Il mancato rispetto delle distanze legittima l’arretramento dell’ascensore installato in area privata

L’installazione di un ascensore richiede il rispetto delle distanze di cui agli articolo 873 e 907 c.c. nell'ipotesi in cui tra le opere da realizzare e i fabbricati alieni non sia interposto alcuno spazio o alcuna area di proprietà o di uso comune. Ne consegue che il rispetto dell’articolo 907 c.c. deve essere assicurato al di fuori dell’àmbito condominiale.

Il caso Tizia, proprietaria di un appartamento posto al piano terra e di alcuni locali commerciali, conveniva in giudizio i precedenti proprietari. Parte attrice evidenziava che i predetti immobili godevano di una servitù di passaggio attraverso il portone e l'androne del fabbricato, rimasti in proprietà delle convenute quest'ultime, però, avevano realizzato un ascensore , così riducendo la luce d'ingresso libera “da 2,45 m. a 1,15 m.”, rendendo più difficoltoso l'esercizio della servitù. Dunque, l'attrice sosteneva che l'opera era stata realizzata in violazione della distanza legale fra gli immobili posti al piano terra e costituiva una innovazione non legittima. Costituendosi in giudizio, parte convenuta precisava che l'opera, autorizzata tramite scrittura privata, era diretta all' abbattimento delle barriere architettoniche ex articolo 3 della l. numero 13/1989 , con esonero dal rispetto delle distanze legali. Ad ogni modo, non poteva trattarsi di innovazione afferente all'uso del bene comune, in quanto l'ascensore insisteva sulla proprietà esclusiva delle convenute e non nello spazio comune. Nel giudizio di primo grado, in accoglimento della domanda, il giudice condannava le convenute all'arretramento dell'opera fino al rispetto delle distanze legali. La Corte territoriale confermava il provvedimento e, in particolare, il ragionamento secondo cui l'ascensore non rispondeva ad esigenze di abbattimento delle barriere architettoniche, sia da un punto di vista “procedurale-amministrativo”, mancava l'attestazione dell'handicap , che avuto riguardo alla “oggettività tecnica”. Le contestazioni Avverso tale provvedimento, parte resistente proponeva ricorso in Cassazione eccependo che i comproprietari dell'ascensore, avuto riguardo ai titoli di acquisto erano i condomini. Ciò emergeva dalle stesse difese del condominio, dal libretto matricola dell' ascensore e dalla ripartizione condominiale delle spese d'installazione e dei consumi per l'uso . Inoltre, veniva contestata l'erroneità della pronuncia di merito per avere negato la sussistenza dello scopo di abbattimento delle barriere architettoniche , nonostante l'esclusione della normativa del rispetto delle distanze di cui agli articolo 873 e 907 c.c. Inoltre, la Corte locale non aveva tenuto conto del fatto che le caratteristiche previste dall' articolo 3 della l. numero 13/1989 non potevano essere rispettate, trattandosi di un intervento su un fabbricato preesistente e non di nuova costruzione o ristrutturazione . Premesso ciò, al fine di una maggiore comprensione della vicenda, i giudici di legittimità hanno distinto le ipotesi di installazione dell'ascensore. Installazione di ascensore in area condominiale In argomento, giova ricordare che al fine di eliminare le barriere architettoniche , l'installazione di un ascensore da parte di un condomino in area comunale rientra nei poteri spettanti ai singoli condomini ai sensi dell' articolo 1102 c.c. senza che, ove siano rispettati i limiti di uso delle cose comuni stabiliti da tale norma, rilevi, la disciplina dettata dall' articolo 907 c.c. sulla distanza delle costruzioni dalle vedute, neppure per effetto del richiamo ad essa operato nell' articolo 3, comma 2, l. numero 13/1989 , non trovando detta disposizione applicazione in àmbito condominiale Cass. civ., sez. II, 3 agosto 2012, numero 14096 . Installazione di ascensore in area privata Premesso ciò, nel caso in esame, correttamente il condominio aveva negato la propria legittimazione passiva, stante che l'opera era stata realizzata sulla proprietà esclusiva. Oltre a ciò, nel caso di specie, il CTU aveva accertato la non idoneità dell'ascensore allo scopo di abbattere le barriere architettoniche per assenza di certificazione di conformità e perché privo dei requisiti dimensionali e tecnologici necessari . Per meglio dire, a prescindere dall'assenza dei requisiti presupposti dell'handicap e prescrizioni tecniche , a seguito dell'istruttoria di causa, non sussisteva alcuno spazio comune condominiale tra l'ascensore e l'immobile, né, tantomeno, la struttura insisteva su area condominiale. Di conseguenza trovava piena applicazione l' articolo 907 c.c. distanza delle costruzioni dalle vedute . Difatti, l' articolo 3, comma 2, della l. numero 13/1989 dispone che è fatto salvo l'obbligo di rispetto delle distanze di cui agli articoli 873 e 907 del Codice civile nell'ipotesi in cui tra le opere da realizzare e i fabbricati alieni non sia interposto alcuno spazio o alcuna area di proprietà o di uso comune. Quindi, secondo il ragionamento innanzi esposto, «il rispetto dell' articolo 907 c.c. deve essere assicurato al di fuori dell'àmbito condominiale». In conclusione , il ricorso è stato rigettato e, per l'effetto, è stato confermato il provvedimento di merito.

