Ai fini della configurazione del reato di peculato è rilevante la circostanza che le previsioni del regolamento interno, e di quello definitivo, adottato dal Presidente di una Fondazione nella specie Fondazione Calabresi nel Mondo , siano inidonee, in mancanza di un debito vaglio dell'organo di controllo, a superare i limiti statutariamente previsti in ordine alla remunerazione delle cariche, in particolare di quelle ricoperte da chi riveste la qualità di parlamentare. Fattispecie in tema di peculato relativa alla mancata sottoposizione del regolamento all’effettivo controllo della Regione Calabria .
In applicazione di tale principio la Corte di Cassazione, con la sentenza depositata il 13 marzo 2024, ha annullato senza rinvio una pronuncia della Corte di appello di Catanzaro, limitatamente alla confisca, in relazione all'importo eccedente il valore indicato, rigettando invece, nel resto il ricorso. Il caso I fatti traggono origine da una sentenza della Corte di appello di Catanzaro, che in parziale riforma di quella del GIP del Tribunale di Catanzaro aveva prosciolto il ricorrente dal reato di falso ideologico ma aveva confermato sia la condanna in relazione al reato di peculato in concorso con altro imputato, che la disposta confisca per equivalente. La Corte ha in particolare ritenuto che fosse provata la condotta dell'altro imputato ex sottosegretario , quale presidente della Fondazione Calabresi nel Mondo, in tale veste ritenuto incaricato di pubblico servizio in ragione del ruolo strumentale attribuito alla Fondazione per la cura di progetti e programmi per conto della Regione Calabria, da questa finanziati anche con Fondi europei, e quella del ricorrente, quale segretario generale della Fondazione, avendo il presidente adottato un regolamento provvisorio e poi un regolamento definitivo nel quale, in contrasto con quanto previsto dallo Statuto, che escludeva remunerazioni in caso di concomitante ruolo di parlamentare, si prevedeva una retribuzione e si precisava che la stessa era riferibile a un ruolo operativo all'interno dei progetti, e nel quale parimenti si prevedeva un maggior onere retributivo, quali indennità di posizione, a favore del segretario generale, ove nominato a scavalco, come nel caso del ricorrente, dipendente dalla Regione, in relazione allo svolgimento delle funzioni, costituenti un quid pluris. La Corte aveva ritenuto provato che il regolamento fosse stato inviato alla Regione e posto a disposizione del ricorrente nelle vesti di Dirigente Affari Generali. Le soluzioni giuridiche La sentenza della Sesta Sezione della Cassazione è di particolare interesse in quanto involge non solo il tema riguardante la compartecipazione di tipo concorsuale alla perpetrazione dell'illecito e quindi dell'assoggettamento di ciascun concorrente alla confisca, ma pure quello ulteriore dell'interpretazione delle norme che concorrono alla definizione della nozione di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio al fine di stabilire se, in capo ai soggetti coinvolti nella vicenda, fosse possibile ravvisare la relativa qualità. L'erroneo inquadramento della qualifica soggettiva, potrebbe infatti riverberarsi sul coefficiente psicologico del reato ex articolo 314 c.p. alla stregua di una incolpevole ignoranza in dottrina, sul delitto di peculato, volendo v. Panetta, Commento sub. articolo 314 c.p. in Codice Penale a cura di Padovani, con il coordinamento di Caputo De Francesco-Fidelbo , Giuffrè, 2019, p.1920 . Invero, per quanto qui rileva, va sottolineato che la nozione di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio è definita dagli articolo 357 e 358 c. p., che fanno leva rispettivamente sull'esercizio di una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa con la precisazione che è pubblica la funzione disciplinata da norme di diritto pubblico o da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della p.a. o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi e sulla prestazione a qualsiasi titolo di un pubblico servizio. Su tali basi la Sesta sezione ripercorrendo l'utile e completa analisi della Corte di appello di Catanzaro, ha rimarcato come la Fondazione Calabresi nel Mondo sia stata istituita in attuazione di una legge regionale per il perseguimento di finalità pubblicistiche, proprie della Regione Calabria e che il relativo Statuto è stato approvato con delibera della Giunta Regionale la Fondazione è configurata come organismo in house, partecipato in via esclusiva dalla Regione i suoi organi sono nominati dalla Regione per lo svolgimento dell'attività utilizza fondi pubblici, anche europei. Tale ente, osserva la S.C., è soggetto pertanto ad un controllo c.d. equivalente da parte della Regione, cioè conformato alla stessa stregua di un controllo esercitato da organi sovraordinati, e che, su base statutaria, gli amministratori della Fondazione sono qualificati agenti contabili per conto della Regione Calabria. In tale prospettiva, sottolinea la Corte, sebbene la Fondazione operi utilizzando, alla stessa stregua di una società, forme di diritto privato, particolarmente nel rapporto con i dipendenti e nel tipo di relazioni con soggetti esterni, nondimeno la sua attività di tipo strumentale è al fondo disciplinata da norme di diritto pubblico, preordinate al rispetto delle finalità pubblicistica e al controllo sull'operatività dell'ente, nel quadro dell'immanente svolgimento di un servizio pubblico, specificamente in corrispondenza con attività funzionale all'attuazione