Assoluzione nel merito o prescrizione: qual è il rapporto tra i due istituti?

Il giudice di appello può pronunciare l’assoluzione dell’imputato secondo la regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio anche quando è contraddittoria la prova della sua responsabilità e sia frattanto intervenuta la prescrizione del reato. Dovrà invece attenersi al principio del più probabile che non con riferimento al giudizio sull’eventuale capo civile soltanto nel caso in cui abbia ritenuto prevalente la prescrizione dell’illecito penale.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione Quarta Penale, con la sentenza numero 14893 depositata il 11 aprile 2024. Fu l'errore del medico? Questa è la domanda – niente affatto insolita – che ha animato un lungo processo per omicidio colposo che ha visto come imputato un chirurgo di un noto ospedale della Capitale. Un intervento che avrebbe dovuto risolvere la calcolosi della colecisti e del coledoco da cui era affetta una paziente, la quale purtroppo, dopo una serie di complicazioni, è deceduta. Da qui, il lungo accertamento processuale. I fatti, risalenti al 2010, venivano consacrati in una sentenza di primo grado nel 2018. In appello, la declaratoria di prescrizione del reato , alla quale era associata la conferma delle statuizioni civili. Eppure, nonostante la pronuncia di proscioglimento, l'imputato proponeva ricorso per cassazione. Scopriamo così che il giudizio di secondo grado era stato complesso tanto quanto quello di prima istanza, e che nel suo corso si era dato luogo a una perizia. Però, la Corte territoriale, con una motivazione che verrà colpita dagli strali del ricorso per cassazione, riteneva che non vi erano ragioni per pronunciare l'assoluzione dell'imputato poiché da quella perizia, disposta in sede di rinnovazione dell'istruttoria, non emergeva «…la prova incontrovertibile dell'innocenza dell'imputato». Quindi, in buona sostanza, il giudice di secondo grado riposava il proprio giudizio sulla regola del “più probabile che non” , e non su quella, di matrice penalistica dell'oltre ogni ragionevole dubbio. …il processo è da rifare Anche la Procura Generale si è associata alle censure sollevate dalla difesa dell'imputato. Ed è quanto dire esse, quindi, hanno convinto anche la parte pubblica. La Corte di Cassazione, dopo una lunga rassegna dei fatti oggetto del processo, ha accolto le censure sollevate dal ricorrente. Nella decisione che oggi vi proponiamo si osserva innanzitutto che i giudici di appello non si sono confrontati adeguatamente con le conclusioni cui pervenivano i periti. Ancora, essi non hanno fatto corretto governo delle regole proprie dell'accertamento dei fatti tipico del processo penale, e non si sono soffermati sulle censure contenute nell'atto d'appello valutandole secondo il criterio dell'oltre ogni ragionevole dubbio . Quest'ultimo, come è noto, impone l'assoluzione anche quando la prova è contraddittoria o lacunosa . Nella sentenza oggetto di gravame, invece, non vi sarebbe traccia delle ragioni che avrebbero impedito l'assoluzione nel merito. Assoluzione anche quando il reato è prescritto? Altro quesito, altra risposta positiva è possibile procedere all'assoluzione anche se il reato è prescritto e l'imputato non rinuncia alla prescrizione . Così dicono le norme processuali. Andando all'atto pratico, in una situazione del genere è ben possibile – secondo la Corte – che la prova della responsabilità penale sia anche contraddittoria o insufficiente, proprio perché in queste condizioni nel giudizio di merito va pronunciata l'assoluzione. Con riferimento alle statuizioni civili, invece, si potrà adottare il principio civilistico del “più probabile che non” soltanto laddove non vi siano stati spazi per assolvere nel merito l'imputato, e lo si sia quindi prosciolto per intervenuta prescrizione del reato. Una sentenza dalla rilevante importanza pratica Quante volte l'imputato è “costretto” a rinunciare alla prescrizione perché sa benissimo che, se non facesse così, la sentenza sarebbe al cento per cento una declaratoria di estinzione del reato e basta? Questo può lasciare indifferente chi non ha obblighi risarcitori derivanti dall'accoglimento della domanda di parte civile. Ma sappiamo benissimo che, in presenza di un capo civile che sopravvive all'estinzione del reato per prescrizione, l'imputato mantiene un interesse vivo, concreto e attuale a sentirsi assolvere nel merito. Ecco con questa sentenza la Cassazione ci dice che il giudice penale, anche se l'imputato non rinuncia alla prescrizione, è tenuto a giudicarlo secondo il criterio dell'oltre ogni ragionevole dubbio. E ad assolverlo , se possibile, anche se la prova è contraddittoria. Speriamo che questa decisione faccia scuola.

