Mutilazione genitali femminili: il passato della donna rileva ai fini della protezione internazionale

«In tema di protezione internazionale, ove risulti che la ricorrente abbia subito mutilazioni genitali femminili, il pericolo per la richiedente di subire in caso di rimpatrio ulteriori trattamenti discriminatori di genere o trattamenti inumani e degradanti, pure di tipologia diversa da quelli già patiti, deve essere valutato anche con riguardo all’eventualità che ella possa subire tali trattamenti a causa del pregresso vissuto e delle peculiarità della sua storia personale […]».

«[…] Il rischio prognostico così individuato va accertato tramite le fonti di conoscenza sul contesto sociale e culturale di provenienza, in relazione anche alla possibilità di ottenere adeguata protezione da parte della autorità locali». Questo principio di diritto è stato espresso dalla Corte di Cassazione nella sentenza depositata venerdì scorso e avente a oggetto il ricorso presentato da una donna nigeriana avverso il decreto emesso dal Tribunale di Roma che rigettava il riconoscimento dello status di rifugiata o della protezione sussidiaria. Avverso tale decisione propone ricorso la donna argomentando i seguenti motivi Con i primi due la ricorrente ritiene che la sottoposizione alla pratica della mutilazione genitale femminile MGF deve portare a riconoscere lo status di rifugiata, laddove venga praticata nel paese di origine poiché designa un trattamento discriminatorio della donna ingiustificato Con il terzo motivo viene lamentata la mancata audizione della donna, nonché il fatto che le MGF si inseriscono in un contesto di profonda discriminazione delle donne e, sebbene debitamente dedotto nel ricorso, non è stato tenuto in considerazione ai fini della decisione che, invece, si è basata solo sulle eventuali persecuzioni della richiedente in quanto monaca e religiosa Con il quarto si lamenta che la protezione speciale era stata riconosciuta solo in virtù del percorso di integrazione della donna in Italia nonché in virtù dell'articolo 8 CEDU, senza però aver riguardo al di lei vissuto, alla profonda vulnerabilità e al contesto del Paese di origine.   Ad avviso dei Giudici di legittimità i primi due motivi di ricorso, da trattare congiuntamente, sono fondati. Secondo la giurisprudenza di legittimità, infatti, «ove la ricorrente alleghi di aver subito mutilazioni genitali femminili, il Tribunale è tenuto ad accertare la fondatezza del rischio in caso di rimpatrio, anche in relazione ai costumi sociali del paese d'origine e alla possibilità di ottenere protezione effettiva da parte delle autorità locali, tenuto conto che le MGF integrano un atto persecutorio del D. Lgs. numero 251 del 2007, ex articolo 7, ovvero un danno grave di cui dell'articolo 14 D. Lgs. cit., lett. b » cfr. Cass. civ., numero 22658 del 2023 . Inoltre, è da ricordare che la nota orientativa del 2009 dell'UNHCR circa le domande di asilo riguardanti le MGF, considera queste ultime una forma di violenza di genere che infligge un grave danno sia fisico che mentale. Le MGF consistono in vere e proprie persecuzioni poiché violano tutta una serie di diritti umani sia delle ragazze che delle donne a titolo di esempio, il diritto alla non discriminazione, alla protezione dalla violenza mentale e fisica, alla vita . Ancora, la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica Istambul, 11 maggio 2011, ratificata dall'Italia con l. numero 77 del 2013 , definisce le MGF come grave violazione dei diritti umani delle donne e delle ragazze nonché principale ostacolo al raggiungimento della parità tra i sessi. Infine, va ricordata anche la Risoluzione del Parlamento UE del 14 giugno 2012 sull'abolizione delle MGF che dà atto che le stesse sono indice di disparità nei rapporti di forza, oltre a costituire una forma di violenza nei confronti delle donne. Oltre a richiamare la normativa internazionale e comunitaria, il Collegio ricorda che al fine di valutare correttamente la richiesta della donna, il pericolo che ella sia sottoposta a trattamenti inumani e degradanti o subire trattamenti discriminatori di genere, va valutato non solo con riferimento alla possibilità che venga nuovamente sottoposta a MGF, ma «che possa subite tali trattamenti a causa del suo pregresso vissuto e delle peculiarità della sua storia