Il principio di causalità opera, nel sistema della responsabilità civile, con la duplice finalità di criterio di imputazione del fatto illecito sia per la responsabilità contrattuale che aquiliana e di criterio di accertamento dell’entità delle sue conseguenze pregiudizievoli, che si traducono in danno risarcibile.
Tale principio opera in due distinte fasi, riguardanti l'una il giudizio sull'illecito causalità materiale , ovvero quello riguardante il nesso che deve sussistere fra la condotta e l'evento, affinché possa configurarsi la responsabilità e l'altra il giudizio sul danno da risarcire causalità giuridica , ovvero il nesso che deve sussistere fra l'evento e il danno, il cui fine è quello di delimitare i confini del risarcimento, scaturente da detta responsabilità, evitando ipotesi di indebito arricchimento del danneggiato. Con l'ordinanza in commento, la Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione è stata chiamata a dirimere un apparente contrasto tra principi giurisprudenziali, in tema di risarcibilità del danno conseguente ad un comportamento contrattuale qualificabile come dolo incidente, ai sensi dell'articolo 1440 c.c. Il fatto La vicenda nasce con la stipula di un contratto preliminare per l'acquisto di un immobile, in occasione della quale i venditori avevano dolosamente taciuto agli acquirenti la circostanza che il detto immobile fosse stato gravato da servitù di passaggio pedonali e carrabili. Questi ultimi, dal canto loro, avevano successivamente agito in giudizio per ottenere il risarcimento di tutti i danni conseguenti alla condotta scorretta dei venditori. In primo grado la loro domanda veniva accolta e venivano liquidati i relativi danni. Questa sentenza, però, veniva appellata e in tal sede, veniva parzialmente riformata, con sensibile riduzione dell'importo del risarcimento del danno, che veniva ridotto alla sola differenza tra il prezzo corrisposto dagli acquirenti-appellati ai venditori-appellanti e quello che questi ultimi avevano a suo tempo corrisposto al precedente proprietario. Rimanevano, invece, escluse dal risarcimento le spese sostenute per ovviare alla sussistenza delle servitù di passaggio. Avverso quest'ultima decisione, gli acquirenti proponevano ricorso innanzi alla Corte di Cassazione. Il contrasto apparente fra i danni diretti e quelli mediati e indiretti Il contrasto che la Terza Sezione della Suprema Corte si è trovata ad affrontare riguarda, secondo i ricorrenti, due consolidati principi giurisprudenziali, in tema di risarcibilità del danno conseguente all'evento dannoso. Il primo, posto a fondamento della decisione di secondo grado, afferma che la risarcibilità dei danni cagionati, a uno dei contraenti, dalla condotta truffaldina dell'altro contraente, secondo il disposto dell'articolo 1440 c.c., ha come presupposto la sussistenza di un rapporto rigorosamente conseguenziale e diretto tra l'evento dannoso e le sue conseguenze pregiudizievoli sentenze Cass. Civ. numero 4715/2022 e numero 19024/2005 . Il secondo principio richiamato, invece, afferma che la responsabilità per il danno derivante da reato comprende anche i danni mediati e indiretti, che costituiscono effetti normali dell'illecito, secondo il criterio della regolarità causale sentenza Cass. Penumero numero 4701/2017 . I giudici della Terza Sezione, tuttavia, ritengono che tale contrasto sia meramente apparente e può essere risolto tenendo conto del fatto che entrambi i principi richiamati fanno riferimento al disposto dell'articolo 1223 c.c., secondo cui il risarcimento del danno deve ricomprendere sia il danno emergente, che il lucro cessante, che siano conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento o del fatto illecito. Il principio di causalità come criterio di accertamento della responsabilità e del danno I giudici della Suprema Corte chiariscono che l'inesistenza del contrasto, fra i detti principi, si spiega con il richiamo al principio di causalità, che opera nel sistema della responsabilità civile, con la duplice finalità di criterio di imputazione del fatto illecito sia in termini di responsabilità contrattuale che aquiliana e di criterio di accertamento dell'entità delle sue conseguenze pregiudizievoli, che si traducono in danno risarcibile. Tale principio opera in due distinte fasi, riguardanti l'una il giudizio sull'illecito causalità materiale , ovvero quello riguardante il nesso che deve sussistere fra la condotta e l'evento, perché