Ancora una volta la Corte Costituzionale è chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale del Jobs Act. In tal caso viene in considerazione lo spartiacque del 7 marzo 2015 che cristallizza le discipline applicabili alla data di entrata in vigore della riforma. Più che il tema dell’adeguatezza rimediale qui viene in considerazione quello del diritto intertemporale e della conservazione della tutela reintegratoria per i lavoratori che ne beneficiavano prima dell’avvento della nuova disciplina.
La questione Nell'ambito di un giudizio di impugnazione di un licenziamento individuale intimato ad un lavoratore, già in servizio alla data del 7 marzo 2015 e impiegato in un'impresa che ha superato i requisiti occupazionali per l'applicazione della tutela ex articolo 18 Stat. lav. successivamente a tale data, il Giudice del Lavoro di Lecce solleva questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 3, d.lgs. numero 23/2015. Il giudice rimettente ritiene che la citata disposizione contrasti con gli articolo 76 e 77, primo comma, Cost., con riferimento alla violazione, da parte del legislatore delegato, del criterio di delega di cui all'articolo 1, comma 7, lett. c , della l. numero 183/2014, giacché il decreto legislativo avrebbe solo potuto prevedere una disciplina «per le nuove assunzioni» e non per i rapporti di lavoro già sorti alla data di entrata in vigore della riforma. Per tale ragione, sostiene il giudice rimettente, l'applicazione della riforma anche agli assunti prima del 7 marzo 2015, nel caso di superamento dei requisiti dimensionali dopo tale data, è estranea letteralmente, sistematicamente e teleologicamente alla fattispecie disegnata dal legislatore delegante. La questione è ritenuta non fondata dalla Corte costituzionale. I requisiti dimensionali nella disciplina del licenziamento La Corte ricostruisce l'evoluzione della disciplina che ha considerato la dimensione occupazionale dell'impresa e delle singole unità produttive ai fini della determinazione della disciplina applicabile in tema di limitazione del potere di licenziamento. Vengono ricordate le soglie introdotte dall'articolo 11 della l. numero 604/1966, dall'articolo 35 della l. numero 300/1970 – con la conseguente creazione del binomio «reintegrazione/indennità» - dalla l. numero 108/1990 e infine la autonoma soglia di 15 complessivi dipendenti adottata dalla l. 223/1991. Il punto d'approdo è che le riforme del 2012 e del 2015 hanno lasciato inalterate le soglie dimensionali previste dalla legislazione più risalente. Continuano quindi a rilevare la disciplina della l. numero 108/1990 per i licenziamenti individuali e quella della l. numero 223/1991 per i licenziamenti collettivi. Il doppio binario sintonia con lo scopo della riforma e «non regresso» delle condizioni La Corte rileva che effettivamente la situazione dei lavoratori, assunti prima del 7 marzo 2015, da imprese che superano i requisiti dimensionali dell'articolo 18 Stat. lav. dopo tale data è peculiare. Infatti, «solo per tali prestatori di lavoro la decorrenza temporale di applicazione del d.lgs. numero 23 del 2015 dipende non già dalla data di assunzione, che anzi è antecedente, bensì dalla decisione datoriale di incrementare l'organico in epoca successiva al 7 marzo 2015». Ciononostante, la scelta del legislatore delegato viene ritenuta coerente con lo scopo della riforma, individuato dalla legge delega. La Corte ricostruisce che la finalità dell'intervento riformatore, nella logica di politica economica del legislatore delegante, era quella di promuovere l'incremento dell'occupazione a tempo indeterminato, rafforzando le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro e rimuovendo le rigidità normative che si ritenevano alla base della preferenza per il ricorso a forme di lavoro precario. La via prescelta per il perseguimento di tale obiettivo è stata quella di una ulteriore riduzione dell'ambito di applicazione della tutela reintegratoria, prefigurata sulla base di un criterio compromissorio rappresentato dall'equilibrio politico raggiunto in Parlamento l'applicazione del nuovo regime soltanto alle «nuove assunzioni». Ciò ha comportato che la data di entrata in vigore del d.lgs. numero 23/2015, il 7 marzo 2015, è diventata lo «spartiacque» per l'applicazione dei regimi di tutela. La Corte ricorda di aver già confermato la legittimità costituzionale di tale scelta normativa, da ultimo con la sentenza numero 7/2024 pubblicata in questa Rivista, 29.1.2024, con mio commento in tema di applicazione dei diversi regimi di tutela per i licenziamenti collettivi. Il punto cruciale dell'equilibrio raggiunto per la limitazione dell'area della tutela reintegratoria è, secondo la Corte, «che i lavoratori già in servizio, i quali versassero nelle condizioni per beneficiare della tutela reintegratoria, l'avrebbero conservata inalterata». Per i nuovi assunti, invece, non ci sarebbe stata nessuna modifica in peius dal momento che il rapporto si sarebbe instaurato ab initio con il nuovo regime. Il bilanciamento voluto dal legislatore delegante, pertanto, è rappresentato dalla non regressione della tutela reintegratoria per chi già ne beneficiasse. Allora, è coerente con i criteri di delega la previsione dell'applicazione del d.lgs. numero 23/2015 nel caso di posteriore superamento dei requisiti dimensionali. Ciò perché per i lavoratori impiegati in piccole aziende «non esisteva un regime di tutela reintegratoria ex articolo 18 da conservare». La Corte ritiene che nella logica del legislatore delegante «la prospettiva che, superata la soglia dei quindici dipendenti nell'unità produttiva, la disciplina dei licenziamenti individuali fosse la stessa quella del decreto legislativo per tutti i suoi dipendenti – sia neoassunti, sia già in servizio – rappresentava uno stimolo o il venir meno di un freno a crescere nella dimensione aziendale». La residualità dell'articolo 18 Stat. lav. e la riduzione delle differenze fra i regimi di tutela In chiusura, la Corte dà spazio a due ordini di considerazioni che rafforzano la conclusione già raggiunta. La prima è che la disciplina delle tutele crescenti è ormai quella ordinaria, il cui ambito di applicazione è destinato con il tempo ad esaurire quello dell'articolo 18 Stat. lav. man mano che aumentano le nuove assunzioni e avvengono “i pensionamenti”. Ciò avvalora la conformità con la legge di delega della scelta di far confluire nel regime a tutele crescenti, che è quello ordinario, i lavoratori dipendenti da aziende che superano il requisito dimensionale dopo la data «spartiacque». La seconda è la constatazione della riduzione progressiva dello scarto fra il regime ex articolo 18 Stat. lav. e quello ex d.lgs. numero 23/2015. Fra le sentenze della Corte costituzionale intervenute sul d.lgs. numero 23/2015, la Corte menziona solo la prima la numero 194/2018 , che ha comportato il venire meno dell'automatismo di calcolo dell'indennizzo originariamente previsto.