La definizione anticipata del procedimento va alla Consulta: il Decreto Caivano mortifica le esigenze rieducative?

Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 27-bis d.P.R. 448/88, disciplinante la definizione anticipata del procedimento penale a carico del minorenne, per contrasto con gli articolo 3 e 31, comma 2, Cost

Così ha stabilito il Tribunale per i minorenni di Trento, con la ordinanza del 6 marzo 2024. Minaccia il papà con un coltello da cucina Abbiamo appena festeggiato la Festa del Papà. Oggi, invece, vi parliamo di un episodio nel quale il papà è stato minacciato dal figlio minorenne con un coltello da cucina. Intervenuti i Carabinieri, il giovane veniva denunciato per minaccia aggravata dall'uso dell'arma. Ottenuta la Conferma dei fatti nell'interrogatorio, il PM decideva di avvalersi del nuovo istituto, introdotto con il “Decreto Caivano” d.l. 123/23, poi convertito in legge , della definizione anticipata del procedimento ai sensi dell'articolo 27-bis d.P.R. 448/88. Questa norma consente oggi al Pubblico Ministero di notificare al minore, all'esercente la responsabilità genitoriale e al difensore una proposta di definizione anticipata del procedimento nella fase delle indagini preliminari, laddove il fatto storico non sia di particolare gravità e risulti punito con la reclusione non superiore a cinque anni, oppure con la pena pecuniaria. Se il minore intende aderire, deve accedere a un programma rieducativo concordato con i Servizi minorili dell'amministrazione della giustizia, da depositarsi in Procura entro sessanta giorni dalla notifica della proposta. Nel caso che ci occupa, però, il difensore – rilevata la particolare complessità della vicenda – chiedeva alla Procura una proroga del termine, onde poter condurre un'approfondita indagine sociale sul minore e sul contesto familiare in cui esso era inserito. La proroga del termine, non prevista dalla disciplina, veniva negata. E la questione era rimessa al GIP presso il Tribunale per i minorenni. Il quale, come vedremo, studiata la nuova previsione normativa, la spediva all'attenzione della Consulta ritenendola incostituzionale. Il nuovo istituto non è coerente con le finalità rieducative del processo minorile Questo è, in estrema sintesi, il motivo che ha indotto il GIP a rimettere gli atti alla Corte Costituzionale. Le ragioni del suo convincimento affondano nell'analisi – minuziosa, capillare – della disciplina dell'istituto appena introdotto dal legislatore dell' eterna emergenza. La definizione anticipata del procedimento, per come è strutturata, è un istituto che appare ispirato, secondo il giudice, da logiche più retributive che rieducative. Esso assomiglia, in altri termini, ad una sospensione con messa alla prova più snella nelle forme e nei presupposti applicativi e ha come principale ratio ispiratrice, in totale sintonia del resto anche con la riforma Cartabia, la celerizzazione delle pendenze giudiziarie. Molto interessante è la parte dell'ordinanza con la quale il GIP ha collocato, in una sorta di ideale graduatoria, l'istituto di nuovo conio, ponendolo a mezza strada tra la sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto e la messa alla prova già disciplinata nel d.P.R. 448/88 Però, la norma non è rispettosa – ad avviso del giudice remittente – del principio che dovrebbe guidare ogni intervento giurisdizionale minorile il recupero della devianza e, in sostanza, la rieducazione del giovane indagato/imputato. A questo scopo è ricordato che ogni tentativo di introdurre nel rito minorile forme di definizione anticipata del procedimento ha incontrato il diniego della Consulta patteggiamento ed estensione alla fase d'indagini della sospensione con messa alla prova sono stati bocciati nel 2000 e, vent'anni dopo, nel 2020. Tutta la procedura, improntata alla particolare rapidità con la quale dovrebbe predisporsi e depositarsi il programma trattamentale, ha quindi chiara finalità retributiva, sia pure edulcorata per via della particolare caratteristica dell'istituto ed è puntata a ottenere una rapida fuoruscita del minore dal circuito-giustizia, ma senza porre attenzione alcuna ai risultati risocializzanti che pure dovrebbero essere al centro dell'intervento giudiziario su un soggetto minorenne. Si teme quindi che i programmi, ammesso e non concesso che si riesca veramente ad approntarli nei tempi contingentati previsti dalla norma di riferimento che non prevede né ammette proroghe , siano predisposti «secondo meccaniche seriali a discapito dei reconditi bisogni educativi del minore». L'intero giudizio, viene inoltre osservato, è affidato al GIP quindi a un giudice monocratico togato e non all'organo collegiale, che comprende anche le figure degli esperti in materie psicopedagogiche. Non è possibile “salvare” la norma interpretandola secondo Costituzione Così la pensa il GIP di Trento, che ha rimesso gli atti al Giudice delle leggi, affinchè si accerti se l'articolo 27-bis d.P.R. 448/88 si pone o meno in contrasto con il principio di eguaglianza e con l'articolo 31, comma 2, Cost. nella parte in cui si prevede che la Repubblica protegge l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo. Le soluzioni che il GIP aveva elaborato, per uscire dall'impasse della mancanza di una norma che non consenta la proroga del termine per la presentazione del programma sono a suo giudizio tutte impraticabili sia la restituzione degli atti al PM, che determinerebbe un'indebita regressione del procedimento, sia l'intregrazione ope iudicis del programma, che proverrebbe da un organo monocratico privo della possibilità di confrontarsi con le professionalità necessarie al compimento di valutazioni rieducative. Non resta, quindi, altro da fare se non attendere l'autorevole parola della Consulta.

