Canoni concessori di demanio marittimo: l'attività di gestione dello stabilimento balneare non è assimilabile a quella di ristorazione

Per la determinazione del canone, è necessario scindere le strutture permanenti dello stabilimento dalle pertinenze demaniali.

Con l'ordinanza in esame, la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla determinazione dei canoni dovuti per la concessione demaniale marittima nello specifico, la vicenda in oggetto riguarda il titolare di uno stabilimento balneare con annesso bar-ristorante, che contesta all'Agenzia del Demanio l'errata applicazione dell'articolo 1, comma 251, l. numero 296/2006, per avere assimilato le strutture permanenti dello stabilimento alle pertinenze demaniali. A detta del gestore, infatti, l'attività degli stabilimenti balneari sarebbe riconducibile al settore terziario, «concretizzandosi normalmente nell'offerta di servizi articolati e tra loro interconnessi, quali il noleggio di cabine ed attrezzature, servizi di ristoro, somministrazione di alimenti e bevande, animazione, intrattenimento, custodia di valori, sorveglianza di bambini, assistenza ai clienti ed eventuali ulteriori servizi commerciali». Il ricorso di secondo grado, tuttavia, veniva rigettato, non essendo possibile scindere ai fini della determinazione del canone, secondo i giudici, l'attività turistico-recettiva, dovendo considerarsi prevalente quella relativa allo stabilimento, qualificata come attività del settore terziario, e limitando la qualificazione di attività commerciale alla superficie adibita all'attività ristorativa. Di qui, il ricorso in Cassazione del titolare dello stabilimento, che coglie nel segno secondo i Giudici, infatti, la Corte d'Appello avrebbe errato nell'assimilare l'attività di gestione dello stabilimento balneare a quella di ristorazione, qualificandola indifferenziatamente come attività commerciale, e ritenendo riservata la destinazione ad attività terziario-direzionale «alle pertinenze demaniali che non possano considerarsi come beni strumentali all'attività concessoria». Sul punto, infatti, il Collegio ribadisce che in tema di concessioni di beni del demanio marittimo, l'articolo 1, comma 251, numero 2, l. numero 296/2006, prevedendo modalità differenziate di determinazione del canone in ragione della diversa natura delle pertinenze, «attribuisce alla specifica destinazione delle stesse, pur se relative ad attività connesse alla concessione con finalità turistico-ricreative, un rilevante valore ai fini dell'individuazione dei valori OMI cui rapportare la determinazione di parte del canone concessorio, escludendo pertanto la possibilità di omologare le pertinenze adibite ad attività di ristorazione e bar a quelle turistico-ricreative svolte dal concessionario» Cass. civ., numero 16088/2023 . Pertanto, nel caso in cui tali superfici siano adibite ad una pluralità di usi diversi, ciascuno dei quali riconducibile ad una delle categorie previste dall'articolo 1, comma 251, numero 2, l. numero 296/2006, «deve escludersi che l'individuazione dei valori locativi da utilizzare per il calcolo del canone concessorio possa avere luogo sulla base di una valutazione di prevalenza di una destinazione rispetto alle altre, dovendosi invece procedere all'individuazione della superficie adibita a ciascun uso, ed applicare alla stessa il valore locativo corrispondente alla sua destinazione, per poi determinare il canone complessivo attraverso la somma degli importi corrispondenti alle singole superfici». La parola, quindi, passa ai giudici del rinvio.

