Oggetto della causa in esame è il rigetto da parte del giudice delegato al fallimento della domanda di rivendica presentata dalla moglie del fallito, la quale aveva sostenuto di essere proprietaria del 50% della proprietà degli immobili acquisiti all’attivo del fallimento, rientranti nella comunione legale degli acquisti dei coniugi ovvero, in subordine, perché ne aveva acquisito la proprietà per usucapione.
Anche il Tribunale di Matera rigetta l'opposizione della donna, ritenendo che il terreno acquistato dal fallito, in costanza di matrimonio con l'opponente ma per l'esercizio dell'impresa, rientrasse nella comunione de residuo e non ricadesse nel regime di comunione legale. Il caso in questione arriva nuovamente in Cassazione, post riassunzione della lite, dove la moglie del fallito sostiene che il disposto dell'articolo 2941, numero 1, c.c., preordinato a impedire l'acquisto per usucapione al fine di conseguire il risultato vietato dall'articolo 781 c.c., non sarebbe più applicabile, a suo dire, «una volta che questo divieto è venuto meno, essendo preferibile valorizzare le posizioni individuali dei membri della famiglia». La doglianza è infondata. L'articolo 1165 c.c. stabilisce che «le disposizioni generali sulla prescrizione, quelle relative alle cause di sospensione e d'interruzione e al computo dei termini si osservano, in quanto applicabili, rispetto all'usucapione». L'articolo 2941 c.c. prevede che «la prescrizione rimane sospesa 1 tra i coniugi». Il combinato di entrambe le norme evidenzia come non sia possibile «la maturazione dei termini utili all'usucapione da parte di un coniuge su un bene appartenente all'altro coniuge in costanza di matrimonio, come ha correttamente ritenuto il giudice di merito». Pertanto, ne consegue il rigetto del ricorso in oggetto e la condanna della ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione.
Presidente Cristiano – Relatore Pazzi Rilevato che 1. Il giudice delegato al fallimento di L.M. rigettava la domanda di rivendica presentata da B.L.E., moglie del fallito, la quale aveva sostenuto di essere proprietaria del 50% della proprietà degli immobili acquisiti all'attivo del fallimento che consistevano in un terreno comprato da L.M. dopo il matrimonio su cui questi aveva realizzato un capannone per l'esercizio dell'impresa nonché, a dire della rivendicante, la casa di abitazione , perché gli stessi rientravano nella comunione legale degli acquisti dei coniugi ovvero, in subordine, perché ne aveva acquisito la proprietà per usucapione. 2. Il Tribunale di Matera rigettava l'opposizione proposta dalla B.L.E., ritenendo che il terreno acquistato dal fallito, in costanza di matrimonio con l'opponente ma per l'esercizio dell'impresa, rientrasse nella comunione de residuo e non ricadesse nel regime di comunione legale. Questa Corte con ordinanza numero 28838/2017 rigettava il ricorso proposto avverso questa decisione cassava, tuttavia, il decreto impugnato in accoglimento della doglianza con cui la B.L.E. aveva lamentato l'omessa pronuncia sulla domanda di usucapione proposta in via subordinata con l'opposizione. 3. Il Tribunale di Matera, a seguito della riassunzione della lite, preso atto che la B.L.E., con l'opposizione, aveva chiesto che fosse riconosciuta l'usucapione in suo favore della metà dei beni immobili acquisiti al fallimento, per averli posseduti uti domina ed unitamente al marito poi dichiarato fallito, osservava che in costanza di matrimonio nessun termine utile all'usucapione può decorrere fra i coniugi, ai sensi del combinato disposto degli articolo 1165 e 2941, numero 1, cod. civ., per cui l'opponente non poteva vantare alcun diritto reale sui beni acquisiti all'attivo del fallimento. Rigettava, pertanto, l'opposizione, condannando la B.L.E. al pagamento delle spese del giudizio di riassunzione e di quello di legittimità. 3. B.L.E. ha proposto ricorso per la cassazione di questo decreto, pubblicato in data 3 maggio 2018, prospettando due motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il fallimento di L.M La procedura controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell'articolo 380-bis.1 cod. proc. civ Considerato che 4. Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell'articolo 360, comma 1, numero 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli articolo 1165 e 2941 cod. civ. il disposto dell'articolo 2941, numero 1, cod. civ., preordinato a impedire l'acquisto per usucapione al fine di conseguire il risultato vietato dall'articolo 781 cod. civ., non sarebbe più applicabile – a dire del ricorrente - una volta che questo divieto è venuto meno, essendo preferibile valorizzare le posizioni individuali dei membri della famiglia. 5. Il motivo non è fondato. L'articolo 1165 cod. civ. stabilisce che “le disposizioni generali sulla prescrizione, quelle relative alle cause di sospensione e d'interruzione e al computo dei termini si osservano, in quanto applicabili, rispetto all'usucapione”. L'articolo 2941 cod. civ. prevede che “la prescrizione rimane sospesa 1 tra i coniugi”. Il combinato disposto delle due norme rende evidente che non è possibile la maturazione dei termini utili all'usucapione da parte di un coniuge su un bene appartenente all'altro coniuge in costanza di matrimonio, come ha correttamente ritenuto il giudice di merito. Si deve poi escludere che la norma abbia perso la sua funzione e sia rimasta implicitamente abrogata a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'articolo 781 cod. civ., concernente il divieto di donazioni fra coniugi, ad opera della sentenza della Corte Costituzionale numero 91 del 27 giugno 1973. Prova ne è il fatto che l'articolo 1, comma 18, l. 76/2016 ha introdotto un analogo divieto in materia di regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze, laddove prevede che “la prescrizione rimane sospesa tra le parti dell'unione civile”. La riproposizione della medesima regola dimostra come il legislatore abbia ritenuto che il maturare dei termini utili alla prescrizione – e all'usucapione, in virtù del rinvio operato dall'articolo 1165 cod. civ. - sia contrario allo spirito di armonia che caratterizza l'unione coniugale o civile. 6. Il secondo motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell'articolo 360, comma 1, numero 3, cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione dell'articolo 91 cod. proc. civ. in relazione alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità, che il giudice di rinvio ha posto a carico della B.L.E. per intero malgrado la stessa avesse visto accolto dalla Corte di legittimità uno dei due motivi proposti. 7. Il motivo non è fondato. Invero, in ipotesi di cassazione della sentenza impugnata, il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, deve attenersi al principio della soccombenza applicato all'esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio e al loro risultato, con la conseguenza che la parte vittoriosa nel giudizio di cassazione, e tuttavia soccombente in rapporto all'esito finale della lite, può essere legittimamente condannata al rimborso delle spese in favore dell'altra parte anche per il grado di cassazione Cass. 2634/2007 nello stesso senso Cass. 19345/2014, Cass. 14619/2010 . Il giudice di merito, facendo applicazione di questi principi, ha correttamente considerato l'esito complessivo della lite, conclusasi con il rigetto dell'opposizione, al fine di individuare la B.L.E. quale parte soccombente, addossandole, di conseguenza, anche le spese del giudizio di legittimità. 8. In forza delle ragioni sopra illustrate il ricorso deve essere respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 3.200, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, nel testo introdotto dall'articolo 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, numero 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.