Alla Consulta la questione sulla confisca laddove comprende anche i beni utilizzati per commettere il reato

Appare rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2641, primo e secondo comma, c.c., nella parte in cui, in materia di reati societari, assoggetta a confisca per equivalente anche i beni utilizzati per commettere il reato.

La Quinta sezione penale di legittimità ravvisa una possibile tensione con alcuni precetti costituzionali, anche in ottica convenzionale CEDU ed euro-europea, in relazione alla Carta di Nizza . La vicenda processuale scaturisce dall'attività ispettiva avviata sia dalla Banca d'Italia che dalla Banca Centrale Europea presso un istituto di credito, a seguito della quale erano emerse irregolarità gestionali , consistite nel sistematico ricorso al sostegno finanziario concesso ai clienti/soci per l'acquisto di azioni proprie sul mercato primario e su quello secondario, accompagnato dal rilascio, in favore degli stessi soci, di lettere con le quali l'istituto assumeva l'impegno a riacquistare le azioni ovvero forniva garanzie di rendimento dei titoli. In tale cornice venivano inquadrate le condotte contestate agli odierni imputati ricorrenti, accertati nelle pronunce di merito, di aggiotaggio manipolativo ed informativo , di ostacolo alla vigilanza della Banca d'Italia, della BCE e della Consob , oltre che la responsabilità dell'ente bancario per l'illecito amministrativo dipendente dai predetti reati. La confisca per equivalente, applicata in primo grado… Il giudice di prime cure, accertati i suddetti reati societari , disponeva a confisca per equivalente ai sensi dell' articolo 2641 c.c. i mezzi utilizzati per commettere il reato ossia le somme impiegate per la commissione dei reati di aggiottaggio e di ostacolo alla vigilanza, in quanto i finanziamenti erogati dalla banca erano stati funzionali all'illecita alterazione del prezzo delle azioni e all'artificiosa creazione dell'entità del patrimonio di vigilanza. …e revocata in appello La confisca per equivalente veniva revocata dalla Corte di appello in quanto la stessa, avente natura sanzionatoria confermata dalle Sezioni Unite numero 4145/2023, come tale avente veste sostanziale e inapplicabile ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore , significava applicare una sanzione manifestamente sproporzionata, oltre che disancorata dal disvalore dell'illecito e dai singoli contributi concorsuali, a causa dell'automaticità del criterio di commisurazione, in aperto contrasto con i principi ex articolo 3 e 27 Cost. Il ricorso della Pubblica accusa Avverso la revoca della confisca ricorreva in cassazione il Procuratore generale, osservando a che l' articolo 2641, comma 2, c.c. , prevede la confisca anche per equivalente dei beni utilizzati per commettere i reati, senza introdurre correttivi di tipo quantitativo correlati alle peculiarità del caso concreto b che la valutazione di s proporzione espressa dalla Corte di appello finisce per impedire l'applicazione della confisca, che il legislatore ha costruito come obbligatoria c che la valorizzazione, da parte della sentenza impugnata, dell'assenza di un profitto individuale, introduce un parametro normativo non previsto da parte dell' articolo 2641 c.c. ed estraneo alla natura dell'istituto, che attinge non il profitto, ma i beni utilizzati per commettere i reati. La questione di legittimità costituzionale La Suprema Corte, nella pronuncia in commento, ritiene parzialmente fondato il motivo di ricorso sul punto della disposta revoca della confisca anche nell'ottica del sollevato incidente di costituzionalità. Esclusa la sussistenza di preclusioni all'applicazione, nel caso di specie, dell' articolo 2641, primo e secondo comma, c.c. , per i giudici di legittimità il ricorso del PG solleva una questione meritevole di accoglimento che tuttavia induce a ritenere percorrere d'ufficio la via dell'incidente di costituzionalità. Funzione ripristinatoria o sanzionatoria-punitiva? Posto che – come chiarito dalla Corte di Giustizia UE, 8 marzo 2022 – il primato del diritto dell'Unione impone di disapplicare la normativa interna nei soli limiti necessari per consentire l'irrogazione di sanzioni proporzionate, per il Collegio diventa allora fondamentale distinguere richiamando l'importante sentenza numero 112/2019 della Corte costituzionale e la legge comunitaria numero 238/2021 che modificando l' articolo 187 del TUF sulla confisca in caso di aggiotaggio manipolativo costituente reato , tra confisca del profitto del reato – che ha funzione ripristinatoria – e confisca del prodotto o dei beni utilizzati per commettere reati che rivesta natura sanzionatoria-punitiva . Entrambi gli interventi risultano ispirati al principio secondo cui, nei casi di reati concernenti gli abusi di mercato, la confisca deve essere limitata al solo profitto, in quanto tale ablazione garantisce appieno la funzione ripristinatoria. Proporzione vantaggio del reato e ammontare della confisca… In altri termini si intende restringere l'intervento ablatorio connotato da componenti punitive-sanzionatorie, poiché esso, se fosse esteso al prodotto ed ai mezzi utilizzati per commettere il reato, potrebbe assumere carattere sproporzionato. Al contrario, limitando la confisca al profitto del reato, si realizza una proporzione sostanzialmente automatica tra vantaggio scaturente dalla commissione dell'illecito e l'ammontare della confisca , anche per equivalente, senza alcun riverbero sull'entità del trattamento sanzionatorio. …anche per la confisca legata a reati societari Per la Quinta Sezione di Cassazione, tali principi sembrano dover essere applicati anche all' articolo 2641 c.c. , norma che concerne la confisca nel caso di reato di aggiotaggio, come pure nel caso del delitto di ostacolo alla vigilanza. Infatti, alla luce del principio di proporzionalità sotteso alla dichiarazione d'incostituzionalità della sentenza numero 112/2019, emerge che è proprio un meccanismo di confisca per equivalente strutturalmente correlato ai beni utilizzati per commettere il reato ad essere costruito dal legislatore in termini che non garantiscono in astratto, al di fuori dei casi di tradizionali instrumenta sceleris , in genere rappresentati da cose intrinsecamente pericolose se lasciate nella disponibilità del reo, la proporzionalità della risposta sanzionatoria, intesa come quella della necessarie adeguatezza al fatto che rappresenta