Presidente Valitutti – Relatore Mercolino Fatti di causa 1. omissis di V.F., omissis S.numero c. di V.A. convenne in giudizio l'Agenzia del Demanio e il Comune di omissis , per sentir accertare l'illegittimità dei provvedimenti di determinazione dei canoni dovuti per la concessione demaniale marittima di cui era titolare in omissis , con la condanna delle convenute alla restituzione delle somme indebitamente corrisposte. A sostegno della domanda, l'attrice dedusse l'errata applicazione dell'articolo 1, comma 251, della legge 27 dicembre 2006, numero 296, l'inapplicabilità dei valori OMI relativi alle aree commerciali e l'inesistenza di pertinenze demaniali. Si costituirono i convenuti, ed eccepirono il difetto di giurisdizione del Giudice adìto e l'infondatezza della domanda, chiedendone il rigetto. 1.1. Con sentenza del 22 settembre 2015, il Tribunale di Velletri accolse la domanda, dichiarando illegittimi i provvedimenti di determinazione del canone per il periodo 2007-2012, e condannando i convenuti alla restituzione delle somme eccedenti quelle effettivamente dovute per gli anni 2007, 2010 e 2011. 2. L'impugnazione proposta dall'Agenzia è stata dichiarata inammissibile, in quanto tardiva, dalla Corte d'appello di Roma, che con sentenza del 3 ottobre 2017 ha invece accolto quella separatamente proposta dal Comune, rigettando la domanda proposta dall'attrice. Premesso che la società attrice gestiva uno stabilimento balneare con annesso bar-ristorante, la Corte, per quanto ancora rileva in questa sede, ha escluso la possibilità di scindere, ai fini della determinazione del canone, l'attività turistico-recettiva, considerando prevalente quella relativa allo stabilimento, qualificata come attività del settore terziario, limitando la qualificazione di attività commerciale alla superficie adibita all'attività ristorativa, ed applicando i valori OMI per il settore terziario all'attività stagionale svolta dalle strutture permanenti. Rilevato infatti che l'articolo 1, comma 251, della legge numero 296 del 2006 aveva previsto la determinazione dei canoni demaniali marittimi sulla base di parametri oggettivi fissati ope legis, consistenti in valori tabellari per le aree scoperte e le opere stabili, e nei valori OMI per le attività commerciali svolte allo interno degli stabilimenti balneari, ha ritenuto che il Comune si fosse correttamente adeguato agli stessi con delibera adottata nel mese di maggio 2013, dovendo considerarsi come destinazione commerciale quella a bar-ristorante, e come destinazione a terziario quella ad uffici o a pertinenze demaniali che non costituiscano beni strumentali all'attività concessoria. 3. Avverso la predetta sentenza la omissis ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria. Il Comune ha resistito con controricorso, anch'esso illustrato con memoria. Con ordinanza interlocutoria del 7 giugno 2023, il Collegio ha disposto l'integrazione del contraddittorio nei confronti dell'Agenzia del Demanio, che non aveva ricevuto la notificazione del ricorso, pur avendo partecipato ai precedenti gradi del giudizio, ed avendo proposto appello incidentale avverso la sentenza di primo grado. Nonostante la rituale notificazione del ricorso e dell'ordinanza interlocutoria, l'intimata non ha svolto attività difensiva. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo d'impugnazione, la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata, per violazione e falsa applicazione dell'articolo 27, comma primo, lett. a , del d.lgs. 31 marzo 1998, numero 114, sostenendo che, nel ritenere applicabile tale disposizione, invocata dal Comune, la Corte territoriale non ha considerato che il richiamo della stessa non poteva costituire motivo di gravame, non avendo essa alcuna attinenza con la determinazione dei canoni demaniali marittimi. 2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce l'omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata per avere assimilato le strutture permanenti alle pertinenze demaniali, senza distinguere tra aree scoperte, aree occupate da impianti di facile rimozione, aree occupate da impianti di difficile rimozione e pertinenze, nonché, nell'ambito di queste ultime, tra quelle destinate ad attività commerciali, terziario-direzionali e di produzione di beni e servizi, come prescritto dalla legge numero 296 del 2006. Aggiunge che l'attività degli stabilimenti balneari è riconducibile al settore terziario, concretizzandosi normalmente nell'offerta di servizi articolati e tra loro interconnessi, quali il noleggio di cabine ed attrezzature, servizi di ristoro, e somministrazione di alimenti e bevande, animazione, intrattenimento, custodia di valori, sorveglianza di bambini, assistenza ai clienti ed eventuali ulteriori servizi commerciali. 3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione dell'articolo 1, commi 250 e ss., della legge numero 296 del 2006, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto applicabili i valori OMI alle attività commerciali svolte all'interno degli stabilimenti balneari, senza considerare che, ai sensi del comma 251 dell'articolo 1 cit., i predetti valori sono riferibili alle sole pertinenze destinate ad attività commerciali. Premesso che, ai fini della applicabilità di tale disposizione, è necessario che si sia verificata l'acquisizione in favore dello Stato delle opere non amovibili costruite sul demanio pubblico, a seguito della scadenza del titolo concessorio, sostiene che, avendo essa ricorrente goduto del bene demaniale fin dall'anno 2002 senza soluzione di continuità, nessuna pertinenza doveva essere considerata, trovando applicazione le tariffe relative alla destinazione a terziario, con la riduzione percentuale prevista dal punto 2.1 dell'articolo 1, comma 251 cit., calcolata sull'intera superficie commerciale. 