Giudice Gallo Il procedimento penale a carico del minore omissis trae origine da una lite in famiglia occorsa tra padre e figlio in data 15.10.2023. Nello specifico, da quanto si può apprendere dall'annotazione di PG redatta dai Carabinieri della Sezione mobile della Compagnia di Trento, il minore omissis avrebbe minacciato il padre con un coltello preso dalla cucina, perché, a suo dire, aveva paura che il padre gli facesse del male poiché avevano avuto un'accesa discussione in precedenza. omissis veniva sottoposto a indagini preliminari per il reato previsto e punito dagli articolo 612 e 339 c.p. perché minacciava al padre un danno ingiusto, usando un coltello da cucina. Esperito in data 30.10.2023 l'interrogatorio del minore, che confermava quanto riportato all'interno dell'annotazione della Polizia giudiziaria in merito alla lite occorsa con il padre, il Pubblico ministero minorile da ora PMM notificava, con provvedimento di data 27.11.2023, la proposta di definizione anticipata del procedimento ai sensi dei pari. 27 bis, comma I, d.P.R. 22 settembre 1988, numero 448 approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni . Tale proposta veniva regolarmente notificata al minore, all'esercente la responsabilità genitoriale e al difensore per la redazione del programma rieducativo da depositarsi presso la Procura minorile entro 60 giorni dalla notifica. In data 15.01.2024 il difensore dell'indagato, segnalando la delicatezza della situazione familiare del minore e la necessità di un intervento maggiormente strutturato e in collaborazione tra servizi sociali, scuola e famiglia, chiedeva che la Procura minorile invitasse i servizi sociali a effettuare un'indagine sociale sul minore e sulla famiglia di quest'ultimo. Per queste ragioni richiedeva formalmente una proroga del termine previsto dall'articolo 27 bis del d.P.R. numero 448 del 1988 da ora articolo 27 bis al fine di poter predisporre un programma rieducativo sulla base dell'esito dell'indagine sociale. Il PMM, dando atto che era già stata avviata un'indagine da parte del Servizio sociale del Comune di Trento, rigettava l'istanza di proroga del difensore, in quanto la norma di cui all'articolo 27 bis non prevede la possibilità di prorogare il termine per il deposito del programma rieducativo. In data 22.01.2024 la difesa del minore prendendo atto del rigetto della richiesta depositava una proposta di progetto rieducativo, individuata unitamente al Servizio sociale territoriale, che prevedeva lo svolgimento di un'attività di volontariato all'interno di un centro di aggregazione territoriale. Nella medesima data il PMM disponeva la trasmissione del programma al Giudice per le indagini preliminari per la fissazione dell'udienza in camera di consiglio ai sensi dell'articolo 27 bis. Con Ordinanza 12.02.2024 veniva fissata udienza camerale per la data odierna al fine di deliberare sull'ammissione del minore al percorso di reinserimento e rieducazione articolo 27 bis, comma II all'odierna udienza erano presenti l'imputato, assistito dal difensore, gli esercenti la responsabilità genitoriale dell'imputato e il PMM Rilevato che per deliberare sull'ammissione del minore al percorso di reinserimento e rieducazione il Giudice scrivente è chiamato dalla norma a valutare la congruità del percorso di reinserimento e rieducazione, per eventualmente emettere l'ordinanza di ammissione, stabilire la durata del percorso e sospendere il processo per il tempo corrispondente articolo 27 bis comma III rilevato che, nel caso di specie, non è possibile giudicare se le ore di volontariato previste dal programma rieducativo, in assenza di informazioni specifiche sulle caratteristiche personali del minore e in relazione ai parametri di riferimento normalmente in rilievo, quali l'ambiente familiare, la rete amicale, la condizione di salute, la frequenza scolastica o l'impegno lavorativo, siano congrue a perseguire una funzione educativa, intesa come concreta opportunità di crescita, maturazione e responsabilizzazione del giovane rilevato che la stessa difesa del minore aveva richiesto al PMM una proroga del termine per il deposito del programma proprio per consentire di ottenere maggiori informazioni sul minore e per redigere un programma capace di rispondere alle specifiche esigenze personali e familiari del minore, proroga che, come si è detto, non è stata concessa dal PMM in quanto non prevista dalla Legge rilevato dunque che mancano gli elementi conoscitivi indispensabili per valutare se il contenuto del programma rieducativo sia congruo rispetto ai fini educativi cui costituzionalmente deve tendere il processo penale minorile rilevata altresì la composizione monocratica dell'organo chiamato a pronunciarsi e quindi l'assenza della componente onoraria e del suo apporto per la valutazione in termini personalistici ed educativi del minore rilevato che a tali condizioni l'unica valutazione in concreto possibile afferisce alla proporzionalità tra il contenuto del programma rieducativo proposto e i fatti per cui si procede con riferimento alla tipologia e alla gravità del reato contestato rilevato che tuttavia una simile valutazione implicherebbe una logica esclusivamente retributiva, anziché educativa, nella risposta trattamentale, contraria agli assiomi basilari del processo minorile rilevato altresì che l'articolo 27 bis non regola l'ipotesi di un giudizio da parte del Giudice per le indagini preliminari di incongruità della proposta e che delle possibili soluzioni interpretative, nel silenzio della norma, nessuna pare essere idonea a soddisfare le esigenze tipiche del processo minorile considerato che le criticità in rilievo non attengono solo al caso oggi sottoposto