possa configurarsi la responsabilità e l'altra il giudizio sul danno da risarcire causalità giuridica , ovvero il nesso che deve sussistere fra l'evento e il danno, il cui fine è quello di delimitare i confini del risarcimento, evitando ipotesi di indebito arricchimento del danneggiato. Quest'ultimo tipo di giudizio, che si qualifica come ipotetico e controfattuale, fa riferimento al differenziale fra la condizione attuale del danneggiato e quella che sarebbe risultata, in assenza del fatto dannoso sentenza Cass. Civ. numero 21619/2017 . La natura stessa di tale giudizio, conclude la Corte, spiega e giustifica l'opinione secondo cui, al di là del tenore letterale dell'articolo 1223 c.c., nei confini del danno risarcibile rientrino anche i danni indiretti e mediati, che siano normale conseguenza dell'evento dannoso, secondo la teoria della regolarità causale sentenza Cass. Civ. numero 31546/2018 .
Presidente Travaglino – Relatore Iannello Fatti di causa 1. Con sentenza numero 342 del 21 marzo 2017 il Tribunale di Savona, definitivamente pronunciando nella controversia promossa da G.S. e Z.M. e proseguita dal primo anche in qualità di erede della seconda contro B.G. e G.P.M., avente per oggetto il risarcimento dei danni subiti per essere stati indotti a sottoscrivere contratto preliminare relativo ad immobile, con artifici e raggiri consistiti nell'avere i promittenti taciuto che il bene era gravato da servitù di passaggio pedonale e carraio , accolse in parte la domanda risarcitoria, liquidando per danni patrimoniali il complessivo importo di Euro 134.619,48, mentre rigettò le domande di manleva dai convenuti formulate nei confronti dei terzi chiamati A.D. precedente proprietario dell'immobile e N. C. agente immobiliare che aveva mediato la compravendita tra A.D. ed i convenuti . 2. Con sentenza numero 49/2021, resa pubblica in data 14 gennaio 2021, la Corte d'appello di Genova, in parziale accoglimento del gravame interposto da B.G. e G.P.M., ha limitato il danno risarcibile all'importo di € 30.986,48 al lordo di quanto già percepito dagli attori in sede penale a titolo di provvisionale , pari alla differenza tra il prezzo dell'immobile corrisposto dagli attori/appellati ai convenuti/appellanti, B.G. e G.P.M., e quello che questi ultimi avevano corrisposto al precedente proprietario A.D., sul rilievo che a tale differenza poteva correttamente parametrarsi la minor convenienza dell'affare determinata dagli artifici e raggiri posti in essere dagli appellanti. Ha, invece, escluso che potessero considerarsi danni risarcibili le spese sostenute dagli attori/appellati al fine di addivenire ad una soluzione transattiva con i vicini per l'esercizio della servitù di passaggio la cui esistenza era stata sottaciuta dagli appellanti , ritenendo non potersi per esse ravvisarsi un collegamento consequenziale e diretto con il detto comportamento. Ha quindi compensato per un terzo le spese di entrambi i gradi del giudizio e posto la restante parte a carico dei convenuti/appellanti. In motivazione ha osservato che — la giurisprudenza ammette la risarcibilità di danni ulteriori rispetto al minor vantaggio o al maggior aggravio economico prodotto dal comportamento truffaldino, ma deve trattarsi di danni che risultino collegati a detto comportamento da un rapporto rigorosamente consequenziale e diretto Cass. numero 19024 del 2005 numero 5965 del 2012 — secondo quanto prospettato dagli stessi attori ed odierni appellati, le spese in questione sono state sostenute a seguito di un accordo transattivo raggiunto con i vicini, per ovviare alla sussistenza della servitù di passaggio pedonale e carraio, individuando una «soluzione alternativa agli aventi diritto della suddetta servitù di passaggio e ridurre così al minimo i disagi subiti» si è dunque trattato di una precisa e libera scelta degli attori odierni appellati, che non è causalmente collegata al comportamento dei convenuti ed odierni appellanti. 3. Avverso tale sentenza G.S., in proprio e quale erede di Z.M., propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resiste B.G., depositando controricorso. Gli altri intimati sono rimasti tali. 4. È stata fissata per la trattazione l'odierna adunanza camerale ai sensi dell'articolo 380-bis.1 cod. proc. civ., con decreto del quale è stata data rituale comunicazione alle parti. Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia «violazione o falsa applicazione degli articolo 1440,2043 c.c. e degli articolo 185 comma 2 e 640 c.p.» per avere la Corte di merito ritenuto non risarcibile il danno ulteriore che, seppur derivante da una condotta delittuosa, non sia collegato ad essa da un rapporto «rigorosamente consequenziale e diretto». Rileva al riguardo che, secondo indirizzo più recente e preferibile, «la responsabilità per il danno derivante da reato comprende anche i danni mediati ed indiretti che costituiscano effetti normali dell'illecito secondo il criterio della cosiddetta regolarità causale». Deduce che la necessità di stipulare una serie di accordi stragiudiziali con i vicini e con i proprietari dei fondi limitrofi rappresenta tutt'altro che una libera scelta, ma costituisce piuttosto «un vero e proprio passaggio obbligato se non imposto agli odierni ricorrenti per poter esercitare liberamente il proprio diritto di proprietà nei confronti dell'immobile gravato da una servitù sottaciuta». 2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, già affrontato in contraddittorio tra le parti», vale a dire la circostanza che «il credito vantato dagli odierni ricorrenti, suddiviso nelle due note voci di danno, è stato già valutato come pienamente risarcibile dai vari giudici che hanno preso in carico, sia in sede penale che civile, la gestione del fascicolo processuale». Ciò in quanto — le pretese risarcitorie sono state pacificamente ammesse, in ogni componente di danno allegato, come ragione fondante dell'intervenuta costituzione di parte civile — le parti hanno avuto modo di interloquire diffusamente e, ancorché l'argomento sia stato affrontato nel pieno contraddittorio, non si sono rilevati vizi di sorta per ciò che attiene alla risarcibilità dei danni allegati — nelle more del processo penale le costituite parti civili hanno ottenuto l'emissione di un decreto di sequestro conservativo, a titolo di misura cautelare reale, a garanzia -ai sensi e per gli effetti dell'articolo 316 c.p.p.- dell'integrale credito vantato, ivi compreso il credito derivante dalle maggiori spese affrontate per edificare le opere citate. Lamenta, il ricorrente, vizio di motivazione apparente per avere la Corte d'appello omesso di illustrare le ragioni che renderebbero errate le decisioni precedenti. 3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce, infine, «errata allocazione delle spese di lite, stante la fallace correlata statuizione in ordine alla soccombenza parziale e reciproca». 4. Il primo motivo è infondato. 4.1. Sul piano della ricognizione della regola causale la Corte territoriale richiama l'affermazione costantemente ripetuta nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui la sussistenza di un rapporto «rigorosamente consequenziale e diretto» tra evento dannoso e conseguenza risarcibile è requisito necessario per la risarcibilità ex articolo 1440 cod. civ. dei danni prodotti ad uno dei contraenti dal comportamento truffaldino dell'altro v. Cass. 14/02/2022, numero 4715 Cass. 29/09/2005, numero 19024, richiamata in sentenza Cass. 29/03/1999, numero 2956 . Tale affermazione è censurata in ricorso in quanto asseritamente in contrasto con il principio secondo cui «la responsabilità per il danno derivante da reato comprende anche i danni mediati ed indiretti che costituiscano effetti normali dell'illecito secondo il criterio della cosiddetta regolarità causale» Cass. penumero 31/01/2017, numero 4701 – ud. 21/12/2016 Sebbene, come si dirà, la questione non assuma rilievo ai fini della decisione, pare nondimeno opportuno rilevare che, tra i due principi, il contrasto è solo apparente e va risolto considerando che la norma a cui entrambi fanno implicito riferimento ─ ossia quella contenuta nell'articolo 1223 cod. civ. ─ esprime una regola causale a fronte della quale perde rilievo la distinzione meramente terminologia e astratta tra conseguenze immediate o mediate, dirette o indirette, dell'evento distinzione priva di significato euristico in assenza di un criterio sottostante di discrimine , mentre diviene decisiva la regola del giudizio causale e il criterio logico nel quale essa si identifica. Valgano in tal senso le seguenti considerazioni — l'articolo 1440 cod. civ. si limita a stabilire che «Se i raggiri non sono stati tali da determinare il consenso, il contratto è valido, benché senza di essi sarebbe stato concluso a condizioni diverse ma il contraente in mala fede risponde dei danni», senza dunque nulla stabilire quanto al criterio di selezione delle conseguenze dannose