di progetti correlati all'utilizzo di fondi europei. Per tale via, secondo la Corte, i giudici di merito hanno correttamente ritenuto che nella gestione dei progetti e nell'utilizzo di quei fondi i soggetti operanti per conto della Fondazione avessero quanto meno assunto la qualità di incaricati di ps. Tale veste è sicuramente attribuibile, ad avviso della Cassazione, al presidente della Fondazione cui facevano capo le risorse, fermo restando che il ricorrente che svolgeva funzioni di Segretario generale, era stato chiamato a rispondere del delitto di peculato in concorso col presidente, nel quadro di un consapevole scambio di favori. E dunque, secondo la Corte, alla gestione di fondi europei destinati alla realizzazione di progetti rispondenti a finalità pubblicistiche, proprie della Regione, era correlata l'attribuzione della qualità di incaricato di pubblico servizio. In concreto, la disponibilità giuridica delle somme era stata accertata faceva capo primariamente al Presidente della Fondazione e, per esso, anche ai soggetti che con lui erano chiamati a conferire una destinazione a quei fondi. Quella disponibilità era originaria e connessa alla veste assunta dal Presidente e dagli altri soggetti indicati. Nel caso di specie, peraltro, al Presidente si affiancava il ricorrente ex dirigente della Regione Calabria, nel quadro di un'intesa originaria, in forza della quale i due avevano inteso scambiarsi favori. Ed è a fronte di quella disponibilità originaria, che la Sesta sezione ha ritenuto configurato a carico del ricorrente il delitto di peculato nel quadro del rilevato concorso con il Presidente della Fondazione. Analizzati i profili sull'attribuibilità delle condotte illecite del ricorrente in concorso col presidente della Fondazione, la Corte si sofferma sulle previsioni del regolamento interno della Fondazione ed osserva come in sede di attuazione dei progetti e di devoluzione dei fondi europei non vi era margine per la riconducibilità ad un interesse pubblico di risorse, rispetto alle quali era a monte risolto ogni conflitto di interessi, nel senso dell'esclusione di una legittima destinazione con finalità di remunerazione di compiti riferibili a soggetto che non avrebbe potuto vantare alcuna legittima aspettativa. In questo caso, sottolinea la Corte, non si tratta tanto di valutare le spettanze riconosciute al ricorrente quale dirigente della Regione e lo svolgimento di mansioni aggiuntive presso la Fondazione, quanto il profilo riguardante la possibilità di coinvolgere il ricorrente nella devoluzione dei fondi destinati all'attuazione dei progetti, ciò a prescindere dal fatto della concreta realizzazione degli stessi. Ed allora la Corte ha rimarcato come le previsioni contenute nel regolamento, alla resa dei conti non sottoposto all'effettivo controllo della Regione, non erano idonee a conferire il crisma della legalità all'attribuzione di incarichi, in assenza di una copertura a monte del coinvolgimento del Segretario generale, ciò tanto più che la devoluzione in favore dei titolari di cariche sociali implicava specifiche autorizzazioni o specifiche competenze. In particolare, la Corte ha rimarcato come nel caso di specie il Segretario generale, proprio perché operante «a scavalco» quale dirigente della Regione, era gravato da limiti connessi al potenziale conflitto di interessi intercorrente tra soggetto controllante la Regione e soggetto controllato la Fondazione . In tale quadro, nell'attuazione di progetti aventi finalità pubblicistica, implicanti l'utilizzo di fondi europei, il coinvolgimento del Segretario generale era in radice privo di giustificazione idonea a rappresentare il perseguimento di finalità riconducibili al quadro degli interessi pubblicistici perseguiti, risolvendosi in uno scambio di favori con il Presidente, funzionale all'appropriazione di risorse e al soddisfacimento di interessi meramente personali. In tale prospettiva la Corte ha escluso non solo l'alternativa configurabilità di una truffa, dal momento che la disponibilità giuridica spettava originariamente al Presidente e a chi per esso agiva, ma anche quella di un abuso di ufficio, giacché la condotta illegittima era contrassegnata, ben oltre la mera violazione di regole contabili, dallo stravolgimento dell'assetto normativo e dall'assenza originaria delle condizioni per poter valutare un pubblico interesse compensativo, sia pure concomitante o alternativo, cosi da risultare funzionale, in rapporto alla destinazione delle somme, al mero fine del profitto personale.
Presidente Costanzo – Relatore Ricciarelli Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 26/01/2023 la Corte di appello di Catanzaro, in parziale riforma di quella del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro in data 09/10/2020, ha prosciolto B.G.A. dal reato di falso ideologico di cui al capo c , perché estinto per prescrizione, ma ha confermato la condanna di B.G.A. in relazione al reato di peculato in concorso con G.G., rideterminando la pena e confermando la disposta confisca anche per equivalente, fino alla concorrenza di euro 204.469,08, importo pari al totale del profitto conseguito dai due concorrenti nel reato. Ha in particolare ritenuto la Corte che fosse provata la condotta di G., quale presidente della Fondazione omissis , in tale veste ritenuto incaricato di pubblico servizio in ragione del ruolo strumentale attribuito alla Fondazione per la cura di progetti e programmi per conto della Regione Calabria, da questa