all'attenzione dello scrivente, ma risultano essere intrinsecamente connesse con la disciplina dettata dall'istituto delineato dall'articolo 27 bis, laddove introduce nel sistema penale minorile una risposta trattamentale solo nominalmente educativa, ma che nella sostanza riesuma una funzione prettamente retributiva, determinando allo stesso tempo delle possibili disparità di trattamento. A fronte di tutto ciò lo scrivente Giudice ritiene di sospendere il processo e sottoporre al Giudice delle Leggi il rito deflattivo di cui oggi si richiede l'applicazione, in quanto ritiene non infondato il dubbio di legittimità costituzionale in relazione alla disciplina contenuta all'articolo 27 bis, dimettendo le seguenti ragioni. Non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 27 bis del d.P.R. numero 448 del 1988 con riferimento agli articolo 3 e 31, II comma, Costituzione La disciplina dettata dall'alt. 27 bis del d.P.R. numero 448 del 1988 da ora articolo 27 bis solleva significativi dubbi di costituzionalità nella misura in cui prevede per il minore sottoposto a procedimento penale una risposta giurisdizionale di tipo sanzionatorio piuttosto che di tipo educativo, in contrasto con quanto richiesto dall'articolo 31 comma II Costituzione, così come sistematicamente interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui qualsiasi trattamento punitivo nei confronti di un minore è ammesso solo e solo se è sorretto, animato e orientato da fini educativi. Il procedimento alternativo introdotto all'articolo 27 bis, che vorrebbe nell'intenzione del Legislatore costituire «.una messa alla prova “semplificata”» Dossier numero 155, Legislatura 19°, Scheda di lettura presentata al Senato della Repubblica , è primariamente proteso all'attuazione dei principi di razionalizzazione della risorsa giudiziaria e di celere definizione del procedimento penale, fornendo al minore la possibilità di addivenire a una rapida fuoriuscita dal procedimento penale, incardinato per l'accertamento di reati di lieve offensività. Nello specifico, la procedura in esame si caratterizza e si distingue per la significativa riduzione dei tempi e delle forme processuali, in ragione del reato per cui si procede. Infatti, il primo comma prevede che «durante le indagini preliminari, il pubblico ministero, quando procede per reati per i quali la legge stabilisce una pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni di reclusione ovvero una pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena detentiva, se i fatti non rivestono particolare gravità, può notificare al minore e all'esercente la responsabilità genitoriale la proposta di definizione anticipata del procedimento». La previsione di un duplice filtro, quello edittale e quello relativo alla gravità in concreto dei fatti, circoscrive l'applicazione dell'istituto in esame solo per quei reati connotati da un lieve grado di offensività. Proprio quest'ultimo presupposto applicativo accomuna l'istituto in esame con un altro istituto del diritto penale minorile e cioè quello della sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto ex articolo 27 del d.P.R. numero 448 del 1988. La sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, tuttavia, richiede che, sulla base delle informazioni assunte, il reato si presenti come un accadimento occasionale nel percorso di crescita del giovane. L'occasionalità della condotta si desume dalla concreta presenza nella vita del minore di quegli elementi protettivi socio-ambientali tali per cui è possibile ritenere che il reato non rappresenti una manifestazione indicativa di bisogni non corrisposti del minore, quanto piuttosto un episodio isolato all'interno di un regolare percorso di crescita, avulso da un tangibile rischio di devianza. L'articolo 27 bis, invece, trova applicazione per tutta quella casistica in cui l'agito deviante, per quanto di lieve entità, non può dirsi occasionale, e quindi necessita di un intervento giudiziario e osta all'immediata fuoriuscita dal processo penale, tramite la sentenza di non luogo a procedere ex articolo 27 del d.P.R. numero 448 del 1988. In una prospettiva tassonomica l'istituto ex articolo 27 bis si colloca tra la sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto e la messa alla prova “tradizionale”, suggerendo una natura composita tra i due istituti. A fronte di reati non contraddistinti da un particolare allarme sociale ma che comunque richiedono una risposta trattamentale giudiziaria il Legislatore ha delineato un rito deflattivo che prevede un coinvolgimento attivo del minore, all'interno di una procedura significativamente destrutturata nelle forme. La semplificazione della procedura, aspetto saliente dell'istituto, può essere sintetizzata nei seguenti tratti distintivi l'esercizio informale dell'azione penale, l'accertamento del fatto in forma sommaria, una significativa restrizione dei tempi, il mancato coinvolgimento della persona offesa, la natura negoziale del programma rieducativo, la devoluzione della procedura alla cognizione del Giudice monocratico per le indagini preliminari, l'intervento ridotto dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia. A fronte di una palmare comparazione normativa, la semplificazione della procedura risulta essere così accentuata da determinare una netta differenziazione dell'istituto in esame non solo rispetto alla messa alla prova prevista per i minorenni dall'articolo 28 del d.P.R. numero 448 del 1988, ma anche rispetto alla messa alla prova in fase di indagini introdotta per gli adulti di cui agli articolo 464 bis e segg. cod. proc. penumero Il sillogismo sotteso alla scelta di prevedere una procedura estremamente semplificata pare essere il seguente a fronte di un