risarcibili — a tal fine non può che farsi rimando alla norma di cui all'articolo 1223 cod. civ., applicabile anche alle ipotesi di responsabilità extracontrattuale per il richiamo che ne fa l'articolo 2056 cod. civ., a mente del quale «Il risarcimento del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta» — per pacifica opinione detta norma pone la regola causale che presiede alla identificazione dei danni risarcibili, indicando il nesso che deve intercorrere tra l'evento lesivo o danno-evento ingiusto, ossia la lesione dell'interesse tutelato dall'ordinamento, in relazione eziologica con la condotta dell'agente e le sue conseguenze pregiudizievoli — secondo ormai pacifica acquisizione, invero, nel sistema della responsabilità civile, la causalità assolve alla duplice finalità di fungere da criterio di imputazione del fatto illecito articolo 1218 e 2043 cod. civ. e di regola operativa per il successivo accertamento dell'entità delle conseguenze pregiudizievoli del fatto che si traducono in danno risarcibile essa va pertanto scomposta nelle due fasi corrispondenti al giudizio sull'illecito nesso condotta/evento e al giudizio sul danno da risarcire nesso evento/danno — è quest'ultimo, come è stato detto, un «giudizio ipotetico» che assume il valore di criterio idoneo a valutare compiutamente l'ammontare del danno patrimoniale, criterio dunque di «causalità ipotetica, necessario onde non tramutare in indebito arricchimento il debito risarcimento spettante al danneggiato» in tale prospettiva, la disposizione dell'articolo 1223 c.c. si pone in termini di vero e proprio ius singulare, poiché con essa l'ordinamento limita il risarcimento alla perdita subita ed al mancato guadagno che conseguono tipicamente, in base all'id quod plerumque accidit, al fatto dannoso del tipo di quello verificatosi in quanto conseguenze immediate e dirette dell'inadempimento o di altro fatto dannoso, così allocando presso il danneggiante non una qualsiasi ripercussione patrimoniale, ma ciò che costituisce il danno vero e proprio id est, il danno ingiusto a ciò si giunge attraverso un giudizio ipotetico/differenziale tra condizione dannosa attuale e condizione del danneggiato quale sarebbe risultata in assenza del fatto dannoso Cass. 16/10/2007, numero 21619 — si tratta, però, di un giudizio causale distinto da quello che riguarda il nesso che deve sussistere tra comportamento ed evento perché possa configurarsi, a monte, una responsabilità strutturale c.d. causalità materiale Haftungsbegrundende Kausalitat , retto dal principio di equivalenza causale articolo 40 – 41 c.p. , essendo invece deputato, come detto, all'individuazione delle singole conseguenze dannose, con la precipua funzione di delimitare, a valle, i confini di una già accertata responsabilità risarcitoria, secondo giudizio ipotetico, controfattuale, fondato sul raffronto con le condizioni che si sarebbero verificate se non ci fosse stato il fatto lesivo c.d. causalità giuridica Haftungsausfullende Kausalitat — ed è proprio il fondamento causale anche di tale secondo giudizio di tipo ipotetico, controfattuale che spiega e giustifica l'opinione ─ consolidata in giurisprudenza, sebbene in apparenza dissonante rispetto alle indicazioni testuali della norma ─ secondo cui il nesso che ne costituisce oggetto è da intendersi in modo da ricomprendere nel risarcimento anche i danni indiretti e mediati che si presentino come conseguenza normale dell'evento lesivo, secondo la teoria della cd. regolarità causale tra le tante, Cass. 17/12/1963, numero 3184 Cass. Sez. U. 26/01/1998, numero 762 Cass. 04/07/2006, numero 15274 22/11/2016, numero 23719 Cass. Sez. U. 22/05/2018, da numero 12564 a numero 12567 Cass. 06/12/2018, numero 31546 — la selezione del danno risarcibile è, dunque, governata da un rapporto di causa ed effetto , il quale, come detto, dovrà intercettare, secondo un principio di regolarità causale , tutte le conseguenze pregiudizievoli che ordinariamente l'evento lesivo è tale da produrre Cass. numero 31546 del 2018, cit. . 