Contributi scolastici negati alle famiglie residenti ma senza cittadinanza italiana: Comune condannato per discriminazione

Battaglia legale vinta da due associazioni. L’ente locale dovrà provvedere alla restituzione delle somme ad esso versate a titolo di trasporto scolastico e refezione scolastica dalle famiglie escluse dalla possibile esenzione in ragione dell’assenza del requisito della cittadinanza.

Comune condannato per discriminazione se lega alla presenza di almeno un genitore avente cittadinanza italiana o, almeno, europea l’esenzione dal pagamento del previsto contributo per la refezione nelle scuole e per il trasporto scolastico. Con una delibera della giunta comunale, nell’agosto del 2022, veniva determinato «il contributo per utente, relativo al miglioramento del servizio ‘trasporto scuolabus’ e per la refezione scolastica, per l’anno 2022, prevedendo l’esenzione, per l’anno scolastico 2022/23 in favore delle famiglie residenti nel Comune, i cui figli risultano iscritti presso le scuole presenti sul territorio comunale, e in cui almeno uno dei due genitori ha la cittadinanza italiana o di uno dei Paesi dell’Unione Europea e che sono in regola con i tributi comunali». Di conseguenza, «i genitori di un minore con cittadinanza extra Unione Europea sono stati tenuti al pagamento della quota prevista dalla delibera, pur trovandosi in condizioni economiche estremamente disagiate, mentre per un minore di cittadinanza europea o italiana la famiglia è stata esentata integralmente dal pagamento del contributo, anche vertendo in condizioni economiche agiate», sostengono le due associazioni ricorrenti, che aggiungono, poi, che la delibera di giunta comunale va vista come «una grave violazione dell’obbligo di parità di trattamento tra italiani e stranieri», con evidente «comportamento discriminatorio» da parte del Comune «sulla base della nazionalità nell’accesso ai cosiddetti vantaggi sociali». Inutile la difesa proposta dall’ente locale, colpevole, secondo il giudice del Tribunale di Pescara, di discriminazione perpetrata ai danni dei cittadini stranieri residenti nel territorio comunale, aventi figli iscritti nelle scuole presenti sul territorio comunale ma esclusi dalla possibile esenzione dal pagamento del contributo per refezione e scuolabus solo perché «privi della cittadinanza italiana o di uno Stato membro dell’Unione Europea». Evidente la gravità della condotta dell’ente locale, a fronte del principio secondo cui «è discriminatorio ogni comportamento che provochi una distinzione anche in ragione dell’origine nazionale e quindi della cittadinanza». Senza dimenticare, poi, che il Testo unico sull’immigrazione individua quale atto di discriminazione «l’imposizione di condizioni più svantaggiose o il rifiuto all’accesso all'occupazione, all’alloggio, all’istruzione, alla formazione e ai servizi sociali e socio-assistenziali allo straniero regolarmente soggiornante in Italia soltanto in ragione della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità». Tornando alla delibera comunale contestata dalle due associazioni, il giudice chiarisce che il provvedimento adottato dal Comune «introduce inequivocabilmente una preclusione destinata a discriminare, tra i fruitori dei servizi concernenti provvidenze sociali fornite dal Comune - come scuolabus e refezione scolastica -, i cittadini extracomunitari extracomunitari in quanto tali, violando così il principio di uguaglianza, in quanto introduce nel tessuto normativo elementi di distinzione arbitrari, non essendovi alcuna ragionevole correlabilità tra il requisito della cittadinanza italiana o europea e le altre condizioni positive di ammissibilità al beneficio». Il giudice aggiunge che «è irragionevole e contrario al principio di solidarietà escludere alcuni soggetti esclusivamente sulla base della nazionalità, pur a fronte della limitatezza delle risorse economiche, dal momento che si tratta di misure a sostegno di tutti i membri della comunità residenti nel Comune e in regola con i tributi, ma in assenza di alcuna distinzione sulla base di fattori, come ad esempio il reddito, che potrebbero costituire un requisito adeguato a distinguere i soggetti più esposti alle condizioni di bisogno e di disagio, coerentemente con finalità eminentemente sociale che tali prestazioni di ‘bonus refezione e trasporto scolastico’ si propongono di perseguire». Priva di fondamento, invece, la difesa del Comune, secondo cui «l’ente locale non ha mai negato bisogni primari ai soggetti più indigenti, garantendo i livelli essenziali delle prestazioni a tutti i soggetti presenti sul territorio di competenza, indipendentemente dal requisito di residenza e cittadinanza attraverso l’accesso ai servizi sociali nonché al welfare d’accesso». Tale assunto non è conferente, secondo il giudice, e «non giustifica l’avvenuta esclusione, di carattere discriminatorio, dall’accesso al bonus», poiché basata sulla nazionalità del cittadino, anche tenendo presente che si fa riferimento specificamente «ad altre e diverse misure adottate dall’ente locale a sostegno di persone fragili, come nel caso di soggetti con disabilità ed anziani, ovvero famiglie in condizioni economicamente precarie con minori a carico». Accertato il carattere discriminatorio della delibera contestata dalle due associazioni, il giudice condanna il Comune alla «restituzione delle somme ad esso versate a titolo di trasporto scolastico e refezione scolastica dalle famiglie escluse dalla possibile esenzione in ragione dell’assenza del requisito della cittadinanza». In ultima battuta, poi, il giudice rilevano anche il danno non patrimoniale subito dalle due associazioni, che, perciò, riceveranno dal Comune 1.000 euro ciascuna come risarcimento.

