La moglie laureata lavora part-time, nessun mantenimento dopo la separazione

Irrilevante il riferimento, da parte della donna, all’eredità ricevuta dal marito a causa della morte del padre. Questo dettaglio può invece influenzare, secondo i giudici, il calcolo del contributo che l’uomo dovrà fornire per il mantenimento dei figli.

Niente mantenimento post separazione per la moglie che, nonostante si sia laureata e nonostante i figli siano diventati maggiorenni, si ostina a conservare un lavoro part-time con stipendio ridotto. Ufficializzata la rottura tra moglie e marito, i giudici di merito assegnano la casa coniugale alla donna, che lì deve vivere coi figli, e sanciscono l'obbligo dell'uomo di corrispondere alla moglie la somma di 400 euro per ogni figlio a titolo di concorso al loro mantenimento. Impossibile, invece, secondo i giudici accogliere la richiesta avanzata dalla donna e mirata all'ottenimento di un assegno di separazione. In Appello, in particolare, viene chiarito che «se vi è stato uno squilibrio fra le posizioni economiche dei due coniugi, questo è venuto meno da quando la donna ha ottenuto l'assegnazione della casa familiare come genitore collocatario della prole e l'uomo ha dovuto prendere in locazione un immobile ad uso abitativo». Allo stesso tempo, però, viene esclusa l'ipotesi di un assegno di mantenimento a vantaggio della donna, poiché, osservano i giudici, «ella ha ormai la possibilità, stante l'età dei figli, di incrementare con orario pieno il proprio stipendio e di poter cogliere occasioni di avanzamento o conversione professionale destinate a migliorare il suo reddito, mettendo a frutto la laurea conseguita in costanza di matrimonio». In questa ottica, poi, i giudici tengono precisare che il coniuge che richiede l'assegno di mantenimento «non può porre a carico dell'altro coniuge le conseguenze della mancata conservazione dello stile di vita matrimoniale quando emerga che, pur potendo, non si è doverosamente adoperato per reperire o migliorare un'occupazione lavorativa retribuita confacente alle sue attitudini e alle sue capacità». A spegnere definitivamente ogni speranza della donna provvedono i magistrati di Cassazione, confermando la posizione assunta dai giudici d'Appello. In sintesi niente assegno di mantenimento per la donna, che colpevolmente non si è adoperata per migliorare la propria situazione professionale e, quindi, la propria posizione economica. Irrilevante, chiariscono i Giudici di terzo grado, il riferimento fatto dalla donna alle risorse patrimoniali conseguite dal marito a seguito della morte del genitore. Soprattutto perché il coniuge che richiede l'assegno di mantenimento è gravato dall'onere di dimostrare che la situazione in cui versa non sia ascrivibile a sua colpa, in modo che rimanga escluso che, pur potendo, non si sia doverosamente adoperato per reperire un impiego o per migliorare la propria occupazione lavorativa retribuita in maniera confacente alle sue attitudini e alle sue capacità. In questa ottica i magistrati osservano, richiamando la valutazione compiuta in Appello, che «la donna si trova proprio in queste condizioni di colpa, perché si avvale ancora di un orario lavorativo parziale e con stipendio ridotto, pur avendo conseguito una laurea nel 2012 e malgrado i figli siano oramai divenuti maggiorenni, e già durante il matrimonio non si è maggiormente proiettata nella realtà lavorativa». Proprio a fronte di tale quadro, legittimamente, secondo i giudici, si è negata l'esistenza di una penalizzazione professionale da riequilibrare in favore della donna e si è escluso che la donna «possa porre a carico del marito le conseguenze della mancata conservazione dello stile di vita matrimoniale». Per i Giudici di Cassazione, però, resta ancora aperto il fronte relativo al mantenimento dei figli della coppia. In questa ottica è plausibile la richiesta avanzata dalla donna e mirata a vedere incrementato il contributo a carico del marito. Ciò soprattutto alla luce dell'eredità ricevuta dall'uomo a seguito della morte del genitore. Prima di entrare nei dettagli, comunque, i magistrati ricordano che «entrambi i coniugi devono adempiere all'obbligazione di mantenimento dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo», ma, aggiungono, la normativa «non detta un criterio automatico per la determinazione dell'ammontare dei rispettivi contributi, fornito dal calcolo percentuale dei redditi dei due soggetti, che finirebbe per penalizzare il coniuge più debole, ma prevede un sistema più completo ed elastico di valutazione, che tenga conto non solo dei redditi, ma anche di ogni altra risorsa economica e delle capacità di svolgere un'attività professionale o domestica, e che si esprima sulla base di un'indagine comparativa delle condizioni – in tal senso intese – dei due genitori». Da ciò consegue che «nella determinazione del contributo al mantenimento dei figli non è affatto indifferente il variare delle condizioni reddituali e patrimoniali dei genitori, poiché a queste va direttamente ragguagliata l'entità del mantenimento, così da assicurare ai figli, per quanto possibile e anche in regime di separazione, un tenore di vita proporzionato alle possibilità economiche della famiglia». Proprio per questo, quindi, è necessario in un nuovo processo d'Appello «accertare il variare delle condizioni patrimoniali ed eventualmente reddituali dell'uomo conseguenti al decesso del suo genitore», precisano i magistrati di Cassazione, e ciò «al fine di parametrare il contributo al mantenimento dei figli riguardo a queste nuove condizioni».