4.2. Ciò precisato, è tuttavia irrilevante che, nella specie, nell'enunciare la regola di giudizio applicata, la Corte territoriale abbia indicato come necessaria l'esistenza di un rapporto «rigorosamente consequenziale e diretto» tra evento dannoso conclusione del contratto “incisa” dalla condotta truffaldina dell'altro contraente e danno risarcibile, atteso che non è a tale severa quanto ingiustificata e comunque priva di effettivo significato scriminante, nei sensi sopra detti graduazione del giudizio causale che la Corte poi correla l'esclusione tra i danni risarcibili delle spese sostenute dagli odierni ricorrenti per ovviare alla sussistenza della servitù di passaggio pedonale e carraio taciuta dalle controparti, quanto piuttosto al rilievo, a monte, della mancanza di alcun collegamento causale, nemmeno mediato o indiretto, essendosi trattato, secondo la Corte, di «una precisa e libera scelta degli attori odierni appellati, che non è causalmente collegata al comportamento dei convenuti ed odierni appellanti». È dunque su tale valutazione che occorre concentrare lo scrutinio del motivo. 4.3. Al riguardo occorre muovere dalla affermazione di principio, pure ricordata in premessa dai giudici d'appello, secondo cui, in conformità a indirizzo da tempo affermatosi nella giurisprudenza, in ipotesi di dolo incidente ex articolo 1440 cod. civ., va riconosciuta la risarcibilità di danni ulteriori rispetto al minor vantaggio o al maggior aggravio economico prodotto dal comportamento truffaldino e segnatamente dei danni correlati alla lesione dell'interesse positivo sottostante al contratto. Come efficacemente evidenziato dalla citata Cass. numero 19024 del 2005, «quando, come nell'ipotesi prefigurata dall'articolo 1440 c.c., il danno derivi da un contratto valido ed efficace ma sconveniente , il risarcimento, pur non potendo essere commisurato al pregiudizio derivante dalla mancata esecuzione del contratto posto in essere …, non può neppure essere determinato … avendo riguardo all'interesse della parte vittima del comportamento doloso o, comunque, non conforme a buona fede a non essere coinvolta nelle trattative, per la decisiva ragione che, in questo caso, il contratto è stato validamente concluso, sia pure a condizioni diverse da quelle alle quali esso sarebbe stato stipulato senza l'interferenza del comportamento scorretto». Nel rispetto, dunque, della regola causale predetta, non v'è motivo di non riconoscere il risarcimento dell'interesse positivo del deceptus, ove con ciò, però, si intenda il «diritto ad essere collocato nel complesso delle condizioni nelle quali si sarebbe trovato qualora non fosse stato indotto in errore dall'altrui comportamento doloso». Il danno risarcibile, in altre parole, deve essere commisurato al «minor vantaggio o al maggior aggravio economico rispetto alle condizioni diverse a cui sarebbe stato stipulato il contratto, senza l'interferenza del comportamento scorretto di una delle parti e comunque avendo riguardo a tutti i danni collegati a tale comportamento da un rapporto conseguenziale e diretto» v. Cass. 14/02/2022, numero 4715 . 4.4. Orbene, pur in rapporto a tale più ampio schema concettuale di riferimento, la valutazione di merito operata dal giudice d'appello deve ritenersi corretta. Non pare invero dubitabile che le spese sostenute per ovviare alla sussistenza della servitù di passaggio pedonale e carraio, individuando una «soluzione alternativa agli aventi diritti della suddetta servitù di passaggio e ridurre così al minimo i disagi subiti», non possano in alcun modo considerarsi esborsi «causalmente dipendenti» dalla condotta truffaldina. Per rendersi conto di ciò è sufficiente mentalmente portarsi, alla stregua di un giudizio controfattuale, alla situazione in cui si sarebbero trovati i contraenti se la condotta truffaldina non fosse stata posta in essere la condizione fattuale e giuridica dell'immobile non sarebbe stata diversa, si sarebbe sempre trattato di un bene gravato da servitù di passaggio pedonale e carraio ciò che sarebbe mutato è solo la posizione, più consapevole e attinente alla realtà, da cui essi potevano muovere nella trattativa e nella determinazione del contenuto del contratto. Non è, dunque, l'esigenza di trovare soluzioni alternative per rimediare al peso imposto dal diritto reale limitato ad essere sorta in conseguenza del dolo questa ci sarebbe comunque stata. Il danno piuttosto è rappresentato dalla diversa ponderazione del valore del bene ai fini dell'incontro tra offerta e domanda e, dunque, in definitiva, della determinazione del prezzo. È del tutto verosimile che, a tali fini, gli acquirenti avrebbero posto sul tavolo delle trattative le spese preventivabili per approntare sui luoghi le dette soluzioni alternative, ma non è detto che, in tale sede, quelle spese avrebbero potuto essere di comune accordo portate per intero in