Giudice Villani Con ricorso ex articolo 702 bis c.p.comma depositato in data 20-9-2022, le associazioni omissis e omissis hanno convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Pescara il Comune di omissis chiedendo - di accertare e dichiarare la natura discriminatoria della condotta tenuta dal Comune di omissis - di accertare e dichiarare, conseguentemente, la illegittimità dell'esclusione dalla prestazione degli alunni privi del requisito della presenza di almeno un genitore di cittadinanza italiana o europea e, per l'effetto, - di ordinare al Comune di omissis di modificare tale delibera omettendo la previsione del requisito sopracitato e consentendo quindi l'accesso alla prestazione a tutti i cittadini residenti in possesso degli altri due requisiti non afferenti alla cittadinanza che ne facciano richiesta - di condannare il resistente a restituire a tutti i richiedenti che abbiano versato, ai sensi della delibera asseritamente discriminatoria, una quota di partecipazione al trasporto scolastico e alla refezione scolastica a causa della nazionalità straniera di entrambi i genitori, l'importo dagli stessi pagato per detto titolo, oltre interessi legali - di condannare la resistente a pagare alle ricorrenti ai sensi dell'articolo 614 bis c.p.c., euro 100,00 per ogni giorno di ritardo nell'adempimento integrale dell'ordine giudiziale, con decorrenza dal trentesimo giorno successivo alla notifica dell'emananda ordinanza - di condannare il resistente a risarcire il danno non patrimoniale derivante dalla condotta discriminatoria, quantificato in via equitativa nella misura di € 10.000 per ciascuna associazione ricorrente, eventualmente con vincolo di destinazione - di ordinare al convenuto di garantire adeguata pubblicità all'emanando provvedimento e, pertanto, di ordinare la pubblicazione del medesimo, su un giornale a discrezione del Giudicante, nonché per almeno un mese sulla home page del sito del Comune di omissis - di disporre un piano di rimozione che prevenga il ripetersi in futuro di analoghi episodi, con vittoria di spese. Hanno dedotto le associazioni ricorrenti - che con deliberazione della Giunta Comunale numero 153 del 31-8-2022, il Comune di omissis aveva determinato il contributo per utente, relativo al miglioramento del servizio trasporto scuolabus e per la refezione scolastica per l'anno 2022 nelle misure e modalità riportate, rispettivamente, nell'allegato B e nell'allegato C, prevedendo l'esenzione per l'anno scolastico 2022/23 in favore delle famiglie residenti nel comune di omissis , i cui figli risultavano iscritti presso le scuole di omissis e usufruivano del servizio di trasporto scolastico in cui almeno uno dei due genitori aveva la cittadinanza italiana o di uno dei paesi dell'Unione Europea e che erano in regola con i tributi comunali. Tali requisiti venivano ribaditi negli avvisi pubblici per stabilire le modalità di presentazione delle domande pubblicati in data 7-9-2022 nonché nei moduli da utilizzarsi per usufruire dei predetti benefici - che, per l'effetto di tali disposizioni, i genitori di un minore con cittadinanza extra UE erano tenuti al pagamento della quota prevista dalla delibera pur trovandosi in condizioni economiche estremamente disagiate, mentre per un minore di cittadinanza europea o italiana la famiglia era esentata integralmente dal pagamento del contributo, anche vertendo in condizioni economiche agiate Premessi tali elementi di fatto, le parti ricorrenti hanno evidenziato che tale esclusione costituisce grave violazione dell'obbligo di parità di trattamento tra italiani e stranieri previsto da diverse norme nell'ordinamento, ex multis, articolo 38, comma 1 articolo 2, comma 2 articolo 41, T.U. immigrazione , sussistendo pertanto un comportamento discriminatorio sulla base della nazionalità nell'accesso ai “vantaggi sociali”, vietato dagli articolo 2 e 3 del d.lgs. 215/2003. In particolare, hanno allegato che, sulla base del quadro legislativo nazionale, la fonte secondaria, se anche abilitata ad introdurre servizi aggiuntivi rispetto a quelli garantiti dallo Stato, non avrebbe avuto alcun potere di introdurre detti servizi distinguendo tra minori italiani e minori stranieri peraltro, contrasterebbe anche con le norme dell'Unione Europea che sanciscono la parità di trattamento degli stranieri con i cittadini degli Stati membri con riguardo a tutte le prestazioni sociali e ai beni