personale, mediante idoneo approfondimento al riguardo tramite le fonti di conoscenza sul contesto sociale e culturale di provenienza». Nel caso in esame, però, il Tribunale ha effettuato la valutazione del rischio in caso di rimpatrio della donna, e ritenendo di escluderlo, solamente conducendo l'analisi da un punto di vista delle possibili persecuzioni legate allo status di religiosa, ritenendo che «in base alle COI “non risultano discriminazioni nei confronti di monache e religiose nel sud est della Nigeria, zona da cui la ricorrente proviene e dove tornerebbe o che le stesse siano destinatarie di uno stigma sociale, tanto da rendere probabile un rischio persecutorio o di danno grave”». Tale ricostruzione, però, sottolineano i Giudici di legittimità, non corrisponde a quanto la ricorrente ha allegato, né alla sua storia personale, né alla sua attuale condizione. Infatti, la donna non ha prospettato il rischio di rimpatrio in relazione al suo status di religiosa, allegando che, addirittura, proprio perché rifiutata come tale in Nigeria era fuggita in Italia. La donna sosteneva, invece, che il rischio per il rimpatrio dipendesse Sia dalla propria storia personale caratterizzata dalla scelta di non sposarsi e, quindi, intraprendere un percorso contrario e opposto a quello al quale era stata iniziata fin da piccola dopo essere stata sottoposta a MGF Sia dalla sua condizione attuale di donna non sposata, ma neppure monaca o suora perché rifiutata dall'ambiente religioso del suo Paese natale.   È in base alla valenza discriminatoria delle MGF nonché alla storia personale dedotta dalla ricorrente che il Tribunale avrebbe dovuto valutare la sussistenza o meno del pericolo per la ricorrente di subire nuovamente trattamenti discriminatori di genere o trattamenti inumani e degradanti nel Paese di origine. La Corte, quindi, enuncia il principio di diritto sopraesposto, accoglie i primi due motivi di ricorso ritenendo gli altri assorbiti e rinvia al Tribunale di Roma in diversa composizione.

Presidente Acierno – Relatrice Parise Fatti di causa 1. Con decreto emesso in data 11/05/2023 nel procedimento R.G. numero 56043/2021 il Tribunale di Roma rigettava il ricorso di O.T.E., nata in omissis il omissis A.O.T.E., nata in omissis il omissis , avente ad oggetto il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, all'esito del rigetto della sua domanda di protezione internazionale da parte della competente Commissione Territoriale, mentre accoglieva la domanda della ricorrente concernente il riconoscimento della cd. protezione speciale. 2. Avverso il suddetto provvedimento, la ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi nei confronti del Ministero dell'Interno, che è rimasto intimato. 3. Il ricorso è stato fissato per l'adunanza in camera di consiglio ai sensi degli articolo 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. procomma civ Ragioni della decisione 1.La ricorrente denuncia i con il primo motivo “articolo 360 co. 1 numero 3 c.p.comma Violazione e falsa applicazione articolo 2,3,7,8 e 14 d.lgs. 251/2007. Violazione articolo 60 Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. Violazione articolo 3 CEDU Violazione art 1 Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 1951 ratificata in Italia” ii con il secondo motivo l'“omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex articolo 360 co. 1 numero 5 c.p.comma per non aver il giudice tenuto in considerazione il contesto socio-culturale del paese di origine e il rischio di subire gravi discriminazioni fondate sul genere” iii con il terzo motivo “articolo 360 numero 3 Violazione e falsa applicazione articolo 35-bis co. 11 d.lgs. 25/2008. Mancata audizione della ricorrente” iv con il quarto motivo “articolo 360 numero 3 c.p.comma Violazione e falsa applicazione articolo 19 co. 1 e 1.1 d.lgs. 286/98”. La ricorrente, illustrando i primi due motivi, deduce che la sottoposizione alla pratica della mutilazione genitale femminile di seguito per brevità MGF deve portare al riconoscimento dello status di rifugiata, laddove la pratica sia svolta nel paese di origine realizzando un trattamento ingiustamente discriminatorio della donna. In tale ottica, ad avviso della ricorrente, è fondamentale esaminare quale sia il contesto socio-culturale di appartenenza, al fine di verificare se le donne siano