Presidente Orilia – Relatore Grasso Osserva 1. A.D.B.G. convenne in giudizio M.F. e M.M.R., nonché il Condominio omissis . L'attrice, esponendo di - avere acquistato dalle M. l'appartamento posto al piano terra in via omissis , la bottega sita in via OMISSIS e quella sita in via omissis , allo scopo di ampliare i locali adibiti a pizzeria, della quale era titolare - che i predetti immobili godevano di una servitù di passaggio attraverso il portone e l'androne del fabbricato, rimasti in proprietà delle convenute - che queste avevano realizzato un ascensore, così riducendo la luce d'ingresso libera da 2,45 m. a 1,15 m., rendendo più difficoltoso l'esercizio della servitù - che l'opera era stata realizzata in violazione della distanza legale fra gli immobili posti al piano terra e costituiva una innovazione non legittima chiese condannarsi le M. al ripristino dello stato dei luoghi e a risarcire il danno. 1.1. Le convenute eccepirono che solo l'immobile di via omissis godeva della servitù di passaggio pedonale che l'attrice aveva acconsentito alla realizzazione dell'ascensore per iscritto che la riduzione di spazio utile non ostacolava l'esercizio della servitù che l'opera era diretta all'abbattimento delle barriere architettoniche ex articolo 3, l. numero 13/1989 , con esonero dal rispetto delle distanze legali che impropriamente si era affermato trattarsi di innovazione afferente all'uso del bene comune, in quanto l'ascensore insisteva sulla proprietà esclusiva delle convenute. 1.2. Il Condominio negò la propria legittimazione passiva, stante che l'opera era stata realizzata sulla proprietà esclusiva delle M 1.3. Il Tribunale, accolta l'eccezione del difetto di legittimazione del Condominio, accolse la domanda nei confronti delle M., pur negando che l'opera avesse reso più difficoltosa la fruizione della servitù di passaggio, essa non poteva reputarsi funzionale all'abbattimento delle barriere architettoniche e ne ordinò l'arretramento fino al rispetto delle distanze legali. 1.4. La Corte d'appello di Messina, nella costituzione della s.p.a. L., avente causa dalla A.D.B.G., rigettò l'impugnazione. 1.4.1. La Corte territoriale ritenne coperta dal giudicato, in quanto non impugnata, l'affermazione d'inefficacia della scrittura privata, che, a dire delle appellanti, aveva autorizzato l'opera. Rigettò l'unico motivo d'appello proposto, condividendo l'opinione del Tribunale, il quale aveva affermato che l'ascensore non rispondeva ad esigenze di abbattimento delle barriere architettoniche, sia da un punto di vista «procedurale-amministrativo», mancava l'attestazione dell'handicap , che avuto riguardo alla «oggettività tecnica» richiama la relazione del c.t.u. . 2. M.F. e M.M.R. propongono ricorso sulla base di cinque motivi. Resistono, con separati controricorsi, A.D.B.G. e la s.p.a. L 3. Con atto del 12/12/2023, l'avv. Guido Barbaro, munito di procura speciale, esposto che era deceduta M.F., alla quale era succeduta la sorella M.M.R., già in giudizio in proprio, e che, deceduto altresì l'avv. A.C., originario patrono delle M., con la comparsa di cui detto, si costituiva in giudizio per conto di M.M.R 4. Le parti depositavano memorie. 5. La controricorrente A.D.B.G. ha eccepito la tardività del ricorso, assumendo che la sentenza d'appello era stata notificata l'8/11/2018 e che le ricorrenti avevano provveduto a notificare il ricorso alla esponente al domicilio eletto in data 10/1/2019, oltre il termine decadenziale di legge. 5.1. L'eccezione è infondata. La sentenza d'appello risulta essere stata notificata, siccome consta dalla relata allegata alla stessa, all'avv. A.C., al tempo procuratore delle M., il giorno 12/11/2018 e non l'8/11/2018, siccome, per contro, affermato dall'A.D.B.G., sulla base della relazione di notifica in suo possesso. Questa Corte ha avuto modo di chiarire che ai fini della individuazione del dies a quo per la decorrenza del termine breve per l'impugnazione, quando emerga una difformità di date tra la relata di notifica della sentenza in possesso del notificante e quella consegnata al destinatario, la tempestività della impugnazione deve essere valutata con riguardo alla data risultante dalla relata di notifica redatta sull'atto consegnato a quest'ultimo, il quale non è tenuto a provare l'esattezza delle risultanze dell'atto ricevuto, su cui solo poteva fare affidamento per computare il termine utile per l'impugnazione, mentre spetta al notificante, secondo gli ordinari criteri di distribuzione dell'onere probatorio, provare mediante querela di falso - trattandosi di contrasto tra due atti pubblici - la corrispondenza della relata stilata sull'atto in suo possesso all'effettivo svolgimento quoad tempus delle formalità di notifica Sez. 3, numero 19156, 1/09/2014, Rv. 632944 conf., ex multis, Cass. numero 27722/2019 . Condividendosi pienamente il principio sopra riportato l'eccezione, come anticipato, non merita accoglimento. 