e servizi a disposizione del pubblico v. articolo 11, comma 1, lett. f della direttiva 2003/109 articolo 12 direttiva 2011/98 articolo 29 direttiva 2011/95 , nonché con la Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 ratificata con L. 176/1991, più in particolare con il diritto alla sicurezza sociale articolo 26 e con il diritto all'insegnamento primario gratuito articolo 28 . Secondo le ricorrenti, inoltre, a sostegno di tale atto discriminatorio non sussisterebbe alcuna causa di giustificazione, posto che, per pacifica disposizione contenuta in tutte le direttive antidiscriminatorie cfr. articolo 2 direttive 2000/43, 2000/78, 2006/54 le c.d. “cause di giustificazioni” trovano ingresso solo in presenza di discriminazioni indirette e non in caso di discriminazioni dirette, come sarebbe quella in esame. Le ricorrenti, infine, hanno dedotto la propria legittimazione ad agire ai sensi dell'articolo 5 d.lgs. 215/03 per la proposizione di domande che riguardino la generalità degli stranieri illegittimamente gravati dalle “condizioni più svantaggiose” e, rispettivamente, in ragione dell'iscrizione dell' omissis nell'elenco approvato con D.M. 13-3-2013 delle associazioni a cui l'ordinamento riconosce l'azione nel caso in cui i soggetti lesi non siano immediatamente e direttamente identificabili, e per l' omissis APS in ragione della inclusione tra gli enti “rappresentativi dell'interesse leso”, come previsto dalla modifica apportata al d.lgs. con la legge europea numero 238/2021, vista le finalità previste nello statuto dell'associazione “…promozione della cultura della convivenza civile, delle pari opportunità dei diritti, delle differenze culturali, etniche, religiose promozione dei diritti e lo sviluppo di forme di prevenzione e di lotta contro ogni forma di disagio, esclusione, emarginazione, discriminazione, razzismo, xenofobia, omotransfobia, sessismo, intolleranza, violenza e censura… . Con comparsa di costituzione e risposta depositata il 17-11-2022 si è costituito il Comune di omissis , eccependo, preliminarmente la carenza di legittimazione attiva delle associazioni ricorrenti, in ragione del fatto che i soggetti asseritamente lesi sarebbero stati individuabili e identificabili attraverso una richiesta di accesso agli atti circoscritta a definiti quanto specifici ambiti del Comune v. stranieri residenti nel comune e numero di stranieri residenti nel Comune che frequentano la scuola pubblica . Nel merito ha dedotto che l'azione in esame non trova fondamento perché non provata né viene individuato il numero di soggetti che sarebbero stati lesi dalla misura deliberata dall'amministrazione comunale che il Comune non ha mai rifiutato l'accesso a servizi sociali e socio-assistenziali ad uno straniero o ha attribuito benefici soltanto in ragione dello status civitatis né è mai stato leso il diritto alla parità del trattamento nell'accesso alle prestazioni di sicurezza sociale. A dire del resistente, infatti, il Comune di omissis avrebbe istituito un regime di assistenza a presidio della tutela dei bisogni primari per le persone in difficoltà economiche attraverso il servizio di Segretariato Sociale. La delibera di cui si discute, pertanto, non avrebbe inteso discriminare i cittadini stranieri i cui figli frequentano le scuole del Comune poiché l'Ente ne avrebbe diversamente garantito le prestazioni sociali a prescindere dallo status civitas attraverso interventi specifici a tutela delle persone più indigenti, come il “Fondo Sociale per interventi a sostegno di persone bisognose”. In ogni caso, ha ritenuto insussistente il danno non patrimoniale lamentato dalle associazioni ricorrenti, anche alla luce dell'assenza di minori a cui non sarebbe stato riconosciuto il trasporto gratuito e di un solo minore escluso dal servizio refezione scolastica ma non dal complesso dei presidi voluti dall'Amministrazione per la protezione sociale dei più indigenti, considerato che gli altri soggetti sarebbero comunque esclusi dal bonus poiché non in regola con il versamento dei tributi. Ha concluso chiedendo il rigetto delle domande e la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese di lite. All'udienza del 27-1-2023 le associazioni ricorrenti hanno rappresentato la permanenza dell'interesse ad agire nonostante la sopravvenuta deliberazione della Giunta comunale numero 205 del 30/11/2022 del Comune resistente, con la quale è stato rimosso il requisito asseritamente discriminatorio dello status civitatis nell'accesso alla prestazione “Trasporto scuolabus gratuito” e a quella “Refezione gratuita” posto a fondamento delle domande sollevate con il ricorso introduttivo. Nella seconda delibera, infatti, è previsto esclusivamente che l'esenzione dal pagamento del contributo per i servizi menzionati per l'anno scolastico 2022/23 sia rivolta a favore delle famiglie residenti e/o domiciliate nel comune di omissis in regola con i tributi comunali, i cui figli sono iscritti presso le scuole di tale Ente ed usufruiscono del servizio di trasporto scolastico e/o della refezione scolastica, eliminando