4. I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi entrambi ad oggetto i criteri di determinazione dei canoni di concessione del demanio marittimo, sono fondati. La questione sollevata dalla ricorrente è stata già esaminata da una recente pronuncia di questa Corte, e risolta mediante l'enunciazione del principio, che il Collegio condivide ed intende ribadire anche in questa sede, secondo cui, in tema di concessioni di beni del demanio marittimo, l'articolo 1, comma 251, numero 2, della legge numero 296 del 2006, prevedendo modalità differenziate di determinazione del canone in ragione della diversa natura delle pertinenze, attribuisce alla specifica destinazione delle stesse, pur se relative ad attività connesse alla concessione con finalità turistico-ricreative, un rilevante valore ai fini dell'individuazione dei valori OMI cui rapportare la determinazione di parte del canone concessorio, escludendo pertanto la possibilità di omologare le pertinenze adibite ad attività di ristorazione e bar a quelle turistico-ricreative svolte dal concessionario cfr. Cass., Sez. I, 7/06/2023, numero 16088 . Com'è noto, infatti, l'articolo 1, comma 251 cit., nell'individuare i criteri per la determinazione dei canoni annui per le concessioni rilasciate o rinnovate con finalità turistico-ricreative di aree, pertinenze demaniali marittime e specchi acquei per i quali si applicano le disposizioni relative alle utilizzazioni del demanio marittimo, disciplina, al numero 2, quelli relativi alle concessioni comprendenti pertinenze demaniali marittime, distinguendo tra le aree ricomprese nella concessione e le pertinenze in ordine alle prime, il numero 2.2 stabilisce che per gli anni 2004-2006 si applicano le misure vigenti alla data di entrata in vigore della legge, con esclusione delle disposizioni maggiorative di cui all'articolo 32, commi 21-23, del d.l. 30 settembre 2003, numero 269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, numero 326, nonché, a decorrere dal 1° gennaio 2007, quelle previste dalla lett. b , numero 1 per le concessioni aventi ad oggetto aree e specchi acquei per le pertinenze destinate ad attività commerciali, terziario-direzionali e di produzione di beni e servizi, il numero 2.1 dispone invece che il canone è determinato moltiplicando la superficie complessiva del manufatto per la media dei valori mensili unitari minimi e massimi indicati dall'OMI per la zona di riferimento, moltiplicando il risultato per un coefficiente pari a 6,5 e riducendo l'importo annuo ottenuto di determinate percentuali, da applicare per scaglioni progressivi di superficie del manufatto. La lettera di tale disposizione, prendendo in considerazione la destinazione delle superfici pertinenziali, classificate in base alla medesima tipologia adottata per l'indicazione dei valori locativi riportati dalla Banca dati delle quotazioni immobiliari dell'OMI, senza fare alcun cenno ad un'utilizzazione principale, consente di escludere che, ove le predette superfici siano adibite ad una pluralità di usi diversi, ciascuno dei quali riconducibile ad una delle categorie da essa previste, l'individuazione dei valori locativi da utilizzare per il calcolo del canone concessorio possa aver luogo sulla base di una valutazione di prevalenza di una destinazione rispetto alle altre, dovendosi invece procedere all'individuazione della superficie adibita a ciascun uso, ed applicare alla stessa il valore locativo corrispondente alla sua destinazione, per poi determinare il canone complessivo attraverso la somma degl'importi corrispondenti alle singole superfici. Tale interpretazione, come già chiarito da questa Corte, trova conforto nell'articolo 27, comma primo, lett. a , del d.lgs. numero 114 del 1998 e nell'articolo 5 della legge 25 agosto 1991, numero 287, recanti la disciplina dell'autorizzazione per gli esercizi che svolgono attività di somministrazione di alimenti e bevande congiuntamente ad attività di svago, il cui disposto risulta univocamente rivolto a prendere in considerazione la specificità dell'attività di commercio, somministrazione di alimenti e bevande alcooliche quando essa si svolge su aree comprese nel demanio marittimo e adibite a stabilimenti balneari. Non possono quindi condividersi le conclusioni cui è pervenuta la sentenza impugnata, la quale, dopo aver dichiarato correttamente di dissentire dal criterio di calcolo adottato dal Giudice di primo grado, che pur avendo distinto tra l'attività di gestione dello stabilimento balneare e quella di ristorazione e ricondotto la prima al settore terziario e la seconda al settore commerciale, aveva applicato i valori OMI relativi al settore terziario all'attività stagionale svolta dalle strutture permanenti, è incorsa nel medesimo errore, assimilando l'attività di gestione dello stabilimento balneare a quella di ristorazione, qualificandola indifferenziatamente come attività commerciale, e ritenendo riservata la destinazione ad attività terziario-direzionale alle pertinenze demaniali che non possano considerarsi come beni strumentali all'attività concessoria. 5. Il terzo motivo è invece inammissibile, in quanto avente ad oggetto una questione che non risulta esaminata nella sentenza impugnata, e non può quindi trovare ingresso in questa sede, implicando un'indagine di fatto in ordine alla natura non pertinenziale delle opere realizzate sull'area in concessione, e non essendo stato precisato in quale fase ed in quale atto del giudizio di merito la questione sia stata sollevata cfr. Cass., Sez. VI, 13/12/2019, numero 32804 Cass., Sez. II, 24/01/2019, numero 2038 9/08/2018, numero 20694 . 6. La sentenza impugnata va pertanto cassata, in accoglimento dei primi due motivi d'impugnazione, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d'appello di Roma, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. accoglie i primi due motivi di ricorso, dichiara inammissibile il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.