reato non particolarmente offensivo né però occasionale è possibile addivenire, in tempi ristretti, a una sentenza di proscioglimento per estinzione del reato all'esito del corretto svolgimento di determinate attività, individuate dallo stesso minore, a sfondo socio-lavorativo. Ed è proprio in questo sillogismo che si radica l'irragionevolezza della norma, poiché prevede, a fronte di un reato non occasionale o ipoteticamente tale, una procedura che, per le ragioni che si diranno, non permette un adeguato approfondimento informativo e conseguentemente un'effettiva presa in carico del minore e dei suoi bisogni educativi. Ancor più, risulta essere irragionevole se comparata con l'omologo istituto previsto per gli adulti durante le indagini preliminari, per il quale il Legislatore ha delineato un'articolata e puntuale disciplina volta a un'effettiva presa in carico del soggetto, posto che il minore, stante la sua personalità in via di sviluppo, necessita di un'attenzione maggiorata e non minorata rispetto a quella riservata a un soggetto adulto. Il sillogismo sopra descritto risulta sicuramente valido in una prospettiva preventiva e retributiva ma erroneo e fallace in una prospettiva capace di pone al centro il minore e di cogliere le cause esogene ed endogene dell'atto deviante. Infatti, l'entità dell'offesa del reato non può ritenersi proporzionale né indice dei bisogni educativi del minore, la cui ponderazione necessita di un accertamento istruttorio, attraverso l'acquisizione di informazioni eterogenee rispetto a quelle ricercate dall'attività di indagine penale. In altre parole, dietro alla commissione di un reato, non particolarmente grave né punito dalla Legge severamente, possono celarsi significativi bisogni educativi, i quali esulano dall'attività di indagine penale propriamente intesa. Al minore, infatti, non vengono normalmente contestati comportamenti mossi da venali intenti di arricchimento illecito, quali ad esempio i delitti di peculato, di truffa contro lo Stato, di corruzione, o di evasione fiscale, ma condotte sintomatiche di una difficoltà socio relazionale e di un malessere interiore, quali ad esempio i delitti di rapina, di piccolo spaccio, di furto, di rissa, di violenza contro le cose o le persone. È allora evidente che i bisogni sottesi a simili fatti di devianza richiedono un approfondimento ed esprimono una situazione di disagio rispetto alla quale è costituzionalmente pretesa, tanto dall'articolo 3 quanto dall'articolo 31, l'adozione di quelle scelte di politica criminale proiettate sia alla presa in carico del disagio che alla promozione del soggetto deviante, tramite misure che corrispondano ai principi di personalizzazione, differenziazione e sussidiarietà. Il fatto reato, in questa prospettiva, diventa quindi l'occasione per intercettare il disagio giovanile e assumere quelle misure, seppur non prive anche di una componente afflittivo retributiva, volte da un lato al contrasto della devianza e dall'altro alla cura dei bisogni educativi del minore. Allora, il procedimento penale minorile diviene lo strumento per offrire al minore un'occasione per emanciparsi dalle cause che hanno indotto l'atto deviante e solo così risultano pienamente attuati, in tutta la loro forza semantica, i precipitati costituzionali secondo cui la Repubblica protegge la gioventù ed è suo compito rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l 'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Ciò posto si osserva come l'eccessiva accentuazione dei principi di celerità e razionalizzazione con la scelta legislativa di collocare l'istituto in esame all'interno della fase delle indagini preliminari abbia comportato la compromissione di quegli strumenti, propri di un sapere scientifico pedagogico, necessari ad assicurare quell'approccio personalistico indispensabile per garantire al trattamento giurisdizionale minorile la sua finalità educativa. Non è un caso se tutte le ipotesi normative rivolte a introdurre nel rito minorile forme di definizione anticipata del procedimento sono sempre rimaste su un piano teorico, non riuscendo a superare i dubbi in ordine alla loro compatibilità a Costituzione. Così è avvenuto, ad esempio, con riferimento alla possibilità di introdurre nel rito minorile l'applicazione della pena su richiesta delle parti sentenza Corte cost. numero 272 del 2000 oppure con riferimento alla possibilità di estendere la messa alla prova per adulti nel corso delle indagini preliminare anche nei confronti di soggetti minorenni sentenza Corte cost. numero 139 del 2020 . L'intervento personalistico a valenza educativa, e quindi non a punizione ma a protezione del giovane, così come richiesto dall'articolo 31, II comma, Costituzione, opera mediante due fondamentali strumenti la conoscenza del minore e il carattere multidisciplinare dell'Organo giudicante, capace di cogliere anche quegli aspetti extragiuridici propri di un sapere pedagogico educativo. L'assenza tanto degli elementi conoscitivi sul minore quanto della componente onoraria all'interno dell'Organo giudicante, se determina l'impossibilità di assicurare la portata educativa della risposta trattamentale introdotta all'articolo 27 bis, allo stesso tempo larvatamente ne riesuma la funzione retributiva. La valenza sostanzialmente retributiva dell'istituto, al di là della terminologia impiegata dal Legislatore, si evince da una lettura sistematica della norma. Infatti, se si analizza l'intera procedura scomponendola in tre distinte fasi, risulta come gli strumenti indispensabili per perseguire un fine educativo siano per ciascuna fase fortemente ridotti o del tutto assenti. Si procederà quindi ad analizzare l'intero iter dell'istituto scomponendolo secondo la seguente