discriminate nel godimento e nell'esercizio dei diritti fondamentali Cass. civ. 11091/2023 . Per tale ragione, nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado si era ampiamente allegata e descritta l'esistenza di un contesto profondamente discriminatorio della donna in Nigeria, il quale, ad avviso della ricorrente, emerge con tutta evidenza dalle fonti disponibili. Con il terzo motivo si denuncia la mancata audizione della ricorrente e si deduce che le MGF si inseriscono in un contesto di profonda discriminazione nei confronti delle donne, che – seppur allegato nel ricorso – non era stato tenuto in considerazione nella decisione impugnata, che aveva valutato  solo le potenziali persecuzioni della richiedente in quanto monaca e religiosa. Infine, le MGF sono idonee a rivelare una condizione di vulnerabilità fisica e psicologica, su cui la ricorrente non era mai stata ascoltata e che pure avrebbe dovuto costituire oggetto di valutazione. Con il quarto motivo si deduce che la protezione speciale era stata riconosciuta esclusivamente sulla base del percorso di integrazione della donna in Italia e sul rispetto dell'articolo 8 CEDU, senza valorizzare il vissuto e la profonda vulnerabilità della ricorrente, nonché il contesto esistente nel Paese di origine. 2. I motivi primo e secondo, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono fondati. 2.1. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte a cui il Collegio intende dare continuità, ove la ricorrente alleghi di aver subito mutilazioni genitali femminili, il Tribunale è tenuto ad accertare la fondatezza del rischio in caso di rimpatrio, anche in relazione ai costumi sociali del paese d'origine e alla possibilità di ottenere protezione effettiva da parte delle autorità locali, tenuto conto che le MGF integrano un atto persecutorio del D. Lgs. numero 251 del 2007, ex articolo 7, ovvero un danno grave di cui dell'articolo 14 D. Lgs. cit., lett. b cfr. da ultimo Cass.22658/2023 . Come già ricordato da questa Corte Cass. numero 30631/2021 , la nota orientativa dell'UNHCR  2009 sulle domande di asilo riguardanti la mutilazione genitale femminile considera le MGF come una forma di violenza basata sul genere che infligge grave danno, sia fisico che mentale, e costituisce persecuzione in quanto vìolano una serie di diritti umani delle ragazze e delle donne, tra cui il diritto alla non discriminazione, alla protezione dalla violenza fisica e mentale, ai più alti possibili standard sanitari e, nei casi più estremi, il diritto alla vita. In materia di MGF, la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta ad Istanbul l'11/05/2011 e ratificata dall'Italia con L. numero 77 del 2013, definisce le MGF come grave violazione dei diritti umani delle donne e delle ragazze e come principale ostacolo al raggiungimento della parità tra i sessi. All'articolo 60, rubricato richieste di asilo basate sul genere , onera le Parti contraenti ad adottare le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che la violenza contro le donne basate sul genere possa essere riconosciuta come una forma di persecuzione e come una forma di grave pregiudizio che dia luogo ad una protezione complementare/sussidiaria. Infine, la Risoluzione del Parlamento Europeo del 14/06/2012 sull'abolizione delle mutilazioni genitali femminile, dà atto che le MGF sono indice di una disparità nei rapporti di forza e costituiscono una forma di violenza nei confronti delle donne, al pari di altre gravi manifestazioni di violenza di genere, e che è assolutamente necessario inserire sistematicamente la lotta alle mutilazioni genitali femminili in quella più generale contro la violenza di genere e la violenza nei confronti delle donne cfr. Cass. 29971/2021 e pronunce sopra citate . 2.2. Occorre ulteriormente precisare che il pericolo per la richiedente di subire in caso di rimpatrio ulteriori trattamenti discriminatori di genere oppure trattamenti inumani e degradanti deve essere valutato non solo con riferimento all'eventualità, più frequente nella casistica giudiziaria, che ella sia sottoposta nuovamente alla pratica dell'infibulazione, ma anche con riguardo all'eventualità che possa subire tali trattamenti a causa del pregresso vissuto e delle peculiarità della sua storia personale, mediante idoneo approfondimento al riguardo tramite le fonti di conoscenza sul contesto sociale e culturale di provenienza. 