6. Per la priorità logica che lo contraddistingue occorre in primo luogo esaminare il terzo motivo. Con esso viene denunciata violazione degli articolo 101 -102 e 156 e segg. cod. proc. civ. per non avere la Corte territoriale annullato la sentenza di primo grado a cagione della non integrità del contraddittorio. Osservano le ricorrenti che comproprietari dell'ascensore, avuto riguardo ai titoli di acquisto erano i condomini D.P.-S. ciò emergeva dalle stesse difese del Condominio, dal libretto matricola dell'ascensore e dalla ripartizione condominiale delle spese d'installazione e dei consumi per l'uso, documenti, questi, prodotti dalle convenute . 6.1. La doglianza è infondata. E' vero che la non integrità del contraddittorio deve essere rilevato d'ufficio cfr., Cass. nnumero 4665/20221, 23315/2020 , 3973/2020 , 6664/2018 , 18127/2013 tuttavia, la parte che la eccepisce ha l'onere di indicare quali siano i litisconsorti pretermessi e di dimostrare i motivi per i quali è necessaria l'integrazione sez. 2, numero 25810, 18/11/2013, Rv. 628300, conf. numero 17589/2020 . Nel caso di specie l'allegazione è sommaria e generica. Né muta la prospettiva l'asserto secondo il quale un condomino a nome D.P., non meglio individuato, avrebbe partecipato alle spese d'installazione, il libretto matricola dell'ascensore risultava intestato al Condominio e le spese dei consumi venivano ripartiti in sede condominiale. Decisivamente, inoltre, incontroverso che l'area sulla quale risulta essere stato installato l'ascensore è di proprietà esclusiva della parte ricorrente, non si vede come, quindi, anche a volere prescindere dalla incompiuta individuazione dei soggetti nei confronti dei quali avrebbe dovuto essere esteso il contraddittorio, avrebbero potuto esserci litisconsorti pretermessi. 7. Con il primo motivo le ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell' articolo 3, l. numero 13/1989 . Si sostiene l'erroneità della pronuncia per avere negato la sussistenza dello scopo di abbattimento delle barriere architettoniche, nonostante che il comma 2 dell'articolo di cui in premessa esclude il rispetto delle distanze di cui agli articolo 873 e 907 cod. civ. Inoltre, la Corte locale non aveva tenuto conto del fatto che le caratteristiche previste dall'articolo 3 citato non avrebbero potuto essere rispettate, trattandosi di un intervento su un fabbricato preesistente e non di nuova costruzione o ristrutturazione. 7.1. La doglianza è infondata. In primo e decisivo luogo deve osservarsi che non sussiste, sulla base di quanto emerge dagli atti, alcuno spazio comune condominiale tra l'ascensore e l'immobile ora della L., né, tantomeno, come si è visto, la struttura insiste su area condominiale. Di conseguenza trova piena applicazione l' articolo 907 cod. civ. L' articolo 3, co. 2, l. numero 13/1989 dispone «È fatto salvo l'obbligo di rispetto delle distanze di cui agli articoli 873 e 907 del codice civile nell'ipotesi in cui tra le opere da realizzare e i fabbricati alieni non sia interposto alcuno spazio o alcuna area di proprietà o di uso comune». A conferma può leggersi la sentenza numero 14096, 3/8/2012 conf. Cass . numero 18852/2014 la quale afferma che, al fine di eliminare le barriere architettoniche l'installazione di un ascensore da parte di un condomino in area comunale rientra nei poteri spettanti ai singoli condomini ai sensi dell' articolo 1102 cod. civ. , senza che, ove siano rispettati i limiti di uso delle cose comuni stabiliti da tale norma, rilevi, la disciplina dettata dall' articolo 907 cod. civ. sulla distanza delle costruzioni dalle vedute, neppure per effetto del richiamo ad essa operato nell' articolo 3, comma secondo, della legge 9 gennaio 1989, numero 13 , non trovando detta disposizione applicazione in ambito condominiale. Dalla richiamata decisione si ricava, “a contrario”, ma inequivocamente, che il rispetto dell' articolo 907 cod. civ. deve essere assicurato al di fuori dell'ambito condominiale. In disparte va rilevato che non consta essere stato provato il presupposto dell'handicap previsto dalla l. numero 118/1971, all'articolo 27 e dal d.P.R. numero 384/1978, all'articolo , co. 1 nonché, infine, il rispetto delle prescrizioni tecniche di cui al d.m. numero 236/1989 infine, il c.t.u. ha accertato la non idoneità dell'ascensore allo scopo di abbattere le barriere architettoniche per assenza di certificazione di conformità e perché privo dei requisiti dimensionali e tecnologici necessari. 