l'ulteriore requisito che prevedeva la cittadinanza italiana o di uno dei paesi dell'Unione Europea per almeno uno dei due genitori. In udienza e nella memoria autorizzata depositata in data 16-2-2023, quindi, le parti ricorrenti hanno rinunciato alla domanda sub c in relazione all'ordine di modifica della delibera ritenuta discriminatoria, essendo cessata la materia del contendere alla luce della sopravvenuta delibera emanata dal Comune resistente, ma insistono sulle restanti ulteriori domande e, nello specifico, sulla domanda di condanna del Comune di omissis alla restituzione dell'importo della quota di partecipazione per i servizi di trasporto scolastico e alla refezione scolastica a causa della nazionalità extra europea di entrambi i genitori nonché sulla domanda di condanna al risarcimento del danno non patrimoniale di somma da determinarsi in via equitativa in misura non inferiore a € 10.000,00 per ciascuna associazione, eventualmente ridotta tenendo conto dell'intervenuta revoca del provvedimento asseritamente discriminatorio. Le associazioni ricorrenti hanno altresì istato per disporre, ai sensi dell'articolo 28 d.lgs. 150/11, un piano di rimozione finalizzato ad evitare il reiterarsi della discriminazione, comprensivo dell'ordine di non adottare in futuro disposizioni che prevedano l'erogazione di servizi scolastici in modo differenziato tra italiani e stranieri, ed inoltre dell'ordine di pubblicare, a cura e spese del Comune convenuto, sulla home page del sito istituzionale del Comune per un periodo minimo di giorni 30 e su un quotidiano il testo del provvedimento definitorio del giudizio. Con la memoria depositata in data 9-2-2023 il Comune resistente ha insistito nell'eccezione del difetto di legittimazione ad agire delle associazioni ricorrenti di cui lamenta il mancato tentativo di accertamento dei soggetti direttamente lesi dalla discriminazione attraverso l'accesso agli atti e ha chiesto il rigetto delle domande perché infondate, in quanto, come emerso dal parere del Difensore Civico versato in atti, l'Ente resistente avrebbe istituito presidi sociali idonei a garantire erga omnes i servizi di welfare di cui all'articolo 43 comma 2 lett. c del T.U. Immigrazione, sostenendo che coloro che fossero risultati privi dei requisiti per accedere ai bonus previsti per il trasporto scolastico e per la refezione sarebbero stati assistiti dai servizi sociali con azioni dedicate alle persone fragili o attraverso sussidi alternativi promossi dall'Ente. Con ordinanza del 14-5-2023 il Giudice ha ritenuto sussistente l'interesse ad agire delle ricorrenti, in considerazione dell'autonomia di cui gode la domanda di accertamento dell'atto discriminatorio rispetto alla domanda di condanna, rilevando altresì che gli effetti della cessazione della materia del contendere, di cui le ricorrenti specificatamente hanno dato atto con riferimento alla domanda sub c alla luce della sopravvenuta modifica della delibera, non si estendono automaticamente anche alla domanda di accertamento della condotta discriminatoria, prodromica anche rispetto all'eventuale condanna al risarcimento, anche a fronte del mancato riconoscimento da parte dell'Ente resistente del carattere discriminatorio della condotta. Ritenuto inoltre superfluo procedere all'esame dei testi richiesti, in quanto le circostanze dedotte possono essere provate documentalmente ed acquisiti i documenti prodotti, all'udienza del 13-10-2023 il giudice, all'esito della discussione dei difensori delle parti, ha riservato la decisione. Preliminarmente, si impone una pronuncia di rigetto dell'eccezione di difetto di legittimazione attiva delle associazioni ricorrenti. Va rilevato, infatti, che l'articolo 5 comma 3 del d.lgs. 215/2003 dispone che “le associazioni e gli enti inseriti nell'elenco di cui al comma 1 v. “approvato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e del Ministro per le pari opportunità ed individuati sulla base delle finalità programmatiche e della continuità dell'azione” sono, altresì, legittimati ad agire ai sensi degli articoli 4 e 4-bis nei casi di discriminazione collettiva qualora non siano individuabili in modo diretto e immediato le persone lese dalla discriminazione”, prevedendo quindi una legittimazione straordinaria delle associazioni nel caso in cui il comportamento discriminatorio sia collettivo e non siano individuabili in via immediata e diretta le vittime della discriminazione. Tale azione può essere proposta nelle forme ex articolo 44 del Testo Unico sull'Immigrazione TUI approvato con d.lgs. numero 286/1998 avverso gli atti e i comportamenti discriminatori di cui all'articolo 2 del d.lgs. 215/2003 la disposizione da ultimo citata definisce, al comma 1, il principio di parità di trattamento come “l'assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa della razza o dell'origine etnica” e stabilisce, al secondo comma, che “è fatto salvo il disposto dell'articolo 43, commi 1 e 2” TUI tale ultima norma, com'è noto, definisce la “discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”, includendo