la giustificazione retributiva della pena. L'unica strada praticabile è passare la palla alla Consulta Le peculiarità strutturali della confisca – aggiungono gli ermellini – prima ancora che un problema di proporzionalità rispetto alla complessiva risposta sanzionatoria, pongano un problema di proporzionalità intrinseca alla misura, ossia di razionale costruzione dei suoi presupposti al fine di individuare una risposta adeguata al fatto considerato nella complessità dei suoi elementi costitutivi, altrimenti finendo per perdere ogni legame con la persona del colpevole. Pertanto, l'unica strada percorribile sia quella della remissione alla Corte costituzionale della questione di legittimità dell' articolo 2641 c.c. sotto il profilo del contrasto di tale norma con gli articolo 3, 27, commi 1 e 3, 42, 117 Cost. , quest'ultimo in riferimento all'articolo 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, nonché gli articolo 11 e 117 Cost., con riferimento agli articolo 17 e 49 della Carta dei diritti fondamentali UE, perché incide in senso limitativo sul diritto di proprietà dell'autore dell'illecito . In altri termini, la confisca per equivalente di importo corrispondente ai “beni utilizzati per commettere il reato”, non consente di giustificare la norma censurata , alla luce della componente afflittiva derivante dallo sproporzionato peggioramento dei destinatari della misura rispetto a quello conseguente all'applicazione di strumenti di carattere meramente ripristinatorio e tenuto conto della forbice edittale prevista dalla fattispecie incriminatrice.

Presidente Vessichelli – Relatore Catena e De Marzo Ritenuto in fatto 1. La presente vicenda processuale scaturisce dall'attività ispettiva avviata sia dalla Banca d'Italia che dalla Banca centrale Europea BCE presso la Banca Popolare di Vicenza, a seguito della quale erano emerse irregolarità gestionali, consistite nel sistematico ricorso al sostegno finanziario concesso ai clienti/soci per l'acquisto di azioni proprie sul mercato primario e su quello secondario, accompagnato dal rilascio, in favore degli stessi soci, di lettere con le quali l'istituto assumeva l'impegno a riacquistare le azioni ovvero forniva garanzie di rendimento dei titoli erano emersi, altresì, storni di interessi autorizzati dagli organi di vertice dell'istituto, funzionali a neutralizzare i costi dei finanziamenti erogati dalla banca e, infine, consistenti investimenti in fondi esteri utilizzati, in parte, per la detenzione indiretta di azioni proprie. Tali anomalie operative non comunicate all'Istituto di vigilanza avevano generato un impatto negativo sotto il profilo patrimoniale e si erano tradotte nella necessità di circa un miliardo di Euro di deduzioni dal patrimonio soggetto al controllo, con conseguente iscrizione di rettifiche relative a crediti deteriorati per circa 1,3 miliardi di Euro il piano di rafforzamento deliberato dalla banca, inoltre, non era andato a buon fine, con conseguente dichiarazione dello stato di dissesto da parte della BCE e la successiva procedura di liquidazione coatta amministrativa avviata con decreto del Ministero dell'Economia il 25/06/2017 con sentenza del 21/12/2018, infine, il Tribunale di Vicenza aveva dichiarato lo stato di insolvenza dell'istituto di credito. In tale cornice sono da inquadrare le condotte contestate agli imputati ricorrenti, accertate dalle sentenze di merito, di aggiotaggio manipolativo ed informativo, di ostacolo alla vigilanza della Banca d'Italia, della BCE e della CONSOB, nonché di falso in prospetto e, quindi, gli illeciti amministrativi contestati alla Banca Popolare di Vicenza ai sensi del D.LGS. numero 231/2001 , 1.1. Il Tribunale, in particolare, con riguardo al capo A.1 articolo 81, comma secondo, 110 cod. penumero , 2637 cod. civ., contestato come commesso sino alla data di pubblicazione del bilancio relativo all'esercizio 2014, approvato il 3 marzo 2015 , aveva individuato quattro fattispecie di aggiotaggio finanziario informativo, quattro fattispecie di aggiotaggio finanziario operativo, quattro fattispecie di aggiotaggio bancario informativo e quattro fattispecie di aggiotaggio bancario operativo, tutte distinte tra loro e commesse negli anni 2012, 2013, 2014, 2015, dichiarando l'estinzione per intervenuta prescrizione delle condotte poste in essere sino al 27/04/2013, data di approvazione del bilancio 2012, ed affermando la penale responsabilità di Zo.Gi., quale Presidente del Consiglio di amministrazione dell'istituto di credito, Gi.Em., quale vicedirettore generale responsabile della Divisione Mercati dell'istituto, Ma.Pa., quale vicedirettore generale responsabile della Divisione Crediti dell'istituto, Pi.Anumero , quale vicedirettore generale responsabile della Divisione Finanza dell'istituto, per le successive vicende parimenti, veniva affermata le responsabilità dell'ente bancario per l'illecito amministrativo dipendente dal predetto reato, ai sensi degli articolo 5, lett. a e b , 6, 25-ter, comma 1, lett. r , D.LGS. 231/2001, di cui al capo A.2. In particolare, l'aggiotaggio operativo si fondava sulle sistematiche simulazioni di operazioni di capitale finanziato e di acquisto di azioni proprie tramite i fondi lussemburghesi Athena e Optimum l'aggiotaggio informativo era consistito, a sua volta, nella diffusione di notizie false, attraverso i bilanci di esercizio, i comunicati stampa e le comunicazioni ai soci, che avevano contribuito ad accreditare l'immagine della banca come credibile e sostenuta dal mercato. Quanto ai reati di ostacolo alla vigilanza, gli stessi erano stati ricostruiti sulla scorta delle risultanze dell'attività di vigilanza della Banca d'Italia, svolta nel periodo 2007-2012 in particolare, al capo B.1 articolo 81, comma secondo, 110 cod. penumero , 2638, commi primo e terzo, cod. civ. tempus commissi delicti indicato dal 28 maggio 2012 al 12 ottobre 2012 era individuata la condotta di ostacolo all'attività di vigilanza attraverso l'occultamento, con mezzi fraudolenti, delle operazioni di capitale finanziato e di sistematica omissione informativa delle suddette operazioni alla squadra ispettiva. Successivamente all'ispezione del 2012, e nell'arco temporale compreso tra il 30/06/2012 ed il 31/03/2015, dai flussi informativi tra l'istituto bancario vicentino e l'autorità di vigilanza era emerso l'occultamento della reale situazione patrimoniale del gruppo, con riferimento