finanziati anche con Fondi europei, e quella di B.G.A., quale segretario generale della Fondazione, avendo G. adottato un regolamento provvisorio e poi un regolamento definitivo nel quale, in contrasto con quanto previsto dall'articolo 12 dello Statuto, che escludeva remunerazioni in caso di concomitante ruolo di parlamentare, si prevedeva una retribuzione e si precisava che la stessa era riferibile a un ruolo operativo all'interno dei progetti, e nel quale parimenti si prevedeva un maggior onere retributivo, quale indennità di posizione, a favore del segretario generale, ove nominato a scavalco, come nel caso di B.G.A., dipendente dalla Regione, in relazione allo svolgimento delle funzioni, costituenti un quid pluris. La Corte ha ritenuto provato che il regolamento fosse stato inviato alla Regione e fosse stato posto a disposizione di B.G.A., nella veste di dirigente del settore Affari generali, che aveva omesso di inviarlo alla Giunta per la necessaria approvazione, così da propiziare la formazione del silenzio-assenso, avendo comunque B.G.A. agito in una posizione di conflitto di interessi con la Regione, cui competeva il controllo equivalente sulla Fondazione. Il profitto, secondo tale ricostruzione, era dipeso dai compensi previsti per incarichi via via assunti da G. e B.G.A., nell'arco di tempo tra il 2012 e il 2013. 2. Ha proposto ricorso B.G.A. tramite il suo difensore. 2.1. Con il primo motivo deduce mancanza e vizio di motivazione in relazione agli articolo 43 e 314 cod. penumero L'attribuzione della veste pubblicistica a G. e B.G.A. era in contrasto con la natura strettamente privatistica della Fondazione e con la natura privatistica delle funzioni del segretario generale, delineate dallo Statuto e dalle norme regolamentari. La Corte, come il Giudice per le indagini preliminari, aveva disatteso le conclusioni cui era giunto in due occasioni il Tribunale di Catanzaro in sede civile, allorché erano stati richiamati principi desumibili da una sentenza delle Sezioni Unite civili della Corte di cassazione. La Corte aveva inoltre omesso di tener conto del parere pro-veritate a suo tempo formulato da un professore di diritto civile, in cui era stata sottolineata la natura di persona giuridica privata, che persegue scopi istituzionali della Regione e che per i rapporti di lavoro utilizza contratti di diritto privato, parere che, una volta acquisito, avrebbe dovuto essere valutato alla stregua di una consulenza di parte, dovendosi inoltre considerare le ripercussioni di quel parere, fin dall'origine, sulla configurabilità del dolo nei confronti del ricorrente, che nelle more della nomina del segretario generale aveva avuto l'attribuzione delle relative funzioni a scavalco. Richiama la distinzione tra peculato, truffa e appropriazione indebita e segnala che il peculato richiede un rapporto di dipendenza funzionale tra la disponibilità e l'esercizio della funzione pubblica, cosicché l'assenza della consapevolezza di rivestire quel ruolo impedisce la configurabilità del reato contestato. 2.2. Con il secondo motivo denuncia vizio di motivazione con travisamento della prova. Richiama i principi in materia di deducibilità del travisamento della prova in presenza di doppia conforme e rileva come nel caso di specie ricorra un'ipotesi di assunzione di un falso dato processuale a fondamento sia dei profili oggettivi sia di quelli soggettivi del reato. L'assunto che B.G.A. fosse in conflitto di interessi quale rappresentante dell'ente controllante e dell'ente controllato era smentito dallo Statuto che individua le attività soggette a controllo e gli organi regionali competenti ad effettuarlo, diversi da quelli in cui in ambito regionale era incardinato il ricorrente. Quanto poi al fatto che B.G.A. avesse preso in carico la nota del 12/08/2013, omettendo di trasmetterla alla Regione, era stato sottolineato nell'atto di appello che gli elementi acquisiti non valevano a confermare l'assunto, essendo errato ritenere che il ricorrente reggesse la Segreteria della Presidenza della Giunta Regionale. In mancanza del necessario presupposto non avrebbe potuto ravvisarsi l'omissione da parte del ricorrente, così venendo meno l'intera ricostruzione su cui si fonda la versione accusatoria. 2.3. Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione in ordine alla disposta confisca. Si è erroneamente ritenuto che vi fosse stata la percezione di euro 62.723,00, indebitamente distratta dalla destinazione del finanziamento pubblico. Ma l'imputazione di un compenso era prevista dall'articolo 12 dello Statuto, che rimette compensi e gettoni di presenza ad un provvedimento del presidente, con parere positivo del Collegio dei Revisori e dall'articolo 13, che per il personale regionale utilizzato dalla Fondazione per incarichi operativi a valere sui progetti prevede un salario accessorio gravante sulla Fondazione. La Corte non aveva tenuto conto della nota a firma del Dirigente Generale del Dipartimento Lavoro, dott. D. M., in cui si attestava che i compensi di B.G.A. erano dovuti ad incarichi operativi a valere sui progetti, ciò che non era in contrasto con l'articolo 2 punto 6 del Vademecum della spesa FSE 2007/2013. Era da escludersi dunque una spesa al di fuori dell'interesse pubblico o che i fondi fossero stati sottratti alla finalità progettuale, tanto che la spesa era stata regolarmente rendicontata. Nel parlare di concorso di persone nel reato, al fine di legittimare la confisca per equivalente, la Corte aveva valutato un profilo irrilevante, a fronte di quanto risultante dalla nota del 14/06/2018 a firma del dott. D.M., in cui si indicava in euro 11.997,48 il quantum spettante al ricorrente, non riconducibile a rimborso per carica sociale ma a seguito di contratto. Era dunque illegittima la confisca disposta in relazione al riepilogo delle richieste e non in relazione a quanto percepito. Richiama il ricorrente l'orientamento giurisprudenziale in materia di mancanza di motivazione a fronte di deduzioni difensive e di documentazione prodotta. 