Nella ricorrenza del 79° Anniversario della Liberazione d’Italia, l’Editore e l’Autore segnalano ai lettori la decisione del Tribunale di Firenze del 29 novembre 2023 che ha affrontato la c.d. strage di Niccioleta condannando la Repubblica Federale Tedesca al risarcimento dei danni provocati dai crimini compiuti dai nazisti e dai fascisti contro una pacifica popolazione di minatori.
Persone umili d'origine, nobilissime nella grandezza dei loro ideali, intenti a difendere con la vita la loro unica fonte di sostentamento – la miniera di pirite di ferro situata in Toscana, nel borgo di Niccioleta – caddero barbaramente uccisi dai nazi-fascisti. Il contesto di riferimento i minatori della Niccioleta «Una popolazione di circa duecento famiglie viveva tranquilla in questo villaggio ed in quel momento era ben lontana dall'immaginare la folgore che doveva colpirla. Queste duecento famiglie si era concentrate in questo nuovo villaggio provenienti dalla vicina Massa Marittima, da Santa Flora, da Castellazzara, e da altri paesi dell'Amiata. Gli uomini abituati al disagevole lavoro della miniera sono rudi e energici. Chi, come questi minatori, lavora e fatica ogni giorno in un'oscura prigione di pietra sente naturalmente svilupparsi nel suo cuore il desiderio dell'aria, della luce e della libertà. Questi bravi minatori, sempre pronti alla più dura ed ingrata bisogna e così necessari all'aggregato sociale, sono stati in tutti i tempi i più maltrattati, i più misconosciuti! Il fascismo aveva ancora aggravato la loro esistenza. La guerra, provocata dai dittatori, l'aveva resa sempre più dura. Era dunque perfettamente naturale che fra i minatori della Niccioleta ed i fascisti e per riflesso i loro alleati tedeschi, non corressero pensieri di cordialità. La popolazione della Niccioleta era nella sua maggioranza antifascista, ma nessuna manifestazione politica aveva esteriorizzato i suoi sentimenti. Tutto si limitava ad una tranquillità silenziosa, ad una avversione contenuta e discreta verso i dominatori» così E. Zannerini, Il massacro della Niccioleta. In memoria dei minatori fucilati dai nazi-fascisti, Empoli, 1945, 8 . I fatti occorsi a Niccioleta nel giugno 1944 La pronuncia del Tribunale di Firenze qui annotata riporta nei seguenti termini i fatti esposti dalle due ricorrenti, uniche figlie di un minatore di Niccioleta, rimaste orfane del padre rispettivamente all'età di 2 e 4 anni «Niccioleta è un piccolo borgo delle Colline metallifere situato nel territorio del Comune di Massa Marittima Grosseto , la cui storia è prevalentemente legata all'attività mineraria praticata per molti anni nel corso del XX secolo. Questo borgo è tutt'oggi ricordato per il tragico evento passato alle cronache come “la strage di Niccioleta”, consumata dalle S.S. tedesche fra il 13 e il 14 giugno 1944 e che costò la vita ad 83 minatori 6 dei quali uccisi immediatamente a Niccioleta e 77 fucilati poi a Castelnuovo Val di Cecina, in provincia di Pisa . Al tempo della strage, la miniera di Niccioleta rappresentava un importante punto d'appoggio per i partigiani della zona. Nei primi giorni del giugno 1944, accadde che un distaccamento di partigiani entrò a Niccioleta. L'euforia degli abitanti che interpretarono questo fatto come un segno della prossima fine della guerra li indusse a sottovalutare il pericolo della presenza dei pochi fascisti ancora presenti nel paese e, cosa che si rivelò ancor più funesta, a lasciare visibile nei locali della miniera la lista dei turni di guardia dei minatori. All'alba del 13 giugno 1944 accadde che reparti di polizia tedesca in particolare il 3° POLIZEI-FREIWILLIGEN-BATAILLON ITALIEN , formati da soldati, ufficiali e sottufficiali italiani e tedeschi accerchiarono il borgo di Niccioleta. Qui effettuarono un rastrellamento per radunare tutti gli uomini del paese, durante il quale ne fucilarono sin da subito sei, riconosciuti dai fascisti locali come collaboratori dei partigiani. I nazifascisti, una volta terminate le operazioni di raduno, e rinvenuta altresì la lista contenente i nomi dei minatori di guardia alla cava, ordinarono di trasferire la maggior parte degli uomini nella vicina Castelnuovo Val di Cecina. La sera del 13 giugno 1944 circa 120 uomini vennero condotti dalle S.S. a Castelnuovo Val di Cecina. La mattina seguente furono divisi in tre gruppi uno destinato alla fucilazione, uno alla deportazione e un ultimo ad essere rimandato a casa. La composizione dei gruppi venne decisa sulla base della lista rinvenuta a Niccioleta per i turni di guardia che i minatori avevano istituito a protezione della miniera tutti coloro che erano nella lista vennero uccisi. Gli altri vennero divisi in base all'età i giovani furono deportati, i più anziani rimandati a casa tale circostanza è storicamente accertata e documentata . Al tramonto del 14 giugno 1944 il primo gruppo di 77 minatori fu condotto poco distante, in un “vallino” nei pressi della centrale geotermica alla periferia del paese. Qui i prigionieri vennero fucilati con raffiche di mitragliatrici, in un piccolo anfiteatro naturale, dove oggi sorge il Sacrario del Vallino dei Martiri di Niccioleta vd. documentazione fotografica . Queste tragiche circostanze, in cui trovarono la morte 83 civili, lasciarono 51 donne vedove e 118 figli orfani, facendo sprofondare nella disperazione un'intera comunità». Fra le vittime della strage vi era anche il padre delle due ricorrenti, già orfane di madre, le quali trascorsero la loro infanzia in Collegio. Le stesse hanno chiesto al Tribunale di Firenze l'accertamento del danno parentale da loro subito, a seguito dell'uccisione del padre per crimini di guerra commessi dalle forze nazifasciste. Giurisdizione dello Stato Italiano per crimini del Terzo Reich Con ampia motivazione e nel richiamare la sentenza della Corte Costituzionale numero 238/2014, il Tribunale di Firenze riafferma la piena giurisdizione dello Stato italiano riguardo alle azioni risarcitorie intraprese dai parenti delle vittime di crimini di guerra nazisti, perpetrati nel periodo compreso dal 1943 al 1945. Puntualizza il Giudice fiorentino che il disegno politico del Terzo Reich è stato proprio quello di seminare il terrore nella popolazione civile inerme, ricorrendo ad efferati e ingiustificati eccidi, assassini, deportazioni ecc. al fine di contrastare la resistenza partigiana. Responsabile per i crimini è la Repubblica Federale Tedesca Ritiene inoltre il Tribunale che «la legittimazione passiva» spetta alla Repubblica Federale di Germania per il principio di continuità oggettiva dello Stato a nulla rilevando che il governo attuale sia del tutto diverso dal governo del Terzo Reich. Trattasi, infatti, di delicta iure imperii commessi da cittadini tedeschi i.e. il 3° POLIZEI FREIWILLIGEN-BATAILLON ITALIEN , ossia soldati, ufficiali e sottufficiali tedeschi che uccisero con ferocia a colpi di mitraglia 92 uomini di cui 77 minatori come il padre delle ricorrenti , in esecuzione del piano criminale del governo nazista. Secondo il Giudice fiorentino, dunque, la Repubblica federale tedesca e la sua civitas devono oggi essere chiamate a rispondere di detto crimine, per il principio di diritto internazionale di continuità soggettiva dello Stato per cui «i mutamenti verificatisi nella situazione di uno Stato non l'autorizzano a ritenersi sciolto dai suoi impegni anteriori». Non costituisce, quindi, un'eccezione alla regola generale della continuità dei rapporti giuridici tra Stati il caso della Repubblica Federale di Germania, pacificamente subentrata alla Germania nazionalsocialista del Terzo Reich. Il credito delle vittime dei crimini di guerra non è prescritto Viene respinta l'eccezione sollevata dall'avvocatura di Stato Italiano secondo cui il credito delle vittime sarebbe ormai prescritto. Ad avviso del Tribunale di Firenze, lo Stato Italiano non ha interesse, perché non legittimato, ad eccepire la prescrizione del diritto di credito derivante da crimini di guerra. Lo Germania è rimasto contumace e ciò, avverte il Giudice, produce delle conseguenze processuali e sostanziali, anche per ciò che attiene la prescrizione. D'altronde, precisa ancora il Tribunale, esiste una norma consuetudinaria internazionale di imprescrittibilità dei crimini di guerra e dei crimini contro l'umanità – caratterizzati da ferocia, atrocità e disprezzo per la persona – legata ad una coscienza collettiva di prevalenza della pretesa punitiva dello Stato rispetto all'interesse del reo alla certezza della sua condizione. In questa direzione, lo Stato italiano ha riconosciuto come imprescrittibili questi crimini, i cui autori sono oramai deceduti così come le loro vittime, istituendo, con decreto legge 36/2022, un Fondo gestito dal Ministero Economia e Finanze. Da qui la condanna della Repubblica Federale Tedesca a risarcire il danno sofferto dalle ricorrenti con riconoscimento del loro diritto ad accedere al richiamato Fondo. La Liberazione del 25 aprile, oggi il 25 aprile di ogni anno si festeggia la Liberazione dell'Italia dal nazifascismo. È una Festa nazionale – celebrata dal 1946 e istituzionalizzata nel 1949 articolo 2 L. 260/1949 – simbolo della Resistenza e cioè della lotta partigiana condotta dall'8 settembre 1943, giorno nel quale l'Italia firmò l'armistizio di Cassibile. Le strade della Resistenza, per richiamare le parole di Alessandro Galante Garrone, vanno verso l'avvenire, non verso il passato. Gastone Cottino, professore emerito di diritto commerciale, partigiano dal nome di battaglia Lucio che contribuì alla liberazione del palazzo comunale di Torino, ha autorevolmente ricordato che quella del 25 aprile è «una ricorrenza fondamentale che non possiamo limitarci a celebrare. Che non deve eludere i problemi e che, al contrario, deve innescare reazioni, provocare contagi […] Io credo che il punto di partenza, il primo riferimento per voi giovani stia in un prezioso monito di quella grande figura che fu Nuto Revelli «capire e non arrendersi, capire ciò che siamo stati e ciò che dobbiamo essere capire e non arrendersi mai» G. Cottino, All'armi son fascisti, Torino, 2024, 53 . Sulla Resistenza come dialogo della ragione e sulla necessità di riviverla quotidianamente, cfr. Piero Calamandrei, Uomini e città della resistenza, Roma-Bari, 1955, 276, secondo cui «la Resistenza non basta commemorarla, bisogna riviverla non basta esaltarla nel ricordo del suo momento più glorioso, che fu quello della guerra di liberazione, ma bisogna saperla proseguire nella nostra vita quotidiana infondendo in essa quel continuo impegno di progresso sociale, senza il quale non vive la democrazia. Ieri Resistenza volle dire guerra con il mitra in pugno agli oppressori di fuori e di dentro oggi Resistenza vuol dire Repubblica e disciplinato governo di popolo, vuol dire pacifica legalità volta a conquistare ad una ad una le mete segnate dalla Costituzione».