all'incidenza del fenomeno del capitale finanziato sui coefficienti del patrimonio di vigilanza, oggetto di sistematiche violazioni agli obblighi informativi in particolare i seguenti reati sono tutti contestati con riguardo all' articolo 2638, secondo e terzo comma, cod. civ. , al capo C.1 si contestava l'ostacolo alla vigilanza in riferimento all'anno 2012 tempus commissi delicti indicato nel capo di imputazione 5 marzo 2013, con riguardo alla data della lettera di intervento della Banca d'Italia che, all'esito del processo di revisione e di valutazione prudenziale per l'anno 2012, stabiliva un obiettivo patrimoniale non coerente con la situazione patrimoniale della banca con il capo D.1 si contestava la falsa rappresentazione dei dati patrimoniali con riferimento al primo semestre dell'anno 2013 tempus commissi delicti indicato nel capo di imputazione nel 24 giugno 2013, corrispondente alla data della lettera di intervento della Banca d'Italia con la quale si prescriveva l'adozione di iniziative diverse da quelle che sarebbero state necessarie, alla luce della reale situazione patrimoniale dell'istituto con il capo E.1 tempus commissi delicti indicato nel capo di imputazione in epoca posteriore e prossima al 15 settembre 2013, 25 ottobre 2013 e 15 marzo 2014 si contestava la falsa rappresentazione dei dati patrimoniali con riferimento al secondo semestre dell'anno 2013 con il capo F.1 tempus commissi delicti indicato nel capo di imputazione 15 aprile 2014 si contestava l'omessa indicazione dell'informativa preventiva e dell'informativa integrativa del 2014 con riguardo all'aumento di capitale con il capo G.1 tempus commissi delicti indicato nel capo di imputazione in epoca posteriore e prossima al 25 aprile 2014, in data 11 agosto 2014, in data 1 settembre 2014, in epoca anteriore e prossima al 25 ottobre 2014 e 4 novembre 2014 si contestava la falsità di segnalazioni alla Banca d'Italia nel corso del 2014 con il capo H.1 tempus commissi delicti indicato nel capo di imputazione iri epoca posteriore e prossima al 15 marzo 2014, al 25 aprile 2015 e nel primo trimestre 2015 si contestavano le condotte di ostacolo alla vigilanza nei confronti della BCE, a seguito dell'entrata in vigore del Sistema di Vigilanza Unico con il capo M.1 tempus commissi delicti indicato nel capo di imputazione dal marzo ad agosto 2014, con riferimento alla attività ispettiva, e nel mese di febbraio 2015, con riferimento alla decisione SREP della BCE si contestavano le condotte di ostacolo relative al Comprehensive Assessment in danno sia della Banca d'Italia che della BCE. Di tutte le indicate condotte di ostacolo alla vigilanza capi B.1, C.1, D.1, E.1, F.1, G.1, H.1, M.1 era affermata la penale responsabilità di Zo.Gi., Gi.Em., Ma.Pa., Pi.Anumero , nelle suddette qualità parimenti, veniva affermata le responsabilità dell'ente bancario per gli illeciti amministrativi dipendenti dai predetti reati, ai sensi degli articolo 5, lett. a e b , 6, 25-ter, comma 1, lett. r , D.LGS. 231/2001, di cui al capo A.2. Infine, il solo Gi.Em., nella predetta qualità, era ritenuto colpevole anche del reato di cui al capo N.1 anch'esso contestato con riguardo all' articolo 2638, secondo e terzo comma, cod. civ. tempus commissi delicti indicato nel capo di imputazione 23 maggio, 4 luglio e 15 ottobre 2014 , relativo alle condotte di ostacolo alla vigilanza poste in essere nei confronti della CONSOB in relazione all'operazione di aumento di capitale del 2014 anche per tale vicenda veniva affermata le responsabilità dell'ente bancario per l'illecito amministrativo dipendente dai predetti reati, ai sensi degli articolo 5, lett. a e b , 6, 25-ter, comma 1, lett. r , D.LGS. 231/2001, di cui al capo A.2. Oggetto di condanna in primo grado erano, inoltre, le condotte di cui ai capi I e L, due vicende di falso in prospetto di cui agli articolo 61 numero 2, 81, secondo comma, 110 cod. penumero , 173-bis D.LGS. 58/1998. L'imputato Pe.Ma., dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della società, veniva assolto dai reati a lui ascritti capi A.1, B.1, C.1, D.1, E.1, F.1, G.1, H.1, I, L, M.1 perché il fatto non costituisce reato. Infine, il Tribunale di Vicenza disponeva, nei confronti degli imputati, la confisca per equivalente, sino a concorrenza dell'importo di Euro 963.000.000,00, in base alla disposizione di cui all' articolo 2641, comma secondo, cod. civ. , che assoggetta a confisca per equivalente i mezzi impiegati per commettere il reato, ossia, nel caso in esame, le somme di denaro impiegate per la commissione dei reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, in quanto i finanziamenti erogati dalla banca erano stati funzionali all'illecita alterazione del prezzo delle azioni ed alla creazione dell'artificiosa rappresentazione dell'entità del patrimonio di vigilanza, individuato nella misura di Euro 963.000.000,00 corrispondente all'entità del capitale finanziato accertato in sede giudiziale. Nel caso di specie, in particolare, secondo quanto affermato dalla sentenza di primo grado, non era possibile procedere alla confisca diretta dei beni utilizzati per commettere i reati nei confronti della banca, in quanto l'istituto di credito era stato assoggettato a liquidazione coatta amministrativa, con conseguente spossessamelo dei beni. 1.2. La Corte di Appello di Venezia, con sentenza del 10/10/2022, così provvedeva, confermando nel resto la decisione di primo grado quanto agli imputati Zo.Gi., Pi.Anumero ed Gi.Em., ravvisata un'unica ipotesi di aggiotaggio per ciascuna annualità di riferimento, dichiarava non doversi procedere in relazione alle condotte di cui al capo A.1, limitatamente ai reati commessi fino al 2014, nonché in relazione ai reati di cui ai capi I e L, in quanto estinti per prescrizione quanto ai reati di cui ai capi B.1 e M.1, ritenuta la sola ipotesi di cui all' articolo 2638, comma secondo, cod. civ. , riduceva la pena inflitta ad anni tre mesi undici di reclusione, per Zo.Gi. ed Pi.Anumero , e ad anni due mesi sette giorni quindici di reclusione per Gi.Em. quanto all'imputato Ma.Pa., lo assolveva dai reati di cui ai capi I e L, nonché dai reati di cui ai capi H.1 e M.1, limitatamente alle condotte successive al 18/12/2014, per non aver commesso il fatto ravvisata un'unica ipotesi di aggiotaggio per ciascuna annualità di riferimento, dichiarava non doversi procedere in relazione alle condotte di cui al capo A.1, limitatamente