2.4. Il difensore del ricorrente ha inviato memoria con motivi aggiunti. Era stato segnalato sulla base di atti raccolti nel separato processo a carico di G. che non vi era prova di un patto illecito tra i due soggetti, ma la prova era stata travisata e illogicamente valutata. La Corte non aveva considerato la realizzazione dei progetti cui i fondi erano vincolati e il fatto che veniva in rilievo il trattamento economico degli organi apicali, rimesso all'autonomia privata della Fondazione, cosicché si trattava di materia che si sottrae ai reati contro la P.A. Vi era stata convergenza con l'interesse pubblico, in quanto i progetti erano stati realizzati. Tutt'al più avrebbe potuto ravvisarsi il delitto di abuso di ufficio, in quanto la destinazione del bene, pur viziata, aveva mantenuto la natura pubblica, senza favorire interessi estranei. Segnala che vi è appropriazione quando il pubblico agente gestisce il bene come proprio, al di fuori di qualunque destinazione pubblica istituzionalmente perseguibile. In tal senso invoca anche la direttiva UE 20117/1371 del Parlamento europeo e del Consiglio del 05/07/2017, che definisce l'appropriazione all'articolo 4, parag. 3. Si tratta di valutare se in relazione ai provvedimenti di erogazione di denaro l'atto sia funzionale alla realizzazione anche di finalità pubbliche per le quali sia ammissibile un impegno di spesa, non essendo in tal caso ravvisabile appropriazione. Nei confronti del ricorrente il problema avrebbe potuto sorgere se il predetto non avesse potuto ricoprire l'incarico per incompatibilità, ma ciò era da escludersi. La legittimità dell'impegno di spesa per gli onorari del segretario generale minava sul nascere la configurabilità di una illecita distrazione per scopo personale si trattava comunque di somma spettante a chi avesse ricoperto la carica, non potendosi ipotizzare un compenso sine titulo e dovendosi inoltre richiamare l'articolo 13 dello Statuto in materia di compenso di personale della Regione, impegnato presso la Fondazione. Ribadisce da ultimo i principi in materia di incaricato di pubblico servizio e la necessità di raccordare la veste non alla natura dell'ente ma al tipo di attività in concreto svolta. Considerato in diritto 1. Il primo motivo del ricorso è infondato. La Corte territoriale non ha ignorato il parere di un giurista, prodotto dalla difesa, ma sulla base di una complessiva analisi del quadro normativo ha ritenuto che non fosse smentito l'assunto dell'attribuzione al presidente della Fondazione omissis della qualità di intraneo con riguardo alla fattispecie del peculato ex articolo 314 cod. penumero Va, del resto, rimarcato che quel parere, inerendo all'interpretazione del quadro normativo, non avrebbe potuto equipararsi ad una perizia o consulenza tecnica, la cui funzione è quella di introdurre nel processo competenze tecniche, scientifiche e artistiche e dunque conoscenze diverse da quelle che si risolvano nell'interpretazione di un dato normativo, seppur complesso. In tale prospettiva il compito della Corte, in concreto assolto, era quello di addivenire ad una corretta interpretazione delle norme che concorrono alla definizione delle nozioni di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio, al fine di stabilire se in capo ai soggetti coinvolti nella vicenda fosse possibile ravvisare la relativa qualità. Va inoltre rilevato come il pur autorevole parere invocato, di cui solo nella memoria integrativa è stato richiamato con maggiore precisione il contenuto, ineriva all'inquadramento della Fondazione come ente di diritto privato, ciò che, tuttavia, non costituiva un dato dirimente al fine di risolvere la principale questione giuridica, dovendosi conseguentemente escludere che quel parere potesse rappresentare il fondamento di un erroneo inquadramento della qualifica soggettiva, tale da riverberarsi sul coefficiente psicologico del reato addebitato al ricorrente alla stregua di una incolpevole ignoranza. 2. Deve per contro rilevarsi che la nozione di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio è definita dagli articolo 357 e 358 cod. penumero , che fanno leva rispettivamente sull'esercizio di una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa -con la precisazione che è pubblica la funzione disciplinata da norme di diritto pubblico o da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi-, e sulla prestazione a qualsiasi titolo di un pubblico servizio, inteso quale attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma in mancanza dei poteri tipici di quest'ultima. Già su tali basi si comprende come la nozione di pubblico servizio prescinda dalla riferibilità ad una pubblica amministrazione in senso soggettivo, essendo rilevante al contrario il profilo oggettivo-funzionale, cioè il tipo di attività svolta dal soggetto, a prescindere dal suo formale incardinamento in un ente pubblico. 