2.3. Nel caso di specie, il Tribunale ha escluso il rischio in caso di rimpatrio svolgendo l'indagine limitatamente a profili discriminatori legati allo status di religiosa della ricorrente, affermando che in base alle COI “non risultano discriminazioni nei confronti di monache e religiose nel sud est della Nigeria, zona da cui la ricorrente proviene e dove tornerebbe o che le stesse siano destinatarie di uno stigma sociale, tanto da rendere probabile un rischio persecutorio o di danno grave”. L'indagine così svolta non corrisponde alle allegazioni della ricorrente e alle caratteristiche specifiche della sua storia personale, la cui credibilità non è posta in discussione, e della sua attuale condizione. La ricorrente così ha illustrato la propria vicenda personale “Quando l'odierna ricorrente è ancora piccola, la stessa viene sottoposta – secondo una tradizione dominante in Nigeria – a mutilazioni genitali femminili di II tipo, in vista di un eventuale futuro matrimonio Docomma 2 . Tuttavia, la sig.ra O.T.E. non si sposerà mai e al contrario nel 1993 entra nel Monastero omissis . Nel 1997 emette per la prima volta i voti, che avrebbe poi dovuto rinnovare nel 2000. Nel 2000, prima della cerimonia per il rinnovo dei voti, la sig.ra O.T.E. subisce un'operazione per la rimozione di un fibroma all'utero. Le viene successivamente impedito di rinnovare i voti a causa del dissenso di un membro della congregazione e viene allontanata dal monastero. Inizia quindi a insegnare in una scuola primaria, ma, decisa a proseguire il proprio percorso religioso, fa giuramento primario attraverso il vescovo della propria parrocchia. Qualche anno dopo conosce una monaca che stava per trasferirsi in Italia e la mette in contatto con il monastero di M.F. a Frosinone. Il monastero decide di ammetterla e le favorisce l'ingresso in Italia inviandole una lettera di invito e pagandole il viaggio. La sig.ra O.T.E. arriva in Italia con un aereo il 27.01.2015, ottiene un permesso di soggiorno per motivi religiosi ed entra nel monastero di M.F Qui viene rassicurata del fatto che avrebbe potuto fare la professione solenne emissione dei voti perpetui dopo tre anni dal suo ingresso. Tuttavia, trascorsi tre anni, alla sig.ra O.T.E. viene nuovamente impedito di rinnovare i voti. Nel 2019, a seguito di un episodio violento seguito a molestie sessuali che aveva coinvolto un'altra suora nigeriana, si libera un posto in un altro monastero, dove la sig.ra O.T.E. viene trasferita. Ben presto tuttavia le viene detto che non avrebbe potuto fare la professione solenne, a causa  della decisione della Madre Superiora di non far più fare la professione alle suore nigeriane. Posta innanzi alla prospettiva di non poter emettere i voti solenni, a marzo 2019 la sig.ra O.T.E. decide di lasciare il monastero. Alcuni mesi dopo il suo allontanamento, la stessa ha iniziato un percorso con operatrici specializzate in violenza di genere presso il Centro “Prendere il volo”, gestito dall'associazione Differenza Donna ONG” pag. 2 ricorso . Ora, il Tribunale ha dato atto del motivo dell'espatrio prosecuzione del percorso religioso in Europa ed ha escluso la configurabilità di rischi prognostici al rientro nella zona di provenienza Anambra State prendendo in considerazione solo quelli legati alla condizione di religiosa della ricorrente. Tuttavia il rischio in caso di rimpatrio non è stato prospettato dalla ricorrente in relazione a discriminazione legata al suo status di religiosa, dato che, anzi, ella ha allegato di essere stata rifiutata dall'ambiente religioso in Nigeria e per questo di essere fuggita in Italia. Il rischio prognostico è stato, infatti, prospettato in relazione a discriminazione di genere in tesi dipendente a dalla storia personale della richiedente, connotata dall'iniziale scelta di non sposarsi, ossia di intraprendere un percorso di vita opposto a quello che prende avvio, nel contesto di provenienza, con la pratica della MGF a cui ella era stata sottoposta in tenera età, e dalla successiva impossibilità di realizzare in Nigeria il suo progetto religioso b dalla sua attuale condizione di donna non sposata e neppure monaca o suora, in quanto rifiutata dall'ambiente religioso del suo Paese. Dunque, ribadita l'indubbia valenza della