stato dichiarato inammissibile in primo grado con sentenza del 29 settembre 2008, sentenza però annullata in appello con decisione del 17 marzo 2009, arrivando la lite a definizione in sede di rinvio con rigetto della domanda in data 7 novembre 2019 che non vi era stato alcun abuso, avendo il giudizio lo scopo di conseguire un beneficio assistenziale a causa della presenza di una grave invalidità di guerra che non è stato comunque accertato l'elemento soggettivo della “consapevolezza della infondatezza” della pretesa. 5. Il motivo di ricorso si rivela non fondato. 5.1. L'articolo 2, comma 2-quinquies, lettera a della l. numero 89 del 2001, come modificato dalla l. numero 208 del 2015, esclude l'indennizzo in favore della parte che ha agito o resistito in giudizio consapevole dell'infondatezza originaria o sopravvenuta delle proprie domande e difese. Come più volte ribadito da questa Corte già nella disciplina anteriore all'introduzione del vigente comma 2-quinquies, lettera a, dell'articolo 2, legge numero 89/2001 , in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, il patema d'animo derivante dalla situazione di incertezza per l'esito della causa è perciò da escludersi non solo ogni qualvolta la parte rimasta soccombente abbia proposto una lite temeraria, difettando in questi casi la stessa condizione soggettiva di incertezza sin dal momento dell'instaurazione del giudizio, ma anche per il periodo comunque conseguente alla consapevolezza dell'infondatezza delle proprie pretese che sia sopravvenuta dopo che la durata del processo abbia superato il termine di durata ragionevole Cass. numero 2020 del 2023 . La valutazione di temerarietà del giudizio presupposto operata dal giudice del merito dell'equa riparazione non va soggetta al sindacato di legittimità motivazionale, per effetto dei limiti introdotti dal nuovo testo dell'articolo 360, comma 1 numero 5, c.p.c., il quale prevede il solo vizio dell'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia . Il ricorrente non ha specificamente censurato un vizio di omesso esame circa un fatto decisivo ai sensi dell'articolo 360, comma 1, numero 5, c.p.c., avendo dedotto soltanto la violazione e falsa applicazione di norme di diritto. 5.2. Peraltro, la Corte d'appello di Napoli ha fatto applicazione del comma 2-quinquies, lettera a, dell'articolo 2, legge numero 89/2001 in una fattispecie in cui il giudizio presupposto aveva ad oggetto l'accertamento di un beneficio pensionistico di guerra, desumendo da una serie di elementi la consapevolezza dell'infondatezza della pretesa. La ricorrente neppure deduce specificamente quali fossero i presupposti di fatto e di diritto per il conseguimento della prestazione, il fondamento della domanda, la complessità del caso, l'oggetto del procedimento, gli elementi probatori, di sicura attendibilità, allegati durante il processo, il comportamento delle parti. 5.3. Il decreto impugnato è perciò immune dalle proposte censure di violazione di norme di diritto, avendo apprezzato in fatto la consapevolezza, in capo ai ricorrenti, che la loro domanda era insuscettibile di arrecare pregiudizio per la protrazione del processo oltre il limite della ragionevole durata. Perché la parte possa dirsi consapevole della infondatezza delle proprie domande o difese, agli effetti del comma 2-quinquies, lettera a , dell'articolo 2, legge numero 89/2001, non è necessario l'accertamento della mala fede, essendo sufficiente verificare la carenza di quella pur minima diligenza che le avrebbe consentito di rendersi conto immediatamente di tale assoluta infondatezza, e che, ad esempio, può desumersi dalla contrarietà dell'iniziativa giudiziaria alla giurisprudenza consolidata. 6. Conseguentemente, il ricorso va rigettato, regolandosi secondo soccombenza le spese del giudizio di cassazione nell'ammontare liquidato in dispositivo. Essendo il procedimento in esame esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al comma 1-quater all'articolo 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, introdotto dall'articolo 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, numero 228. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 906,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.