3. In concreto, ripercorrendo l'utile e completa analisi del primo Giudice, va rimarcato come la Fondazione omissis sia stata istituita in attuazione di una legge regionale numero 19 del 2009 per il perseguimento di finalità pubblicistiche, proprie della Regione Calabria il relativo Statuto è stato approvato con delibera della Giunta Regionale la Fondazione è configurata come organismo in house, partecipato in via esclusiva dalla Regione i suoi organi sono nominati dalla Regione per lo svolgimento dell'attività utilizza fondi pubblici, anche europei. Deve inoltre sottolinearsi che tale ente è soggetto ad un controllo c.d. equivalente da parte della Regione, cioè conformato alla stessa stregua di un controllo esercitato da organi sovraordinati, e che, su base statutaria, gli amministratori della Fondazione sono qualificati agenti contabili per conto della Regione Calabria. In tale prospettiva deve ritenersi che, sebbene la Fondazione operi utilizzando, alla stessa stregua di una società, forme di diritto privato, particolarmente nel rapporto con i dipendenti e nel tipo di relazioni con soggetti esterni, nondimeno la sua attività di tipo strumentale è al fondo disciplinata da norme di diritto pubblico, preordinate al rispetto della finalità pubblicistica e al controllo sull'operatività dell'ente, nel quadro dell'immanente svolgimento di un servizio pubblico, specificamente in corrispondenza con attività funzionale all'attuazione di progetti correlati all'utilizzo dii fondi europei. Non rilevano, dunque, le invocate sentenze del Tribunale di Catanzaro che hanno ravvisato, con riguardo alla rispettiva regiudicanda, la giurisdizione ordinaria, dovendosi invece aver riguardo ai fini in esame alla concreta strutturazione e disciplina dell'attività, onde poterla o meno qualificare come pubblico servizio. Possono sul punto richiamarsi le numerose pronunce con cui è stata riconosciuta la qualità di incaricato di pubblico servizio al soggetto che agisca per conto di una società interamente controllata da ente pubblico o altra società in house, nell'espletamento di compiti di carattere ausiliario e strumentale rispetto a quelli pubblicistici svolti dall'ente controllante Sez. 6, numero 37076 del 30/06/2021, Messina, Rv. 282305 Sez. 6, numero 1826 del 27/11/2019, dep. 2020, Innocenti, Rv. 278125 Sez. 6, numero 58235 del 09/11/2018, Antoniazzi, Rv. 274815 Sez. 6, numero 39350 del 03/07/2017, Marano, Rv. 270943 . Ma se ciò vale in generale, tanto più può giungersi ad identiche conclusioni nel caso di specie va infatti rilevato che la presente vicenda non ha genericamente riguardo a profili stipendiali, ma coinvolge l'attuazione di progetti correlati al conseguimento delle finalità pubblicistiche dell'ente e l'utilizzo dei fondi europei, non risultando dunque, conferenti le deduzioni difensive da ultimo formulate in relazione a principi affermati in altra recente pronuncia Sez. 6, numero 23910 del 03/04/2023, Ciccimarra, Rv. 284759 . Deve dunque ribadirsi che correttamente i giudici di merito hanno ritenuto che nella gestione dei progetti e nell'utilizzo di quei fondi i soggetti operanti per conto della Fondazione avessero quanto meno assunto la qualità di incaricati di pubblico servizio. Va del resto rilevato che tale veste è sicuramente attribuibile al presidente della Fondazione, cui primariamente facevano capo le risorse, fermo restando che l'odierno ricorrente B.G.A., che svolgeva funzioni di Segretario generale, è stato chiamato a rispondere del delitto di peculato in concorso con il presidente, nel quadro di un consapevole scambio di favori. 4. Tale rilievo impone di procedere, prima dell'analisi dei profili inerenti alla qualificazione del fatto, all'esame del secondo motivo di ricorso, concernente l'attribuibilità di condotte illecite a B.G.A. in concorso con G L'assunto difensivo si incentra su un asserito vizio di motivazione, correlato ad un travisamento della prova, come emergente anche da dichiarazioni acquisite nel corso del dibattimento in corso di svolgimento nei confronti di G Ma deve, in realtà, rimarcarsi come i Giudici di merito abbiano dato conto delle prove acquisite e come abbiano sulla base di esse ricostruito la vicenda, segnalando in particolare gli elementi dai quali era desumibile il concorso del ricorrente. Ed invero la vicenda che formava oggetto del delitto di falso di cui al capo C , poi dichiarato estinto per prescrizione, è stata ritenuta ampiamente rappresentativa dell'accordo intercorso tra G. e B.G.A., volto ad assicurare ad entrambi il conseguimento di profitti connessi all'utilizzo dei fondi europei. E' emerso che il presidente G. aveva dapprima adottato un regolamento interno provvisorio con durata insolitamente lunga di un anno e sei mesi, nel quale -in violazione del principio sancito dallo Statuto, per cui gli organi della Fondazione non possono fruire di compensi, se non quale rimborso spese, ove rivestano altre cariche, fra le quali, come nel caso di G., quella di parlamentari aveva previsto la possibilità di un compenso per il Presidente e di un'indennità di posizione per il Segretario nominato «a scavalco», qualità rivestita proprio da B.G.A., e aveva poi adottato un regolamento definitivo in data 30/07/2013, nel quale si prevedeva la possibilità di compensi per ruoli operativi all'interno dei progetti, principio valido anche nel caso di segretario generale «a scavalco». Ma il regolamento avrebbe dovuto essere approvato dalla Giunta Regionale, salva formazione di silenzio-assenso nel caso di specie l'atto era stato inviato alla Segreteria della Presidenza, era stato