quindi espressamente tra le forme di discriminazione vietate, che fondano l'azione ex articolo 44 TUI, anche quella fondata sulla nazionalità. Nel caso di specie, quindi, con riguardo ad omissis , come si evince dall'elenco prodotto da parte ricorrente docomma 8 , è pacifico che l'associazione risulti iscritta all'elenco di cui al primo comma dell'articolo 5 del d.lgs. 215/2003 e, non essendo individuabili direttamente i richiedenti dei sussidi per il trasporto scuolabus e per la refezione scolastica, va affermata la sussistenza della sua legittimazione attiva. Parimenti, trova accoglimento quanto sostenuto dalle ricorrenti in merito alla legittimazione attiva di omissis . Infatti, a fronte delle modifiche apportate dalla legge numero 238/2021, il d.lgs. 216/2003 si applica anche al caso di violazione del principio di parità di trattamento nell'accesso ai vantaggi sociali e fiscali, secondo quanto disposto dall'articolo 3. Si osserva altresì che l'articolo 5, comma 2, di tale decreto sancisce la legittimazione ad agire per le associazioni e le organizzazioni rappresentative del diritto o dell'interesse leso nei casi di discriminazione collettiva qualora non siano individuabili in modo diretto ed immediato le persone lese dalla discriminazione. Con specifico riguardo all'associazione de qua l'esame delle disposizioni statutarie evidenzia la finalità di promozione dei diritti e di sviluppo di forme di prevenzione e di lotta contro ogni forma di disagio, esclusione, emarginazione, discriminazione, razzismo, xenofobia, omotransfobia, sessismo, intolleranza, violenza e censura, così anche di accoglienza umanitaria ed integrazione sociale dei migranti, nonché di riconoscimento dei diritti culturali, la promozione dell'accesso universale alla conoscenza, al sapere, all'educazione, alla cultura. Da quanto allegato dalle ricorrenti, in particolare dai progetti promossi dall' omissis sul territorio, si può pertanto desumere che tale associazione rappresenti l'interesse leso dalla misura ritenuta discriminatoria in quanto agisce ed opera allo scopo di garantire un accesso egualitario ai servizi pubblici e all'inclusione sociale da parte di cittadini stranieri. Neppure può trovare accoglimento l'esclusione delle associazioni sulla base della mancata inclusione della nazionalità tra i fattori di discriminazione di cui all'articolo 2 del d.lgs. 215/2003. Al di là dell'inserimento di tale fattore all'interno di quelli previsti dal d.lgs. 216/2003 a seguito della modifica operata dalla legge numero 238/2021, come correttamente osservato dalle ricorrenti, e del richiamo alle disposizioni di cui al TUI ut supra menzionato, va interpretata in senso costituzionalmente orientato la norma dell'articolo 215/2003 che riconosce alle associazioni legittimazione ad agire per discriminazioni fondate sul fattore di protezione “etnia” e “razza” così da includere quelle per motivi di nazionalità. Seppur non incluso nella lettera della disposizione in esame, infatti, il concetto di nazionalità dev'essere compreso nelle cause di discriminazione nel tentativo di ridurre le diseguaglianze e di vietare i trattamenti differenziati in ragione di fattori specifici, in quanto non potrebbe considerarsi garantita l'eguaglianza sostanziale ex articolo 3 Cost. laddove si predisponessero adeguati strumenti di sostegno negandone l'estensione a soggetti più bisognosi. La giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto che il principio di eguaglianza opera anche nei riguardi dello straniero a far data dalla sentenza numero 120 del 1967 e con giurisprudenza successiva la Corte ha, infatti, accolto il punto di vista che “il principio di eguaglianza, pur essendo nell'articolo 3 della Costituzione riferito ai cittadini, debba ritenersi esteso agli stranieri allorché si tratti della tutela dei diritti inviolabili dell'uomo, garantiti allo straniero anche in conformità dell'ordinamento internazionale” Corte cost. numero 104 del 1969 . In relazione allo specifico tema delle prestazioni sociali in favore degli stranieri, alla luce dei parametri sui quali la Corte ha fondato le diverse decisioni e, in particolare, alla luce degli articoli 2 e 3 Cost. nonché dei principi dell'ordinamento eurounitario articolo 2 e 3 TUE, articolo 18 e 19 TFUE e internazionale articolo 14 CEDU e articolo 1 Protocollo 12 CEDU , dunque, appare meritevole di tutela la posizione di chi, pur privo di status di cittadino, risieda in un Comune in cui si è insediato e di cui è divenuto parte, in ragione dei principi di ragionevolezza, razionalità, non discriminazione ed eguaglianza sostanziale. Tale orientamento è stato avallato dalla giurisprudenza di legittimità Cass. Sez. Lavoro, numero 11165 e numero 11166 del 2017 Sez. L. numero 28745 del 2019 che ha espressamente affermato che “nelle discriminazioni collettive in ragione del fattore della nazionalità, ex articolo 2 e 4 del d.lgs. numero 215 del 2003 ed articolo 43 del d.lgs. numero 286 del 1998, sussiste la legittimazione ad agire in capo alle associazioni ed agli enti previsti dall'articolo 5 