1.1 – Niccioleta è un piccolo borgo delle Colline metallifere situato nel territorio del Comune di Massa Marittima Grosseto , la cui storia è prevalentemente legata all'attività mineraria praticata per molti anni nel corso del XX secolo. Questo borgo è tutt'oggi ricordato per il tragico evento passato alle cronache come “la strage di Niccioleta”, consumata dalle S.S. tedesche fra il 13 e il 14 giugno 1944 e che costò la vita ad 83 minatori 6 dei quali uccisi immediatamente a Niccioleta e 77 fucilati poi a Castelnuovo Val di Cecina, in provincia di Pisa cfr. documentazione storica, docomma 1 . 1.2 – Al tempo della strage, la miniera di Niccioleta rappresentava un importante punto d'appoggio per i partigiani della zona. Nei primi giorni del giugno 1944, accadde che un distaccamento di partigiani entrò a Niccioleta. L'euforia degli abitanti che interpretarono questo fatto come un segno della prossima fine della guerra li indusse a sottovalutare il pericolo della presenza dei pochi fascisti ancora presenti nel paese e, cosa che si rivelò ancor più funesta, a lasciare visibile nei locali della miniera la lista dei turni di guardia dei minatori. 1.3 – All'alba del 13 giugno 1944 accadde che reparti di polizia tedesca in particolare il 3° POLIZEI-FREIWILLIGEN-BATAILLON ITALIEN , formati da soldati, ufficiali e sottufficiali italiani e tedeschi accerchiarono il borgo di Niccioleta. Qui effettuarono un rastrellamento per radunare tutti gli uomini del paese, durante il quale ne fucilarono sin da subito sei, riconosciuti dai fascisti locali come collaboratori dei partigiani. I nazifascisti, una volta terminate le operazioni di raduno, e rinvenuta altresì la lista contenente i nomi dei minatori di guardia alla cava, ordinarono di trasferire la maggior parte degli uomini nella vicina Castelnuovo Val di Cecina docomma 1 . 1.4 – La sera del 13 giugno 1944 circa 120 uomini vennero condotti dalle S.S. a Castelnuovo Val di Cecina. La mattina seguente furono divisi in tre gruppi uno destinato alla fucilazione, uno alla deportazione e un ultimo ad essere rimandato a casa. La composizione dei gruppi venne decisa sulla base della lista rinvenuta a Niccioleta per i turni di guardia che i minatori avevano istituito a protezione della miniera tutti coloro che erano nella lista vennero uccisi. Gli altri vennero divisi in base all'età i giovani furono deportati, i più anziani rimandati a casa tale circostanza è storicamente accertata e documentata, si veda doc.1 . 1.5 – Al tramonto del 14 giugno 1944 il primo gruppo di 77 minatori fu condotto poco distante, in un “vallino” nei pressi della centrale geotermica alla periferia del paese. Qui i prigionieri vennero fucilati con raffiche di mitragliatrici, in un piccolo anfiteatro naturale, dove oggi sorge il Sacrario del Vallino dei Martiri di Niccioleta vd. documentazione fotografica, docomma 2 . Queste tragiche circostanze, in cui trovarono la morte 83 civili, lasciarono 51 donne vedove e 118 figli orfani, facendo sprofondare nella disperazione un'intera comunità docomma 1 . 2. A.M., uno dei minatori uccisi al “Vallino” 2.1 – Tra le vittime della strage sopra riportata vi era anche il Sig. A. M., uno dei minatori fra quelli deportati e fucilati al “Vallino” presso Castelnuovo di Val di Cecina il 14 giugno 1944, come risulta da documentazione di seguito illustrata. In data 16 giugno 1944, il Commissario Prefettizio ed Ufficiale dello Stato Civile del Comune di Castelnuovo Val di Cecina Sig. F.numero , redasse l'atto di morte docomma 3 sulla base della copia del processo verbale di constatazione di morte e di riconoscimento di cadaveri, datato 15 giugno 1944 e compilato dal Maresciallo Maggiore dell'Arma dei Carabinieri. Come è possibile notare, detto documento riporta l'elenco numerato delle vittime decedute “per ferite da arma da fuoco e per fatto di guerra” il giorno 14 giugno 1944, alle ore 19.30. In particolare, al numero 38 dell'elenco contenuto nell'atto di morte compare il nome del Sig. A. M., nato il a Pomarance Pisa , domiciliato a Massa Marittima Grosseto , operaio, vedovo, nonché padre delle due odierne ricorrenti M. P. e G. M., all'epoca bambine di 4 e 2 anni. 2.2 – Per volontà unanime delle famiglie colpite dalla strage di Niccioleta, a Castelnuovo di Val di Cecina, dove avvenne il massacro di 77 minatori, venne eretto un Cippo in memoria delle vittime dell'eccidio di Niccioleta, fucilate dai nazifascisti. Sul retro del Cippo dei Martiri di Niccioleta una lapide in marmo riporta i nomi delle 77 vittime, fra le quali compare anche il Sig. A. M. il suo nome figura per primo nella parte in alto a destra della lapide . Lapide del Cippo dei Martiri di Niccioleta 2.3 – Molti altri sono i monumenti sorti fra Niccioleta e Castelnuovo Val di Cecina e dedicati al ricordo della strage del 13 e del 14 giugno 1944, in cui trovarono la morte lavoratori e cittadini rei della disubbidienza civile contro l'Occupazione Nazista e il servilismo fascista. Ad ulteriore riprova del fatto che queste tragiche circostanze costarono la vita anche ad A. M., ogni monumento contenente iscrizioni o lapidi con l'elenco delle vittime docomma 2 , riporta sempre anche il nome di quest'ultimo. 3 – Le figlie del Sig. A. M., odierne ricorrenti 3.1 – All'epoca dell'uccisione del padre A., le due sorelle M. P. e G. M., erano due minori rispettivamente di 4 e 2 anni, già orfane di madre. Tali circostanze si evincono sia dal certificato di morte della madre B. B., deceduta in data , nonché dagli estratti degli atti di nascita delle predette sorelle docomma 4 , nelle cui annotazioni, tra le altre cose, si legge testualmente che il padre A. M. “è morto per cause belliche, come risulta dall'atto di morte iscritto nel Comune di Castelnuovo di Val di Cecina al numero 1 parte 2 serie C anno 1944” . 3.2 – Orfane dei genitori, le sorelle M. trascorsero la loro infanzia in Collegio. M.P.M., all'età di 5 anni, sul finire dell'anno 1944, fu inviata al Collegio di Pomarance PI tenuto dalle suore di Santa Caterina da Siena, uscendone solo a 18 anni di età, per entrare a lavoro presso la Società Chimica ed Elettrica di Larderello PI . La sorella G. M., più piccola di due anni, entrò in collegio all'età di 3 anni, un anno dopo. Al raggiungimento dei suoi 18 anni, fu presa in carico dalla sorella maggiore M. P., che si prese cura di lei per molto tempo in quanto non riuscì a trovare un lavoro che la rendesse indipendente. Furono questi, per le sorelle M., gli anni più difficili. Tutto ciò premesso, le Sig.re M.P. e G. M., anche ai sensi e per gli effetti dell'articolo 43 del d.l. 30 aprile 2022, numero 36, convertito con modificazioni dalla l. 29 giugno 2022, numero 79 in G.U. 29 giugno 2022, numero 150 , chiedono l'accertamento e il risarcimento del danno parentale da loro subito a seguito dell'uccisione del padre per crimini di guerra commessi dalle forze nazifasciste. 4.1 La risarcibilità dei danni provocati dalle stragi naziste In via preliminare occorre riaffermare la piena giurisdizione dello Stato italiano riguardo alle azioni risarcitorie intraprese dai parenti delle vittime di crimini di guerra nazisti, perpetrati nel periodo compreso dal 1943 al 1945. Come noto, dopo una lunga vicenda giudiziaria che si è dipanata tra la Cassazione italiana SS.UU., sentenza numero 5044/2004, caso F. e la Corte Internazionale di Giustizia sentenza 3 febbraio 2012, caso Jurisdictional Immunities of the State , è intervenuta la Corte Costituzionale che, con la sentenza numero 238/2014, ha stabilito una volta per tutte l'impossibilità per la Repubblica Federale Tedesca – odierna convenuta – di beneficiare dell'immunità giurisdizionale, riconoscendo come prevalente il diritto delle vittime a ottenere il risarcimento del danno subito a causa dei crimini nazisti la Corte ha rilevato che “la norma consuetudinaria internazionale sull'immunità dalla giurisdizione degli Stati stranieri, con la portata definita dalla CIG, nella parte in cui esclude la giurisdizione del giudice a conoscere delle richieste di risarcimento dei danni delle vittime di crimini contro l'umanità e di gravi violazioni dei diritti fondamentali della persona, determina il sacrificio totale del diritto alla tutela giurisdizionale dei diritti delle suddette vittime”, così delibando la questione di costituzionalità come fondata e provvedendo a dichiarare “l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1 della legge 17 agosto 1957, numero 848 Esecuzione dello Statuto delle Nazioni Unite, firmato a San Francisco il 26 giugno 1945 , limitatamente all'esecuzione data all'articolo 94 della Carta delle Nazioni Unite, esclusivamente nella parte in cui obbliga il giudice italiano ad adeguarsi alla pronuncia della Corte internazionale di giustizia CIG del 3 febbraio 2012, che gli impone di negare la propria giurisdizione in riferimento ad atti di uno Stato straniero che consistano in crimini di guerra e contro l'umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona”. 4.2 Il danno da perdita del rapporto parentale Acclarata la giurisdizione dello Stato italiano, si fa valere in questa sede un danno da perdita del rapporto parentale, avendo le ricorrenti perso il proprio padre – già vedovo – nella strage di Niccioleta. Come già ampiamente riportato, le odierne ricorrenti non hanno potuto trascorrere la loro vita insieme al padre, essendo quest'ultimo stato ucciso quando le stesse avevano due e quattro anni. Come noto, il danno cosiddetto parentale viene qualificato come danno di natura non patrimoniale che un soggetto subisce, in conseguenza dell'attività illecita posta in essere da un terzo ai danni di altra persona legata alla prima da un rapporto di natura familiare e/o affettiva. La giurisprudenza ha negli anni elaborato la figura del danno da perdita parentale, definendolo come “quel danno che va al di là del crudo dolore che la morte in sé di una persona cara, tanto più se preceduta da agonia, provoca nei prossimi congiunti che le sopravvivono, concretandosi esso nel vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno e perciò nell'irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull'affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità dei rapporti tra moglie e marito, tra madre e figlio, tra fratello e fratello, nel non poter più fare ciò che per anni si è fatto, nonché nell'alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti” Cass., Sez. III, ord. numero 9196/2018 . Nei termini anzidetti, il danno in questione deve essere valutato tenendo in considerazione una serie di elementi. Quest'ultimo, infatti, si sostanzia sia nello stravolgimento di un sistema di vita che trovava le sue fondamenta nell'affetto e nella quotidianità di tale rapporto con la persona deceduta, nonché nella sofferenza intima delle persone superstiti. Questi due elementi fanno sì che all'interno del danno parentale largamente inteso, si racchiudano sia i caratteri propri del danno esistenziale, in quanto afferente alla sfera dinamico/relazionale del soggetto interessato, che i caratteri propri del danno morale, comprendendosi altresì la lesione di diritti fondamentali della persona costituzionalmente tutelati, tra i quali “il diritto all'esplicazione della propria personalità mediante lo sviluppo dei propri legami affettivi e familiari, quale bene fondamentale della vita, protetto dal combinato disposto degli articolo 2,29 e 30 della Costituzione” Cass., Sez. III, numero 907/2018 . 4.3 I criteri di quantificazione del danno le tabelle di Roma Quanto alla quantificazione del danno da perdita del rapporto parentale, essa deve avvenire in base ad una valutazione equitativa, vertendosi in tema di lesione di valori inerenti alla persona, e deve tener conto dell'intensità del vincolo familiare, della situazione di convivenza e di ogni ulteriore utile circostanza, quali la consistenza più o meno ampia del nucleo familiare, le abitudini di vita, l'età della vittima e dei singoli superstiti in tal senso, ancora Cass., Sez. III, ord. numero 907/2018 . In particolare, nel procedere all'accertamento ed alla quantificazione del danno risarcibile, oltre a quanto appena riportato si dovrà tener conto degli elementi citati al paragrafo precedente, relativi tanto all'aspetto interiore del danno sofferto c.d. danno morale quanto a quello dinamico-relazionale destinato ad incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto . Ai fini della liquidazione del danno, sono di supporto le tabelle Milanesi e Romane. Entrambe offrono un valido riferimento per un'uniforme valutazione e una base di calcolo, che deve in ogni caso essere personalizzato, così come si farà nel séguito. I requisiti che la tabella di riferimento dovrebbe contenere secondo la Suprema Corte così, di recente, Cass. numero 10579/2021 sono i seguenti - adozione del criterio “a punto variabile” - estrazione del valore medio del punto dai precedenti - modularità - elencazione delle circostanze di fatto rilevanti tra le quali, da indicare come indefettibili, età della vittima, età del superstite, grado di parentela e di convivenza e dei relativi punteggi. Come noto, negli anni si è discusso in merito alla scelta delle tabelle tra quelle di Milano e quelle di Roma da seguire per la base di calcolo del danno da liquidare. Sul punto è di recente intervenuta la Corte di Cassazione, con la nota sentenza del 10 novembre 2021 numero 33005, nella quale è stato affermato che il danno non può essere liquidato in base alle tabelle di Milano, le quali non rispondono ai citati requisiti già indicati dalla giurisprudenza Cass. 10579/2021 Cass. 26300/2021 . Le tabelle milanesi, infatti, nella liquidazione del danno in oggetto, non seguono la tecnica del punto, ma individuano un tetto minimo ed un tetto massimo, fra i quali ricorre una significativa differenza, venendo quindi a mancare la “forma di concretizzazione tipizzata” offerta invece da una tabella fondata sul punto variabile come quella Romana. Alla luce di queste considerazioni si è pertanto fatto ricorso a quest'ultima tabella per individuare la corretta base di calcolo per la liquidazione del danno parentale. 