acquisito al Dipartimento Presidenza della Regione e poi inviato al Settore Affari Generali, di cui era all'epoca responsabile B.G.A., che svolgeva anche funzioni di Segretario generale della Fondazione. Sulla base degli elementi di cui i Giudici di merito hanno dato conto, l'atto non risultava essere mai stato inviato alla Giunta per la sua approvazione e B.G.A., quale addetto al Settore Affari Generali aveva alla fine dato atto della formazione di silenzio-assenso, senza che l'organo deputato al controllo lo avesse valutato. Contrariamente a quanto difensivamente dedotto, il primo Giudice ha richiamato le dichiarazioni della dirigente B., per suffragare l'assunto accusatorio, incentrato sul ruolo rivestito da B.G.A. sia presso la Segreteria della Presidenza sia presso il Settore Affari Generali, e ha inoltre rilevato come non fosse emerso alcun riscontro circa il rispetto della corretta procedura prevista per sottoporre un atto all'esame della Giunta Regionale, essendo stato da ciò dedotto che non avrebbe potuto in alcun modo attestarsi la formazione del silenzio-assenso da parte di B.G.A A fronte di ciò, è stato rilevato come il regolamento fosse volto ad assicurare vantaggi sia al Presidente sia a B.G.A. in violazione del principio della gratuità delle cariche, almeno di quelle ricoperte da soggetti che rivestivano altri incarichi, quale quello di parlamentare, e come dunque la mancata sottoposizione ad effettivo controllo fosse riconducibile ad una precisa strategia, non smentita da generiche dichiarazioni rese nel separato procedimento dal teste F. Inoltre, il primo Giudice pag. 27 della sentenza del Giudice per le indagini preliminari aveva valorizzato nella medesima prospettiva la circostanza che fin dall'inizio fosse emersa piena consonanza di intenti tra il Presidente e il Segretario generale, essendo risultato che gli incarichi a B.G.A. erano stati sottoscritti da G. e quelli a G. erano sottoscritti da B.G.A Tale complessiva ricostruzione della vicenda si sottrae alle censure difensive, che non dimostrano alcun travisamento della prova e sono volte a censurare la motivazione, senza individuare tuttavia effettive lacune e fratture logiche nel ragionamento utilizzato dai Giudici di merito. 5. Ciò posto, deve ritenersi che siano infondati altresì i rilievi difensivi contenuti nel primo motivo, nel terzo motivo e nei motivi aggiunti, riguardanti il tema della qualificazione del fatto. 5.1. Richiamando le conclusioni formulate in precedenza, deve innanzi tutto rilevarsi che alla gestione di fondi europei destinati alla realizzazione di progetti rispondenti a finalità pubblicistiche, proprie della Regione, era correlata l'attribuzione della qualità di incaricato di pubblico servizio. In concreto, la disponibilità giuridica delle somme faceva capo primariamente al Presidente della Fondazione e, per esso, anche ai soggetti che con lui erano chiamati a conferire una destinazione a quei fondi. Quella disponibilità era dunque originaria e connessa alla veste assunta dal Presidente e dagli altri soggetti indicati nel caso di specie, peraltro, si è già detto che, in base alla ricostruzione operata dai Giudici di merito, al Presidente si affiancava il ricorrente B.G.A., nel quadro di un'intesa originaria, in forza delia quale i due avevano inteso scambiarsi favori. Orbene, a fronte di quella disponibilità originaria, deve ritenersi configurabile a carico del ricorrente il contestato delitto di peculato nel quadro del rilevato concorso con il Presidente della Fondazione. Non si intende in questa sede prospettare l'illegittimità dell'attribuzione a B.G.A. della veste di Segretario generale «a scavalco» secondo una procedura statutariamente prevista. Devono dunque ritenersi inconferenti tutti i rilievi volti a rivendicare il legittimo svolgimento dei relativi compiti. E' invece rilevante ai fini della configurazione del reato la circostanza che le previsioni del regolamento interno e di quello definitivo, adottato dal Presidente G., fossero inidonee, in mancanza di un debito vaglio dell'organo di controllo, a superare i limiti statutariamente previsti in ordine alla remunerazione delle cariche, in particolare di quelle ricoperte da chi, come G., rivestiva qualità di parlamentare. Ciò significa che in sede di attuazione dei progetti e di devoluzione dei fondi europei non vi era margine per la riconducibilità ad un interesse pubblico di risorse, rispetto alle quali era a monte risolto ogni conflitto di interessi, nel senso dell'esclusione di una legittima destinazione con finalità di remunerazione di compiti riferibili a soggetto che non avrebbe potuto vantare al riguardo alcuna legittima aspettativa. Conseguentemente deve ritenersi che in parte qua la devoluzione di somme a beneficio di chi primariamente aveva la disponibilità giuridica dei fondi e non poteva invocare il perseguimento di alcuna finalità diversa da quella del personale indebito arricchimento equivaleva ad una vera e propria appropriazione di risorse vincolate al perseguimento di interessi pubblici. 