d.lgs. numero 215 del 2003”. In tali pronunce, infatti, è stata evidenziata la necessità di operare una interpretazione di sistema in grado di cogliere le connessioni tra le varie norme che disciplinano i diversi fattori di discriminazione, di leggerne lo sviluppo, al fine di individuare un corpo normativo dotato di una sua coerenza e di principi comuni, questo idoneo ad escludere antinomie ed ingiustificabili disparità di tutela alla luce della Costituzione e dei principi di derivazione comunitaria. Anche in ragione di tali considerazioni, passando ad esaminare il merito, va accolta la domanda sub a e b delle ricorrenti sull'accertamento della discriminazione perpetrata dalla delibera numero 153 del 31-8-2022 e dagli Allegati B e C a danni di cittadini stranieri residenti nel Comune di omissis , esclusi dal beneficio in parola perché privi della cittadinanza italiana o di uno stato membro dell'Unione europea. La nozione di discriminazione si ricava dalle disposizioni contenute nell'articolo 43 TUI, nell'articolo 2 del d.lgs. 215/2003 e nell'articolo 2 del d.lgs. 216/2003. La prima disposizione introduce, in attuazione dei precetti costituzionali, una sorta di clausola generale di non discriminazione e definisce discriminatorio qualunque comportamento che - direttamente od indirettamente - abbia lo scopo o l'effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l'esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica. L'articolo 2 del d.lgs. 215/2003 altresì enuncia che “ai fini del presente decreto, per principio di parità di trattamento si intende l'assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa della razza o dell'origine etnica” facendo salva, al secondo comma, la più ampia nozione di discriminazione per nazionalità, prevista dal citato T.U. sull'immigrazione , mentre l'articolo 2 del d.lgs. 216/2003, ricalcando la precedente definizione ed includendo anche il fattore della nazionalità, dispone che il principio di parità di trattamento “comporta che non sia praticata alcuna discriminazione diretta o indiretta, così come di seguito definite a discriminazione diretta quando, per religione, per convinzioni personali, per handicap, per età, per nazionalità o per orientamento sessuale, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in una situazione analoga b discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di handicap, le persone di una particolare età o nazionalità o di un orientamento sessuale in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone.”. La nozione di discriminazione intesa nel suo complesso, come emerge dalle disposizioni già menzionate, porta a ritenere che l'imputazione della responsabilità non possa essere ancorata solo al tradizionale criterio della colpa, ma deve includersi ogni comportamento che, pur senza essere animato da uno “scopo” di discriminazione, produca comunque un effetto di ingiustificata pretermissione per motivi di razza, etnia, origine nazionale. Alla stregua della normativa sopra citata è pertanto discriminatorio ogni comportamento che provochi una distinzione anche in ragione dell'origine nazionale e quindi della cittadinanza. Deve altresì osservarsi che il diritto soggettivo alla parità di trattamento, leso da atti della pubblica amministrazione ritenuti discriminatori in ragione dell'origine nazionale, è oggetto di specifica tutela giurisdizionale del Testo unico sull'immigrazione nonché dei già menzionati d.lgs. 215/2003 e 216/2003. Con riguardo al Testo unico sull'immigrazione, l'articolo 43, comma 2, lett. c individua quale atto di discriminazione l'imposizione di “condizioni più svantaggiose” o il rifiuto all'accesso “all'occupazione, all'alloggio, all'istruzione, alla formazione e ai servizi sociali e socio-assistenziali allo straniero regolarmente soggiornante in Italia soltanto in ragione della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità”. Con l'articolo 44 del menzionato TUI è stato introdotto un modello di azione allo scopo di una più efficace attuazione delle norme di carattere sostanziale di divieto di discriminazioni per motivi razziali, etnici, linguistici, nazionali, di provenienza geografica o religiosi, consentendo il ricorso all'autorità giudiziaria ordinaria per domandare la cessazione del comportamento pregiudizievole e la rimozione degli effetti della discriminazione. Il modello dell'azione delineata è inoltre ricalcato dalle disposizioni previste dai d.lgs. 215/2003 e d.lgs. 216/2003, che danno attuazione, rispettivamente, alla direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica e alla direttiva 2000/78/CE sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. Più in dettaglio, gli articolo 4 e 4 bis del d.lgs. 215/2003 nonché del d.lgs. 216/2003 prevedono strumenti di ampia tutela giurisdizionale di protezione nei confronti di comportamenti, trattamenti o altre conseguenze pregiudizievoli, consentendo al singolo o alle associazioni, come già illustrato, di adire l'autorità giudiziaria ai sensi di quanto previsto dall'articolo 28, d.lgs. 150/2011, visto il richiamo