Presidente Ciampi – Relatore Serrao Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Roma, con la sentenza indicata in epigrafe, in riforma della sentenza emessa in data 11/01/2018 dal Tribunale di Roma, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di B.O. in ordine al reato ascrittogli perché estinto per intervenuta prescrizione con conferma delle statuizioni civili di condanna in favore della costituita parte civile. 2. B.O. era imputato del reato previsto dall' articolo 589 cod. penumero perché, in qualità di medico chirurgo in servizio presso l'Ospedale OMISSIS di OMISSIS , aveva effettuato una procedura di colangio-pancreatografia-retrograda-endoscopica CPRE sulla persona di Z.D., ricoverata per calcolosi della colecisti e del coledoco con ittero e, dopo aver opportunamente sospeso l'intervento per rischi correlati con le manovre che si sarebbero rese necessarie per l'asportazione completa estrazione o litotrissia , per colpa consistita in imperizia, imprudenza e negligenza nell'esercizio della professione medica, aveva omesso di posizionare un sistema di drenaggio della via biliare tipo stent o sondino naso-biliare che permettesse il deflusso della bile e di prevenire il rischio di infezione, così cagionando l'insorgere di una colangite acuta grave, foriera di uno stato settico persistente, nel cui contesto insorgevano anche i focolai bronco-pneumonici, cui conseguiva l'insufficienza respiratoria che aveva determinato il decesso della paziente. In OMISSIS il OMISSIS , decesso intervenuto il OMISSIS . 3. B.O. ha proposto ricorso per cassazione censurando la sentenza, sia agli effetti penali che agli effetti civili, con il primo motivo per inosservanza ed erronea applicazione degli articolo 546, comma 1 lett. e e 125, comma 3, cod. proc. penumero in relazione all' articolo 129, commi 1 e 2, cod. proc. penumero nonché per contraddittorietà, illogicità manifesta e omissione della motivazione in relazione all'omessa valutazione degli elementi di prova e al travisamento del fatto. La Corte di appello, pur avendo disposto ai sensi dell' articolo 603 cod. proc. penumero una perizia, in aderenza alle richieste di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale formulate dalla difesa nell'atto d'impugnazione, ha ritenuto che non emergesse dagli atti la prova incontrovertibile dell'innocenza dell'imputato, omettendo in concreto di valutare quali fossero le motivazioni ostative a un più favorevole proscioglimento nel merito rispetto alla declaratoria di prescrizione. Essendo emersa dall'elaborato peritale la prova evidente dell'innocenza dell'imputato, la Corte avrebbe dovuto, in applicazione del principio enunciato dalle Sezioni Unite con sentenza numero 35490 del 28/05/2009, concludere per l'assoluzione nel merito, comunque da privilegiare anche in caso di accertata contraddittorietà o insufficienza della prova. In ogni caso, la motivazione travisa le risultanze delle emergenze istruttorie e, condividendo le conclusioni alle quali era giunto il Tribunale, la Corte territoriale non ha fatto altro che applicare i principi e le regole di giudizio proprie dell'accertamento processuale penale, per cui si sarebbe dovuta confrontare con tali principi. La valorizzazione del principio del «più probabile che non» avrebbe dovuto essere accompagnata dalla esplicitazione delle ragioni per le quali fosse più probabile che l'imputato avesse causalmente determinato l'evento piuttosto che non ne fosse causalmente responsabile. Dal semplice raffronto tra il contenuto del provvedimento impugnato e il testo integrale della perizia emerge con chiarezza l'omessa valutazione di tale elemento di prova. Per quanto i periti fossero giunti ad escludere la responsabilità dell'imputato, nella sentenza la valutazione di tali elementi non ha trovato, neppure in senso critico, alcun riscontro, tanto da trasformarsi in un vizio di motivazione mancante. 