Non paga alcune rate del corso di estetista: salvata dalla Cassazione

Non paga 8 rate su 12 di un corso di formazione professionale per l’acquisizione della qualifica di estetista e viene portata in giudizio davanti al Giudice di Pace di Tricase, per ottenerne la condanna al pagamento della somma residua.

Eccependo la vessatorietà delle clausole inserite nel contratto , ed in particolare di quelle che consentivano il recesso ad libitum alla controparte, ma non alla ricorrente, e che comunque prevedevano l'obbligo di pagare le rate residue a prescindere dalla causa del recesso, il giudice respingeva la domanda della s.r.l. Il Tribunale di Lecce, adito in appello dalla società, ha escluso, invece, che la protagonista della vicenda in esame potesse avere agito in qualità di consumatore, ed ha altresì escluso la vessatorietà delle clausole e la rilevanza dell'impedimento ai fini della risoluzione del contratto o comunque della impossibilità della prestazione. Il caso arriva in Cassazione dove viene sottolineato come la ricorrente non abbia stipulato il contratto nell'esercizio della sua professione, o per scopi inerenti all'attività professionale svolta. Lo ha stipulato «allo scopo di acquisire una professione ossia di diventare professionista in futuro in quel momento non lo era». La circostanza è pacifica ed è ammessa dallo stesso giudice di merito, il quale ha assunto che la ricorrente non ha agito per «esigenze estranee all'attività lavorativa, benché potenziale». Anche in tal caso l'errore è evidente « è professionista chi, nel momento in cui stipula, esercita la professione ed agisce per finalità a questa inerenti . Non si può ritenere professionista, e dunque non consumatore, chiunque aspiri ad una professione, che in quel momento, tuttavia, non ha ancora». Infatti, l' articolo 3 d.lgs. numero 206/2005 definisce il consumatore «come la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale o commerciale eventualmente svolta . La ricorrente non svolgeva in quel momento alcuna attività imprenditoriale o commerciale o professionale, semmai mirava ad acquisirla in futuro». Pertanto, ne consegue l'accoglimento del ricorso in questione.

