La vendita di un immobile in esecuzione di un preliminare non (sempre) beneficia degli effetti purgativi dell'ipoteca

Ai fini dell’effetto purgativo è necessario che la vendita sia stata attivata adottando una procedura competitiva, perché questo renda la vendita declinabile in senso procedimentale come atto di liquidazione dell’attivo, per effetto della messa in esecuzione di un programma di liquidazione e non anche in base ad una vendita conclusa in esecuzione degli obblighi di un contratto preliminare cui è subentrato il Curatore.

Il fatto La Corte di Cassazione si è pronunciata su un ricorso avverso il decreto di cancellazione di un'iscrizione ipotecaria su un bene immobile ceduto ad un socio di una Cooperativa dichiarata fallita. La Banca creditrice aveva iscritto ipoteca sull'immobile prima della dichiarazione di fallimento e sempre prima aveva intrapreso la procedura di pignoramento sul medesimo bene. L'immobile era stato promesso in vendita dalla fallita in bonis ad un socio che avrebbe comprato l'immobile ad uso abitativo il contratto preliminare era stato trascritto in data anteriore alla sentenza di fallimento e la Fallita in bonis aveva già percepito il prezzo. Nell'autorizzare il Curatore della promittente venditrice medio tempore fallita al subentro nel preliminare ai sensi e per gli effetti dell'articolo 72, ultimo comma, Legge fallimentare, il Giudice delegato del tribunale di Monza aveva disposto la cancellazione dei gravami insistenti sul bene immobile con decreto fatto oggetto di reclamo dal creditore ipotecario. La tesi del Tribunale di Monza Nel respingere il reclamo del decreto di cancellazione dell'ipoteca, il Tribunale di Monza argomentava «che la vendita ex articolo 72, ultimo comma, legge fall., sebbene attuata con forme privatistiche, rimane una vendita fallimentare. E questo perché la vendita avviene comunque coattivamente, ossia a prescindere dalla volontà del titolare del diritto sul bene l'impresa fallita , e all'interno di un procedimento di liquidazione concorsuale mediante un atto del curatore, soggetto rappresentante la massa dei creditori e lo stesso fallito». Il Tribunale sorreggeva la propria motivazione richiamando l'orientamento espresso dalla Suprema Corte con la pronuncia numero 3310 del 2017 resa dalla Prima Sezione nonché aderendo all'orientamento di merito secondo cui il nostro ordinamento accorda al promissario acquirente della casa di abitazione una tutela privilegiata, «facendo prevalere il suo diritto alla stipula del contratto definitivo sul diritto alla migliore soddisfazione economica delle ragioni del creditore ipotecario». Secondo invece il creditore ipotecario alla vendita in questione non era applicabile l'articolo 108, secondo comma, legge fallimentare, in quanto il «mero subentro ex lege del curatore nel contratto preliminare trascritto di un immobile destinato a costituire abitazione principale dell'acquirente» non poteva equipararsi ad una vendita forzata ragion per cui il Giudice delegato non avrebbe potuto disporre il decreto “purgativo” delle iscrizioni pregiudizievoli tra le quali l'ipoteca. La pronuncia della Cassazione La Cassazione con ordinanza interlocutoria rimetteva la questione alle Sezioni Unite avendo rilevato un contrasto formatosi negli anni al suo interno ponendo «l'interrogativo se l'articolo 108, secondo comma, legge fall. sia o meno applicabile anche alla vendita attuata non all'esito di una procedura competitiva pubblicizzata e svoltasi sulla base di valori di stima, ma in forma contrattuale, in adempimento di un contratto preliminare in cui il curatore sia subentrato ex lege in applicazione del disposto dell'articolo 72, ottavo comma, stessa legge». Il motivo di ricorso su cui si è pronunciata la Suprema Corte veniva articolato in due profili a la qualificazione come vendita concorsuale del contratto definitivo concluso dal curatore in esecuzione del preliminare trascritto ex articolo 72, ultimo comma, legge fall., ai fini dell'articolo 108 stessa legge b la presunta esistenza di una ragione di prevalenza del fine di tutela dei diritti del promissario acquirente rispetto ai diritti del creditore ipotecario, da tutelare mediante l'esercizio del potere di purgazione. Le Sezioni Unite dichiaravano che il contrasto giurisprudenziale formatosi andasse risolto con l'affermazione del principio per cui «nel sistema della legge fallimentare l'articolo 108, secondo comma, prevede il potere purgativo del giudice delegato in stretta ed esclusiva consonanza con l'espletamento della liquidazione concorsuale dell'attivo