4. All'odierna udienza, disposta la trattazione orale ai sensi degli articolo 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, numero 137 , convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, numero 176 , 16 d.l. 30 dicembre 2021, numero 228 , convertito con modificazioni dalla legge 21 maggio 2021, numero 69 , 35 , comma 1, lett. a , 94, comma 2, d.lgs. 10 ottobre 2022, numero 150, 1, comma 1, legge 30 dicembre 2022, numero 199 e 11 , comma 7, d.l. 30 dicembre 2023, numero 215 , le parti hanno rassegnato le conclusioni indicate in epigrafe. Considerato in diritto 1. Secondo quanto si evince dalla perizia espletata in grado di appello, tenendo conto della cartella clinica di pronto soccorso del 12 luglio 2010, della cartella clinica di ricovero dal 12 al 21 luglio 2010, epoca del decesso, della consulenza tecnica medico-legale del pubblico ministero, comprensiva del verbale di autopsia, di un'ulteriore consulenza tecnica medico-legale del pubblico ministero, della prova dichiarativa e delle osservazioni alle relazioni svolte in contraddittorio dai consulenti tecnici di parte, la vicenda è stata descritta nei seguenti termini. 2. Nel momento in cui D.Z. si è presentata al pronto soccorso dell'Ospedale OMISSIS di OMISSIS si trovava in condizioni che, pur non rivestendo carattere di urgenza, erano discrete, con tale aggettivo intendendosi le condizioni di una paziente che, in presenza di colestasi flusso retrogrado della bile verso il sangue per aumentata pressione a valle condizione in cui la bile non può fluire dal fegato al duodeno , presentava una condizione fisiopatologica ad alto rischio di colangite, emergenza medica pericolosa anche quoad vitam. Il 16 luglio 2010 la paziente era stata sottoposta a CPRE acronimo che indica colangio-pancreatografia-retrograda-endoscopica , che consiste in una procedura con finalità diagnostico-terapeutica di patologie delle vie biliari, del pancreas o della papilla di Vater interessata nel caso concreto dalla presenza di un grosso calcolo e che si sostanzia nell'introduzione di un endoscopio fino a raggiungere il duodeno attraverso una sottile sonda l'operatore inietta il mezzo di contrasto che consente di visualizzare per via radiologica i dotti biliare e pancreatico . L'endoscopio utilizzato per la CPRE permette di effettuare procedure che, in passato, necessitavano di un vero e proprio intervento chirurgico risolvendo, tuttavia, solo la problematica principale ad esempio la calcolosi del coledoco e quindi l'ittero quale elemento che favorisce la temuta colangite ma non la litiasi della colecisti, che dovrà essere asportata in occasione di un secondo tempo operatorio. Sul diario clinico del 16 luglio 2010 risultano effettuati alle ore 16 00 circa prelievi ematici per esami ematochimici che documentavano un aumento delle amilasi e dei globuli bianchi. Alla data del 17 luglio 2010 si registrava, pur in assenza di algie addominali e diminuzione dei valori delle amilasi, la repentina comparsa di febbre, definita dai periti come «franca iperpiressia». Alla data del 18 luglio 2010 era programmato un intervento urgente a seguito di esito positivo della manovra di Blumberg, indicativa di evoluzione peggiorativa del quadro addominale e segno di un interessamento irritativo del peritoneo. Dal diario dell'intervento, iniziato alle 18.10 e terminato alle 20 del 18 luglio, si evidenziava «colecistite acuta con notevole distensione della VBP presenza di abbondante quota di versamento endoperitoneale». Dal diario clinico del 19 luglio 2010 emergeva tra l'altro «ipoventilazione basale, maggiore a destra si pratica lavaggio del Kehr con fisiologica, il drenaggio riprende a funzionare», mentre dalla relativa diaria infermieristica risultavano condizioni generali buone. Dal diario clinico del 21 luglio 2010 si rilevava, alle ore 2 30 «dispnea moderata entità, condizioni generali stabili, febbrile circa 38 °C, torace nulla da rilevare», mentre dalla diaria infermieristica «paziente lamentosa, affannata, edematosa. Si avvisa chirurgo posizionato catetere vescicale, praticata mezza fiala di Lasix, TC 38,2 °C, torace nulla da rilevare», alle ore 7 20 «improvviso arresto cardiaco», alle ore 8 00 si constatava il decesso. 