Presidente Genovese – Relatore Pazzi Rilevato che 1. Il Tribunale di Padova, con sentenza numero 1542/2021 dichiarava la separazione dei coniugi C. B. e S. A., assegnava la casa coniugale alla C. B. affinché ci vivesse con i figli disattendeva la richiesta di quest'ultima di riconoscimento di un assegno di separazione poneva a carico del S. A. l'obbligo di corrispondere al coniuge separato, a titolo di concorso al mantenimento dei figli R. e S., la somma di € 400 per ciascuno rivalutabile annualmente. 2. La Corte d'appello di Venezia, a seguito dell'impugnazione principale presentata dalla C. B. e dell'impugnazione incidentale del S. A., osservava che se vi era stato uno squilibrio fra le posizioni economiche delle parti, questo era venuto meno da quando la C. B. aveva ottenuto l'assegnazione della casa familiare come genitore collocatario della prole e il S. A. aveva dovuto prendere in locazione un immobile ad uso abitativo. Escludeva che l'appellante principale avesse diritto a un assegno di mantenimento a suo vantaggio, tenuto conto che la stessa aveva ormai la possibilità, stante l'età dei figli, di incrementare con orario pieno il proprio stipendio e di poter cogliere occasioni di avanzamento/conversione professionale destinate a migliorare il suo reddito, mettendo a frutto la laurea conseguita in costanza di matrimonio. Ricordava, inoltre, che il richiedente l'assegno di mantenimento non può porre a carico dell'altro coniuge le conseguenze della mancata conservazione dello stile di vita matrimoniale quando emerga che egli, pur potendo, non si sia doverosamente adoperato per reperire o migliorare un'occupazione lavorativa retribuita confacente alle sue attitudini/capacità. Confermava la misura del contributo dovuta dal padre per il mantenimento dei figli R. e S., tenuto conto, da una parte, del presumibile incremento dei suoi guadagni, dall'altra dell'aumento delle esigenze dei discendenti e dei relativi oneri economici. 3. C. B. ha proposto ricorso per la cassazione di questa sentenza, pubblicata in data 30 settembre 2022, prospettando tre motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso S. A Parte controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell'articolo 380-bis.1 cod. proc. civ Considerato che 4.1 Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell'articolo 360, comma 1, numero 4, cod. proc. civ., la violazione dell'articolo 132, comma 2, numero 4, cod. proc. civ., anche in relazione agli articolo 111 Cost., 115 e 116 cod. proc. civ. la Corte distrettuale ha rigettato il terzo motivo di appello, con cui era stato richiesto un incremento dell'assegno per il mantenimento dei figli R. e S., con una motivazione che, essendo coincidente con quella del rigetto dell'appello incidentale svolto da S. A. che, invece, aveva domandato di ridurre la misura dell'assegno e focalizzata solo su quest'ultima pretesa, non consentiva di percepire le ragioni poste a suo fondamento. 4.2 Il secondo motivo di ricorso lamenta, ex articolo 360, comma 1, numero 3, cod. proc. civ., la violazione degli articolo 316-bis e 337-ter cod. civ., anche in relazione agli articolo 115 e 116 cod. proc. civ., nonché, a mente dell'articolo 360, comma 1, numero 5, cod. proc. civ., l'omesso esame delle risorse patrimoniali conseguite dal S. A. a seguito della morte del genitore ai fini della quantificazione dell'assegno in favore dei figli la Corte territoriale, pur dando atto del decesso del padre del S. A., non ha valutato l'ingente patrimonio immobiliare ricevuto in eredità dall'appellato, nel considerare le sue condizioni patrimoniali. 5. I motivi, da esaminarsi congiuntamente perché entrambi relativi al contributo dovuto dal padre per il mantenimento dei figli, risultano ambedue fondati. 