In tema di pubblico impiego contrattualizzato, l’eventuale partecipazione all’attività e alla decisione conclusiva dell’ufficio per i procedimenti disciplinari di un componente che, in base alla vigente normativa, si sarebbe dovuto astenere non rende nullo il provvedimento finale, se sono stati garantiti la distinzione sul piano organizzativo di tale ufficio e il diritto di difesa.
Il Tribunale di Palermo rigettava l’impugnazione proposta da un lavoratore avverso il licenziamento intimatogli. La decisione veniva confermata anche in Appello. Seguiva dunque il ricorso in Cassazione. In particolare, il lavoratore si duole poiché «avrebbero preso parte al procedimento disciplinare in questione delle persone in gravi rapporti di inimicizia con lui e in conflitto di interessi. In particolare, uno dei componenti dell’UPD sarebbe stato cognato di persona coinvolta nei fatti oggetto dell’imputazione penale che lo aveva riguardato e aveva portato al suo licenziamento». Tali soggetti, dunque, avrebbero dovuto astenersi secondo il ricorrente. Il ricorso risulta infondato. Secondo la giurisprudenza infatti «il carattere imperativo delle regole dettate dalla legge sulla competenza per i procedimenti disciplinari articolo 55, comma 1, e 55-bis, comma 2, d.lgs. numero 165/2001 va riferito al principio di terzietà ivi espresso e postula solo la distinzione sul piano organizzativo fra detto ufficio e la struttura nella quale opera il dipendente, senza attribuire natura imperativa riflessa al complesso delle regole procedimentali interne che regolano la costituzione e il funzionamento dell’UPD». DI conseguenza, solo laddove sia dimostrata la violazione del principio di terzietà o del diritto di difesa, sarebbe possibile riscontrare una nullità della sanzione il mancato rispetto di tali regole Cass., sez. lav., numero 20721/2019 . Nel caso di specie, dunque, la semplice presenza di persone legate alla vicenda disciplinare non può tradursi, di per sé sola, nella nullità della decisione disciplinare. In conclusione, la Corte rigetta il ricorso alla luce del principio di diritto secondo cui «in tema di pubblico impiego contrattualizzato, l’eventuale partecipazione all’attività e alla decisione conclusiva dell’ufficio per i procedimenti disciplinari di un componente che, in base alla vigente normativa, si sarebbe dovuto astenere non rende nullo il provvedimento finale, ove siano stati garantiti la distinzione sul piano organizzativo di tale ufficio rispetto alla struttura nella quale opera il dipendente e il diritto di difesa di quest’ultimo».
Presidente Manna – Relatore Cavallari Svolgimento del processo Con ricorso depositato il 12 marzo 2021 presso il Tribunale di Palermo F.D. ha impugnato il licenziamento senza preavviso intimatogli con provvedimento del 12 gennaio 2021. Il Tribunale di Palermo, nel contraddittorio delle parti, con sentenza numero 1080/2022, ha rigettato il ricorso. F.D. ha proposto appello che la Corte d'appello di Palermo, nel contraddittorio delle parti, ha rigettato. F.D. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo. L'ASP omissis si è costituita con controricorso. Motivi della decisione 1 Con un unico motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'articolo 51 c.p.c., degli articolo 6 e 7 del d.P.R. numero 62 del 2013 e degli articolo 149 del d.P.R. del 10 gennaio 1957 e 97 Cost. sotto il profilo della motivazione apparente, illogica e gravemente contraddittoria in quanto avrebbero preso parte al procedimento disciplinare in questione delle persone in gravi rapporti di inimicizia con lui e in conflitto di interessi. In particolare, uno dei componenti dell'UPD sarebbe stato cognato di persona coinvolta nei fatti oggetto dell'imputazione penale che lo aveva riguardato e aveva portato al suo licenziamento. Le persone in questione avrebbero dovuto, quindi, astenersi. La doglianza è infondata in quanto, come affermato dalla giurisprudenza, il carattere imperativo delle regole dettate dalla legge sulla competenza per i procedimenti disciplinari, stabilito dall'articolo 55, comma 1, e 55 bis, comma 4 ora comma 2 d.lgs. numero 165 del 2001 va riferito al principio di terzietà ivi espresso e postula solo la distinzione sul piano organizzativo fra detto ufficio e la struttura nella quale opera il dipendente, senza attribuire natura imperativa riflessa al complesso delle regole procedimentali interne che regolano la costituzione e il funzionamento dell'UPD. Pertanto, qualora non sia dimostrata la violazione del predetto principio di terzietà o del diritto di difesa, non è comunque ragione di nullità della sanzione il mancato rispetto di tali regole Cass., Sez. L, numero 20721 del 31 luglio 2019 . Inoltre, è stato pure precisato che, in tema di pubblico impiego contrattualizzato, il principio di terzietà dell'ufficio dei procedimenti disciplinari ne postula la distinzione sul piano organizzativo rispetto alla struttura nella quale opera il dipendente, e non va confuso con quello di imparzialità dell'organo giudicante, che solo un soggetto terzo può assicurare, laddove il giudizio disciplinare, sebbene connotato da plurime garanzie per il dipendente, è, comunque, condotto dal datore, parte del rapporto. Ne consegue che, ove l'UPD abbia composizione collegiale e sia distinto dalla struttura nella quale opera il dipendente sottoposto a procedimento, la terzietà dell'organo non viene meno per il solo fatto che sia composto anche dal soggetto che ha effettuato la segnalazione disciplinare Cass., Sez. L, numero 15239 del 1° giugno 2021 . Da ciò si evince che la semplice presenza di persone in qualche modo legate alla vicenda disciplinare non può tradursi nella nullità della decisione dell'UPD, qualora siano rispettati il principio di terzietà, come descritto, e il diritto di difesa. Nella specie, la corte territoriale non ha ravvisato le infrazioni in questione e, quindi, il ricorso è rigettato. 2 Il ricorso è rigettato, in applicazione del seguente principio di diritto ‹‹In tema di pubblico impiego contrattualizzato, l'eventuale partecipazione all'attività e alla decisione conclusiva dell'ufficio per i procedimenti disciplinari di un componente che, in base alla vigente normativa, si sarebbe dovuto astenere non rende nullo il provvedimento finale, ove siano stati garantiti la distinzione sul piano organizzativo di tale ufficio rispetto alla struttura nella quale opera il dipendente e il diritto di difesa di quest'ultimo››. Le spese di lite seguono la soccombenza ex articolo 91 c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale d.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater , se dovuto. P.Q.M. La Corte, - rigetta il ricorso - condanna il ricorrente a rifondere le spese di lite, che liquida in complessivi € 5.000,00 per compenso, oltre € 200,00 per esborsi, accessori di legge e spese generali nella misura del 15% - dichiara che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.