ai reati commessi fino al 2014, in quanto estinti per prescrizione quanto ai reati di cui ai capi B.1 e M.1, ritenuta la sola ipotesi di cui all' articolo 2638, comma secondo, cod. civ. , riduceva la pena inflitta ad anni tre mesi quattro giorni quindici di reclusione quanto a Pe.Ma., in accoglimento dell'appello del pubblico ministero e delle parti civili, proposto contro l'assoluzione pronunciata in primo grado, la Corte territoriale dichiarava l'imputato responsabile dei reati ascrittigli e dichiarava non doversi procedere in relazione alle condotte di cui al capo A.1, limitatamente ai reati commessi fino al 2014, nonché in relazione ai reati di cui ai capi I e L, in quanto estinti per prescrizione dichiarava l'imputato responsabile dei reati ascrittigli, ritenuta, quanto ai reati di cui ai capi B.1 e M.1, la sola ipotesi di cui all' articolo 2638, comma secondo, cod. civ. , condannandolo, con la concessione delle circostanze attenuanti generiche e ritenuta la continuazione, alla pena di anni tre mesi undici di reclusione. Quanto alla confisca per equivalente, disposta ai sensi dell' articolo 2641, comma secondo, cod. civ. nei confronti degli imputati, per l'importo di Euro 963.000.000,00, la Corte di Appello ne disponeva la revoca. In particolare, la Corte di merito evidenziava la marcata frizione della disposizione di cui all' articolo 2641, comma secondo, cod. civ. , con i principi espressi sia dalla Corte costituzionale con la sentenza numero 112 del 2019, che dalla giurisprudenza di legittimità nel caso di confisca di natura sanzionatoria, quale deve essere intesa quella per equivalente - in cui i beni utilizzati per commettere il reato siano costituiti da somme di denaro non nella originaria disponibilità degli imputati, bensì di un soggetto terzo, ossia la banca -, adottare un provvedimento ablatorio come quello disposto dal Tribunale significava applicare una sanzione manifestamente sproporzionata, oltre che disancorata dal disvalore dell'illecito e dai singoli contributi concorsuali, a causa dell'automaticità del criterio di commisurazione, in aperto contrasto con i principi sanciti dagli articolo 3 e 27, comma primo, Costituzione . Si tornerà diffusamente sul punto nel prosieguo. In parziale accoglimento dell'appello dell'ente, la Corte d'appello ha ridotto la sanzione pecuniaria disposta in relazione alla riconosciuta responsabilità amministrativa dipendete dai reati, confermando, nel resto, l'impugnata sentenza. 1.2. Avverso l'indicata sentenza sono stati proposti i ricorsi di seguito menzionati, i cui motivi vengono esposti nei limiti in cui sono rilevanti ai fini della motivazione della decisione assunta dal Collegio, secondo quanto disposto dall' articolo 173 disp. att. cod. proc. penumero 2. Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Venezia ricorre avverso la sentenza, deducendo tre motivi. 2.1. Con il primo motivo si lamenta violazione di legge, con riferimento all' articolo 2637 cod. civ. , per avere la Corte territoriale ravvisato, in relazione al capo A.1, un unico reato, l'aggiotaggio bancario, per ciascuna delle annualità in contestazione dal 2012 al 2015 , invece dei quattro illeciti ritenuti sussistenti, sempre per ciascun anno, dal Tribunale aggiotaggio informativo e manipolativo, finanziario e bancario . 2.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge, con riferimento agli articolo 2638 cod. civ. , 649 cod. proc. penumero , 50 della Carta di Nizza , criticando la sentenza impugnata per avere ravvisato un'unica ipotesi di reato di cui all' articolo 2638 cod. civ. nei fatti contestati ai capi B.1 e M.1 e, secondo la prospettazione accusatoria, tradottisi in condotte diverse e correlati a diversi eventi. 2.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione di legge, in riferimento agli articolo 2641 cod. civ. , 101, secondo comma, e 25, secondo comma, Cost., nonché con riguardo ai principi di legalità della pena e di separazione dei poteri. In particolare, si contestano le argomentazioni utilizzate dalla Corte territoriale per giustificare la revoca della confisca per equivalente, disposta dal giudice di primo grado, ai sensi dell' articolo 2641, secondo comma, cod. civ. , sino all'importo di 963.000.000,00 Euro. Si osserva a che quest'ultima norma prevede la confisca dei beni utilizzati per commettere i reati - nella specie, ravvisati nelle somme di denaro investite nelle operazioni di finanziamento illecito -, senza introdurre correttivi di tipo quantitativo correlati alle peculiarità del caso concreto b che la valutazione di s proporzione espressa dalla Corte d'appello, che ha ritenuto idonea la pena detentiva prevista dagli articolo 2637 e 2638 cod. civ. ad esaurire adeguatamente la risposta punitiva , finisce per impedire l'applicazione della confisca, che il legislatore ha costruito come obbligatoria c che la valorizzazione, da parte della sentenza impugnata, dell'assenza di un profitto individuale, introduce un parametro normativo non previsto da parte dell' articolo 2641 cod. civ. ed estraneo alla natura dell'istituto, che attinge non il profitto, ma i beni utilizzati per commettere i reati. Con specifico riguardo all'ammissibilità di una disapplicazione parziale della previsione normativa, con la conseguente possibilità di disporre, in coerenza con il principio di proporzionalità, una confisca non estesa all'intero ammontare delle somme di denaro utilizzate per commettere i reati, il ricorrente, richiamando le garanzie e i principi costituzionali di cui sopra e le conclusioni di Corte cost., ord. numero 24 del 2017 , sollecita un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, al fine di ottenere una interpretazione della sentenza della Grande Sezione, 08/03/2022, in C-205/20, quanto al se la normativa nazionale debba essere disapplicata anche quando tale risultato, in assenza di una base legale sufficientemente determinata, finisca, in violazione del principio di legalità e di separazione dei poteri, per attribuire al giudice valutazioni discrezionali in tema di politica criminale, rimesse dalla nostra Costituzione al legislatore. 2.4. È stata trasmessa memoria da parte del Sostituto Procuratore generale. 3. La Banca Popolare di Vicenza Spa, in liquidazione coatta amministrativa giusta decreto ministeriale numero 185 del 25/06/2017, ente incolpato ai sensi del D.LGS. 231/2001 , ricorre a mezzo del difensore di fiducia avv. Francesco Mucciarelli, deducendo due motivi. 