5.1 L'articolo 316-bis, comma 1, cod. civ. al pari del precedente articolo 148 cod. civ. , nel prescrivere che entrambi i coniugi devono adempiere all'obbligazione di mantenimento dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo, non detta un criterio automatico per la determinazione dell'ammontare dei rispettivi contributi, fornito dal calcolo percentuale dei redditi dei due soggetti che finirebbe per penalizzare il coniuge più debole , ma prevede un sistema più completo ed elastico di valutazione, che tenga conto non solo dei redditi, ma anche di ogni altra risorsa economica e delle capacità di svolgere un'attività professionale o domestica, e che si esprima sulla base di un'indagine comparativa delle condizioni - in tal senso intese - dei due obbligati Cass. 10901/1991 . Ne discende che, nella determinazione di tale contributo, non è affatto indifferente il variare delle condizioni reddituali e patrimoniali dei genitori, poiché a queste va direttamente ragguagliata l'entità del mantenimento, così da assicurare ai figli, per quanto possibile, anche in regime di separazione, un tenore di vita proporzionato alle possibilità economiche della famiglia. 5.2 La Corte d'appello, avendo registrato che S. A. non risultava proprietario di alcun immobile e coadiuvava il padre proprietario, invece, di numerosi fabbricati e terreni utilizzati per la propria impresa agricola nella sua attività, era dunque tenuta ad accertare compiendo le indagini e gli accertamenti relativi anche d'ufficio cfr. Cass. 10268/1996 il variare delle condizioni patrimoniali ed eventualmente reddituali dell'obbligato, conseguenti al decesso del genitore, al fine di parametrare il contributo di mantenimento riguardo a queste nuove condizioni. Accertamento che, invece, non è stato effettuato in termini puntuali, poiché la Corte distrettuale, dopo aver dato atto del recente decesso di S. G., si è limitata a considerare che ora la gestione dell'azienda agricola era presumibilmente stata affidata all'appellato e al fratello, con un aumento dei guadagni rispetto al passato. 5.3 La motivazione che il giudice deve offrire, a mente dell'articolo 132, comma 2, numero 4, cod. proc. civ., costituisce la rappresentazione dell'iter logico-intellettivo seguito dal giudice per arrivare alla decisione, di modo che la stessa assume i caratteri dell'apparenza ove sia intrinsecamente inidonea ad assolvere una simile funzione. La motivazione perciò assume carattere solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture Cass., Sez. U., 22232/2016 . La Corte distrettuale, nel prendere in esame congiuntamente le domande di decremento nel senso richiesto dal padre o incremento come voluto, invece, dalla madre del contributo al mantenimento dei figli, ha spiegato compiutamente perché non era possibile procedere a una diminuzione dell'assegno, ma non ha fatto cenno ad alcuna ragione idonea a motivare il rigetto della contrapposta pretesa. Il rigetto del motivo di appello presentato sul punto dalla C. B. risulta così non giustificato, perché la lettura della decisione impugnata rende percepibili le ragioni di diniego dell'incremento, ma non consente di capire i motivi per cui i giudici distrettuali hanno ritenuto di non riconoscere l'aumento sollecitato dalla madre. Una simile anomalia argomentativa comporta una violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza di una motivazione, nel suo contenuto minimo e indispensabile, capace di rendere percepibili le ragioni su cui la statuizione assunta si fonda. Rimane perciò viziata, anche per difetto di motivazione, la valutazione compiuta dalla Corte di merito a proposito della possibilità di riconoscere un incremento dell'assegno di mantenimento per i figli. 6. Il terzo motivo di ricorso assume, ex articolo 360, comma 1, numero 3, cod. proc. civ., la violazione dell'articolo 156 cod. civ., anche in relazione agli articolo 115 e 116 cod. proc. civ., nonché, ai sensi dell'articolo 360, comma 1, numero 5, cod. proc. civ., l'omessa valutazione delle risorse patrimoniali conseguite dal S. A. a seguito della morte del genitore ai fini del riconoscimento di un assegno di mantenimento in favore della moglie la Corte d'appello non ha in alcun modo motivato l'omessa valutazione, al fine del riconoscimento dell'assegno in questione, della rilevante capacità patrimoniale del coniuge obbligato, conseguita a seguito del decesso del padre, e dell'apporto dato dalla moglie alla formazione dello stesso e alla vita della famiglia, accudendo i figli, in via esclusiva, e il coniuge e curando l'abitazione domestica. 7. Il motivo è inammissibile. 