tripartizione la fase prodromica, cioè la redazione della proposta del programma rieducativo, la fase intermedia, cioè l'ammissione da parte del Giudice al programma proposto, la fase conclusiva, cioè la valutazione all'esito del periodo di osservazione. Con riferimento alla prima fase, la redazione del progetto, si osserva che l'assenza di un approfondimento sulla situazione del minore preclude la possibilità di redigere un programma personalizzato, rispettoso delle specifiche esigenze pedagogico rieducative del minore. La conoscenza del minore risulta essere un presupposto fondamentale per redigere un progetto a valenza educativa e permettere la definizione di un programma capace di tenere in considerazione sia gli aspetti di forza del minore, che devono essere valorizzati, sia quelli di fragilità, su cui improntare il programma, anche nella prospettiva di contrasto alla recidiva, posto che gli aspetti di fragilità spesso risultano intimamente avvinti al fatto per cui si procede penalmente. Dalla lettura della disciplina prevista dalla norma in esame invece risulta plausibile ritenere che il contenuto del progetto educativo venga in concreto stilato sulla base della tipologia e della gravità del reato contestato e non già sulla base delle specifiche esigenze di recupero del minore, posto che il reato contestato è l'unico dato certo sul minore. Date queste premesse si deduce che il contenuto del programma educativo sarà calibrato, per durata e tipo di attività, in ragione della tipologia e della gravità del reato per cui si procede, secondo valutazioni strettamente proporzionalistiche, tipiche di ima concezione retributiva della risposta ordinamentale. Se la carenza informativa è riconducibile al fatto che per la stesura del programma rieducativo non è richiesto un preventivo accertamento sulla situazione personale del minore, si osserva inoltre che la raccolta di informazioni sarebbe peraltro di difficile esecuzione in ragione dei ristretti tempi dettati dal Legislatore, posto che tra la data della notifica della proposta da parte del PMM e la presentazione del progetto a cura del minore o del suo difensore è previsto un termine di 60 giorni, senza possibilità di proroga. La redazione del programma, inoltre, risente delle modalità di coinvolgimento dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia previste dall'articolo 27 bis, nella misura in cui la partecipazione dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia, al di là se essa debba intendersi obbligatoria o facoltativa, posta l'ambivalenza della norma sul punto, risulta in ogni caso essere secondaria e strumentale, volta non già a elaborare il programma, previa conoscenza del minore, ma limitata alla mera individuazione di quelle attività che dovranno essere poste a completamento del programma rieducativo quali i «lavori socialmente utili o la collaborazione a titolo gratuito con enti del Terzo settore o lo svolgimento di altre attività a benefìcio della comunità di appartenenza» articolo 27 bis, comma I . Né appare applicabile la procedura delineata dalla Legge in ordine alla stesura del progetto di messa alla prova di cui all'articolo 28 del d.P.R. numero 448 del 1988, laddove l'attribuzione ai servizi minorili dell'amministrazione della giustizia del compito di predisporre il progetto, secondo quanto previsto dall'articolo 27 decreto legislativo 28 luglio 1989 numero 272 norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, numero 448 e cioè previo approfondimento della situazione personale e familiare del minore, è a garanzia della funzione educativa dell'istituto. Nondimeno nella MAP in fase di indagini prevista per gli adulti è previsto che il progetto sia elaborato dall'Ufficio esecuzione penale esterna articolo 464 bis e ter1 c.p.p. . L'attribuzione della redazione del programma ai servizi minorili dell'amministrazione della giustizia, nondimeno, si pone come un importante baluardo in difesa del principio di eguaglianza sostanziale, posto che assicura la parità di trattamento, la non imputabilità alla difesa del mancato rispetto del termine di 60 giorni per il deposito del programma e il diritto a ciascun giovane di accedere all'Istituto. L'individuazione delle attività da inserire nel programma da presentare all'Autorità giudiziaria, infatti, non appare essere un'operazione di pronta soluzione e può rilevarsi specialmente difficoltosa per i minori che vivono in contesti familiari e in situazioni sociali periferiche e marginali. È pur vero che il Legislatore prevede la possibilità per la difesa di collaborare con i servizi minorili dell'amministrazione della giustizia, ma è altrettanto vero che è la difesa a dover presentare il progetto nel termine di 60 giorni dalla notifica e quindi eventuali ritardi saranno processualmente a essa imputabili. In caso di mancato rispetto del termine si osserva in primo luogo che la difesa non potrà avvantaggiarsi della procedura deflattiva e in secondo luogo sarà esposta all'incertezza normativa, posto che tale ipotesi non è regolata dalla disposizione. Ci si può chiedere se vi possano essere delle ripercussioni processualmente sfavorevoli per il minore, come ad esempio la possibilità per il PMM di esercitare l'azione penale nelle forme del rito immediato, ipotesi non escludibile a mente del quinto comma del pari. 27 bis in forza del quale «nel caso in cui il minore non intenda accedere al percorso di reinserimento e rieducazione o lo interrompa senza giustificato motivo, il giudice restituisce gli atti al pubblico ministero, che può procedere con richiesta di giudizio immediato anche fuori dei casi previsti dall'articolo 453 del codice di procedura penale». L'assenza di una disciplina analoga a quella prevista per la