disciplinata nella Sezione II del Capo VI secondo le alternative indicate nell'articolo 107, […] mentre è da escludere che la norma possa essere applicata – e il potere purgativo esercitato dal giudice delegato - nei diversi casi in cui il curatore agisca nell'ambito dell'articolo 72, ultimo comma, legge fall. quale semplice sostituto del fallito, nell'adempimento di obblighi contrattuali da questo assunti con un preliminare di vendita». Secondo la Cassazione, l'estensione del potere del giudice delegato di ordinare la cancellazione delle iscrizioni pregiudizievoli anche alla vendita effettuata dal curatore subentrato ex lege in adempimento del preliminare stipulato dal fallito, ritenuta praticabile dal pronunciamento di legittimità del 2017 cui ha aderito il tribunale di Monza, muove da un profilo di similitudine non condivisibile. Le Sezioni Unite, infatti, hanno stigmatizzato l'assunto desumibile dal pronunciamento del tribunale di Monza secondo cui «quale che sia la forma con la quale l'alienazione si realizza, l'atto finale è pur sempre qualificabile come atto traslativo di un bene, e solo questo conta, poiché per riconoscere natura di vendita forzata alla vicenda traslativa di diritti rileva la natura del potere e non la forma del suo esercizio», affermando perentoriamente invece che «la vendita effettuata dal curatore in adempimento del preliminare stipulato dal fallito non possiede natura coattiva, né funzione liquidatoria dell'attivo, neppure quando il preliminare abbia riguardato la casa di abitazione del promissario e sia stato trascritto prima del fallimento». In conclusione, secondo le Sezioni Unite, «ai fini dell'effetto purgativo è perciò necessario che la vendita sia stata attivata nel senso indicato dall'articolo 107, perché questo rende la vendita declinabile in senso procedimentale come atto di liquidazione dell'attivo, per effetto della messa in esecuzione di un programma di liquidazione all'esito delle conseguenti possibilità offerte dalla norma». In chiusura le Sezioni Unite davano atto che l'articolo 173 CCII, nei casi di subentro del curatore nel contratto preliminare di vendita, riconosce esplicitamente la possibilità del giudice delegato di ordinare con decreto la cancellazione delle iscrizioni pregiudizievoli, previsione non applicabile al caso di specie, ratione temporis e neppure quale corrispondente esegetico come invece ritenuto dal tribunale di Monza. La Corte cassava con rinvio al tribunale di Monza prescrivendo che si attenesse ai principi di diritto esposti nelle motivazioni di accoglimento del ricorso.

Presidente D’Ascola – Relatore Terrusi Fatti di causa Nell'ambito di un contenzioso originato da un contratto quadro di intermediazione finanziaria stipulato da Pe.Ro. con la Unicredit Spa in data 30 giugno 1992, la Corte d'appello di Venezia, con sentenza del 1 luglio 2014, confermando le sentenze impugnate non definitiva e definitiva del Tribunale di Verona, rigettò le domande di risoluzione del contratto quadro per inadempimento e di condanna della banca al risarcimento del danno, reputandole del tutto generiche, senza precisare quali fossero i titoli acquistati, quali le ragioni della inadeguatezza delle informazioni fornite all'investitore e quale il danno subìto. Le predette sentenze furono impugnate e, in accoglimento del settimo motivo di ricorso del Pe.Ro., furono cassate da questa Corte di legittimità con ordinanza numero 30879 del 2018. All'esito del giudizio di rinvio, la Corte veneziana, con sentenza del 20 aprile 2020, ha confermato il rigetto del gravame di Pe.Ro., ritenendo le sue domande non provate e, quindi, infondate. Avverso questa sentenza il Pe.Ro. propone ricorso per cassazione, affidato a un motivo, resistito da Unicredit. Le parti hanno depositato memorie. Ragioni della decisione Con un unico motivo il ricorrente denuncia violazione dell'articolo 384 c.p.c. e nullità della sentenza impugnata per grave illogicità e contraddittorietà, ai sensi dell'articolo 132 numero 4 c.p.c., in considerazione del mancato rispetto delle seguenti statuizioni che questa Corte avrebbe espresso nell'ordinanza numero 30879 del 2018 a le operazioni contestate dovevano ritenersi individuate nei documenti allegati alla citazione in opposizione a decreto ingiuntivo b l'investitore aveva contestato l'inadempimento agli obblighi informativi attivi e passivi a carico della banca c tutte le operazioni dovevano ritenersi inadeguate per non avere la banca provato di avere acquisito e fornito al cliente le informazioni dovute inoltre, il ricorrente afferma di avere precisato