3. Le cause del decesso sono state individuate, sulla base del verbale di autopsia in una «insufficienza respiratoria terminale a focolai broncopneumonici in concomitante colangite», con la precisazione si legge a pag. 13 della perizia che la colangite è secondaria nella maggioranza dei casi a un processo ostruttivo causato dalla litiasi biliare la stenosi delle vie biliari può essere anche secondaria a tumori, a pancreatite cronica calcifica, a infestazioni parassitarle o a precedenti interventi chirurgici sulle vie biliari. La calcolosi del coledoco viene riportata come la patologia più frequentemente responsabile di colangite, sebbene negli anni più recenti le manipolazioni strumentali, a cui sono sottoposti molti pazienti con neoplasie maligne inoperabili, siano diventate causa frequente di colangite. Con riguardo al nesso causale fra l'operato del gastroenterologo B.O. e il decesso della paziente, i periti hanno premesso che la strategia terapeutica prevedeva, nel caso in esame, una propedeutica procedura diagnostico-terapeutica valida solo per la calcolosi della via biliare principale e, successivamente, la colecistectomia laparoscopica, che avrebbe trattato la residua litiasi della colecisti. La scelta diagnostico-terapeutica di eseguire la CPRE con successiva colecistectomia per via laparoscopica, in assenza di segni di una colangite, era aderente alle linee-guida dell'epoca. L'operato del dott. B.O. è consistito, dunque, nel diagnosticare mediante iniezione del mezzo di contrasto se esistessero restringimenti o calcoli nei dotti biliari o in quelli pancreatici. Terminata la fase diagnostica, quella operatoria si sarebbe dovuta alternativamente attuare mediante asportazione del calcolo o, nel caso in cui ciò non fosse stato possibile, mediante posizionamento di un piccolo drenaggio, in plastica o metallo, con lo scopo di consentire alle secrezioni di scaricarsi nel duodeno, ovvero mediante inserzione di un sondino naso-gastrico che avrebbe consentito lo scarico dei succhi biliopancreatici o se necessario la somministrazione di antibiotici o altri farmaci. Essendo rimasto infruttuoso il tentativo col «palloncino» di asportare il calcolo, nel caso concreto il dott. B.O. ha ritenuto di soprassedere dall'effettuare altre manovre. Tale scelta è stata considerata prudente in quanto proseguire con tali manovre avrebbe comportato un elevato rischio. I periti hanno spiegato, in funzione delle valutazioni conclusive, che l'incremento dell'amilasi, enzima pancreatico, è da considerare fisiologica conseguenza anche della semplice manipolazione traumatica del coledoco. Tuttavia, il dott. B.O., nell'impossibilità dell'asportazione del calcolo, avrebbe potuto, per evitare la stasi biliare e la colangite, posizionare uno stent o un sondino naso-biliare. Dagli atti risulta che tale intervento non sia stato fatto in quanto d'accordo con il chirurgo, nel frattempo allertato, si era deciso di operare la paziente al più presto al fine di effettuare l'asportazione sia del calcolo che della colecisti. Tale circostanza è stata confermata dal chirurgo che, tuttavia, ha ritenuto di soprassedere in quanto la Zivanovic presentava un alto valore dell'enzima amilasi, tale da far presupporre una pancreatite e controindicare l'atto operatorio. Nel criticare l'attendismo del chirurgo i periti si sono, poi, concentrati sull'operato del dott. B.O., da limitare a quanto avvenuto il 16 luglio 2010. Fermo restando che tutti i consulenti hanno condiviso la scelta del gastroenterologo di non insistere nel tentativo di asportare il calcolo, date le sue dimensioni, i periti, in via di principio, hanno concordato con la censura espressa dai consulenti del pubblico ministero circa il mancato posizionamento della sonda naso-biliare o dello stent con la precisazione che la sonda naso-biliare avrebbe presupposto l'anestesia generale, non praticabile in una sezione radiologica come quella in esame, onde secondo i periti l'unica alternativa sarebbe stato il posizionamento dello stent . Tuttavia, in concreto, i periti hanno escluso che il mancato posizionamento dello stent o del sondino naso-biliare rappresentasse una colpa, alla luce del programmato e imminente intervento chirurgico. Nelle specifiche condizioni, in dettaglio, secondo i periti, il non aver applicato lo stent non ha costituito una mancanza ma un ragionato e condiviso atto medico teso a impedire lo sviluppo della colangite di una via biliare già predisposta alle infezioni, trattandosi di paziente che doveva essere operata di colecistectomia. La decisione di non drenare la VBP, prescrivendo un trattamento endoscopico iterativo con posizionamento di un sondino naso-biliare o di uno stent è stata, dunque, secondo i periti, una decisione che avrebbe dovuto assumere autonomamente il chirurgo una volta deciso di non poter operare immediatamente. Sotto il profilo del giudizio controfattuale, i periti hanno evidenziato come i sintomi della colangite si fossero manifestati sin dalla sera del 16 luglio e hanno concluso di non poter stabilire se il processo infettivo si sarebbe manifestato lo stesso in caso di posizionamento di stent o di sonda naso-biliare, tanto più che, come già chiarito, le manipolazioni strumentali sono causa frequente di colangite. Le linee guida del tempo raccomandavano di posizionare un drenaggio in caso di impossibilità di asportare il calcolo ma, nel caso concreto, l'imminente intervento chirurgico avrebbe risolto il problema. 