MAP, sia ex articolo 28 d.P.R. numero 448 del 1988 sia ex articolo 464 bis c.p.p., che delinei una procedura ad hoc per la stesura del progetto, e la ristrettezza dei tempi, inducono a ritenere che le attività contenute nel progetto saranno individuate secondo meccaniche seriali a discapito dei reconditi bisogni educativi del minore. Né il solo fatto che il progetto venga redatto dal minore o dal suo difensore può intendersi per ciò solo una garanzia sufficiente a che le attività proposte siano congrue rispetto agli specifici bisogni educativi del minore. Invero, il contenuto del programma rieducativo sarà determinato, per durata e tipo di attività, in ragione della tipologia e della gravità del reato per cui si procede, secondo valutazioni strettamente proporzionalistiche, tipiche di una concezione retributiva della risposta ordinamentale. Con riferimento invece alla seconda e alla terza fase, rispettivamente l'ammissione e la valutazione conclusiva del progetto, si rileva che entrambe sono demandate al Giudice monocratico per le indagini preliminari e non al Giudice collegiale, formato ai sensi dell'articolo 50 bis, comma II, del r. d. numero 12 del 1941, che prevede all'interno del Collegio la presenza, accanto al Giudice togato, di un uomo e una donna esperti in ambito psico-pedagogico. Tale scelta processuale riduce significativamente la possibilità di procedere mediante un giudizio a base personalistica, laddove priva l'Organo giudicante dell'apporto interdisciplinare garantito dalla presenza della componente onoraria e della dialettica che si instaura tra essa e il Giudice togato. La novella legislativa, da questo punto di vista, non pare tenere in debita considerazione la giurisprudenza costituzionale e di legittimità formatasi sull'importanza della presenza della componente onoraria all'interno dell'Organo giudicante nel processo penale minorile. Si osserva inoltre che, in assenza di specifiche informazioni sulla situazione del minore, la valutazione, dapprima sulla congruità del progetto ai fini dell'ammissione di cui all'articolo 27 bis comma III e successivamente sull'esito del progetto ai fini della declaratoria di estinzione del reato di cui all'articolo 27 bis ult. comma potrà avvenire solo attraverso dati strettamente oggettivi quali il reato per cui si procede, in ordine alla fase dell'ammissione, e l'espletamento degli impegni presi, in ordine alla fase della valutazione conclusiva. In merito a ciò si rileva come entrambe le fasi risentano nuovamente della mancata previsione volta a garantire un pieno coinvolgimento dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia. Va rammentato a tal proposito che la Legge prevede espressamente che nella MAP, sia ex articolo 28 d.P.R. numero 448 del 1988 che ex articolo 464 bis e segg. c.p.p., vi sia una presa in carico del soggetto da parte dei servizi dell'Amministrazione della giustizia. In particolare, è previsto che il minore, ammesso alla prova, venga “affidato ” dal Giudice ai servizi minorili dell'amministrazione della giustizia articolo 28 comma II d.P.R. numero 448 del 1988 e che l'adulto, ammesso alla prova, debba essere preso in carico dell'ufficio esecuzione penale esterna articolo 464 quinquies comma II c.p.p. . Rimanendo nell'ambito minorile, l'affidamento ai servizi minorili dell'amministrazione della giustizia, oltre a corrispondere alle dovute esigenze di supporto psicologico in favore del minore, garantisce un costante monitoraggio sull'andamento del progetto e permette in primo luogo di mantenere sempre informato il Giudice articolo 27, comma III, d. lgs. numero 272 del 1989 in secondo luogo di assumere tutti quegli accorgimenti in corso d'opera protesi ad adattare la progettualità avviata in relazione agli specifici e cangianti bisogni educativi del minore articolo 27, comma III, d. lgs. numero 272 del 1989 in terzo luogo di fornire una dettagliata relazione al termine del percorso in cui si dà atto dell'esito del progetto con riferimento all'evoluzione personale del minore articolo 27, comma III, d. lgs. numero 272 del 1989 . Questo complesso sistema previsto per la messa alla prova tradizionale non pare possa essere mutuato all'interno della procedura in esame, sia per un rilievo pratico, attesi i tempi ristretti entro cui deve essere svolta la procedura, sia per un rilievo normativo, posto che non vi è un espresso richiamo all'articolo 27 del d. lgs. numero 272 del 1989 che, ai sensi del primo comma, trova applicazione quando «il giudice provvede a norma dell'articolo 28 del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988 numero 448». In ordine, invece, alla terza e ultima fase, quella decisoria, è richiesto al Giudice di valutare l'esito del percorso «tenuto conto del comportamento dell'imputato e dell'esito positivo del percorso rieducativo» articolo 27 bis, ult. comma . Anche rispetto a tale momento valutativo non è specificato sulla base di quali elementi informativi debba essere svolto il giudizio, posto che non è previsto l'intervento dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia al termine del percorso, diversamente da quanto accade al termine della MAP ex articolo 28 d.P.R. numero 448 del 1988, dove è previsto l'inoltro di una relazione conclusiva ai sensi dell'articolo 27, comma V, del d. lgs. numero 272 del 1989, e al termine della MAP per adulti in fase di indagine, dove è previsto che il Giudice, al fine di valutare l'esito del progetto, «acquisisce la relazione conclusiva dell'ufficio di esecuzione penale esterna che ha preso in carico l'imputato» articolo 464 septies c.p.p. . L'assenza di una relazione, redatta a cura da un soggetto pubblico e altamente specializzato, qual è l'Ufficio dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia, impedisce di tenere in debita considerazione l'incidenza che l'espletamento del progetto ha avuto sul percorso evolutivo del minore in relazione ai profili di crescita, maturità e responsabilizzazione. In assenza, ancora una volta, di adeguati elementi informativi, l'emissione o meno della sentenza di non luogo a procedere per estinzione del reato dipenderà dall'adempimento o meno da parte dell'imputato degli impegni presi a prescindere della valenza educativa che possono aver assunto nel suo percorso di crescita. A fronte di queste considerazioni si procederà a verificare se è possibile un'interpretazione conforme a Costituzione della disposizione in esame, intesa cioè ad assicurare che il “programma rieducativo” possa essere realmente tale per il minore e che la sua valenza educativa possa essere oggetto di valutazione da parte del Giudice, tanto in fase di vaglio sull'ammissione al programma quanto in fase di verbalizzazione del suo svolgimento. L'attività ermeneutica in rilievo deve quindi colmare le lacune informative sia sotto il profilo della situazione personale del minore sia sotto il profilo dell'andamento del progetto in relazione al percorso di crescita del minore. Con riferimento al primo profilo, la carenza di informazioni sul minore potrebbe essere colmata mediante lo strumento previsto all'articolo 9 d.P.R. numero 448 del 1988, in forza del quale è riconosciuto al Pubblico ministero e al Giudice il potere di acquisire d'ufficio «elementi circa le condizioni e le risorse personali, familiari, sociali e ambientali del minorenne al fine di accertarne l 'imputabilità e il grado di responsabilità, valutare la rilevanza sociale del fatto». Con riferimento invece al secondo profilo, Punico strumento utile sarebbe un maggior coinvolgimento dei servizi socio-sanitari all'interno della procedura in esame. Ciò potrebbe essere attuato ricorrendo allo strumento previsto dall'articolo 6 d.P.R. numero 448 del 1988 in forza del quale «in ogni stato e grado del procedimento l 'autorità giudiziaria si avvale, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia e dei servizi di assistenza sociali e sanitari istituiti dagli enti locali e dal Servizio sanitario nazionale». Si potrebbe ipotizzare che il Giudice si possa avvalere dei servizi pubblici per attribuire loro tutti quei compiti assegnati ai servizi minorili dell''amministrazione della giustizia nell'ambito della messa alla prova ex articolo 28 d.P.R. numero 448 del 1988. Entrambe queste ipotesi, tuttavia, non risultano giuridicamente e razionalmente percorribili, e si mostrano antitetiche rispetto alle specifiche finalità perseguite dal legislatore con le misure introdotte con il decreto legge 15 settembre 2023, numero 123, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2023, numero 159. Infatti, per quanto concerne l'integrazione informativa, si osserva che tale attività determinerebbe una significativa dilazione temporale che si contrapporrebbe alle esigenze di celerità e deflazione perseguite con l'istituto di cui all'articolo 27 bis. Inoltre, venuta meno la possibilità di addivenire a una definizione del procedimento in tempi rapidi, la sottrazione della componente onoraria dall'organo giudicante, ammesso che tale privazione possa ritenersi costituzionalmente plausibile, risulterebbe tanto più irragionevole, in quanto, pur in assenza di alcun beneficio in termini di durata del procedimento, sacrificherebbe quell'approccio multidisciplinare e diversificato nel genere idoneo a corrispondere in modo altamente qualificato e completo a tutte le esigenze in rilievo. Analoghe considerazioni possono essere svolte rispetto alla possibilità di rafforzare l'intervento dei servizi, poiché tale attività implicherebbe ugualmente una dilazione temporale. Si osserva inoltre come un maggior impiego dei servizi pubblici risulti distonico rispetto alla stessa struttura dell'istituto in esame e ai fini perseguiti dal Legislatore volti a contenere i costi erariali e di alleggerire il carico di lavoro dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia. Risulta, infatti, evidente che il pieno coinvolgimento da parte dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia priverebbe il programma rieducativo della natura negoziale che lo caratterizza e neutralizzerebbe l'intero impianto processuale volto al contenimento dei tempi. D'altro canto, si evidenzia che l'esigenza di alleggerire l'aggravio di lavoro dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia, con conseguente tutela delle risorse pubbliche, trova espressa conferma nel fatto che lo stesso Legislatore che ha introdotto la procedura in esame ha apportato una modifica propriamente alla norma che regola la dipendenza funzionale dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia rispetto al Giudice. Infatti l'inciso «senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica», al richiamato articolo 6 d.P.R. numero 448 del 1988, è stato apportato dall'alt. 6, comma 1, lett. O a , del decreto legge 15 settembre 2023, numero 123, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2023, numero 159. Tale inciso mette in luce l'incertezza del Legislatore nel regolare l'intervento dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia all'interno dell'istituto in esame, nella misura in cui dapprima prevede che il progetto debba essere redatto «sentiti i servizi minorili dell'amministrazione della giustizia» e successivamente che il progetto debba essere redatto «in collaborazione anche con i servizi minorili dell'amministrazione della giustizia». La coordinazione logica tra le due diciture e la riformulazione dell'articolo 6 d.P.R. numero 448 del 1988 determina che l'intervento in parola non