4.4 Quantificazione e personalizzazione del danno subito dalle sorelle M. È provato, come risulta dai documenti allegati docomma 4 , il legame di parentela tra le ricorrenti M. P. e G. M. ed il padre A. M Per l'effetto, dall'applicazione dei parametri delle Tabelle di Roma, ciascuna delle sorelle M. ha diritto a vedere risarcito, ai sensi dell'articolo 2059 c.c., il danno così quantificato valore del punto base 9.806,70 euro intensità del vincolo familiare figlie 18 pt età della vittima 34 anni 4 pt età delle figlie 2 e 4 anni 5 pt in entrambi i casi convivenza sì 4 pt assenza di altri familiari conviventi sì, madre premorta* 3 pt totale - 34 pt totale convertito in euro - 333.427,80 *le sorelle M. furono collocate in Collegio vd. supra par. 3.2 A tale valore, in un'ottica di personalizzazione del danno, deve altresì essere applicato un coefficiente di maggiorazione del 20% sul totale dovuto alla efferatezza della strage nazista e alla acclarata natura di crimine contro l'umanità, pari a ulteriori 66.685,56 euro, e che conduce ad un totale complessivo pari a euro 400.113,36 per ciascuna delle sorelle M., salva la maggior determinazione del Giudice in via equitativa. * 4.5 La rilevanza dell'articolo 43 d.l. 36/2022 nel presente giudizio L'articolo 43 del d.l. numero 36/2022, sopra richiamato, ha istituito il Fondo per il ristoro dei danni subiti dalle vittime di crimini di guerra e contro l'umanità per la lesione di diritti inviolabili della persona, compiuti sul territorio italiano o comunque in danno di cittadini italiani dalle forze del Terzo Reich nel periodo tra il 1° settembre 1939 e l'8 maggio 1945. La norma – oltre a qualificare lo Stato italiano quale soggetto passivo dei giudizi attivati per il risarcimento del suddetto danno – prevede altresì alcuni adempimenti processuali, tra cui la notificazione del ricorso alla Avvocatura di Stato, necessari ai fini dell'ammissibilità al Fondo. Per tali ragioni, la presente azione giudiziaria è rivolta anche nei confronti dello Stato italiano, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, e del Ministero dell'Economia e delle Finanze, quale Ente depositario del Fondo, a titolo di soggetti coobbligati ex lege al ristoro dei danni subiti. Hanno concluso chiedendo CONCLUSIONI delle ricorrenti - PER M.P.M. accertare e dichiarare il diritto al risarcimento del danno da perdita parentale per l'uccisione del padre A. M. e per l'effetto condannare la Repubblica Federale Tedesca e, in solido con essa ai sensi e per gli effetti dell'articolo 43 del d.l. 36/2022 conv. con modd. dalla l. 29 giugno 2022, numero 79, la Repubblica italiana, rappresentata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e/o dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, al pagamento della somma di euro 400.113,36 - PER G. M. accertare e dichiarare il diritto al risarcimento del danno da perdita parentale per l'uccisione del padre A. M. e per l'effetto condannare la Repubblica Federale Tedesca e, in solido con essa ai sensi e per gli effetti dell'articolo 43 del d.l. 36/2022 conv. con modd. dalla l. 29 giugno 2022, numero 79, la Repubblica italiana, rappresentata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e/o dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, al pagamento della somma di euro 400.113,36. Con ogni consequenziale provvedimento in merito alle spese del giudizio. Le ricorrenti hanno depositato i seguenti documenti 1 Documentazione storica e giornalistica 2 Documentazione fotografica 3 Atto di morte del Sig. A. M. iscritto nel Comune di Castelnuovo di Val di Cecina al numero 1 parte 2 serie C anno 1944 4 Estratti degli atti di nascita delle Sig.re M. P. e G. M., con annotazioni di paternità e maternità. 5 estratto atto di morte della loro madre B. B Prova di avvenuta notifica alla Germania per via diplomatica. DIFESA DELL'AVVOCATURA DI STATO ITALIANA 1. l'. 43 del decreto legge 30 aprile 2022 numero 36, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 giugno 2022 numero 79 consente di ritenere il difetto di legittimazione passiva della Repubblica Federale Tedesca. Nel dettaglio, tale articolo riconosce il diritto di accesso al Fondo a coloro che abbiano a conseguito una sentenza passata in giudicato, recante l'accertamento e la liquidazione dei suddetti danni, a seguito di azioni giudiziarie avviate prima della data di entrata in vigore del decreto-legge i.e. il 1° maggio 2022 oppure promosse entro il termine decadenziale di centottanta giorni decorrente dalla medesima data b stipulato – nel caso di giudizi pendenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge e di quelli instaurati successivamente – una transazione con il suddetto Dicastero, sentita l'Avvocatura dello Stato. La norma, inoltre, dispone – in relazione ai giudizi non ancora instaurati alla data di entrata in vigore del menzionato decreto-legge – che gli atti introduttivi dei medesimi siano notificati presso gli uffici dell'Avvocatura dello Stato, ai sensi dell'articolo 144 cod. procomma civ La ratio della disposizione in esame, resa esplicita dal comma 1, pare essere quella di dare continuità all'Accordo tra la Repubblica italiana e la Repubblica Federale di Germania, reso esecutivo con d.P.R. 14 aprile 1962, numero 1263, con il quale il nostro Paese ha dichiarato “definite” tutte le rivendicazioni e le richieste della Repubblica italiana oppure delle persone fisiche o giuridiche italiane nei confronti della Germania, derivanti dai diritti sorti nel periodo tra il 1°settembre 1939 e l'8 maggio 1945 articolo 2, par. 1 , obbligandosi altresì a tenere indenne la Repubblica Federale di Germania da ogni eventuale azione o pretesa legale relativa ad essi par. 2 . Quindi, in attuazione del suddetto accordo internazionale, l'Italia sembrerebbe essersi assunta – mediante la disposizione legislativa in commento – le obbligazioni risarcitorie della Repubblica Federale di Germania derivanti dalle menzionate azioni giudiziarie 1 con liberazione ex lege del debitore originario, nei cui confronti non è più ammessa la proposizione oppure la prosecuzione di eventuali azioni esecutive comma 3 2 con facoltà per il nuovo debitore di disporre della situazione giuridica oggetto dei processi pendenti e di quelli non ancora instaurati attraverso la stipula di una transazione, sentita l'Avvocatura dello Stato comma 2 . Nell'ambito dello Stato italiano, inoltre, la successione a titolo particolare nei rapporti giuridici controversi sembrerebbe essersi realizzata nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze, in quanto Amministrazione presso cui è istituito il Fondo destinato – in via esclusiva – all'adempimento delle menzionate obbligazioni risarcitorie. Tale ricostruzione giuridica della fattispecie ha rilevanti conseguenze sul piano processuale essa, in effetti, attribuisce al Ministero dell'Economia e delle Finanze, in qualità di gestore del Fondo ed alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, nella qualità di ente rappresentativo dello Stato italiano nel suo complesso, la posizione processuale di “parte”, essendo titolare – sul piano sostanziale – del rapporto giuridico controverso. Per i giudizi instaurati dopo l'entrata in vigore del decreto-legge, in particolare, il legittimato > passivo – sotto il profilo sostanziale – appare essere lo Stato italiano, in quanto succeduto ex lege nel rapporto giuridico controverso in data anteriore all'introduzione del processo e per effetto della suddetta novella legislativa. Ne consegue, sul piano processuale, il difetto di legittimazione passiva cd. sostanziale del debitore originario i.e. la Germania , e si chiede per tanto l' estromissione dal processo dello Stato estero. 2. Eccezione di prescrizione 2.1 Giova ancora richiamare il testo dell'articolo 43, comma 6, del decreto-legge 30 aprile 2022, numero 36, convertito con modificazioni dalla legge 29 giugno 2022, numero 79, il quale stabilisce che “fatta salva la decorrenza degli ordinari termini di prescrizione, le azioni di accertamento e liquidazione dei danni di cui al comma 1 non ancora iniziate alla data di entrata in vigore del presente decreto sono esercitate, a pena di decadenza, entro centottanta giorni dalla medesima data. La decadenza è dichiarata d'ufficio dal giudice” enfasi aggiunta . La sovratrascritta norma richiama dunque espressamente la decorrenza dei termini prescrizionali, assumendo – all'evidenza – l'applicabilità dell'istituto della prescrizione dei diritti, così come disciplinata dal codice civile, alle azioni di accertamento e liquidazione di danni, quale quella che qui occupa è dunque in tale ottica che si eccepisce formalmente l'estinzione del credito risarcitorio delle odierne controparti per prescrizione. Al riguardo, si premette che le allegazioni e le deduzioni svolte nell'atto di citazione appaiono inequivocabilmente volte a dedurre – nell'ambito dell'odierno giudizio – una fattispecie di responsabilità civile derivante da reato la parte attrice, in effetti, ha allegato e dedotto come il de cuius ed i suoi familiari siano stati vittime di un crimine di guerra e contro l'umanità perpetrato dai militari dell'Esercito del Terzo Reich. Secondo la prospettazione di parte attrice che comunque dovrà essere puntualmente provata per ciascuno degli attori i fatti contestati integrerebbero i reati di omicidio, articolo 575 cp che – all'epoca dei fatti – era punito con “la reclusione non inferiore ad anni ventuno”, cui pure rinviava l'articolo 185 comma 2 del codice penale militare di guerra. Tali fattispecie, quindi, sono pacificamente sussumibili entro l'istituto giuridico dell'illecito civile sia pure derivante da fatti costituenti reato, il quale – nell'ambito dell'ordinamento italiano – è compiutamente disciplinato dagli articolo 2043 e ss. cod. civ. ed in particolare, per quanto attiene alla disciplina della prescrizione, dall'articolo 2947, comma 3, secondo cui “se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all'azione civile”. Ne consegue che, a norma dell'articolo 157, comma 1, numero 2, cod. penumero – nel testo all'epoca vigente – i reati in esame si sono estinti per prescrizione con il decorso di quindici anni, decorrenti – nella specie – dal 14 giugno 1944 e quindi estinti in data 14 giugni 1959. Dunque, alla data di proposizione della odierna domanda giudiziale, 27 ottobre 2022 , tale termine –anche ai fini della responsabilità civile – era già ampiamente decorso. Peraltro – anche in considerazione delle allegazioni e deduzioni di controparte – occorre verificare se, nella particolare fattispecie