MGF quale indice di una grave disparità nei rapporti di forza e forma di violenza nei confronti delle donne, è rispetto alla suindicata storia personale e all'attuale condizione della richiedente che avrebbe dovuto svolgersi l'indagine del Giudice di merito, al fine di verificare la sussistenza del pericolo per la stessa di subire ulteriori trattamenti discriminatori di genere oppure trattamenti inumani e degradanti nel contesto socio-culturale caratterizzante il suo Paese, per mezzo dell'acquisizione di fonti aggiornate e precise sulla zona di provenienza, in relazione anche alla possibilità di ottenere adeguata protezione da parte della autorità locali. In altre parole, il Tribunale avrebbe dovuto accertare se effettivamente la ricorrente, in ragione del suo vissuto e della sua attuale condizione, possa ritenersi appartenente ad un particolare gruppo sociale nei cui confronti siano di fatto attuati trattamenti discriminatori, diretti o indiretti, nel libero godimento e nell'esercizio dei diritti fondamentali, ai fini del riconoscimento del rifugio ai sensi dell'articolo 7, lett. a ed f , del d. lgs. numero 251 del 2007, e ciò mediante l'esercizio dei poteri istruttori ufficiosi circa l'esistenza di disposizioni normative o di pratiche tollerate o non adeguatamente osteggiate nell'Anambra State di rilevanza nel caso concreto e nei termini precisati. Sull'appartenenza di genere come concetto riferibile al particolare gruppo sociale la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che, seppur la definizione di rifugiato di cui agli articolo 1 A 2 della Convenzione di Ginevra del 1951 e 2 comma 1 lett. e d. lgs. 251 del 2007 non preveda espressamente l'appartenenza di genere tra le cause di persecuzione, una prima integrazione della disciplina sull'asilo in relazione al genere era stata fornita dalle Linee guida dell'UNHCR sulla persecuzione di genere nel contesto dell'articolo 1° 2 della Convenzione del 1951, con le quali si evidenziava la necessità di interpretare la disciplina dell'asilo anche in un'ottica di genere, che deve essere inteso come status di appartenenza sociale, economica e culturale, e non come grossolana differenziazione soltanto biologica e chimica tra sessi opposti Cass. 16172/2021 . Con la conseguenza che l'appartenenza di genere ben possa ed anzi debba essere considerata, in determinate condizioni, come riferibile ad un particolare gruppo sociale , che può essere oggetto di persecuzioni già ai sensi dell'articolo 1 A 2 della Convenzione di Ginevra. In via gradata, il Tribunale avrebbe dovuto accertare se la ricorrente, sempre in ragione del suo vissuto e della sua attuale condizione, possa nuovamente subire nel proprio Stato un trattamento oggettivamente inumano e degradante, anche di tipo diverso da quello già patito, ai fini del riconoscimento della protezione internazionale sussidiaria ex articolo 14, lett. b , del d. lgs. numero 251 del 2007, e ciò mediante l'esercizio dei poteri istruttori ufficiosi di cui si è detto. 3. La Corte ritiene di dover enunciare il seguente principio di diritto ex articolo 384 cod. procomma civ. «In tema di protezione internazionale, ove risulti che la ricorrente abbia subito mutilazioni genitali femminili, il pericolo per la richiedente di subire in caso di rimpatrio ulteriori trattamenti discriminatori di genere o trattamenti inumani e degradanti, pure di tipologia diversa da quelli già patiti, deve essere valutato anche con riguardo all'eventualità che ella possa subire tali trattamenti a causa del pregresso vissuto e delle peculiarità della sua storia personale e il rischio prognostico così individuato va accertato tramite le fonti di conoscenza sul contesto sociale e culturale di provenienza, in relazione anche alla possibilità di ottenere adeguata protezione da parte della autorità locali». 4. Alla stregua delle considerazioni che precedono, vanno accolti i motivi primo e secondo di ricorso, dichiarati assorbiti gli altri, il decreto impugnato va cassato nei limiti dei motivi accolti e la causa va rinviata al Tribunale di Roma, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie i motivi primo e secondo di ricorso dichiara assorbiti gli altri cassa il decreto impugnato nei limiti dei motivi accolti e rinvia la causa al Tribunale di Roma, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.