sia obbligatorio, potendo la difesa limitarsi a un'interlocuzione con i servizi minorili dell'amministrazione della giustizia prima di presentare il progetto, e in secondo luogo come già accennato che l'intervento dei servizi sia limitato al reperimento delle attività e non già a una presa in carico del minore nelle forme dell'affidamento. In sintesi, in ragione delle considerazioni esposte, non appare possibile una interpretazione costituzionalmente orientata, volta a colmare le lacune informative sia sulla situazione personale del minore sia sull'incidenza del progetto educativo sul percorso di crescita del minore. Rimane infine a disposizione del Giudice un'ultima soluzione applicativa, cioè quella di limitarsi a ritenere il progetto educativo non congruo, in quanto non è possibile determinare se sia in grado di soddisfare le esigenze educative del minore. Tuttavia, si rileva che diversamente da quanto accade nel caso in cui il progetto dovesse fallire per ragioni riconducibili all'imputato, puntualmente regolate dall'articolo 27 bis ai commi IV, V e VI il Legislatore non fornisce indicazioni né prevede conseguenze processuali nel caso in cui il Giudice dovesse ritenere, per una qualunque ragione, il progetto non congruo. Ciò posto, si possono ipotizzare due possibili soluzioni, nessuna delle quali tuttavia pare essere percorribile. Una prima soluzione è quella di disporre la restituzione degli atti al PMM, così come avviene nei casi di mancato avvio, di interruzione o di esito negativo del progetto articolo 27 bis, V e VI commi . Invero tale ipotesi non appare attuabile in quanto determina una regressione del procedimento penale in assenza di un'espressa previsione normativa o di ini vizio tale da inficiare la prosecuzione del procedimento. Infatti, si osserva che l'eventuale restituzione degli atti al PMM rappresenterebbe una regressione del procedimento in senso tecnico, poiché, nel momento in cui il Giudice è chiamato a esprimersi sul progetto, vi è stato l'esercizio dell'azione penale da parte del PMM, stante l'impiego delle dizioni «processo» articolo 27 bis, III comma e «imputato» art 27 bis, III e V comma , univoche nel presupporre l'avvenuto esercizio dell'azione penale. Al di là dei profili di legittimità processuale afferente all'esercizio dell'azione penale senza alcuna garanzia processuale tipicamente associata a tale atto, tra cui l'assenza degli avvisi informativi tanto all'indagato quanto alla persona offesa, si osserva che l'eventuale determinazione del Giudice nel senso di una remissione degli atti al PMM, oltre ad essere priva di un'espressa previsione normativa, si contrapporrebbe alla determinazione processuale assunta dalla difesa, che con la presentazione del progetto educativo ha univocamente palesato, con parziale sacrificio della presunzione di non colpevolezza, la volontà di addivenire a una rapida definizione del procedimento. Alla luce di queste considerazioni, richiamato il principio irretrattabilità dell'azione penale, codificato all'articolo 50, comma III, c.p.p., si ritiene tale ipotesi non percorribile in quanto contra legem. Una seconda soluzione è rappresentata dal potere per il Giudice di integrare il progetto educativo presentato dalla difesa. In tal caso riaffiorerebbero tutte le criticità sopra descritte circa la possibilità per il Giudice di ricorrere agli strumenti normativi volti a colmare il quadro conoscitivo. Inoltre, l'integrazione ufficiosa del progetto risulta incompatibile con la natura negoziale della proposta educativa, posto che la determinazione del suo contenuto è rimessa alla difesa e quindi ogni attività integrativa dettata dal Giudice rimarrebbe priva di titolo legittimante. Infine, l'integrazione del progetto sarebbe comunque rimessa al Giudice monocratico, privo del supporto scientifico apportato dalla componente onoraria. Quest'ultimo aspetto, ovvero la mancata attribuzione del giudizio a un Organo collegiale multidisciplinare e altamente formato, appare invero non superabile e preclude in modo definitivo la possibilità di assicurare i fini propri del processo minorile, che evidentemente travalicano una logica trattamentale meramente proporzionale e a valenza retributiva. In definitiva, a giudizio dello scrivente, l'istituto introdotto all'articolo 27 bis d.P.R. numero 448 del 1988 solleva dei dubbi non manifestamente infondati in relazione all'articolo 3 e all'articolo 31 comma II Costituzione, perché cela, di fronte a un reato asseritamente commesso da un minorenne, una meccanica trattamentale fortemente improntata sul paradigma punitivo, scandita dal principio di proporzionalità, anziché assicurare un approccio trattamentale fondato su dinamiche educative e riabilitative, definite dal principio personalistico e assicurate dalla multidisciplinarietà dell'Organo giudicante minorile. P.Q.M. Visto l'articolo 23 della legge 11 marzo 1953, numero 87 ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, solleva, nei termini dianzi indicati, questione di legittimità costituzionale dell'articolo 27 bis, del d.P.R. numero 448 del 1988, così come inserito dall'articolo 8, comma 1, lettera b del decreto-legge 15 settembre 2023, numero 123, convertito con modificazioni dalla legge 13 novembre 2023, numero 159, per la violazione degli articoli 3 e 31 della Costituzione. Sospende il giudizio in corso sino all'esito del giudizio incidentale di legittimità costituzionale dispone che, a cura della cancelleria, gli atti siano immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale, e che la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Pubblico ministero sede nonché al Presidente del Consiglio dei ministri, e che sia anche comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.