espresso contenuto nelle disposizioni in esame. La specifica e tassativa formulazione delle norme già menzionate impone a tutti i soggetti, anche pubblici, di non potersi sottrarre all'applicazione del principio di parità di trattamento, compiendo atti discriminatori conseguentemente, nel caso di adozione di un siffatto provvedimento, l'amministrazione agirebbe in carenza di potere e non in via autoritativa. Pertanto, a fronte di una ampissima gamma di fenomeni discriminatori a cui fa riferimento la legge, ove si deduca in giudizio il diritto a non essere discriminati, lamentando la violazione del riferito divieto, non può che sussistere la giurisdizione del giudice ordinario, quale giudice dei diritti soggettivi, chiamato a conoscere di un comportamento discriminatorio della pubblica amministrazione, ancorché posto in essere mediante l'adozione di un provvedimento. In merito al riparto dell'onere della prova, inoltre, deve osservarsi che, ai sensi dell'articolo 28 d.lgs. 150/2011, nel caso in cui il ricorrente fornisca elementi di fatto dai quali si può presumere l'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori, spetta al convenuto provare l'insussistenza della discriminazione, introducendo quindi un'agevolazione probatoria nei confronti del ricorrente maggiore di quella originariamente contenuta nel comma 9 dell'articolo 44 TUI, che consentiva solo la possibilità per l'istante di offrire elementi presuntivi anche di natura statistica. Pertanto, chi chiede tutela deve offrire elementi idonei a far dedurre l'esistenza della condotta vietata alla norma, mentre la parte convenuta ha l'onere di dimostrare non soltanto il fatto posto a base dell'eventuale eccezione, ma, in positivo, tutte le circostanze idonee a giustificare il trattamento differenziato o ad escludere l'esistenza stessa di una differenziazione di trattamento. Orbene, definito il quadro dei principi generali che regolano la materia, va esaminato nel caso di specie il dedotto carattere discriminatorio della deliberazione impugnata, nella parte in cui tale atto indica, quale requisito per l'esenzione dal pagamento dei servizi di trasporto scuolabus e refezione scolastica, che “almeno uno dei due genitori abbia la cittadinanza italiana o di uno dei paesi dell'Unione Europea”. Tale provvedimento introduce inequivocabilmente una preclusione destinata a discriminare tra i fruitori dei servizi concernenti provvidenze sociali fornite dal Comune i cittadini extracomunitari in quanto tali, violando così il principio di uguaglianza, in quanto introduce nel tessuto normativo elementi di distinzione arbitrari, non essendovi alcuna ragionevole correlabilità tra il requisito della cittadinanza italiana o europea e le altre condizioni positive di ammissibilità al beneficio. È irragionevole e contrario al principio di solidarietà, pertanto, escludere alcuni soggetti esclusivamente sulla base della nazionalità, pur a fronte della limitatezza delle risorse economiche, dal momento che si tratta di misure a sostegno di tutti i membri della comunità residenti nel Comune e in regola con i tributi, ma in assenza di alcuna distinzione sulla base di fattori, come ad esempio il reddito, che potrebbero costituire un requisito adeguato a distinguere i soggetti più esposti alle condizioni di bisogno e di disagio, coerentemente con finalità eminentemente sociale che tali prestazioni di bonus refezione e trasporto scolastico si propongono di perseguire. Priva di fondamento risulta altresì la difesa del Comune resistente, secondo cui l'Ente non ha mai negato bisogni primari ai soggetti più indigenti, garantendo i livelli essenziali delle prestazioni a tutti i soggetti presenti sul territorio di competenza, indipendentemente dal requisito di residenza e cittadinanza attraverso l'accesso ai servizi sociali nonché al welfare d'accesso. Tale assunto, infatti, non è conferente ai fini del decidere, in quanto non giustifica l'avvenuta esclusione di carattere discriminatorio sulla base della nazionalità dal bonus de quo, riferendosi specificamente ad altre e diverse misure adottate dall'Ente a sostegno di persone fragili, come nel caso di soggetti con disabilità ed anziani, ovvero famiglie in condizioni economicamente precarie con minori a carico. Va dunque affermato il carattere discriminatorio ai sensi del combinato disposto degli articolo 2 e 3 d.lgs. 215/2003, 2 e 3 d.lgs. 216/2003 nonché 28 d.lgs. 150/2011 della deliberazione della Giunta Comunale numero 153 del 31-8-2022 e relativi allegati B e C del Comune di omissis nonché la conseguente ed illegittima esclusione delle famiglie, in possesso dei requisiti di residenza nel comune di omissis , i cui figli risultano iscritti presso le scuole del medesimo ente e usufruiscano del servizio di trasporto scolastico e refezione e del pagamento dei tributi comunali, ma privi del requisito secondo cui almeno uno dei due genitori ha la cittadinanza italiana o di uno dei paesi dell'Unione Europea. Con riferimento ai rimedi esperibili avverso atti discriminatori, appare pertinente richiamare il principio