riduzione del prezzo richiesto dagli alienanti non si dimentichi al riguardo che si verte in ipotesi di dolo incidente, non determinante dunque della conclusione del contratto. Ebbene, un tale pregiudizio è esattamente quello al cui risarcimento è diretto l'importo già riconosciuto in sentenza di Euro 30.986,48, in quanto sostanzialmente commisurato al minor valore di scambio che al bene sarebbe stato attribuito ove non fosse stato taciuta la servitù su di esso gravante. Liquidando quell'importo la Corte d'appello ha dunque, da un lato, in realtà identificato esattamente il solo pregiudizio causalmente riferibile alla condotta dolosa, sul punto pertanto la sentenza sottraendosi alla censura di error in iudicando dall'altro, espresso una valutazione di merito circa il più adatto parametro di liquidazione, come tale insindacabile in Cassazione. 5. Il secondo motivo è inammissibile. 5.1. Ne è infatti evidente l'estraneità al paradigma censorio di cui all'evocato numero 5 dell'articolo 360 cod. proc. civ Varrà in proposito rammentare che l'articolo 360, primo comma, numero 5, c.p.c., nella vigente formulazione [introdotta dall'articolo 54, comma 1, lett. b , del d.l. numero 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge numero 134 del 2012], applicabile ratione temporis, introduce nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia . Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli articolo 366, primo comma, numero 6, e 369, secondo comma, numero 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il «fatto storico», il cui esame sia stato omesso, il «dato», testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il «come» e il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua «decisività», fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie Cass. Sez. U. 07/04/204, nnumero 8053 e 8054 . Nella specie, la censura omette di evidenziare un «fatto storico» e decisivo, il cui esame sia stato omesso, ma si limita a denunciare una supposta insufficienza motivazionale sulle ragioni per le quali non ha dato peso a precedenti eventi processuali, privi però con ogni evidenza di alcun rilievo vincolante. 5.2. Quanto poi al pure accennato vizio di motivazione apparente è appena il caso di rammentare che, secondo insegnamento da tempo acquisito, «la riformulazione dell'articolo 360, primo comma, numero 5, cod. proc. civ., disposta dall'articolo 54 del d.l. 22 giugno 2012, numero 83, conv. in legge 7 agosto 2012, numero 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'articolo 12 delle preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico , nella motivazione apparente , nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile , esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione» Cass., Sez. U. 07/04/2014, nnumero 8053 – 8054 . Intanto, dunque, un vizio di motivazione mancante o apparente è configurabile, in quanto, per ragioni redazionali o sintattiche o lessicali e cioè per ragioni grafiche o legate alla obiettiva incomprensibilità o irriducibile reciproca contraddittorietà delle affermazioni delle quali la motivazione si componga , risulti di fatto mancante e non possa dirsi assolto il dovere del giudice di palesare le ragioni della propria decisione ipotesi certamente non ricorrenti nella specie. 6. Il terzo motivo non è tale, ossia è un «non motivo», limitandosi a postulare la caducazione della statuizione sulle spese come conseguenza dell'accoglimento di alcuno dei due motivi precedenti e, dunque, un effetto disposto dalla norma dell'articolo 336, primo comma, c.p.c., posto che la statuizione sulle spese dipende da quelle della decisione sul “merito” della lite. 7. Il ricorso deve essere pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo. 8. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell'articolo 13, comma 1- quater, d.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, nel testo introdotto dall'articolo 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, numero 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell'articolo 1-bis dello stesso articolo 13. P.Q.M. rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.300 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'articolo 13 comma 1-quater del d.P.R. numero 115 del 2002, nel testo introdotto dall'articolo 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, numero 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell'articolo 1-bis dello stesso articolo 13.