4. Tale premessa si è resa necessaria per porre in evidenza la correttezza del ricorso. Come osservato dal ricorrente, i giudici di appello hanno adottato la loro decisione senza in alcun modo confrontarsi con le conclusioni alle quali erano pervenuti i periti. Gli esiti della perizia risultano sinteticamente indicati a pag. 5 della sentenza con la seguente affermazione «la causa del decesso della povera Z.D. va identificata in una insufficienza respiratoria terminale a focolai broncopneumonici bilaterali in concomitante colangite. Quest'ultima, come hanno chiarito i periti, non è stata curata adeguatamente ed essendo divenuta settica ha determinato l'evento morte per cui si procede. Ciò posto, è innegabile che il mancato posizionamento da parte dell'imputato di un idoneo sistema di drenaggio biliare del tipo menzionato nella sintesi accusatoria, unitamente alle altre concause pure opportunamente stigmatizzate nella sentenza di primo grado, ha contribuito, secondo il criterio del «più probabile che non» o della «probabilità prevalente», a provocare la morte della paziente, costituente danno ingiusto ai sensi e per gli effetti dell' articolo 2043 c.c. ». 5. Il giudice di appello, investito dell'impugnazione da parte dell'imputato della sentenza di condanna in primo grado, e in presenza della parte civile, avrebbe dovuto in primo luogo vagliare la fondatezza dell'appello concernente la statuizione sui capi penali secondo il criterio dell'oltre ogni ragionevole dubbio e pervenire all'esito assolutorio anche nei casi nei quali la prova fosse insufficiente o contraddittoria Sez. U del 28/03/2024, Calpitano, inf. provvisoria numero 5/2024 Sez. U, numero 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244273 - 01 . Correttamente nel ricorso si è sottolineata la carente disamina dei motivi di appello laddove, da un lato, la Corte territoriale ha condiviso il ragionamento probatorio seguito dal giudice di primo grado secondo la regola di giudizio penale e, dall'altro, previa ammissione della perizia, disposta con quesiti del tutto calibrati sulla regola di giudizio dell'«oltre ogni ragionevole dubbio», ha pronunciato la causa estintiva del reato trascurando un passaggio argomentativo indispensabile, ossia l'esplicitazione delle ragioni per le quali non potesse darsi prevalenza all'assoluzione nel merito, limitandosi a valorizzare l'esclusiva incidenza del giudizio agli effetti civili. Dando prevalenza alla causa estintiva in assenza di motivazione, ha di fatto negato all'imputato appellante la disamina, nel merito, dell'atto d'impugnazione agli effetti penali. 6. In dettaglio, la motivazione risulta del tutto inidonea a dare adeguato conto, nonostante l'accurata perizia acquisita a seguito di rinnovazione istruttoria ai sensi dell' articolo 603 cod. proc. penumero , del giudizio esplicativo e controfattuale che è alla base del nesso di causa tra la condotta omissiva ascritta all'imputato e l'evento letale. 6.1. In tale contesto, vale la pena di rammentare che la giurisprudenza della Corte di legittimità ha ripetutamente affermato che, in punto di nesso di causa, occorre distinguere il ragionamento esplicativo dal ragionamento controfattuale. Il ragionamento esplicativo tenta di spiegare le cause di un accadimento e di individuare i fattori che lo hanno generato sulla base di giudizi causali retti da leggi scientifiche che esprimano una certa correlazione causale tra una categoria di condizioni e una categoria di eventi realmente verificatisi nell'ambito del ragionamento esplicativo, il sapere scientifico può fornire con ragionevole approssimazione la spiegazione di un determinato evento effettivamente verificatosi quale effetto di un determinato fattore eziologico. Il giudice, con riguardo al ragionamento esplicativo, valuta con rigore le prove per stabilire se esse corroborino l'ipotesi accusatoria circa la relazione tra una determinata condotta umana e l'evento verificatosi alla luce di una legge naturale, ove disponibile, o alla luce di regolarità statistiche o di generalizzazioni probabilistiche, secondo un significato frequentista, fornite