5.2. Se ciò vale per la devoluzione di somme in favore del Presidente G., propiziata dall'accordo con il Segretario generale B.G.A., altrettanto deve dirsi per la devoluzione in favore di quest'ultimo, parimenti propiziata da quell'accordo. In questo caso non si tratta tanto di valutare le spettanze riconosciute a B.G.A. quale dirigente della Regione e lo svolgimento di mansioni aggiuntive presso la Fondazione, quanto il profilo riguardante la possibilità di coinvolgere B.G.A. nella devoluzione dei fondi destinati all'attuazione dei progetti, ciò a prescindere dal fatto della concreta realizzazione degli stessi. Ed allora deve rimarcarsi come le previsioni contenute nel regolamento, alla resa dei conti non sottoposto all'effettivo controllo della Regione, non erano idonee a conferire il crisma della legalità all'attribuzione di incarichi, in assenza di una copertura a monte del coinvolgimento del Segretario generale, ciò tanto più che la devoluzione in favore dei titolari di cariche sociali articolo 2.6 del Vademecum per l'ammissibilità della spesa al F.S.E. P.O. 2007/2013 implicava se del caso specifiche autorizzazioni o specifiche competenze. In particolare va rimarcato come nel caso di specie il Segretario generale B.G.A., proprio perché operante «a scavalco» quale dirigente della Regione, era gravato da limiti connessi al potenziale conflitto di interessi intercorrente tra soggetto controllante la Regione e soggetto controllato la Fondazione , dovendosi rilevare, sulla base della perspicua analisi del primo Giudice pag. 23 della sentenza del G.i.p. , come proprio l'articolo 9 del R.O.I. finisse per attribuire al Segretario generale, ove anche dirigente della Regione, funzioni di controllo analogo in itinere. Sta di fatto che, in tale quadro, nell'attuazione di progetti aventi finalità pubblicistica, implicanti l'utilizzo di fondi europei, il coinvolgimento del Segretario generale era in radice privo di giustificazione idonea a rappresentare il perseguimento di finalità riconducibili al quadro degli interessi pubblicistici perseguiti, risolvendosi in uno scambio di favori con il Presidente, funzionale all'appropriazione di risorse e al soddisfacimento di interessi meramente personali. In definitiva alla originaria disponibilità giuridica dei fondi era seguita, attraverso la reciproca attribuzione di incarichi, remunerati con quei fondi, l'appropriazione degli stessi in misura corrispondente ai compensi previsti, a fronte della sottostante mancanza di riconoscibili ragioni di interesse pubblico e dunque in mancanza di una valida norma di copertura che legittimasse la rispettiva devoluzione delle risorse. La condotta ha dunque assunto connotazione di distrazione appropriativa, in quanto propiziata dalla disponibilità dei fondi e dal connesso potere di firma e dall'approfittamento di tale disponibilità in funzione della strumentale destinazione dei fondi a reciproca remunerazione dei rispettivi favori, senza concreta valutazione del pubblico interesse, sotteso non tanto all'attuazione dei progetti ma all'effettiva previsione ed erogazione di compensi, e in presenza di disposizioni tali da escludere in radice la possibilità di quella destinazione o comunque in presenza di disposizioni che implicavano la presa d'atto di situazioni ostative, non idoneamente rimosse, tali da escludere in radice la configurabilità del pubblico interesse. 5.3. In tale prospettiva deve escludersi non solo l'alternativa configurabilità di una truffa, dal momento che la disponibilità giuridica spettava originariamente al Presidente e a chi per esso agiva Sez. 6, numero 19484 del 23/01/2018, Bellinazzo, Rv. 273782 , ma anche quella di un abuso di ufficio, giacché la condotta illegittima era contrassegnata, ben oltre la mera violazione di regole contabili Sez. 6, numero 41768 del 22/06/2017, Fitto, Rv. 271283 , dallo stravolgimento dell'assetto normativo e dall'assenza originaria delle condizioni per poter valutare un pubblico interesse compensativo, sia pure concomitante o alternativo, così da risultare funzionale, in rapporto alla destinazione delle somme, al mero fine del profitto personale, con conseguente perdita del bene e riconoscibile lesione patrimoniale Sez. 6, numero 19484 del 23/01/2018, Bellinazzo, Rv. 273783 in senso analogo, Sez. 6, numero 12658 del 02/03/2016, Tripodi, Rv. 266871 . 6. Resta da esaminare il motivo riguardante la disposta confisca. 6.1. Lo stesso ha ad oggetto la quantificazione degli importi, contesta la rilevanza del concorso di persone nel reato e prospetta elementi volti ad indicare valori diversi. Ma a questo riguardo gli argomenti che si vorrebbero trarre da documenti e dichiarazioni attestanti la riferibilità di compensi residui agli incarichi a valere sui progetti e quelli incentrati sugli importi liquidati dalla Regione a B.G.A. sono da un lato generici e dall'altro inconferenti, a fronte dell'elenco delle spettanze risultante dalla sentenza di primo grado, distinte a seconda che ne fosse beneficiario G. o B.G.A Non può dunque porsi in dubbio la circostanza che il profitto complessivo riveniente dalle condotte di peculato, tenute, in concorso tra loro, da G. e B.G.A., sia stato pari ad euro 204.469,08, e che tali profitti siano imputabili rispettivamente a G. in misura di euro 141.745,66 e a B.G.A. in misura di euro 62.723,42. In concreto è stata disposta a carico di B.G.A. la confisca diretta o per equivalente in misura corrispondente all'importo conseguito dai concorrenti, cioè pari, come detto, ad euro 204.469,08, costituente il complessivo profitto derivante dal reato, ma -considerato lo scambio di reciproci favori, su cui si fonda la ricostruzione in chiave accusatoria costituente, a ben guardare, anche la sommatoria del prezzo, cioè del corrispettivo da ciascuno conseguito per la commissione del reato a vantaggio del concorrente. 