3.1. Con il primo si lamenta violazione di legge, in riferimento agli articolo 240 cod. penumero , 19 e 53 D.LGS. 231/2001 , vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b ed e cod. proc. penumero , in riferimento al mancato accertamento di un profitto confiscabile in relazione al reato di cui all' articolo 2638 cod. civ. , nonché quanto alla sussistenza di un profitto per la Banca Popolare di Vicenza Spa, pari ad Euro 74.212.687,50, derivante in via diretta ed immediata dal reato di cui al capo N.1, di ostacolo alla vigilanza, anziché dal reato di falso in prospetto di cui al capo L 3.2. Con il secondo si lamenta violazione di legge, in riferimento agli articolo 240 cod. penumero , 19 e 53 D.LGS. 231/2001 , vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b ed e cod. proc. penumero , con riguardo alla omessa considerazione dei costi sostenuti dall'ente in riferimento all'operazione di aumento del capitale del 2014, ai fini della quantificazione del profitto confiscabile, alla luce della motivazione della sentenza delle Sezioni Unite Fisia Impianti e della successiva giurisprudenza di legittimità, che, solo in riferimento alla attività totalmente illecite, ha individuato la confiscabilità del lordo nel caso di attività intrinsecamente lecite, come nella vicenda in esame, il profitto andrebbe invece individuato nel vantaggio economico derivato dal reato, al netto dell'utilità eventualmente conseguita dal danneggiato. 4. Gi.Em. ricorre, a mezzo dei difensori di fiducia avv. Concetta Miucci ed avv. Oreste Dominioni, deducendo un unico motivo, con il quale si lamenta vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. e , cod. proc. penumero , in riferimento alla conferma della determinazione della pena base in anni tre di reclusione quanto al reato di cui al capo H.1 in particolare, il ricorso, dopo aver riportato due passaggi della motivazione pagg. 304 e 306 della sentenza impugnata , rileva che nessun accenno risulta fatto alle argomentazioni difensive e che la Corte di merito ha fatto esclusivo riferimento alla oggettiva gravita dei fatti senza neanche menzionare gli indici di cui all' articolo 133 cod. penumero a cui si e riferita, pur avendo, in seguito, correttamente sottolineato, in riferimento al giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche ed alle riduzioni degli aumenti per la continuazione interna, gli elementi a fondamento della gravita del reato e della capacita a delinquere del colpevole, con particolare riferimento agli indici oggettivi di cui all' articolo 133, prima parte, cod. penumero ed agli indici soggettivi, recependo le osservazioni difensive su tali aspetti inoltre, sono stati valorizzati anche gli indici minori , come l'incensuratezza, l'assenza di pendenze, ed altri. Ad eccezione della gravita del reato, invece, nessuno degli altri indici è stato considerato nella determinazione della pena base. 4.2. È stata trasmessa memoria d'udienza e di replica a firma dell'avv. Oreste Dominioni che, in relazione ai motivi di ricorso del Procuratore generale, svolge argomentazioni del tutto sovrapponibili a quelle formulate dall'avv. Manes, delle quali si dirà infra. 5. Ma.Pa. ricorre, a mezzo dei difensori di fiducia, avv. Emanuele Fragasso jr. e Lino Roetta, deducendo cinque motivi di ricorso. 5.1. Il primo motivo investe l'affermazione di responsabilità in relazione al delitto di cui al capo A.1, limitatamente alle condotte perfezionatesi dopo il 2014 a proposito del quale, sin dalla premessa del ricorso, si sottolinea, in via subordinata, l'intervenuta estinzione per prescrizione . 5.2. Con il secondo motivo si investe l'affermazione di responsabilità per i reati di ostacolo all'attività di vigilanza di cui ai capi B.1, C.1, D.1, E.1, F.1, G.1, H.1, M.1. 5.3. Con il terzo motivo si lamentano vizi motivazionali in relazione alla dosimetria della pena applicata per il capo B.1. 5.4. Con il quarto motivo si rileva che la sentenza impugnata non era stata in grado di individuare la specifica informazione, funzionale all'oggetto del controllo del vigilatore che, secondo la prospettazione accusatoria, era stata dolosamente omessa. 5.5. Il quinto motivo è indirizzato nei confronti dell'ordinanza del 18 maggio 2022, con la quale la Corte d'appello ha ritenuto infondata l'eccezione di inutilizzabilità del file audio relativo alla registrazione della seduta del Comitato di direzione del 10 novembre 2014. 5.6. Gli avvocati Roetta e Fragasso hanno inviato motivi nuovi in data 23/11/2023, con riguardo, specificamente, al secondo motivo di ricorso, quanto al reato di ostacolo alla vigilanza di cui al capo H.1, rilevando l'errore materiale nella indicazione del tempus commissi delicti, quanto alla data del 15/03/2014, posto che la segnalazione era stata redatta nel dicembre 2014 e, quindi, la data di commissione deve essere corretta nel 15/03/2015, con conseguente ricaduta della condotta nella pronuncia assolutoria dell'imputato, riferita dalla Corte di merito alle condotte successive al 18/12/2014, ed eliminazione della pena inflitta per tale condotta di cui al capo H.1. Si formulano, inoltre, alcune precisazioni circa il contenuto del ricorso e si rileva l'intervenuta prescrizione delle fattispecie di ostacolo alla vigilanza di cui ai capi B.1, C.1, D.1, E.1. 5.7 Con memoria depositata il 07/12/2023 i predetti difensori contestano la fondatezza dei primi due motivi del ricorso del P.G. Quanto al terzo motivo dello stesso ricorso, si sottolinea la coerenza e la razionalità della decisione adottata dalla Corte di merito con i principi di sistema, anche sovranazionali, evidenziando, al contrario, l'irragionevolezza del precorso argomentativo delineato dal ricorrente che, evocando una disapplicazione parziale, determina, di fatto, l'introduzione di una novità di sistema esorbitante dai poteri del giudice e sconfinante in quelli del legislatore. 6. Pe.Ma. ricorre, a mezzo del difensore di fiducia, avv. Vittorio Manes, deducendo sette motivi di ricorso, variamente sottoarticolati. 6.1. Con il primo motivo si lamenta, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. e , cod. proc. penumero , la nullità di ordine generale determinata dalla violazione dell' articolo 603, comma 3-bis, cod. proc. penumero , in relazione agli articolo 178, lett. c , e 180 del codice di rito, nonché, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b , cod. proc. penumero , violazione dell'articolo 6, PAR. 3, lett. d , Cedu , poiché la rinnovazione istruttoria disposta dalla Corte d'appello di Venezia, dopo l'assoluzione in primo grado impugnata dal P.M., è stata parziale e non ha attinto tutte le prove da ritenersi decisive. 