in esame, sussistano ostacoli normativi all'applicazione della disciplina della prescrizione, come sopra delineata. Nessun ostacolo giuridico alla proponibilità delle presenti azioni risarcitorie e dunque alla possibilità giuridica di far valere siffatti diritti di credito, come risulta dai numerosi pronunciamenti di merito dei Tribunali anche prima della sentenza di incostituzionalità della Consulta con sentenza numero 238/2014 cfr., ad esempio, Tribunale di Firenze, 8 febbraio 2011, numero 411 . Di conseguenza, si ritiene che non vi sia alcun ostacolo giuridico di diritto interno alla eccepita prescrizione dei crediti di controparte, né che sia di ostacolo ad essa la presunta norma di diritto internazionale consuetudinario concernente l'imprescrittibilità dei crimina iuris gentium. In effetti, tale norma – anche ad ammetterne l'attuale vigenza – non potrebbe certo trovare applicazione al caso in esame, atteso che i reati perpetrati ai danni del de cuius sono stati commessi in data antecedente alla formazione della medesima sicché, la sua concreta applicazione resta comunque impedita dal principio fondamentale del nostro ordinamento costituzionale dell'irretroattività delle norme penali di sfavore, sancito dall'articolo 25, comma 2, della Costituzione cfr. Corte di Appello di Firenze, 8 aprile 2021, numero 772 . I profili di diritto intertemporale – per contro – acquistano rilevanza nel momento della decisione sul merito, dato che “la legge non dispone che per l'avvenire essa non ha effetto retroattivo” articolo 15 delle disp. sulla legge in generale regola che – in ambito penale – costituisce un principio fondamentale del nostro ordinamento costituzionale, giacché – a norma dell'articolo 25, secondo comma, Cost. – “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”. Il principio di irretroattività delle norme giuridiche, peraltro, trova applicazione anche con riferimento alle norme internazionali e costituisce, in questo settore, un principio di diritto internazionale generalmente riconosciuto, che risulta codificato – con riferimento al diritto dei trattati – dall' articolo 28 della Convenzione di Vienna del 23 maggio 1969. Sorta nella comunità internazionale, la progressiva consapevolezza circa l'opportunità di elaborare una soluzione condivisa del problema relativo alla prescrizione dei crimini internazionali, si giunse alla elaborazione della Convenzione sulla non applicabilità della prescrizione ai crimini di guerra e ai crimini contro l'umanità, adottata il 26 novembre 1968 dall'Assemblea generale dell'O.numero U. ed entrata in vigore l'11 novembre 1970. In particolare, l'articolo IV della suddetta Convenzione prevede che gli Stati contraenti s'impegnano ad adottare “in conformità con le loro procedure costituzionali” ogni misura legislativa o di altro genere, che sia necessaria per garantire l'imprescrittibilità dei crimini internazionali. Dunque, la Convenzione del 1968 – pur prevedendo l'imprescrittibilità dei crimini in esame – condizionava l'applicazione concreta del principio all'adozione da parte degli Stati contraenti degli opportuni interventi legislativi o di altro genere imposti dalle norme costituzionali di diritto interno in materia penale. Nonostante tale accorgimento, la Convenzione in esame ha incontrato una ferma opposizione nell'ambito della comunità internazionale, atteso che la sua attuazione implicava un'applicazione retroattiva della disciplina della imprescrittibilità dei crimini internazionali e – proprio per questa ragione – non è stata sottoscritta dagli Stati del Consiglio d'Europa. Questi ultimi – invero – elaborarono un autonomo strumento internazionale la Convenzione europea sulla non applicabilità della prescrizione ai crimini contro l'umanità e ai crimini di guerra del 25 gennaio 1974, entrata in vigore il 27 giugno 2003. Tale convenzione – a differenza di quella elaborata in seno alle Nazioni Unite – esclude espressamente – all'articolo 2 – l'efficacia retroattiva della disciplina dell'imprescrittibilità prevista dall'articolo 1, il quale – a sua volta – condiziona l'applicazione concreta della disciplina in questione all'adozione delle necessarie misure di diritto interno. Tuttavia, il citato articolo 2 – pur prevedendo la non applicabilità della Convenzione ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore paragrafo 1 – consente di applicare il regime della imprescrittibilità anche ai fatti antecedenti per i quali non fosse ancora interamente spirato il termine di prescrizione previsto dal diritto interno paragrafo 2 . Per questa ragione, tale convenzione è stata ratificata soltanto da nove Stati, tra cui non figura l'Italia, alla quale, quindi, essa non risulta applicabile e, peraltro, se anche questa convenzione fosse stata – per ipotesi – applicabile, è certo che – nella specie – il termine di prescrizione penale era già spirato alla data della sua entrata in vigore e, quindi, il giudice interno non potrebbe comunque applicare la menzionata regola dell'imprescrittibilità dei crimini internazionali, stante il chiaro disposto del citato articolo 2, paragrafo 2. Ed invero, solo con il Trattato di Roma del 17 luglio 1998, recante lo “Statuto della Corte penale internazionale”, si è giunti ad elaborare una regola largamente condivisa in relazione all'imprescrittibilità dei crimina iuris gentium. La caratteristica dello Statuto – in effetti – è quella di escludere ogni possibile applicazione retroattiva della regola in questione, in quanto – pur prevedendo che i crimini internazionali non sono soggetti ad alcun termine di prescrizione articolo 29 – chiarisce espressamente che nessuno può essere dichiarato penalmente responsabile in forza delle disposizioni dello Statuto per un comportamento precedente alla data della sua entrata in vigore articolo 24, paragrafo 1 . Proprio l'esclusione di ogni possibile effetto retroattivo delle norme dello Statuto ha consentito alla maggior parte degli Stati della comunità internazionale di ratificare il Trattato di Roma, tra i quali figura anche l'Italia, che vi ha provveduto con la legge 12 luglio 1999, numero 232 lo Statuto è così entrato in vigore il 1° luglio 2002. Dall'evoluzione normativa appena sintetizzata si desume che la regola dell'imprescrittibilità dei crimini internazionali si è affermata solo alla fine degli anni Novanta, quando è stato elaborato lo Statuto della Corte penale internazionale prima di tale momento, gli Stati della comunità internazionale non erano mai giunti ad una sua formulazione condivisa, soprattutto con riferimento al problema della retroattività. Anzi, dalla condotta tenuta dagli Stati si evince chiaramente che essi hanno manifestato il proprio consenso all'applicazione della regola dell'imprescrittibilità dei crimini internazionali soltanto quando – con il Trattato di Roma – ne è stata espressamente e univocamente esclusa l'efficacia retroattiva. Ne consegue che – nel caso di specie – l'applicazione della regola dell'imprescrittibilità dei crimini internazionali non può trovare applicazione ratione temporis, atteso che la condotta offensiva di cui è rimasto vittima il de cuius si è esaurita nel 1945, quando la regola dell'imprescrittibilità dei crimini in esame non si era ancora formata. Ebbene, una volta esclusa l'imprescrittibilità del reato perpetrato nei confronti del de cuius, viene altresì meno la possibilità di considerare imprescrittibile il diritto al risarcimento dei danni da esso derivati. Difatti, nell'ambito del diritto internazionale, non si rinviene alcuna norma – pattizia o consuetudinaria – che possa escludere, nel caso di specie, l'applicabilità dell'articolo 2947, comma 3, cod. civ Anzi costituisce un principio pacifico quello per il quale, in assenza di una specifica disposizione di diritto internazionale, debba trovare applicazione al problema della responsabilità civile derivante da reato la disciplina prevista dal diritto interno cfr. Corte d'appello, 2° circuito, caso Filàrtiga v. Pena-Irala, in ILM, 1980, p. 966 e ss. Corte d'appello, 2° circuito, caso Kadic v. Karadzic, in ILM, 1995, p. 1592 e ss. nonché, Tribunale Bologna, 11 gennaio 2010, R.G. numero 5058/09 18 novembre 2010, R.G. numero 8268/05 nonché, Tribunale di Rossano, 20 settembre 2011, R.G. 1140/06 . Di conseguenza, in applicazione della norma di diritto interno sopra citata, il diritto al risarcimento danni conseguente alla deportazione deve ritenersi prescritto. 5.2 In ogni caso, a prescindere dalla prescrittibilità dei reati posti a fondamento della domanda, deve rilevarsi che l'articolo 2947, comma 3, c.comma secondo cui “se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all'azione civile. Tuttavia, se il reato è estinto per causa diversa dalla prescrizione o è intervenuta sentenza irrevocabile nel giudizio penale, il diritto al risarcimento del danno si prescrive nei termini indicati dai primi due commi, con decorrenza dalla data di estinzione del reato o dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile”. La norma dispone che si applicano i termini indicati nei primi due commi cinque anni nel caso di diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito e due anni per il danno prodotto dalla circolazione dei veicoli di ogni specie nei casi di estinzione del reato per causa diversa dalla prescrizione o di intervento di sentenza irrevocabile resa nel giudizio penale, con decorrenza - rispettivamente - dalla data di estinzione del reato o da quella in cui la sentenza è divenuta irrevocabile. Per cause di estinzione diverse dalla prescrizione si devono intendere essenzialmente quelle di cui agli articolo 150,151 e 152 c.p., vale a dire la morte del reo, l'amnistia e la remissione di querela. Nel caso in esame, pur non avendo gli attori indicato chi siano i soggetti che materialmente hanno compiuto all'epoca il reato fondante l'odierna richiesta risarcitoria, si può verosimilmente ritenere, risalendo i fatti a quasi 80 anni fa, che gli stessi siano nel frattempo deceduti. Ne consegue che la prescrizione del diritto al risarcimento, secondo quanto previsto dal comma 1 dell'articolo 2947 c.comma e, quindi, nel termine di 5 anni, ha avuto decorrenza dalla data del decesso del reo. Infatti, nel caso in cui il reato si estingue per morte del reo “il termine di prescrizione è biennale, ai sensi dell'articolo 2947 cod. civ., e decorre dalla data in cui il reato si è estinto nella specie, dalla data della morte del reo e non già da quella in cui l'estinzione è stata dichiarata o, a maggior ragione, da quella in cui il danneggiato ha avuto notizia della causa di estinzione.” Cass. Sez. 3, sentenza numero 25126 del 13/12/2010 . La circostanza del decesso può essere tuttavia agevolmente considerarsi dimostrata attraverso il ricorso al meccanismo delle presunzioni com'è noto, tale istituto consente al giudice di fondare il proprio convincimento su fatti non specificamente provati, qualora tuttavia questi derivino da elementi gravi, precisi e concordanti allegati in giudizio. Nel caso di specie, tali elementi sono riconducibili, nello specifico 1 al momento temporale in cui i fatti di reato sono avvenuti, nella specie, nel giugno del 1944 2 gli autori dei fatti, al più tardi, avrebbero ad oggi, se in vita, oltre 100 anni 3 l'aspettativa di vita media per un uomo in Germania, ad oggi in mancanza di dati relativi alla proiezione per i nati negli anni antecedenti al 1930 è di 79 anni https //data.worldbank.org/indicator/SP.DYnumero LE00.MA.IN? end=2020& locations=DE& start=1960 Dalla lettura complessiva dei predetti elementi emerge dunque come nel caso in esame sia possibile desumere logicamente e secondo un altissimo grado di probabilità la morte del reo, in epoca ampiamente compatibile con la successiva maturazione della prescrizione, ai sensi dell'articolo 2947, comma 3, seconda parte. Sulla prova per presunzioni, si richiama quanto dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale “Nella prova per presunzioni non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità, ovvero che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, la cui sequenza e ricorrenza possano verificarsi secondo regole di esperienza.” Cass. civile, Sez. 3, ordinanza 26 febbraio 2019 numero 14762 . Ne consegue che il diritto al risarcimento danni azionato dalle ricorrenti con atto notificato in data 27 ottobre 2022 per i fatti occorsi nel giugno del 1944 deve ritenersi prescritto per il decorso del termine quinquennale di prescrizione ex articolo 2947 comma 3 c.c. 3. Sul merito della domanda 3.1 La domanda dovrà essere rigettata anche nel merito laddove non risulti acquisita al processo la prova dei fatti costitutivi dell'illecito di cui si tratta nel presente giudizio. 