di avere depositato in banca tutto il proprio patrimonio che all'epoca ammontava a circa un miliardo di lire, andato disperso, al fine di effettuare gli investimenti, così assumendo di avere dimostrato il danno risultante dal saldo passivo del conto che derivava anche dagli investimenti effettuati utilizzando le aperture di credito concesse dalla banca. Il motivo è infondato. Con l'ordinanza numero 30879 del 2018 questa Corte, accogliendo il ricorso di Pe.Ro., si è limitata a censurare la sentenza d'appello del 2014 per avere dichiarato la sostanziale inammissibilità della domanda attorea per indeterminatezza, mentre la domanda era sufficientemente determinata quanto al petitum la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno attestato dal saldo passivo del conto riferibile all'esito negativo degli investimenti e alla causa petendi era dedotto l'inadempimento della banca agli obblighi informativi nei confronti del cliente circa le caratteristiche dei titoli acquistati, individuati nei documenti contabili allegati all'atto di citazione in opposizione al decreto ingiuntivo a favore della banca . Al giudice di rinvio era rimesso il compito di esaminare nel merito le domande di risoluzione e risarcimento tramite analisi della documentazione richiamata dal ricorrente a sostegno dei propri argomenti difensivi, ma la cui verificazione in fatto - come puntualizzato dalla Corte di legittimità - è, ovviamente, questione di fondatezza della domanda, non già di determinatezza della stessa . L'ordinanza cassatoria non ha quindi espresso, neppure indirettamente, alcuna valutazione circa l'assolvimento dell'onere probatorio da parte della banca e/o circa l'adeguatezza o inadeguatezza delle informazioni rese dalla stessa, rimettendo al riguardo ogni valutazione al giudice di rinvio. Di conseguenza, la Corte veneziana ha accertato in fatto che l'attore non aveva indicato quali fossero le informazioni omesse dalla banca in relazione ai tanti titoli acquistati nel lungo periodo dal 1997 al 2002 e quali tra questi fossero rischiosi e per quali ragioni, avendo lamentato l'inadeguatezza delle sole azioni Tim senza allegarne la rischiosità, e quindi non aveva provato il carattere pregiudizievole degli investimenti, non potendosi identificare il danno con il saldo passivo del conto corrente ove erano contabilizzate anche le aperture di credito, gli interessi passivi e le uscite per spese personali. La Corte ha aggiunto che tra i titoli nel portafoglio della banca tra i quali le azioni Tim alcuni avevano realizzato incrementi di valore, come sarebbe dimostrato dal fatto che, a fronte di una esposizione debitoria consistente del cliente Euro 1241371,05 , la banca aveva ottenuto un decreto ingiuntivo per un importo sensibilmente inferiore Euro 300000,00 , essendo in possesso di titoli che avevano incrementato il loro valore e che quasi coprivano quella esposizione. La Corte di merito ha quindi accertato in concreto l'infondatezza della domanda per non avere l'attore assolto all'onere allegativo e probatorio su di esso incombente, all'esito di un accertamento di fatto incensurabile, in quanto plausibilmente argomentato e in linea con le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza di legittimità. È infatti acquisito il principio secondo cui nelle azioni di responsabilità per danni subiti dall'investitore il riparto dell'onere della prova si atteggia nel senso che l'investitore ha l'onere di allegare specificamente l'inadempimento delle obbligazioni da parte dell'intermediario mediante la pur sintetica ma circostanziata individuazione delle informazioni che l'intermediario avrebbe omesso di somministrare, nonché di fornire la prova del danno e del nesso di causalità tra inadempimento e danno, che sussiste se, ove adeguatamente informato, l'investitore avrebbe desistito dall'investimento rivelatosi poi pregiudizievole l'intermediario, a sua volta, ha l'onere di provare l'avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte e, sotto il profilo soggettivo, di aver agito con la diligenza richiesta Cass. numero 14335/2019, numero 10111/2018, numero 4727/2018 . In conclusione, il ricorso è rigettato e le spese seguono la soccombenza. P.Q.M.   La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 4200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge. Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell'articolo 13, comma 1 quater, del dPR numero 115 del 2002, nel testo introdotto dall'articolo 1, comma 17, della legge numero 228 del 2012, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.