8. Con il secondo motivo viene denunciato l'omesso esame di un fatto controverso e decisivo per avere la Corte peloritana affermato essere passata in giudicato, perché non espressamente impugnata, la negazione di valore autorizzativo alla scrittura sottoscritta dall'A.D.B.G. il 18/11/1999. Trattavasi, spiegano il ricorso, di un mero passaggio motivazionale privo di autonomia, che non poteva assurgere a forza di giudicato implicito. 8.1. Il motivo non supera il vaglio d'ammissibilità poiché non viene neppure allegato essere stato svolto specifico motivo d'appello al fine di contestare la decisione del Tribunale, con la quale la scrittura, mediante la quale A.D.B.G. avrebbe autorizzato l'installazione, era stata giudicata priva d'efficacia. Impugnazione necessaria, non trattandosi di un mero passaggio motivazionale diversa, pertanto, è l'ipotesi esaminata da Cass. numero 24358/2018 se fosse stata accertata la piena efficacia della scrittura la controversia si sarebbe risolta senz'altro a favore della parte ricorrente. Per vero sussiste il concorrere dei presupposti da tempo individuati da questa Corte, per affermare la sussistenza del giudicato interno. Il giudicato interno non si determina sul fatto ma su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza rappresentata da fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell'ambito della controversia, sicché l'appello motivato con riguardo ad uno soltanto degli elementi di quella statuizione riapre la cognizione sull'intera questione che essa identifica, così espandendo nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene ad essa coessenziali, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame Sez. 3, numero 30728, 19/10/2022, Rv. 666050 conf., ex multis, Cass. nnumero 10760/2019 , 24783/2018 , 12202/2017 . Quella statuizione minima, che se, di segno opposto, avrebbe risolto senz'altro la contesa in favore della parte oggi ricorrente, avrebbe dovuto essere espressamente fatta oggetto d'impugnazione. 9. Con il quarto motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione dell' articolo 2043 cod. civ. condanna generica al risarcimento del danno , quale conseguenza della legittimità dell'installazione. 9.1. Si è in presenza di doglianza inammissibile, trattandosi di un “non motivo”, con il quale la parte invoca l'eliminazione della condanna generica al risarcimento del danno, non allegando specifici argomenti atti a contrastare la statuizione, ma quale conseguenza auspicata del rigetto dell'avversa domanda. 10. Il quinto motivo, con il quale, attraverso la denuncia della violazione dell' articolo 92 cod. proc. civ. , siccome interpretato dalla sentenza numero 77/2018 della Corte Costituzionale , la parte ricorrente si duole della mancata compensazione delle spese, è chiaramente inammissibile poiché assegna alla Corte di legittimità il compito di sindacare l'incensurabile valutazione della Corte d'appello. Infine, sempre in seno al motivo in rassegna, viene immotivatamente “reclamata” la non applicabilità dell'articolo 13, co. 1 quater, d.P.R. numero 115/2002 raddoppio del contributo unificato a carico della parte soccombente . Trattasi, ovviamente, di un mero “flatus vocis”, privo di spiegazione alcuna. 11. Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate nella misura di cui in dispositivo - tenuto conto del valore della causa e della qualità e quantità delle attività svolte - seguono la soccombenza. 12. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater D.P.R. numero 115/02 inserito dall' articolo 1, comma 17 legge numero 228/12 applicabile ratione temporis essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013 , ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato a carico della ricorrente, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore di ciascuno dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, per ciascuno, in euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge. Ai sensi dell 'articolo 13, comma 1-quater D.P.R. numero 115/0 2, inserito dall 'articolo 1, comma 17 legge numero 228/1 2, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.