3.2. Si contesta, inoltre, la sussistenza dei requisiti per la risarcibilità del danno parentale. La questione si incentra sulla sufficienza o meno del solo rapporto parentale ai fini della risarcibilità del danno subito iure proprio, come conseguenza della morte dei propri familiari. In termini generali, secondo il più recente orientamento giurisprudenziale, l'uccisione di una persona fa presumere da sola, ex articolo 2727 c.c., una conseguente sofferenza morale in capo ai genitori, al coniuge, ai figli o ai fratelli della vittima, a nulla rilevando né che la vittima ed il superstite non convivessero, né che fossero distanti in tal caso, grava sul convenuto l'onere di provare che vittima e superstite fossero tra loro indifferenti o in odio e che, di conseguenza, la morte della prima non abbia causato pregiudizi non patrimoniali di sorta al secondo cfr. Cass. numero 25774/2019 Cass. numero 3767/2018 . Dunque, la sussistenza di effettivi rapporti di reciproco affetto e solidarietà con il congiunto è assistita da una presunzione iuris tantum , fondata sulla comune appartenenza al medesimo ‘nucleo familiare minimo', che può essere superata dalla prova contraria fornita dal convenuto, anch'essa imperniata su elementi presuntivi tali da far venir meno ovvero attenuare la presunzione suddetta cfr. Cass. n° 9010/2022 . Inoltre, non può configurarsi un pregiudizio risarcibile subìto dal minore infante, né con riferimento al danno morale, in quanto si tratterebbe di un danno futuro soltanto eventuale, né quale danno da perdita del rapporto parentale, non potendosi configurare una lesione del godimento postumo di beni che il rapporto familiare avrebbe consentito cfr, Cass. numero 12987 del 26.04.2022 . Nel caso in esame, al momento della morte del loro genitore le odierne ricorrenti avevano 4 e 2 anni, di talchè la domanda è da respingere. L'avvocatura ha dunque così concluso in via preliminare, dichiarare l'estromissione dal giudizio della Repubblica Federale Tedesca, ed in ogni caso il suo difetto di legittimazione passiva nel merito, rigettare ogni avversa domanda perché inammissibile, infondata in fatto ed in diritto. Vinte le spese. MOTIVAZIONE 1 GIURISDIZIONE DELLO STATO ITALIANO Occorre ricordare che nel 2008 le Sezioni Unite della Cassazione decidono sul conflitto di giurisdizione sollevato dalla RFG Cass. S.U. Ord. 14202/2008 , confermando la giurisdizione del giudice italiano. Nel 2012, il 3 febbraio, la Corte Internazionale di Giustizia CIG , con una sentenza intervenuta su impulso della Germania, dichiara immuni dalla giurisdizione civile gli atti compiuti dagli Stati iure imperii in virtù dei principi di diritto internazionale. Nel 2012, con la sentenza del 14 marzo, il Tribunale di Firenze dichiara inammissibile la domanda risarcitoria, richiamandosi alla pronuncia della Corte dell'Aja di cui sopra. Nel 2013 viene emanata la Legge numero 5/2013 con la quale lo Stato italiano recepisce la norma consuetudinaria di diritto internazionale – così come interpretata dalla CIG con la citata sentenza del 3 febbraio 2012 – sull'immunità degli Stati dalla giurisdizione civile degli altri Stati per tutti gli atti intervenuti iure imperii. Nel 2014, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sent. 1136/2014 dichiarano il difetto di giurisdizione del giudice italiano, contraddicendo il proprio orientamento precedente vd. cass. Pen 1072/2008 sez. unumero 14201/2008 e 14202/2008 , dovendosi adeguare la nuovo dettato normativo imposto dalla legge 5/2013. Nel 2014 la Corte Costituzionale con la fondamentale sentenza numero 238/2014, chiamata a pronunciarsi proprio da questo Tribunale di Firenze per esaminare la legittimità costituzionale dell'articolo 3 della legge 5/2013, dichiara l'illegittimità costituzionale, per contrasto con gli articolo 2 e 24 Cost., del citato articolo 3, nonché dell'articolo 1 legge 848/1957 “limitatamente all'esecuzione data all'articolo 94 della Carta delle Nazioni Unite, esclusivamente nella parte in cui obbliga il giudice italiano ad adeguarsi alla pronuncia della Corte internazionale di giustizia CIG del 3 febbraio 2012, che gli impone di negare la propria giurisdizione in riferimento ad atti di uno Stato straniero che consistano in crimini di guerra e contro l'umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona. Dunque, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale 238/2014 il giudice italiano ha l'obbligo di ritenere la propria giurisdizione per i delicta iure imperi in quanto, come si legge anche nella recente sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione numero 20442/2020 “L'immunità degli Stati esteri dalla giurisdizione civile - ha osservato i Giudice delle leggi - esprime una consuetudine di diritto internazionale che ha ingresso nell'ordinamento interno attraverso l'articolo 10 Cost. ma la stessa Costituzione impone di verificare se attraverso tale meccanismo di adattamento automatico risultino avere ingresso norme, quale appunto quella formata dall'interpretazione datane dalla CIG, che entrino in conflitto con i principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale, tra cui il diritto al giudice articolo 24 Cost. e, assieme, la garanzia del rispetto dei diritti inviolabili della persona articolo 2 Cost. . Per questo, nei rapporti con gli Stati stranieri, il diritto alla tutela giudiziale può essere limitato fino al punto in cui vi sia un interesse pubblico riconoscibile come preminente, ciò che non potrebbe mai dirsi in presenza di atti che non esprimono la funzione sovrana dello Stato straniero, bensì integrano crimini contro l'umanità, come la deportazione, i lavori forzati, gli eccidi. Il carattere palesemente criminale di tali fatti impedisce che a essi possa giovare lo scudo protettivo dell'immunità, operando i predetti contro-limiti. Pertanto, con la pronuncia interpretativa di rigetto sopra richiamata, la Corte Costituzionale ha affermato che, per la parte che concerne i delicta imperi, quella norma di diritto internazionale non è entrata nell'ordinamento, non operando il rinvio ex articolo 10 Cost omissis ………, riconoscendo la prevalenza del principio e meta-valore del rispetto dei diritti inviolabili a fronte di delicta imperii, cioè di atti compiuti in violazione di norme internazionali di ius cogens tali da determinare la rottura di un potere sovrano riconoscibile come tale con conseguente recessione del principio dell'immunità statale, che non costituisce un diritto quanto piuttosto una prerogativa dello Stato nazionale, cosicchè il principio del rispetto della sovrana uguaglianza degli Stati deve restare privo di effetti nell'ipotesi di crimini contro l'umanità, cioè compiuti in violazione di norme internazionali di ius cogens, in quanto tali lesivi di valori universali che trascendono gli interessi delle singole comunità statali e la cui vera sostanza consiste in un abuso della sovranità statuale così Cass., Sez. Unumero , 28/10/2015, numero 21946 Cass., sez. unumero 29/07/2016, numero 15812 Cass., sez. unumero 13/01/2017, numero 762 v. anche Cass., I sez. penumero 14/09/2015, numero 43696 ”. Ed invero, il disegno politico del Terzo Reich è stato proprio quello di seminare il terrore nella popolazione civile inerme, ricorrendo ad efferati e ingiustificati eccidi, assassini, deportazioni eccomma al fine di contrastare la resistenza partigiana cfr. SSUU 5044 del 2004 cit. Corte d'Appello Militare di La Spezia del 24.11.2005 . Va dunque ammessa la giurisdizione dello Stato Italiano per i crimini commessi in Italia da cittadini tedeschi che eseguivano ordini superiori del governo tedesco del tempo. 2 SULLA LEGITTIMAZIONE PASSIVA La Legittimazione passiva spetta alla Repubblica Federale di Germania per il principio di continuità soggettiva dello Stato, a nulla rilevando che il governo attuale sia del tutto diverso dal governo del Terzo Reick trattasi di delicta iure imperii commessi da cittadini tedeschi 3° POLIZEI-FREIWILLIGEN-BATAILLON ITALIEN , ossia soldati, ufficiali e sottufficiali tedeschi che uccisero con ferocia a colpi di mitraglia 92 uomini di cui 77 minatori come l'A. M., in esecuzione del piano criminale del governo nazista a risponderne è dunque ora la Repubblica federale tedesca e la sua civitas, per il principio di diritto internazionale di continuità soggettiva dello Stato per cui «i mutamenti verificatisi nella situazione di uno Stato non l'autorizzano a ritenersi sciolto dai suoi impegni anteriori». Non costituisce, quindi, un'eccezione alla regola generale della continuità dei rapporti giuridici tra Stati il caso della Repubblica Federale di Germania, pacificamente subentrata alla Germania nazionalsocialista del Terzo Reich. Lo attestano i trattati conclusi dalla Repubblica Federale di Germania per il risarcimento dei danni cagionati ai cittadini italiani sottoposti a deportazione ed a lavoro coatto e la dichiarazione congiunta di Italia e Germania a seguito del vertice italo-tedesco di Trieste del 18 Novembre 2008, all'esito del quale la Repubblica Federale di Germania ha riconosciuto la propria responsabilità per le indicibili sofferenze inflitte a uomini e donne italiani durante i massacri compiuti dal Terzo Reich nel corso della seconda guerra mondiale. Lo attesta anche la circostanza che, di fronte ai tribunali nazionali e internazionali presso i quali è stata chiamata a rispondere dei crimini nazisti, la Repubblica Federale di Germania non ha mai messo in discussione la riferibilità ad essa delle condotte poste in essere dal Terzo Reich vd. sentenza del Tribunale Firenze, seconda sezione civile, Giudice dott. Luca Minniti 22 Febbraio 2016 nonché l'ordinanza del Tribunale di Sulmona 2 Novembre 2017 che ha condannato la Germania al risarcimento dei danni per la strage commessa da membri del Terzo Reich a Pietransieri “poiché, come anticipato, nel diritto internazionale vige la presunzione di continuità della personalità statale, in ossequio al principio di conservazione dei valori -C.I.G. 22.12.1986, Burkina Faso vs Mali-, va affermata la responsabilità della Repubblica Federale di Germania per gli illeciti perpetrati dall'esercito del Terzo Reich ai danni degli abitanti di Pietransieri. D'altro canto, la convenuta non ha mai contestato tale rapporto di successione, né la propria legittimazione passiva innanzi ai tribunali nazionali ed internazionali presso cui è stata chiamata a rispondere dei crimini nazisti. Al contrario, come sopra esposto, la Repubblica Federale Tedesca ha espressamente riconosciuto la propria responsabilità anche per l'eccidio dei Limmari nella comparsa di costituzione e risposta del 26.11.2012, resa nell'ambito del procedimento numero 83/2012 R.G.A.C.C.” . Si veda, altresì, la sentenza del Tribunale Militare de La Spezia del 10 Ottobre 2006 numero 49 «Per quello che attiene il mutamento dell'assetto politico istituzionale di uno Stato, si è affermata nella pratica internazionale la regola della continuità dello Stato, emblematicamente enunciata