6.2. Con il secondo motivo si lamenta, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b cod. proc. penumero , violazione dell'articolo 192, commi 1 e 2, del codice di rito e, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. e dello stesso codice, motivazione solo apparente, per avere la sentenza, nella parte in cui illustra gli elementi che assume essere a carico del Pe.Ma., valutato selettivamente alcune prove, ignorandone altre. 6.3. Con il terzo motivo, variamente sottoarticolato, si lamenta, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b , cod. proc. penumero , la violazione dell' articolo 192, commi 1 e 2, cod. proc. penumero e, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. e , cod. proc. penumero , una motivazione solo apparente, per avere la sentenza - nella parte in cui illustra, sovvertendone il significato, gli elementi che la sentenza di primo grado considerava a favore del Pe.Ma. - valutato selettivamente alcune prove e ignorando altre risultanze. 6.4. Con il quarto motivo si lamenta, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b , cod. proc. penumero , violazione dell' articolo 192, comma 3, cod. proc. penumero e, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. e , cod. proc. penumero , la manifesta illogicità e carenza della motivazione, nella parte in cui, con argomenti di carattere illogico o assertivo 1 l'imputato Gi.Em. viene considerato soggettivamente credibile, nonostante il peculiare contesto in cui si è inserita la sua richiesta di rendere un nuovo esame, particolarmente indicativo di un interesse dell'imputato ad avallare l'ipotesi accusatoria per ottenere benefici - effettivamente conseguiti - in termini di pena 2 le sue dichiarazioni vengono ritenute intrinsecamente attendibili 3 il narrato viene considerato riscontrato da elementi di prova esterni, ma omettendo di considerare plurime deposizioni testimoniali e prove documentali che contrastavano con tale narrato, con i documenti valorizzati dalla medesima sentenza - oggetto di puntuale analisi critica - e, in generale, con i rilievi difensivi sul punto. 6.5. Con il quinto motivo si lamenta, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b , cod. proc. penumero , violazione ed errata applicazione delle norme di cui agli articolo 2637 e 2638 cod. civ. , nonché dell' articolo 173-bis D.LGS. numero 58/1998 , in combinazione con l' articolo 43 cod. penumero , nella parte motivazionale in cui si argomenta la sussistenza del dolo delle fattispecie contestate in capo al Pe.Ma., nonché illogicità e contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. e , cod. proc. penumero , anche nel raffronto tra l'esclusione del dolo per l'imputato Zi., assolto, ed il riconoscimento della sua sussistenza per Pe.Ma. 6.6. Con il sesto motivo, si lamenta, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b ed e cod. proc. penumero , violazione dell'articolo 533, comma 1, cod. proc. pen, illogicità e difetto motivazionale, laddove la sentenza omette di fornire una motivazione rafforzata che consenta di superare l'esito assolutorio di primo grado ed i ragionevoli dubbi scaturenti dall'apparato argomentativo di siffatta decisione. 6.7. Con il settimo motivo si lamenta, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b ed e , cod. proc. penumero , erronea applicazione degli articolo 62-bis e 133 cod. penumero , nonché contraddittorietà e carenza motivazionale in ordine al mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche ed al differente trattamento sanzionatorio, quanto agli aumenti per la continuazione, rispetto al coimputato Gi.Em. 6.8. Con memoria trasmessa in data 24/11/2023 il difensore del ricorrente, avv. Manes, ha replicato alle argomentazioni poste a fondamento del ricorso del Procuratore generale presso la Corte di Appello di Venezia. In data 08/12/2023 è stata depositata memoria a firma dell'avv. Manes e dell'avv. Guazzarmi, di replica alla memoria del Procuratore generale. 7. Pi.Anumero ricorre, in data 20/02/2023, a mezzo del difensore di fiducia, avv. Bertolini Clerici, deducendo nove motivi. 7.1. Con il primo motivo si lamenta inosservanza di norme processuali sancite a pena di nullità, inammissibilità, inutilizzabilità, decadenza, in riferimento all' articolo 21 cod. proc. penumero , ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. c cod. proc. penumero , in quanto la difesa, con motivo di appello e con motivo aggiunto, aveva riproposto l'eccezione di incompetenza territoriale già formulata innanzi al giudice dell'udienza preliminare in data 19/05/2018 ed innanzi al Tribunale all'udienza del 02/04/2019, in particolare chiedendo la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il Tribunale di Milano, qualora fosse stato ritenuto più grave il reato di cui all' articolo 173-bis D.LGS. 58/1998 , di cui ai capi I e L, per effetto del raddoppio della pena operato dall'articolo 39 D.LGS. 262/2005, oppure al pubblico ministero presso il Tribunale di Roma, qualora fosse stato ritenuto più grave il reato di cui all' articolo 2638 cod. civ. contestato al capo B.1, non potendo, in tal senso, ritenersi preclusiva la decisione assunta dalla Corte di cassazione, in sede di risoluzione del conflitto negativo di competenza sollevato, nella fase delle indagini preliminari, dal Tribunale di Milano, con cui era stata affermata la competenza del Tribunale di Vicenza. Secondo la difesa, rispetto all'originaria contestazione di cui al capo B.1, emerge pacificamente dagli atti che la prima condotta di ostacolo alla vigilanza della Banca d'Italia nell'anno 2012 era stata determinata dall'invio, in data 26/04/2012, della comunicazione denominata Rendiconto Icaap Internai capital adequacy assessment process , contenuta negli atti depositati dal pubblico ministero in sede di avviso ex articolo 415-bis cod. proc. penumero e, come tale, espressamente ricompresa tra gli atti posti a sostegno della richiesta di rinvio a giudizio. Inoltre, erroneamente la Corte di merito ha ritenuto che la contestazione sub B.1 si riferisse solo a condotte poste in essere nel corso dell'attività di vigilanza ispettiva, in quanto - come si evince