di effettività, che costituisce un principio del diritto dell'Unione europea derivante dalle tradizioni costituzionali degli Stati membri e che dev'essere individuato, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza, nel diritto ad una tutela effettiva volto ad ottenere un rimedio adeguato al soddisfacimento della situazione giuridica lesa. Di conseguenza, deve concludersi che i rimedi necessari per eliminare le conseguenze negative dell'accertata discriminazione devono essere effettivi, proporzionati e dissuasivi, tali da indurre l'ente che ha commesso la discriminazione ad astenersi dal violare gli scopi e le norme che tutelano il diritto violato. Va chiarito che il legislatore ha previsto nell'articolo 28 del T.U. sull'immigrazione una serie di misure adottabili in caso di accertata condotta discriminatoria, disponendo che “con la sentenza che definisce il giudizio il giudice può condannare il convenuto al risarcimento del danno anche non patrimoniale e ordinare la cessazione del comportamento, della condotta o dell'atto discriminatorio pregiudizievole, adottando, anche nei confronti della pubblica amministrazione, ogni altro provvedimento idoneo a rimuoverne gli effetti. Al fine di impedire la ripetizione della discriminazione, il giudice può ordinare di adottare, entro il termine fissato nel provvedimento, un piano di rimozione delle discriminazioni accertate. Nei casi di comportamento discriminatorio di carattere collettivo, il piano è adottato sentito l'ente collettivo ricorrente” comma 5 , potendo inoltre “ordinare la pubblicazione del provvedimento, per una sola volta e a spese del convenuto, su un quotidiano di tiratura nazionale” comma 7 . Nel caso di specie, in relazione alla domanda sub d , va rilevata la necessità di ordinare la rimozione degli effetti della deliberazione discriminatoria, condannando il Comune alla restituzione delle somme al medesimo versate a titolo di trasporto scolastico e refezione scolastica dalle famiglie escluse in ragione dell'assenza del requisito della cittadinanza, nulla disponendo sulla domanda sub e a fronte della spontanea revoca della delibera e del comportamento processuale dell'Ente. Con riferimento alla domanda sub f deve sottolinearsi come le associazioni legittimate ad agire in quanto portatrici degli interessi e dei diritti della collettività dei soggetti discriminati hanno subito in proprio un danno non patrimoniale per aver visto frustrato l'oggetto della propria attività e le finalità perseguite e, pertanto, deve condannarsi il Comune resistente al risarcimento del danno non patrimoniale, che si quantifica equitativamente nell'importo di € 1.000,00 per ciascuna associazione ricorrente. Si ritiene infine che sussistano i presupposti per la pubblicazione del presente provvedimento a norma dell'articolo 28, comma 7, d.lgs. 150/2011 con le modalità meglio descritte in dispositivo modalità che richiedono la pubblicazione su un giornale a tiratura locale e sulle home page del Comune, allo scopo di rendere effettivo il rimedio in esame . Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate ai sensi del D.M. 55/2014, sulla base dei parametri minimi, tenuto conto del valore indeterminabile della causa e dell'assenza di attività istruttoria, a cui va detratto 1/3 dell'importo alla luce della autonoma rimozione della deliberazione discriminatoria. P.Q.M. Definitivamente pronunciando nella causa civile di I grado iscritta al R.G. numero 3482/2022, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa - accerta e dichiara il comportamento discriminatorio del Comune di omissis consistente nell'aver adottato la delibera di giunta numero 153 del 31-8-2022 e gli allegati B e C nonché tutti gli atti conseguenti nella parte in cui in essi si prevedeva come requisito la cittadinanza italiana o europea - ordina al Comune di omissis di rimuovere gli effetti della delibera numero 153 del 31-8-2022 e gli allegati B e C, valutando le domande presentate da cittadini extracomunitari residenti nel Comune, come se la documentazione attestante il requisito della cittadinanza fosse stata regolarmente prodotta in base agli stessi criteri valevoli per i cittadini comunitari, restituendo di conseguenza eventuali somme indebitamente ricevute - condanna parte resistente a risarcire alle ricorrenti omissis e omissis mediante la corresponsione di € 1.000,00 a titolo di danno non patrimoniale per ciascuna, oltre ad interessi legali dal giorno successivo al deposito del presente provvedimento fino al saldo - ordina la pubblicazione a spese del Comune di omissis di estratto del presente provvedimento sulla home del sito istituzionale del Comune per un periodo di 20 giorni nonché una volta sul giornale Il Centro e sul sito internet del medesimo - condanna parte resistente alla rifusione delle spese sostenute dalle ricorrenti che liquida in € 2.906,00 da compensare di 1/3 e, per l'effetto, in € 1.937,34 per ciascuna parte, oltre I.V.A., C.A.P. e spese generali nella misura del 15%, con distrazione in favore dei procuratori che si sono dichiarati antistatari.