6.2. Il ricorrente, come detto, ha contestato la rilevanza del concorso di persone nel reato. Il rilievo, pur genericamente formulato, coglie tuttavia un profilo imprescindibile, ai fini della quantificazione del profitto e della sua rilevanza ai fini della confisca nel caso di concorso di persone. In virtù di un consolidato arresto, nel caso di illecito plurisoggettivo si applica «il principio solidaristico che implica l'imputazione dell'intera azione e dell'effetto conseguente in capo a ciascun concorrente e pertanto, una volta perduta l'individualità storica del profitto illecito, la sua confisca e il sequestro preventivo ad essa finalizzato possono interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l'intera entità del profitto accertato, ma l'espropriazione non può essere duplicata o comunque eccedere nel quantum l'ammontare complessivo dello stesso» Sez. U, numero 26654 del 27/03/2008, Fisia Italimpianti, Rv. 239926 . Va, peraltro, rimarcato che tale principio postula, come detto, la perdita dell'individualità storica del profitto illecito correlativamente ciò implica che non sia o non sia più concretamente identificabile il profitto nella sua originaria consistenza in capo al soggetto che lo abbia conseguito, ferma restando la naturale fungibilità del denaro sul punto Sez. U, numero 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264437 più di recente, Sez. U, numero 42415 del 27/05/2021, C., Rv. 282037 . Sta di fatto che, ai sensi dell'articolo 322-ter cod. penumero il profitto forma oggetto di confisca come tale e dunque deve essere in prima battuta ricercato dove esso sia in concreto rinvenibile, in particolare, nei confronti del soggetto che lo abbia effettivamente acquisito e fatto proprio. Nella forma per equivalente la confisca assume connotazione di misura compensativa di natura sanzionatoria sul punto, Sez. U, numero 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264435 più di recente, Sez. U, numero 4145 del 29/09/2022, dep. 2023, Esposito, Rv. 284209 , rispetto alla quale può risultare rilevante la pari compartecipazione di tipo concorsuale alla perpetrazione dell'illecito, con la conseguenza che può giustificarsi, secondo quanto già rilevato, l'assoggettamento di ciascun concorrente alla confisca per l'intero, con il limite del divieto di espropriazione per un valore eccedente quello del profitto complessivo. Tuttavia, anche con riguardo alla confisca per equivalente, che, come detto, ha natura sanzionatoria, deve rimarcarsi l'esigenza della proporzionalità, che impone di rapportare l'entità della misura ad un parametro commisurativo, costituito dal grado di partecipazione al profitto conseguito sul punto si rinvia a Sez. 6, numero 4727 del 20/01/2021, Russo, Rv. 280596 . Nel caso del prezzo, con riguardo al quale viene solitamente in rilievo un rapporto corrispettivo, risulta più agevole, a prescindere dalla configurabilità di un concorso di persone, individuare il soggetto che lo ha percepito e rispetto al quale lo stesso va recuperato o in misura equivalente appreso. Sta di fatto che, alla luce dell'analisi condotta, il principio solidaristico assume rilievo solo quando non sia possibile definire con precisione la sfera soggettiva di riferimento del profitto, dovendosi altrimenti procedere alla ricerca di esso nei confronti di chi lo ha conseguito. Ciò significa che risulta illegale, prima ancora che illegittima, una misura che, ben oltre il canone della proporzionalità, colpisca un soggetto senza alcuna valutazione del grado di partecipazione al profitto o al prezzo. Detto altrimenti, il principio solidaristico può concretamente operare quando la confisca può essere in pari grado applicata a tutti i concorrenti e non anche quando risulti possibile definire con riguardo a ciascuno dei concorrenti la misura della sua effettiva partecipazione al profitto. Si comprende in tale prospettiva la più recente affermazione, riguardante il sequestro preventivo, ma valida a fortiori per la confisca, e condivisa dal Collegio, alla cui stregua «in presenza di un illecito plurisoggettivo, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca può essere disposto per l'intero importo del profitto nei confronti di ciascuno dei concorrenti, soltanto nel caso in cui la fattispecie concreta ed i rapporti economici ad essa sottostanti non consentano di individuare, allo stato degli atti, la quota di profitto concretamente attribuibile a ciascuno o la sua esatta quantificazione» Sez. 6, numero 6607 del 21/10/2020, dep. 2021, Venuti, Rv. 281046 . Tutto ciò implica che la finalità ripristinatoria e sanzionatoria non possa essere valutata a prescindere dai profili di proporzionalità e concreta partecipazione del singolo concorrente alla formazione e acquisizione del profitto o del prezzo, che impongono di tener conto del riparto effettivo, ove ricostruibile, così da limitare la confisca a quanto da ciascuno realmente conseguito. Su tali basi, sia che si faccia riferimento al profitto sia, tanto più, che si abbia riguardo al prezzo, risulta possibile definire la misura di partecipazione di ciascuno dei concorrenti, in relazione alla suddivisione sopra riportata. 7. Ne discende che nei confronti di B.G.A. deve farsi riferimento solo all'importo di euro 62.723,00, con la conseguenza che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio sul punto della confisca, in relazione ad un importo eccedente il valore indicato. Il ricorso va invece rigettato nel resto. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla confisca nella misura eccedente l'importo di euro 62.723. Rigetta nel resto il ricorso.