dalla lettura del capo di imputazione - la condotta contestata riguarda sia una condotta a dolo specifico, ai sensi del primo comma della disposizione, relativa a mezzi fraudolenti consistiti nel nascondimento di documenti ed informazioni, sia una condotta a dolo generico, ascrivibile alla fattispecie di cui al secondo comma della disposizione incriminatrice, relativa all'aver omesso di fornire informazioni alla Banca d'Italia circa la composizione del capitale di Banca Popolare di Vicenza. Secondo tale prospettazione, in coerenza con la giurisprudenza di legittimità sul punto, la trasmissione del rendiconto Icaap rientra a pieno titolo nel contesto materiale delineato dall'imputazione infatti l'ispezione della Banca d'Italia non avrebbe riguardato solo gli aspetti del credito, perché, se non fossero state omesse le informazioni rilevanti in tema di capitale, in particolare del patrimonio di vigilanza, l'attività ispettiva sarebbe stata estesa anche alla verifica della consistenza del capitale primario dell'istituto di credito. In tal senso, quindi, l'indicazione del luogo e dell'epoca di consumazione - in Vicenza, dal 28/05 al 12/10/2012 - rappresenterebbe l'errore macroscopico richiesto dalla giurisprudenza di legittimità affinché il giudice possa determinare la competenza territoriale differentemente da come individuata dalla pubblica accusa. D'altra parte, proprio la vicenda relativa alla comunicazione Icaap - a differenza di quanto affermato dalla Corte territoriale - non costituisce un diverso fatto storico, ma una porzione della medesima condotta di cui al capo B.1, che non avrebbe affatto determinato una diversa qualificazione della condotta, individuandosi, anche sotto tale aspetto, l'errore macroscopico nella formulazione del capo di imputazione. Nel caso in esame, quindi, l'effetto della comunicazione è consistito proprio nell'aver evitato che la Banca d'Italia disponesse, nel 20.1.2, l'ispezione sul capitale, condotta rilevante ai sensi dell' articolo 2638 cod. civ. tale decisione, inoltre, avrebbe dovuto essere presa a Roma e non a Vicenza, dove poi l'ispezione era stata eseguita secondo il perimetro predeterminato nel suo contenuto. Al contrario, secondo la prospettazione della sentenza impugnata, si legittimerebbe il forum shopping da parte del pubblico ministero, in violazione dell' articolo 112 Cost. , attraverso una indiscriminata selezione delle condotte indicate in imputazione. 7.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge, in riferimento agli articolo 63 e 210 cod. proc. penumero , 24 e 111 della Costituzione, vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b ed e cod. proc. penumero , quanto alla inutilizzabilità delle dichiarazioni provenienti dai testimoni Ra., So. e Ma., sulle quali si fonda l'affermazione di responsabilità del ricorrente, con contestuale impugnazione dell'ordinanza resa il 18/05/2022, anche sotto l'aspetto del travisamento della prova, risultante dai verbali delle udienze del 21/11/2019, 26/10/2019, 26/11/2020. 7.3. Con il terzo motivo si lamenta inosservanza di norme sancite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità, decadenza, in riferimento agli articolo 521 e 522 cod. proc. penumero , vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. c ed e cod. proc. penumero , per avere la sentenza impugnata affermato la partecipazione del Pi.Anumero alla prassi contestata mediante il coinvolgimento nell'operazione di investimento nei fondi lussemburghesi. 7.4. Con il quarto motivo si lamenta violazione di legge, in riferimento agli articolo 2637 e 2638 cod. civ. , vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b ed e cod. proc. penumero , per avere la sentenza impugnata escluso la violazione del principio del ne bis in idem sostanziale, in riferimento ai reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto 7.5. Con il quinto motivo si deduce violazione di legge, in riferimento all'articolo 51 cod. pen, ed all' articolo 23 Cost. , vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b ed e cod. proc. penumero , per la mancata applicazione del principio del nemo teneturse detegere, in quanto la difesa con i motivi di appello aveva rappresentato come la concreta contestazione della fattispecie di cui all' articolo 2638 cod. civ. - da individuare nella mancata indicazione dell'esistenza di azioni finanziate - comportava l'incriminazione della violazione di un dovere che, se adempiuto, avrebbe cagionato l'incriminazione per la fattispecie di cui all' articolo 2637 cod. civ. 7.6. Con il sesto motivo si lamenta vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. e , cod. proc. penumero delle ordinanze del 18/05/2022 e del 20/07/2022, reiettive della richiesta di rinnovazione dell'esame del Pi.Anumero , non potendosi altrimenti sanare il vulnus difensivo scaturente dall'impossibilità di esaminare come teste lo St., successivamente iscritto nel registro degli indagati, oltre che dall'impossibilità di ritenere attendibili le dichiarazioni rese dal Ma. ex articolo 507 cod. proc. penumero , essendo egli potenzialmente a conoscenza della sua veste di indagato allorquando aveva deposto, come dimostrato dall'allegazione del provvedimento di ispezione condotto dall'autorità lussemburghese. 7.7. Con il settimo motivo si lamenta violazione di legge, in riferimento all' articolo 192, comma 3, cod. proc. penumero , vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b ed e cod. proc. penumero , in ordine alla valutazione di attendibilità della chiamata in correità proveniente dal coimputato Gi.Em., le cui dichiarazioni avrebbero dovuto essere esaminate tenuto conto della sua veste di coimputato, anche considerata la genericità delle dichiarazioni riguardanti il Pi.Anumero , peraltro smentite dal teste estraneo Ch. e neanche valorizzate dal primo giudice. 7.8. Con l'ottavo motivo si lamenta violazione di legge, in riferimento agli articolo 191, 234 cod. proc. penumero , 13, 14 e 15 della Costituzione, vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b ed e cod. proc. penumero , in quanto la difesa, in appello, aveva lamentato l'inutilizzabilità della registrazione della riunione del Comitato di direzione del 10/11/2014, trascritto e depositato dal pubblico ministero, alla luce dei principi della giurisprudenza di legittimità. 