«La trasgressione alle prescrizioni concernenti il divieto di allontanarsi dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari, ove non ritenute di lieve entità, determina, ex articolo 276, comma 1-ter, c.p.p., la revoca obbligatoria degli arresti domiciliari, seguita dal ripristino della custodia cautelare in carcere, non dovendo il giudice preventivamente valutare l'idoneità degli arresti domiciliari con modalità elettroniche di controllo».
È quanto statuito dalla Cassazione in un procedimento riguardante l'evasione dagli arresti domiciliari di un soggetto sottopostovi a causa del reato di maltrattamenti in famiglia. Il ricorrente era stato trovato dalle forze dell'ordine fuori la propria abitazione, oltretutto non nel lasso di tempo giustificato dalla sua presenza all'incontro con gli assistenti sociali incontro fissato per le ore 12 quando, invece, veniva constatata la presenza fuori casa dell'evaso alle ore 19 10 , e intento a intrattenersi con un soggetto dedito allo spaccio di stupefacenti. I Giudici di legittimità, esaminando la doglianza relativa alle esigenze cautelari segnatamente al fatto che la violazione degli arresti domiciliari non sarebbe funzionalmente collegabile alla reiterazione del reato di maltrattamenti in famiglia, richiamano il principio secondo cui «la trasgressione alle prescrizioni concernenti il divieto di allontanarsi dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari determina, ex articolo 276, comma 1-ter, c.p.p., la revoca obbligatoria degli arresti domiciliari, seguita dal ripristino della custodia cautelare in carcere, senza che al giudice, una volta accertata la trasgressione, sia riconosciuto un potere di rivalutazione delle esigenze cautelari» cfr. Cass. penumero , sez. IV, numero 32 del 2017 . Da tale principio, continuano i Giudici, discende anche che il giudice non deve effettuare alcuna valutazione sulla possibilità che le esigenze cautelari siano garantite dal ricorso alla misura del c.d. braccialetto elettronico articolo 275-bis c.p.p. . E questo perché la portata generale dell'articolo 275-bis c.p.p. deve essere derogata dalla lettera dell'articolo 276, comma 1-ter c.p.p. che riguarda lo specifico caso di violazione della misura cautelare degli arresti domiciliari secondo cui la custodia cautelare in carcere non va disposta solo se la violazione è di lieve entità. Nel caso di specie la violazione commessa dal ricorrente non può essere ritenuta di lieve entità, affermano i Giudici, sia perché il ricorrente è stato fermato ben oltre l'orario di uscita permesso per recarsi all'incontro con gli assistenti sociali, sia perché il ricorrente si intratteneva con un soggetto noto alle forze dell'ordine per il commercio di sostanze stupefacenti. Per le ragioni esposte, il Collegio nell'esprimere il principio di diritto secondo cui «la trasgressione alle prescrizioni concernenti il divieto di allontanarsi dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari, ove non ritenute di lieve entità, determina, ex articolo 276, comma -ter, c.p.p., la revoca obbligatoria degli arresti domiciliari, seguita dal ripristino della custodia cautelare in carcere, non dovendo il giudice preventivamente valutare l'idoneità degli arresti domiciliari con modalità elettroniche di controllo», rigetta il ricorso.
Presidente De Amiciis – Relatore Di Geronimo Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale del riesame di Milano confermava l'ordinanza con la quale la Corte di appello aveva disposto l'aggravamento della misura degli arresti domiciliari, con il ripristino della custodia in carcere, a seguito dell'evasione di cui si era reso responsabile il ricorrente in data 12 luglio 2023. Questi, infatti, era stato sorpreso lungo la pubblica via, dopo essersi incontrato con un soggetto risultato detentore di stupefacente, dandosi alla fuga alla vista degli appartenenti alle forze dell'ordine che, solo dopo un breve inseguimento, riuscivano a fermarlo. 2. Avverso tale ordinanza, il ricorrente ha formulato quattro motivi di impugnazione. 2.1. Con il primo motivo, deduce mancanza di motivazione e violazione di legge evidenziando come la Corte di appello, nel disporre l'aggravamento della misura, aveva erroneamente ritenuto che al ricorrente fosse stato contestato il reato di cui all'articolo 73, D.P.R. 9 ottobre 1990, numero 309, incorrendo in un palese errore, posto che tale reato era ipotizzato solo a carico di C.P. e, cioè, del soggetto con il quale il ricorrente aveva avuto un breve contatto, prima di darsi alla fuga. 2.2. Con il secondo motivo, deduce la violazione dell'articolo 276, comma 1-ter cod. proc. penumero , ritenendo che l'inosservanza della misura degli arresti domiciliari dovesse ritenersi di lieve entità e, quindi, inidonea a giustificare il ripristino della custodia in carcere. 2.3. Con il terzo motivo, deduce vizio della motivazione in relazione alla valutazione delle esigenze cautelari, sottolineando come la violazione degli arresti domiciliari non era in alcun modo funzionale a reiterare il reato di maltrattamenti in famiglia, in relazione al quale è in corso di esecuzione la misura cautelare. 