dagli studi del settore di riferimento. Il giudizio controfattuale giudizio implicativo trova il suo terreno di elezione nel ragionamento causale in tema di reato omissivo, ma non si tratta di un ambito esclusivo in quanto tale iter logico viene seguito anche in caso di reati commissivi ancorché non si renda necessario esprimerlo nella motivazione. Si tratta di un ragionamento che implica un ulteriore tipo di indagine, avente ad oggetto la prognosi postuma di cosa sarebbe accaduto ove la condotta omessa fosse stata posta in essere. La valutazione processuale del ruolo salvifico della condotta omessa non può che culminare in un giudizio ipotetico, con l'avvertenza che si tratta di un giudizio ipotetico che si svolge alla luce del «paradigma indiziario» disponibile Sez. 4, numero 43786 del 17/09/2010, Cozzini, in motiv. . In tal caso, al giudice si impone una puntuale analisi delle particolarità del caso concreto, che potrà condurre a un giudizio di elevata credibilità logica, indipendente da rigide quantificazioni statistiche, strettamente correlato alle caratteristiche del caso concreto sulla base di un ragionamento probatorio non incerto. In sostanza, ciò che si impone di verificare nel giudizio controfattuale è l'elevata credibilità logica dell'efficacia salvifica della condotta alternativa corretta con l'obiettivo di raggiungere una certezza processuale che sia frutto dell'elaborazione, da parte del giudice, delle evidenze disponibili Sez. 4, numero 16843 del 24/02/2021, Suarez, Rv. 281074 Sez. 4, numero 29889 del 05/04/2013, De Florentis, Rv. 257073 Sez. 4, numero 18573 del 14/02/2013, Meloni, Rv. 256338 . 6.2. Alla luce di quanto appena indicato, il ricorso ha evidenziato l'apodittica affermazione del nesso di causa tra la condotta omissiva dell'imputato e l'evento priva di adeguato confronto con le evidenze disponibili, puntualmente richiamate dai periti ma non adeguatamente valutate dal giudice di merito. 7. Conclusivamente, la sentenza deve essere annullata con rinvio, per nuovo giudizio, ad altra sezione della Corte di Appello di Roma. I poteri cognitivi del giudice di appello penale, ai fini del proscioglimento nel merito agli effetti penali anche in presenza di prescrizione del reato non rinunciata, sono stati riconosciuti dalle Sezioni Unite nella sentenza Tettamanti in ossequio alla normativa di principio nazionale e sovranazionale. Va, sul punto, precisato che a tale pronuncia consegue che l'illegittima negazione del giudizio di appello «a cognizione piena» possa determinare da parte della Corte di Cassazione l'annullamento con rinvio al giudice penale della sentenza che abbia dichiarato la prescrizione, ove censurata dall'imputato che abbia interesse a ottenere il proscioglimento nel merito Sez. 2, numero 8327 del 24/11/2021, dep.2022, Salvatore, Rv. 282815 - 01 Sez. 5, numero 46780 del 20/09/2021, Nobile, Rv. 282380 - 01 . Va, altresì, chiarito che è estraneo al tema in esame il caso, esaminato dalle Sezioni Unite nella sentenza Sciortino Sez. U, numero 40109 del 18/07/2013, Rv. 256087 - 01 , nel quale la sentenza di appello declaratoria della intervenuta prescrizione del reato sia stata impugnata dall'imputato per omessa motivazione in ordine alla responsabilità ai fini delle statuizioni civili secondo quanto si legge nella motivazione di tale sentenza, il tema affrontato era l'individuazione del giudice del rinvio in caso di vizi della motivazione sulla responsabilità civile in presenza di declaratoria di prescrizione del reato e non il diverso tema dell'impugnazione della declaratoria di prescrizione par. 8, pag. 10 con particolare riferimento alla distinzione tra casi nei quali l'imputato si dolga della statuizione sui capi penali dai casi nei quali tale statuizione non sia stata censurata . Il giudice del rinvio si atterrà, dunque, al seguente principio «Nel giudizio di appello promosso avverso la sentenza di condanna dell'imputato anche al risarcimento dei danni, il giudice, intervenuta nelle more l'estinzione del reato per prescrizione, può pronunciare l'assoluzione nel merito, anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, sulla base della regola di giudizio processual-penalistica dell' oltre ogni ragionevole dubbio e, solo qualora ritenga la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione prevalente, si pronuncerà sulle statuizioni civili secondo la regola processual-civilistica dei più probabile che non ». P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Roma.