nel protocollo firmato a Londra il 19 Febbraio 1831 dai plenipotenziari delle maggiori potenze europee, riunitisi per discutere la crisi del Belgio. In tale atto, trattando dei mutamenti intervenuti nell'organizzazione interna dei popoli, si affermava, tra l'altro, che “i mutamenti verificatisi nella situazione di uno Stato non l'autorizzano a ritenersi sciolto dai suoi impegni anteriori” … Del resto, proprio nell'ultimo dopoguerra, la stessa Repubblica Federale di Germania ha mostrato di attenersi alla regola della continuità tra Stati come dimostrano i trattati per mitigare i danni derivati dalle deportazioni e sottoposizione al lavoro coatto di cittadini italiani». Dalle considerazioni che precedono emerge con chiarezza la titolarità passiva del rapporto sostanziale e processuale in capo alla Repubblica Federale di Germania nell'ipotesi di azione risarcitoria per le condotte poste in essere da soggetti facenti parte dell'apparato militare del Terzo Reich, che hanno attuato un preciso piano criminale disposto dai vertici di comando, ivi comprese quelle che si sono tradotte nei gravissimi crimini perpetrati ai danni della popolazione italiana. Ed anzi, come argomentato in modo condivisibile da pronunce di merito che qui si condividono, gli eccidi e le stragi compiute furono rese possibili proprio dalla sistematica accondiscendenza, quando non dalla sollecitazione, da parte dei vertici dell'esercito tedesco di tali atti di assassinio, sterminio, deportazione e violazione della vita privata ai danni della popolazione civile e con il dichiarato fine di contrastare qualsivoglia pericolo alla supremazia tedesca. Dunque lo Stato non si estingue mai, nemmeno per effetto dei mutamenti rivoluzionari di governo tale principio è espresso nel brocardo “forma regiminis mutata, non mutatur ipsa civitas”, quindi dei crimini del Governo terzo Reik risponde ora la cittadinanza tedesca e la sua attuale Repubblica Federale Tedesca. A questi argomenti si aggiunge il fatto nessuna norma o clausola contenuta nei trattati di Parigi 1947 e Bonn 1961 consente di supportare l'eccezione dell'avvocatura dello Stato Italiano, che per giunta in palese contrasto con gli interessi del popolo italiano, chiede di estromettere dalla causa la Repubblica federale tedesca per accollare sui cittadini italiani le conseguenze dei risarcimenti spettanti ai cittadini italiani, dipese dalle condotte criminali dei tedeschi, salvo poi eccepire la prescrizione dei diritti dei cittadini italiani. ACCORDO DI PARIGI ANNO 1947 In particolare l'accordo di Parigi del 10.2.47 di 138 pagine dopo aver previsto clausole territoriali e clausole politiche con la ri-disegnazione dei confini degli Stati e delle colonie anche italiane Albania Etiopia Jugoslavia prevede, a partire dall'articolo 74 all'at. 82 le cd. “clausole economiche” ebbene, per es. all'articolo 74 prevede le “riparazioni” da parte dell'Italia di danni economici causati a potenze straniere all'articolo 75 prevede le “restituzioni” di beni stranieri portati in Italia, e all'articolo 76 prevede una “rinuncia a ragioni” da parte dell'Italia, rinuncia che però riguarda i danni causati a cittadini italiani dalle potenze alleate e non dalla Germania. L'articolo 77 segue con disciplina particolare che regola il rapporto tra Italia e Germania entrambi sconfitti in guerra e, analizzando dettagliatamente tale articolo 77 con interpretazione sistematica e letterale è evidente che anche questo articolo regola i rapporti economici e non le conseguenze dei crimini di guerra. È così previso che i beni italiani che siano stati portati in Germania, non possano essere considerati beni di un paese nemico dato che la Germania era stata poi occupata dalle potenze alleate era utile scriverlo e dovevano quindi essere restituiti all'Italia comma 1, 2 e 3 il comma 4 parla di “indennità in conseguenza della Guerra” e prevede “la rinunzia dell'Italia anche per conto dei cittadini italiani a qualsiasi domanda contro la Germania e i cittadini germanici, pendente alla data del 8.5.1945, salvo che quelle risultanti da contratti o da altre obbligazioni in forza, e ai diritti che fossero acquisiti prima del 1.9.1939. Questa rinuncia sarà considerata applicarsi ai debiti, a tutte le ragioni di carattere interstatale relative ad accordi conclusi nel corso della guerra e a tutte le domande di risarcimento di perdite o di danni occorsi durante la guerra”. Il paragrafo successivo numero 5 ci dà contezza che si sta sempre palando di perdite economiche di beni o denari e non di risarcimento di crimini contro l'umanità, che non erano domande pendenti in quel momento, laddove prosegue l'articolo 77 comma 5 dicendo l'Italia si impegna a prendere i provvedimenti necessari per facilitare i trasferimenti di beni dei cittadini germanici in Italia. Quindi l'articolo 77 prevede regolazioni di questioni economiche, fa salvi i contratti anteriori all'inizio della guerra e gli obblighi da essi nascenti, prevede ai primi tre commi la restituzione dei beni italiani che si trovino in Germania e che devono tornare all'Italia, e al quinto comma prevede la restituzione dei beni dei cittadini Germanici che si trovano in Italia e che vanno riportati in Germania e generiche domande di risarcimenti per perdite o danni occorsi in guerra, come ad es. perdita di un carico di merci o danni comunque patrimoniali. In una tale conseguenzialità di disposizioni non si può ritenere che il quarto comma fuoriesca da questa ratio di regolazioni esclusivamente di beni e rapporti commerciali o economici, includendo irrazionalmente una inaspettata regolazione dei crimini di guerra compiuti dai tedeschi in Italia, e una rinuncia dell'Italia anche per conto dei suoi cittadini, a far valere in futuro i risarcimenti dei crimini di guerra e contro l'Umanità subiti dai tedeschi specie dopo l'armistizio corto di Cassibile dell'8.9.1943. L'accordo di Parigi prevede la parte III intitolata Crimini di Guerra articolo 45 ma tende ad assicurare che siano giustiziati i nazisti e i fascisti mettendoli a disposizione delle potenze alleate e nulla dice per i crimini dei nazisti in danno degli italiani. A supportare questa interpretazione dell'articolo 77 comma 5 del Trattato di Parigi sta anche come già detto l'interpretazione sistematica e la collocazione dell'articolo 77 nella parte IV intitolata “delle indennità in conseguenza della Guerra” che evoca aspetti puramente patrimoniali . ACCORDO DI BONN ANNO 1962 Anche il D.P.R. 14 aprile 1962, numero 1263 che contiene l'Esecuzione dell'Accordo DI BONN tra la Repubblica Italiana e la Repubblica Federale di Germania per il regolamento di alcune questioni di carattere patrimoniale, economico e finanziario con scambi di Note, concluso a Bonn il 2 giugno 1961 e dunque l'articolo 2 della parte I riguardante appunto “questioni economiche” ha una portata esclusivamente patrimoniale, di regolamentazione di beni, conti correnti, e diritti d'uso dei marchi di imprese tedesche, protezione di proprietà intellettuale e non riguarda affatto i risarcimenti per eccidi, assassini e deportazioni ai danni dei cittadini italiani, che non vengono minimamente menzionati e che sono del tutto eterogenei rispetto alla materia trattata in questo accordo tra Italia e Germania, relativo a questioni finanziarie ed economiche di beni, conti correnti e marchi di impresa. Dunque il pagamento di 40 milioni di marchi tedeschi previsto nella parte I del detto accordo di Bonn intitolata “QUESTIONI ECONOMICHE” articolo 1. 1. La Repubblica Federale di Germania versa alla Repubblica Italiana, a definizione delle questioni economiche pendenti, la somma di 40 milioni di marchi tedeschi. 2. Questa somma sarà trasferita su un conto, da aprirsi al nome del Ministero del tesoro italiano presso la Banca Nazionale del Lavoro, in due rate ciascuna di 20 milioni di marchi tedeschi la prima rata sarà versata un mese e la seconda rata un anno dopo l'entrata in vigore del presente Accordo. riguarda soltanto gli aspetti patrimoniali ivi previsti e non i crimini del terzo reik, per cui anche il successivo articolo 2 va letto nella stessa ottica ricorrendo all'interpretazione letterale, teleologica e sistematica, nonché storicizzante articolo 2. 1. Il Governo italiano dichiara che sono definite tutte le rivendicazioni e richieste della Repubblica Italiana, o di persone fisiche o giuridiche italiane, ancora pendenti nei confronti della Repubblica Federale di Germania o nei confronti di persone fisiche o giuridiche tedesche, purché derivanti da diritti o ragioni sorti nel periodo tra il 1° settembre 1939 e l'8 maggio 1945. 2. Il Governo italiano terrà indenne la Repubblica Federale di Germania e le persone fisiche e giuridiche tedesche da ogni eventuale azione o altra pretesa legale da parte di persone fisiche o giuridiche italiane per le rivendicazioni e richieste suddette. articolo 3. Il presente Accordo non riguarda la materia delle restituzioni esterne e dei beni asportati. Dunque, è chiaro che la manleva italiana, che non è stata gratuita ma previo pagamento di 40 milioni di marchi, vista la parità di due potenze entrambe sconfitte, non riguarda per nulla i risarcimenti per i crimini contro l'umanità, ma le sole questioni civili dei beni, dei contratti, degli obblighi civili ante e post guerra, le restituzioni di beni, saldi conti corrente, sfruttamento marchi di impresa ecc. infatti prosegue articolo 4. 1. Il presente Accordo non riguarda, inoltre, i conti aperti su ordine delle Autorità di occupazione alleate, come quelli di Rastatt, Amburgo e Düsseldorf ed eventualmente di altre città, a favore di ex-prigionieri di guerra, deportati e operai stranieri nella Repubblica Federale di Germania. 2. Per detti conti gli aventi diritto italiani godranno dello stesso trattamento concesso ai cittadini dei Paesi con i quali è stato raggiunto un accordo in materia. Parte II DISSEQUESTRO DEI BENI TEDESCHI IN ITALIA articolo 5. 1. I beni tedeschi in Italia non saranno più sequestrati o venduti a scopo di liquidazione. 2. Le disposizioni speciali italiane per il sequestro e la liquidazione dei beni tedeschi sono abrogate. articolo 6 1. I beni tedeschi sequestrati, ma non ancora liquidati, verranno restituiti agli aventi diritto. Sono considerati beni non ancora liquidati anche i beni la cui liquidazione, benché disposta prima del 29 marzo 1957, non sia stata attuata o portata a compimento. 2. Gli oneri inerenti all'amministrazione dei beni sequestrati e all'attuazione della procedura di dissequestro verranno addebitati all'avente diritto soltanto nei limiti in cui possano essere coperti dai proventi delle singole gestioni accumulatisi durante il periodo di sequestro. 3. Il Governo italiano provvederà al dissequestro entro un anno dall'entrata in vigore del presente Accordo. articolo 7. Per i casi in cui beni tedeschi siano stati venduti a condizione di non essere trasferiti a persone fisiche o giuridiche tedesche, il Governo italiano libera con il presente Accordo gli acquirenti di tali beni dall'obbligo di osservare detta condizione. articolo 8. 1. Il Governo italiano restituirà a richiesta dagli aventi diritto i proventi dei beni liquidati prima del 29 marzo 1957, qualora risulti che tale restituzione sia giustificata da motivi giuridici o di fatto. 2. Le domande di riesame dei relativi casi dovranno essere presentate all'Amministrazione competente italiana per il tramite dell'Ambasciata della Repubblica Federale di Germania in Roma entro il termine perentorio di mesi sei dall'entrata in vigore del presente Accordo. 