Presidente Scarano – Relatore Cricenti Svolgimento del processo 1. F.L. ha sottoscritto un contratto con la società OMISSIS srl, con cui quest'ultima si è impegnata a predisporre un corso di formazione professionale per l'acquisizione della qualifica di estetista. Per contro, la F.L. si è impegnata al pagamento del corso in dodici rate. 2. Non essendo state corrisposte otto di tali dodici rate, la OMISSIS srl ha convenuto la F.L. davanti al Giudice di Pace di Tricase, per ottenerne la condanna al pagamento della somma residua. In quel giudizio la F.L. si è difesa eccependo la vessatorietà delle clausole inserite nel contratto, ed in particolare di quelle che consentivano il recesso ad libitum alla controparte, ma non a lei, e che comunque prevedevano l'obbligo di pagare le rate residue a prescindere dalla causa del recesso clausole non sottoscritte specificamente, ma in blocco. Inoltre, ha eccepito la impossibilità sopravvenuta di fruire della prestazione, essendo emersa l'esigenza di accudire il figlio. 3. Il Giudice di Pace ha respinto la domanda della società, ritenendo fondate le predette eccezioni. Invece, il Tribunale di Lecce, adito in appello dalla società, ha escluso che la F.L. possa avere agito in qualità di consumatore, ed ha altresì escluso la vessatorietà delle clausole e la rilevanza dell'impedimento ai fini della risoluzione del contratto o comunque della impossibilità della prestazione. 4. Ricorre qui la F.L. con cinque motivi. L'intimata non si è costituita. Motivi della decisione 5. Il primo motivo prospetta violazione degli articoli 112 e 323 , 324 c.p.c. La questione è la seguente. La ricorrente, in appello, aveva eccepito che ad impugnare era stata una società diversa da quella che aveva agito in primo grado quest'ultima era la OMISSIS srl, il cui rappresentante legale era M.R., mentre a proporre appello era stata la OMISSIS srl il cui rappresentante legale era C.T A questa eccezione il Tribunale ha replicato che, trattandosi di questione relativa alla legittimazione attiva, andava svolta sin dal primo grado, e non in appello, dove doveva ritenersi tardiva. La ricorrente fa notare che non si tratta di questione di legittimazione attiva, bensì di legittimazione ad impugnare. Il motivo è fondato. Chiaramente, e viene riportato il contenuto dell'eccezione, la ricorrente non aveva posto una questione di legittimazione attiva, ossia di coincidenza tra chi agiva e chi si affermava titolare del diritto, ma aveva posto una questione di legittimazione ad impugnare, ossia di coincidenza tra chi aveva agito in primo grado e chi aveva poi proposto appello eccezione che non poteva che essere fatta in secondo grado, poiché lì si era verificato il vizio. E' del tutto chiara la differenza può impugnare solo lo stesso soggetto che ha agito o resistito in primo grado e non un soggetto diverso, e questa questione non ha alcunché a che vedere con la legittimazione attiva, che, si ripete, consiste nella coincidenza tra chi agisce e chi si afferma titolare del diritto. Il giudice di merito ha chiaramente confuso la legittimazione attiva con la legittimazione ad impugnare. Non era fatta questione della prima ma della seconda. Inoltre, ha anche errato, a tutto concedere, nel ritenere soggetta a preclusioni la quesitone della legittimazione attiva, che, invece, riguardando la regolarità del contraddittorio e risolvendosi in un errore in procedendo, è rilevabile d'ufficio Cass. 7776/ 2017 va ricordato che altro è la legittimazione attiva, ossia la coincidenza tra chi agisce e chi si afferma titolare del diritto, altro la effettiva titolarità di quest'ultimo, che invece attiene al merito, e la cui allegazione e contestazione rientra nel potere dispositivo delle parti. L'accoglimento di questo motivo comporta la necessità che il giudice esamini la questione nei suoi corretti termini, che sono quelli sopra indicati. 7. Il secondo motivo prospetta violazione dell' articolo 3 D.lvo 206 del 2005 . La tesi è la seguente. Il giudice di merito ha escluso che la F.L. abbia agito in qualità di consumatore ciò sul presupposto che il contratto sarebbe stato stipulato per esigenze di tipo professionale, da un soggetto che, sebbene non fosse ancora professionista, mirava tuttavia a diventarlo. La ricorrente contesta questa ricostruzione obiettando che nel momento in cui il contratto è stato stipulato lei non aveva una professione e non ha dunque agito in qualità di professionista, ma di consumatrice. Il motivo è fondato. La ricorrente non ha stipulato il contratto nell'esercizio della sua professione, o per scopi inerenti all'attività professionale svolta. Lo ha stipulato allo scopo di acquisire una professione ossia di diventare professionista in futuro in quel momento non lo era. La circostanza è pacifica ed è ammessa dallo stesso giudice di merito il quale ha assunto che la F.L. non ha agito per “esigenze estranee all'attività lavorativa, benché potenziale”. Anche in tal caso l'errore è evidente è professionista chi, nel momento in cui stipula, esercita la professione ed agisce per finalità a questa inerenti. Non si può ritenere professionista, e dunque non consumatore, chiunque aspiri ad una professione, che in quel momento tuttavia non ha ancora. L' articolo 3 D.lvo numero 206 del 2005 definisce il consumatore come la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale o commerciale eventualmente svolta. La ricorrente non svolgeva in quel momento alcuna attività imprenditoriale o commerciale o professionale, semmai mirava ad acquisirla in futuro. 8.-Il terzo motivo prospetta violazione dell'articolo 33 l. 206 del 2005 e dell' articolo 1341 c.c. La ricorrente aveva eccepito che nel contratto erano inserite clausole vessatorie che creavano squilibrio contrattuale recesso ad libitum di una sola parte, diritto di quest'ultima di incamerare tutta la somma a prescindere dalla causa dello scioglimento del rapporto ecc. e che dunque andavano sottoscritte specificamente. Il Tribunale ha risposto che era, si, vero che la sottoscrizione era avvenuta in blocco, e che tale formalità di approvazione delle clausole era illegittima poiché impediva al sottoscrittore una conoscenza chiara delle singole clausole, ma ne aveva ricavato che, data allora l'inefficacia “delle previsioni sub. 4”, “le vicende contrattuali risultano assoggettate unicamente alla normativa civilistica”. La ricorrente obietta l'incomprensibilità di tale asserzione ed eccepisce che si trattava di clausole vessatorie vere e proprie. Il motivo è fondato. Non è dato capire cosa significhi che, essendo le clausole inefficaci, al contratto si applica la disciplina civilista. La motivazione è del tutto incomprensibile, non riesce a dare conto della decisione assunta quali norme civilistiche si applicherebbero e perché esse importano la conseguenza della efficacia del contratto. La natura vessatoria delle clausole, se riconosciuta, come pare che sia stato da parte del giudice di merito altrimenti non avrebbe posto la questione della mancata sottoscrizione specifica importa inefficacia della clausola se non espressamente approvata. Ma del resto, dire che si applica la disciplina del codice civile, da un lato, non significa alcunché quale disciplina? , dall'altro lato, quella disciplina dovrebbe di conseguenza essere quella posta dall' articolo 1341 c.c. La motivazione dell'impugnata sentenza risulta sul punto invero meramente intrinsecamente ed irredimibilmente illogica, e pertanto meramente apparente e quindi inesistente. 9. Gli altri motivi rimangono assorbiti dall'accoglimento dei primi tre, cui consegue la cassazione in relazione dell'impugnata sentenza con rinvio al Tribunale di Lecce, che in diversa composizione procederà a nuovo esame e provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie i primi tre motivi di ricorso, dichiara assorbiti gli altri. Cassa in relazione la decisione impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Lecce, in diversa composizione.