7.1 Esso, infatti, pretende di applicare i criteri elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte in materia di divorzio evocando espressamente la sentenza delle Sezioni Unite numero 18287/2018 all'ambito dell'assegno di mantenimento previsto dall'articolo 156 cod. civ Il che è non solo un'evidente fuor d'opera, posto che la giurisprudenza di questa Corte ha sottolineato la differenza dei due istituti chiarendo che l'assegno di separazione presuppone la permanenza del vincolo coniugale, e, conseguentemente, la correlazione dell'adeguatezza dei redditi con il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, mentre tale parametro non rileva in sede di fissazione dell'assegno divorzile, che deve, invece, essere quantificato in considerazione della sua natura assistenziale, compensativa e perequativa, secondo i criteri indicati all'articolo 5, comma 6, l. 898/1970, essendo volto non alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge beneficiario alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi Cass. 17098/2019 , ma anche un'affermazione che si pone in netto contrasto con le asserzioni della Corte distrettuale la quale ha correttamente riconosciuto come il reddito adeguato a cui va rapportato l'assegno di mantenimento a favore del coniuge sia quello necessario a conservare tendenzialmente il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio pag. 9 della decisione impugnata senza formulare alcuna precisa critica che consenta di comprendere perché, nella materia dell'assegno di separazione regolata dall'articolo 156 cod. civ., debbano trovare ingresso i criteri previsti dall'articolo 5, comma 6, l. 898/1970 per l'assegno di divorzio. 7.2 Il profilo appena evidenziato non risulta l'unico vizio di non riferibilità della censura in esame alla decisione impugnata. La Corte d'appello ha spiegato, a giustificazione della propria decisione, che il richiedente l'assegno di mantenimento è gravato dall'onere di dimostrare che la situazione in cui versa non sia ascrivibile a sua colpa, in modo che rimanga escluso che egli, pur potendo, non si sia doverosamente adoperato per reperire o migliorare la propria occupazione lavorativa retribuita in maniera confacente alle sue attitudini/capacità. I giudici distrettuali hanno ritenuto che la C. B. si trovasse proprio in queste condizioni di colpa, perché si avvaleva ancora di un orario lavorativo parziale con stipendio ridotto, pur avendo conseguito la laurea in scienze politiche nel 2012 e malgrado i tre figli fossero oramai divenuti maggiorenni, e già durante il matrimonio non si era maggiormente proiettata nella realtà lavorativa per questo motivo la Corte di merito ha negato l'esistenza di una penalizzazione professionale da riequilibrare e che l'appellante potesse porre a carico dell'altro coniuge le conseguenze della mancata conservazione dello stile di vita matrimoniale. A fronte di questi argomenti la doglianza in esame non considera in alcun modo, ancora una volta, le argomentazioni in diritto poste a fondamento della decisione e tenta di accreditare l'esistenza di una necessità di perequazione che la Corte distrettuale ha espressamente escluso con un accertamento di fatto che, peraltro, non può essere rivisto in questa sede di legittimità . 7.3 Il motivo di ricorso in esame si sottrae così, nel suo complesso, alla necessità di rapportarsi al contenuto della decisione impugnata e contestare specificamente la ratio decidendi posta a suo fondamento ciò malgrado l'esercizio del diritto d'impugnazione di una decisione giudiziale possa considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell'esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata e queste ultime, per essere enunciate come tali, debbano concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possano prescindere. 8. Il provvedimento impugnato, dunque, deve essere cassato nei limiti indicati, con rinvio alla Corte d'appello di Venezia, la quale, nel procedere a nuovo esame della causa, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il terzo, cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d'appello di Venezia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi a norma dell'articolo 52 d.lgs. 196/2003 in quanto imposto dalla legge.