3. L'obbligo di rimborso da parte del Governo italiano di cui al paragrafo 1 è limitato alla somma complessiva di trecento milioni di lire. Ove tale importo non dovesse risultare sufficiente per soddisfare integralmente le richieste ritenute giustificate, l'Amministrazione italiana competente si consulterà con l'Ambasciata della Repubblica Federale di Germania a Roma per una distribuzione pro-quota dell'importo medesimo tra i vari interessati. Qualora, invece, dopo tre anni dall'entrata in vigore del presente Accordo si avesse un residuo disponibile, questo verrà messo a disposizione del Governo della Repubblica Federale di Germania per assistenza a favore di cittadini tedeschi bisognosi in Italia. articolo 9. Qualora i beni di cui al precedente articolo 6 e gli importi di cui al precedente articolo 8 non possano essere messi a disposizione degli aventi diritto, saranno consegnati ad un fiduciario da designarsi dalla Repubblica Federale di Germania. articolo 10. L'Amministrazione italiana competente fornirà, a richiesta, alle autorità competenti tedesche informazioni sul sequestro e la liquidazione di beni tedeschi. articolo 11. I diritti di creditori tedeschi, garantiti da ipoteche o simili privilegi su beni immobili siti in Germania, ivi compreso il Land Berlino, di proprietà di cittadini italiani, non costituiscono beni nemici sequestrabili agli effetti delle disposizioni di guerra vigenti in Italia. Parte III MARCHI D'IMPRESA TEDESCHI IN ITALIA articolo 12. 1. I marchi di fabbrica e di commercio tedeschi depositati in Italia ed iscritti nel registro italiano dei marchi d'impresa prima del 16 settembre 1947 ed i marchi di fabbrica e di commercio tedeschi iscritti, prima di tale data ai sensi e per gli effetti dell'Accordo di Madrid del 14 aprile 1891, nel registro internazionale a nome di persone fisiche o giuridiche tedesche, restano nella piena disponibilità di dette persone o dei loro successori od aventi causa. 2. Se i marchi di cui al comma precedente risultano invece iscritti nel registro italiano dei marchi d'impresa o nel registro internazionale a nome di ditte esistenti in Italia, già controllate da capitale tedesco, i marchi stessi verranno trasferiti alle persone fisiche o giuridiche tedesche al cui nome risultano registrati nel registro dei marchi di fabbrica e di commercio dell'Ufficio brevetti germanico o ai loro successori od aventi causa. 3. Sono fatte salve, in ogni caso, le disposizioni degli articoli seguenti. articolo 13. 1. Per i marchi di fabbrica e di commercio tedeschi concernenti merci fabbricate in Italia, legittimamente usati da ditte già controllate da capitale tedesco dal 13 ottobre 1943 al 29 marzo 1957 ed ancora legittimamente usati dalle stesse ditte alla data di entrata in vigore del presente Accordo per i quali sussistano speciali condizioni che ne consiglino la restituzione all'originario titolare tedesco o il trasferimento in proprietà alle persone fisiche o giuridiche tedesche, al cui nome il marchio risulti registrato nel registro dei marchi di fabbrica e di commercio dell'Ufficio brevetti germanico od ai loro successori od aventi causa, gli interessi delle persone a cui la ditta fu venduta saranno salvaguardati con la concessione a tali persone di un diritto di licenza obbligatoria per l'Italia. 2. Nell'ipotesi che le parti private interessate, che potranno all'uopo avvalersi dei buoni uffici dei due Governi, non riuscissero ad accordarsi sulla stipulazione di licenze contrattuali, le condizioni della licenza obbligatoria saranno equamente fissate dai competenti organi del Governo italiano, tenuti presenti i giusti interessi delle parti private. 3. Tra le condizioni della licenza obbligatoria potrà essere prevista la facoltà del titolare del marchio tedesco di introdurre le merci contraddistinte con il marchio nel caso che il licenziatario non soddisfi il fabbisogno del mercato italiano. 4. Il controllo sull'adempimento da parte del licenziatario delle condizioni della licenza obbligatoria verrà esercitato dai competenti organi del Governo italiano, che avranno potere di revoca ed a cui dovrà essere demandata dalle parti private interessate ogni modificazione delle condizioni della licenza obbligatoria. 5. Avverso i provvedimenti degli organi competenti italiani relativi alla fissazione delle condizioni della licenza obbligatoria, alla modificazione delle condizioni od alla revoca, le parti private interessate potranno ricorrere all'autorità giudiziaria italiana. articolo 14. 1. Per il periodo di un anno dall'entrata in vigore del presente Accordo il Governo italiano non prenderà alcuna decisione in merito ai marchi considerati nel precedente articolo. 2. Durante tale periodo le parti interessate italiana e tedesca potranno raggiungere un'intesa sulla proprietà o sull'uso del marchio, avvalendosi a tal fine anche dei buoni uffici dei due Governi. 3. In caso d'intesa non applicheranno le misure coercitive previste al precedente articolo 13. articolo 15. Per le intese riguardanti i marchi di cui all'articolo 13, concluse fra le parti private interessate prima dell'entrata in vigore del presente Accordo, vale quanto segue a Restano ferme le intese contenenti una disposizione, secondo la quale le intese medesime resteranno in vigore anche nel caso di conclusione di un accordo fra i due Governi in questa materia. b Restano valide anche le intese che non contengono una disposizione del genere se tuttavia un'intesa di questa specie viene denunciata dall'interessato tedesco senza giustificato motivo prima della scadenza di due anni dopo l'entrata in vigore del presente Accordo o se l'intesa viene a scadere entro questo termine, gli interessi della parte italiana verranno tutelati concedendole una licenza obbligatoria per l'Italia. L'articolo 13, paragrafo 2, sarà applicato in modo che le condizioni della licenza obbligatoria non debbano, per nessuna delle parti interessate, essere meno favorevoli delle condizioni delle intese private vigenti sino a tal momento. c Le intese, che prevedano esplicitamente la cessazione della loro validità all'atto della conclusione di un accordo in merito tra i due Governi, non vengono prorogate con il presente Accordo. Saranno conseguentemente applicate le disposizioni dell'articolo 13, salvo che vengano stipulate nuove intese fra le parti private interessate. articolo 16. Se una delle parti private interessate vuol servirsi dei buoni uffici dei due Governi, ognuno degli Stati contraenti può chiedere all'altro Stato contraente di convocare una Commissione mista governativa, che dovrà essere subito nominata e che avrà il compito di aiutare le parti interessate a raggiungere un'intesa amichevole. articolo 17. La restituzione dei marchi ai titolari tedeschi non pregiudica i diritti delle persone fisiche o giuridiche, che abbiano fatto legittimo uso dei marchi stessi anteriormente al 16 settembre 1947. articolo 18. Qualora l'importo di canoni per l'uso di marchi di fabbrica e di commercio di cui al precedente articolo 12 sia stato versato in un conto presso un Istituto di credito italiano, esso verrà messo a disposizione, senza altre limitazioni che la percezione di imposte eventualmente dovute secondo il diritto italiano per questi canoni, degli originari titolari o dei loro successori od aventi causa al momento della firma o al più tardi dell'entrata in vigore del presente Accordo. articolo 19. Il Governo italiano si riserva di radiare dal registro dei marchi d'impresa i marchi di fabbrica e di commercio tedeschi annullati in Germania dalle Potenze alleate e di sottoporre ad analoghe restrizioni in Italia i marchi di fabbrica e di commercio tedeschi, il cui uso sia stato sottoposto a restrizioni ai sensi delle leggi in vigore nella Repubblica Federale di Germania. articolo 20. Il periodo che, in virtù dell'articolo 7 dell'Accordo concluso tra la Repubblica Italiana e la Repubblica Federale di Germania in materia di protezione dei diritti di proprietà industriale del 30 aprile 1952, non viene preso in considerazione nel computo del tempo entro il quale un marchio deve essere utilizzato a termini della legislazione italiana, viene prorogato sino all'entrata in vigore del presente Accordo per i marchi di fabbrica e di commercio tedeschi di cui al successivo articolo 22. articolo 21. La restituzione dei marchi di fabbrica e di commercio tedeschi agli originari titolari tedeschi ed il trasferimento in proprietà dei marchi di fabbrica e di commercio tedeschi a persone fisiche o giuridiche tedesche al cui nome i marchi risultano registrati nel registro dei marchi di fabbrica e di commercio dell'Ufficio brevetti germanico od ai loro successori od aventi causa, saranno effettuati senza alcuna limitazione oltre quelle previste nel presente Accordo e saranno esenti da tasse ed imposte. articolo 22. L'espressione marchi di fabbrica e di commercio tedeschi usata nei precedenti articoli comprende a marchi d'impresa, i cui titolari siano persone fisiche di cittadinanza tedesca ai sensi dell'articolo 116, paragrafo 1 del Grundgesetz del 23 maggio 1949 della Repubblica Federale di Germania, e persone giuridiche a norma del diritto germanico, in quanto abbiano domicilio o sede nel territorio della Repubblica Federale di Germania ivi compreso il Land Berlino o, al di fuori della Germania, in uno Stato il quale abbia una rappresentanza nella Repubblica Federale di Germania, oppure parificato a tale Stato in base ad una concorde dichiarazione degli Stati contraenti b marchi d'impresa di persone fisiche e giuridiche aventi domicilio o sede nel territorio di occupazione sovietica in Germania, che siano stati registrati nel registro dei marchi di fabbrica e di commercio dell'Ufficio brevetti germanico a nome di una persona fisica o giuridica rientrante nelle categorie contemplate nella precedente lettera a . La prova di tale registrazione deve essere fornita a mezzo di una attestazione dell'Ufficio brevetti germanico, non soggetta a legalizzazione. In caso di restituzione di marchi d'impresa ai sensi dei precedenti articoli sarà trascritto, su domanda, nel Registro italiano dei brevetti per marchi d'impresa il trasferimento del marchio al nome della persona che ne risulti titolare nel registro dei marchi di fabbrica e di commercio dell'Ufficio brevetti germanico c marchi d'impresa i cui titolari siano persone giuridiche italiane controllate da capitale tedesco alla data dell'8 maggio 1945. Parte IV DISPOSIZIONI GENERALI E FINALI articolo 23. 1. I beni tedeschi in Italia saranno restituiti agli aventi diritto tedeschi nello stato in cui si trovano al momento della restituzione, salvo disposizioni diverse del presente Accordo. 2. Eventuali rivendicazioni per danni, perdite o modifiche dovuti ad azioni od omissioni degli organi preposti alla loro amministrazione, pubblici o privati, non potranno essere fatte valere da parte della Repubblica Federale di Germania o dei proprietari dei beni medesimi…OMISSIS Fatta questa ampia disamina dell'accordo di Bonn in quanto richiamato, in termini di “continuità” nel decreto legge numero 36/2022 si conclude che né il trattato di Pace di Parigi, nè l'accordo di Bonn del 1961 tra Italia e Germania nazioni poste sullo stesso piano – entrambe sconfitte hanno mai previsto una situazione di privilegio della Germania verso l'Italia, e in particolare non prevedono alcuna rinuncia gratuita da parte dell'Italia e dei suoi cittadini, a far valere i diritti di risarcimento dei danni per gli efferati crimini dei tedeschi commessi in Italia ai danni di cittadini italiani, specie civili inermi, per i quali quindi continua a sussistere azione diretta contro la Repubblica Federale Tedesca e dove lo Stato Italiano, con l'attuale fondo istituito nel 2022, ha semplicemente assunto la veste di anticipatario e pagatore dei risarcimenti, per conto del vero obbligato che è la Repubblica Federale Tedesca, in un giudizio che vede la Repubblica Federale Tedesca come parte, regolarmente notiziata ed evocata in questo giudizio, attraverso il canale diplomatico la notifica della citazione alla Presidenza del Consiglio e al Ministero dell'Economia e Finanze è previsto come atto dovuto articolo 43 dl 36/2022 ma al fine di una mera “denunciatio litis”. L'eccezione, dunque dell'Avvocatura di estromettere la Germania e mandarla assolta dalle pretese risarcitorie degli odierni attori per condannare, invece, l'Italia appare infondata e va rigettata vd. conformi sent. trib. Firenze rg 14049/2011 caso Bergamini Trib. Firenze Giudice dott. Minniti depositata 6.7.2015 vd. sent. Tribunale Ascoli Piceno rg 523/2015 ordinanza 702 bis dep.ta 8.1.2017 dal giudice avv.to Paola Mariani la stessa sent cass. S.u. cass. 20442/2020 dove la Corte aveva come parte esclusivamente la Germania e non ha rilevato l'assenza di legittimazione passiva della stessa vd. anche sent. trib. Bologna numero 1516/2022 dott.ssa Alessandra Arceri . 