2.4. Con il quarto motivo, deduce il vizio di motivazione in merito alla ritenuta inadeguatezza degli arresti domiciliari da eseguirsi mediante il controllo con mezzi elettronici, modalità in relazione alla quale l'ordinanza impugnata non ha fornito alcuna giustificazione per escluderne l'idoneità. 3. Il ricorso è stato trattato in forma cartolare. Considerato in diritto 1. Il ricorso è manifestamente infondato. 2. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Invero, il Tribunale del riesame ha correttamente dato atto che al ricorrente non è stato contestato il reato di cui all'articolo 73, D.P.R. 9 ottobre 1990, numero 309, ma solo quello di cui all'articolo 385 cod. penumero , ritenendo che ciò non infici la decisione di disporre l'aggravamento della misura cautelare. L'ordinanza impugnata, invero, ha valorizzato un diverso aspetto e cioè che il ricorrente non solo violava la misura degli arresti domiciliari, ma veniva anche sorpreso nell'attendere un soggetto, con il quale si incontrava fugacemente, risultato dedito allo spaccio di stupefacenti, ritenendo tale circostanza ulteriormente dimostrativa dell'insensibilità del ricorrente al rispetto delle prescrizioni insite nella misura cautelare cui era sottoposto. 3. Il secondo motivo di ricorso, attinente all'esclusione della lievità del fatto, è manifestamente infondato. Invero, il Tribunale ha escluso che la violazione possa considerarsi lieve, sottolineando le circostanze complessivamente accertate e motivando espressamente sull'inattendibilità della tesi difensiva, secondo cui il ricorrente stava facendo ritorno a casa, dopo essersi recato all'incontro con gli assistenti sociali per il quale era stato debitamente autorizzato. In particolare, nell'ordinanza si stigmatizza come l'incontro era fissato in orario ore 12 del tutto incompatibile con quello in cui veniva constatata la presenza del ricorrente fuori dalla propria abitazione ore 19,10 . A ciò si aggiunga che l'incontro del ricorrente con un soggetto dedito allo spaccio di stupefacenti è circostanza che contribuisce ad escludere la lievità del fatto. Quanto detto consente di affermare che il Tribunale ha ampiamente motivato in ordine alle ragioni che non consentono di ritenere la lievità del fatto, senza incorrere in vizi di manifesta illogicità o contraddittorietà. 4. Il terzo e quarto motivo sono parimenti manifestamente infondati. Il ricorrente si duole del vizio di motivazione in ordine alle esigenze cautelari, sottolineando come la violazione della misura degli arresti domiciliari non sarebbe funzionalmente collegabile alla reiterazione del reato di maltrattamenti in famiglia, in relazione al quale la cautela è stata disposta. Invero, l'aggravamento della misura non richiedeva affatto l'accertamento della finalizzazione della violazione alla reiterazione del reato, trovando applicazione il principio per cui la trasgressione alle prescrizioni concernenti il divieto di allontanarsi dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari determina, ex articolo 276, comma 1-ter, cod. proc. penumero , la revoca obbligatoria degli arresti domiciliari, seguita dal ripristino della custodia cautelare in carcere, senza che al giudice, una volta accertata la trasgressione, sia riconosciuto un potere di rivalutazione delle esigenze cautelari Sez.4, numero 32 del 21/11/2017, dep. 2018, Monno, Rv. 271690 . Il suddetto principio, inoltre, comporta anche che il giudice non è tenuto a compiere la valutazione di cui all'articolo 275-bis, cod. proc. penumero , in merito alla possibilità che le esigenze cautelari siano garantite mediante il ricorso all'utilizzo di strumenti elettronici di controllo a distanza. Tale norma di portata generale, infatti, deve ritenersi derogata dalla previsione speciale dettata dall'articolo 276, comma 1-ter cod. proc. penumero relativa al caso di violazione degli arresti domiciliari, in base alla quale la custodia cautelare in carcere non deve essere disposta solo se la violazione riscontrata è di lieve entità. Argomentando sul regime speciale introdotto dall'articolo 276, comma 1-ter, cod. proc. penumero , la giurisprudenza ha chiarito come la trasgressione delle prescrizioni imposte con gli arresti domiciliari legittima la sostituzione della misura in atto con quella della custodia cautelare in carcere, ai sensi dell'articolo 276, comma 1-ter, cod. proc. penumero , anche nei confronti dei soggetti di cui all'articolo 275, comma 4, cod. proc. penumero , senza necessità di verifica della sussistenza delle ragioni di cautela di eccezionale rilevanza, salvo che vi sia la prova della lieve entità del fatto Sez.2, numero 43940 del 12/9/2019, Giuntano, Rv. 277764 . Valorizzando i principi giurisprudenziali richiamati, deve conseguentemente affermarsi il principio secondo cui la trasgressione alle prescrizioni concernenti il divieto di allontanarsi dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari, ove non ritenute di lieve entità, determina, ex articolo 276, comma 1-ter, cod. proc. penumero , la revoca obbligatoria degli arresti domiciliari, seguita dal ripristino della custodia cautelare in carcere, non dovendo il giudice preventivamente valutare l'idoneità degli arresti domiciliari con modalità elettroniche di controllo. 5. Alla luce di tali considerazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94, comma 1-ter, disp.att. cod. proc. penumero