3 PRESCRIZIONE Deve rilevarsi che l'avvocatura di Stato Italiano e non la Germania eccepiscono la prescrizione del credito degli attori dunque trattandosi di eccezione in senso proprio lo Stato Italiano in quanto non è legittimato passivo alla domanda non potrebbe nemmeno eccepire l'estinzione del debito altrui per prescrizione, producendo tali effetti estintivi a vantaggio del vero debitore. La contumacia della Germania produce delle conseguenze processuali e sostanziali, secondo la legge del processo civile italiano, anche per ciò che attiene la prescrizione non eccepita dall'interessato. A tali argomenti si aggiunge che proprio l'eccipiente Stato Italiano ha riconosciuto questo debito introducendo nell'anno 2022 il “ Fondo per il ristoro dei danni subiti dalle vittime di crimini di guerra e contro l'umanita' per la lesione di diritti inviolabili della persona, compiuti sul territorio italiano o comunque in danno di cittadini italiani dalle forze del Terzo Reich nel periodo tra il 1° settembre 1939 e l'8 maggio 1945”, anche se si è scritto che si voleva dare “continuita' all'Accordo tra la Repubblica italiana e la Repubblica Federale di Germania reso esecutivo con decreto del Presidente della Repubblica 14 aprile 1962, numero 1263, con una dotazione di euro 20.000.000 per l'anno 2023, di euro 11.808.000 per ciascuno degli anni dal 2024 al 2026. Dunque lo Stato Italiano ha riconosciuto anche tuttora questi crimini e dopo 80 anni ha messo a disposizione delle vittime un fondo che dalle sue deduzioni parrebbe voler agganciare ai 40 milioni di marchi pagati dalla Germania nel 1947 ma per gli aspetti economici della guerra beni, contratti, obblighi, marchi d'impresa . Se si fosse trattato di denaro pagato anche per i crimini di guerra del terzo Reick apparirebbe gravemente omissivo il ritardo di 80 anni commesso dallo Stato Italiano nella effettiva destinazione di quel denaro alle vittime italiane. In ogni caso la prescrizione non è stata eccepita dal vero legittimato passivo, e lo Stato Italiano che l'ha eccepita non solo non ha interesse in quanto non legittimato, ma ha espressamente riconosciuto come imprescrittibili questi crimini mettendo a disposizione questo fondo per fatti di 80 anni fa, dopo che son morti i carnefici e le loro vittime e sono certamente trascorsi i termini prescrizionali in caso di reati soggetti a prescrizione. È evidente che la prescrizione non può essere fondatamente sostenuta con questi comportamenti pregressi delle stesse istituzioni italiane. A tali argomenti si aggiunge il fatto che esiste una norma consuetudinaria internazionale di imprescrittibilità dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra, legata ad una coscienza collettiva di prevalenza della pretesa punitiva dello Stato rispetto all'interesse del reo alla certezza della sua condizione in questi casi di crimini contro la dignità umana caratterizzati da ferocia e atrocità e disprezzo per la persona. E' evidente poi che il principio di imprescrittibilità si aggancia ad una coscienza collettiva che si riporta ai fatti del passato e viene affermata proprio per le atrocità del passato, dunque per sua natura si applica anche ai crimini di che trattasi tale coscienza collettiva non è databile alla data delle convenzioni internazionali citate dal convenuto anno 1990 , ma può dirsi formata come principio internazionale già dopo la guerra e proprio per le atrocità del terzo Reick. In ogni caso si rileva che secondo la legge della prescrizione dell'illecito civile italiano, la prescrizione è la stessa del reato e qui trattandosi di omicidio doloso aggravato compiuto con modalità efferate ai danni di un civile inerme che venne fucilato brutalmente a colpi di mitragliatrice senza alcuna necessità bellica, in esecuzione di ordini criminali del terzo Reick, ci troviamo in presenza di reato punibile con l'ergastolo e dunque reato imprescrittibile anche secondo l'articolo 157 c.p.comma ante legge Cirielli “I reati puniti con l'ergastolo sono imprescrittibili” si veda Cass. Penumero sez. 1, Sentenza numero 11047 del 07/02/2013 che recita “Il delitto di omicidio aggravato, punibile in astratto con la pena dell'ergastolo, commesso prima della modifica dell'articolo 157 cod. penumero da parte della l. numero 251 del 2005 è imprescrittibile, anche se le circostanze aggravanti siano state ritenute equivalenti o subvalenti, in sede di giudizio di comparazione, alle circostanze attenuanti”. In applicazione del principio, la Corte ha escluso la prescrizione del delitto di omicidio aggravato, commesso prima dell'entrata in vigore della l. numero 251 del 2005, per il quale erano state concesse le circostanze attenuanti equivalenti alle contestate aggravanti, pur essendo trascorsi, dalla data di commissione del fatto, più di ventiquattro anni dall'intervento del primo atto interruttivo vd. conformi Cass. Penumero numero 2856 del 1967, numero 341 del 1969 numero 41964 del 2009 . Si veda inoltre quanto affermato proprio per i crimini dei nazisti in danno di cittadino italiano deportato e costretto ai lavori forzati in imprese tedesche in sent. cass. Civ. sezioni unite numero 5044/2004 che implicitamente riconosce l'applicabilità del principio di imprescrittibilità a fatti del 1943-1945 e dunque superando il discorso della irretroattività della norma consuetudinaria di diritto internazionale che secondo l'avvocatura sarebbe risalente all'anno 1990 sent. Sez. U, Sentenza numero 5044 del 11/03/2004 - Ferrini Giangiacomo e altri contro Repubblica fed. Germania Petrillo Cassa con rinvio, App. Firenze 14 gennaio 2002 . In effetti la norma consuetudinaria internazionale si è formata ben prima della sua positivizzazione nei testi internazionali sottoscritti anche dall'Italia, e che i convenuti indicano nello Statuto della Corte penale internazionale, per cui in base al diritto internazionale consuetudinario formatosi da una coscienza post bellica e post nazista, si può affermare la piena applicazione al caso di specie del principio di imprescrittibilità dei crimini nazisti. 4 MERITO Emerge dai documenti prodotti che le odierne attrici erano le due uniche figlie di A. M., vedovo operaio minatore che stava nel turno dei minatori posti a guardia della miniera di Niccioleta, e che dunque voleva semplicemente difendere la miniera e con essa la sua fonte di lavoro, dal tentativo di minamento/distruzione dei tedeschi. L'eccidio dei 92 uomini tra cui 77 minatori di Niccioleta oltre ad alcuni veri partigiani presi dal carcere del Maschio di Volterra, è stato riportato nelle carte storiche dell'epoca e nel libro storico di Enrico Zannerini che era esso stesso un partigiano e che nacque nel 1891 dunque libro storico particolarmente attendibile sui fatti narrati e i nomi indicati. È emerso che i minatori vennero portati in un anfiteatro naturale a Castelnuovo di Val di Cecina, scelti proprio perchè inseriti nell'elenco di coloro che si misero a disposizione per guardia della miniera a seguito del rastrellamento di Niccioleta, dove poco prima si era insediato un certo numero di partigiani, che riuscirono a dileguarsi in tempo, gli anziani vennero rimandati a casa e i giovani mandati a Firenze e poi in Germania ai lavori forzati. I minatori invece tra cui l'A. M. padre delle attrici vennero uccisi a colpi di mitragliatrice. Come emerge dai documenti prodotti le attrici convivevano col padre e avevano solamente 2 e 4 anni, per cui è presumibile lo stravolgimento delle loro abitudini di vita per la perdita dell'unico genitore rimasto la loro madre era morta, infatti, nel 1941 e dopo la morte del padre vennero prese in carico dapprima da una zia materna e poi messe in istituto poi collocate nel mondo del lavoro senza alcun supporto genitoriale, con tutte le difficoltà presumibili che ciò dovette comportare. Se anche si tratta di fatti di un lontano passato, ammessa la loro imprescrittibilità, ci si deve idealmente riportare all'anno 1944 presumendo quindi che due bambine di due e quattro anni avessero ancora bisogno del padre per crescere e ne fossero anche affezionate, secondo l'id quod plerumque accidit, con conseguente presunzione di grande sofferenza morale legata alla sua perdita improvvisa e cruenta. Dunque si liquida il danno parentale nel seguente modo con tabelle milanesi aggiornate a punti da notare infatti che legittimata passiva è la Germania tenuta all'integrale risarcimento secondo la legge del diritto privato italiano e d'altra parte il recente decreto legge numero 36/2022 non detta alcun criterio diverso dalle regole ordinarie di liquidazione del danno aquiliano, per l'accesso al fondo istituito per il risarcimento dei crimini del terzo reick nemmeno limita il concetto di vittime a quello della vittima primaria, per cui dovendo escludersi il totale arbitrio liquidatorio del Giudice, appare corretto applicare le tabelle milanesi a punti che si liquidano per la tipologia di danno qui preteso devono quindi anche considerarsi vittime risarcibili le figlie della vittima primaria che persero il rapporto col padre di anni 35, quando loro erano bambine di 2 e 4 anni vd. ad es. nello stesso senso di liquidazione ai congiunti di vittima primaria deceduta trib. Bologna 1516/2022 per cui si procede alla liquidazione secondo le regole ordinarie. Basi del calcolo vittima primaria nato anni 35 alla data del 13 giugno 1944 M. G. nata anni 2 M. M. P. nata anni 4 Si liquida a ciascuna delle attrici la somma a valori attuali di euro 269.200,00 attribuendo 22 punti per età vittima primaria, 28 per età vittima secondaria, 16 punti per la convivenza, 14 punti per 1 superstite zero per lettera E per difetto di elementi istruttori specifici. Totale 80 punti x 3365,00 euro, somma a valori attuali cui va aggiunto il danno da ritardato risarcimento di un danno soggetto a mora ex re, applicando aestimatio rei e taxatio rei secondo sent. Cass. S.u. 1712/1995. Le spese seguono la soccombenza come in dispositivo e vanno poste a carico della Repubblica Federale tedesca con accesso al Fondo di cui al decreto legge 36/2022. P.Q.M. Il tribunale Con sentenza che definisce il giudizio 1. Accerta che G. M. e M.P.M. sono figlie di A. M. deceduto il , vittima di crimini contro l'umanità del Governo del Terzo Reick 2. condanna la Repubblica Federale Tedesca a corrispondere a ciascuna delle ricorrenti la somma di euro 269.200,00 da devalutare al 14.6.1944 e rivalutare via via con indici istat, calcolando a titolo di danno da ritardo, gli interessi al tasso di legge di ogni singolo anno, sulla somma via via rivalutata con gli indici istat. 3. Condanna la Repubblica Federale tedesca a rimborsare alle attrici le spese del presente giudizio che liquida in euro 22.457,00 per onorari, oltre accessori di legge, e oltre le spese vive di contributo unificato e marche, comprese quelle di asseveramento atto notificato in Germania. 4. Dichiara il diritto delle attrici all'accesso al Fondo gestito dal Ministero Economia e Finanze dello Stato Italiano, istituito con l'articolo 43 del decreto legge 36/2022 sia per capitale, che per interessi e spese legali del presente giudizio.