7.9. Con il nono motivo si lamenta vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. e cod. proc. penumero , in riferimento all'omessa motivazione della sentenza impugnata, quanto alla censura di attendibilità dell'imputato di reato connesso Fr.To., su cui si fonda, tra l'altro, l'affermazione di responsabilità del ricorrente. 8. Zo.Gi. ricorre, a mezzo dei difensori di fiducia avv. Enrico Mario Ambrosetti ed avv. Tullio Padovani, deducendo tre motivi. 8.1. Con il primo motivo si lamenta inosservanza di norme processuali sancite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità e decadenza, in riferimento all' articolo 8 cod. proc. penumero , ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. c cod. proc. penumero , svolgendo considerazioni che, con diversità di accenti, giungono alle medesime conclusioni del primo motivo del ricorso proposto nell'interesse del Pi.Anumero 8.2. Con il secondo motivo si lamenta vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. e cod. proc. penumero , in riferimento alla identificazione delle operazioni riconducibili alla nozione di capitale finanziario di cui agli articolo 2637 e 2638, di cui ai capi A.1, B.1, C.1, D.1, E.1, F.1, G.1, H.1, M.1 dell'imputazione, alla luce del contenuto dei motivi di appello sul punto, come sintetizzati in ricorso, quanto all'inquadramento delle problematiche relative al capitale finanziato dalla Banca Popolare di Vicenza. 8.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione di legge, in riferimento agli articolo 192, commi 2 e 3, 194, comma 3, vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. b ed e cod. proc. penumero , in riferimento ai reati di cui agli articolo 2637 e 2638 cod. civ. , di cui ai capi A.1, B.1, C.1, D.1, E.1, F.1, G.1, H.1, M.1, avendo la Corte di merito riproposto la lacuna motivazionale del primo giudice in ordine alla partecipazione dello Zo.Gi. alla prassi di rilascio di lettere d'impegno ed all'investimento dei fondi lussemburghesi. 8.4. In data 24/11/2023 gli avv. Padovani e Ambrosetti hanno trasmesso memoria nell'interesse dello Zo.Gi., ribadendo l'eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Vicenza, nonché le argomentazioni a sostegno del secondo e del terzo motivo di ricorso. In data 24/11/2023 gli stessi difensori hanno trasmesso memoria in riferimento al ricorso per cassazione del Procuratore generale contestando la fondatezza dei primi due motivi. Quanto al terzo motivo dello stesso ricorso, la difesa si richiama agli approdi della giurisprudenza costituzionale in tema di sproporzione della confisca, con particolare riguardo alla sentenza numero 112 del 2019, a sostegno delle ragioni che hanno indotto la Corte di merito alla disapplicazione della confisca per sproporzione, come effetto diretto della giurisprudenza della Corte del Lussemburgo, oltre che nel pieno rispetto del principio di cui all' articolo 25 Cost. in ogni caso, si ritiene che, in alternativa alla disapplicazione, si dovrebbe sollevare l'incidente di costituzionalità dell' articolo 2641 cod. civ. Al riguardo, si osserva come la richiamata disposizione, allo stato, sia l'unica a prevedere la confisca per equivalente dei beni strumentali e come, anche per effetto della doppia pregiudizialità , il ricorso alla Corte costituzionale abbia sicuramente un'efficacia maggiormente stabilizzante. 9. Nell'interesse delle parti civili sono state trasmesse conclusioni scritte e nota spese, da parte di numerosi difensori. 10. All'udienza del 14 dicembre 2023 si è svolta la trattazione orale del processo. Considerato in diritto 1. Premessa. Ritiene la Corte che il motivo di ricorso proposto dal Procuratore Generale riguardo al punto della disposta revoca della confisca - misura ablatoria adottata dal Tribunale nei confronti di tutti gli imputati condannati all'esito di quel grado di giudizio - sia parzialmente fondato e, sollecitando rilievi apprezzabili anche nell'ottica di un incidente di legittimità costituzionale, debba essere analizzato in via prioritaria, con assorbimento degli altri motivi, salva la eccezione di cui appresso si dirà. 2. Delibazione preliminare dei motivi di ricorso. Occorre rilevare, al riguardo, che la revoca della confisca contro la quale insorge il Procuratore generale riguarda tra gli altri, il coimputato Gi.Em., il quale, con il proprio ricorso, indirizza le critiche alla sentenza impugnata con esclusivo riferimento al trattamento sanzionatorio. Si tratta di doglianze - quelle del Gi.Em. - che non scalfiscono la logicità del percorso argomentativo che ha sorretto l'esercizio del potere discrezionale del giudice di merito nella determinazione del trattamento sanzionatorio. Ne discende che il motivo di ricorso proposto dal ricorrente non presenta profili che giustificherebbero il suo accoglimento. La confisca era stata disposta dal giudice di primo grado nei confronti di tutti gli imputati e l'appello del Procuratore generale, accolto quanto all'affermazione di responsabilità del Pe.Ma., avrebbe comportato, secondo quanto lamenta il ricorso per cassazione, l'applicazione della misura ablatoria anche nei confronti dello stesso, se la Corte territoriale non avesse disposto la revoca della confisca. Tanto si puntualizza all'esclusivo fine di dar conto delle ragioni per le quali non si è disposta la separazione del processo nei confronti del Pe.Ma. Ciò posto, osserva il Collegio che le superiori considerazioni, in ordine alla posizione del Gi.Em., sarebbero sufficienti a rendere rilevante la questione di legittimità costituzionale che si argomenta di seguito. Tuttavia, alla luce della disciplina dettata dall' articolo 587 cod. proc. penumero in ordine agli effetti estensivi dell'impugnazione, è necessario esaminare i motivi, di carattere non esclusivamente personale, sviluppati, nell'interesse dello Zo.Gi. e del Pi.Anumero in tema di incompetenza per territorio dell'autorità adita, il cui accoglimento travolgerebbe la sentenza anche in punto di confisca. 3. L'eccezione di incompetenza territoriale. La questione è già stata esaminata da Sez. 1, numero 15537 del 07/12/2017, dep. 2018, Sorato, numero m., in sede di conflitto negativo di competenza. Il conflitto era stato sollevato dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, al quale erano stati trasmessi gli atti dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Vicenza, dichiaratosi territorialmente incompetente contestualmente all'emissione del decreto di sequestro preventivo per i delitti di aggiotaggio informativo nella gestione di ente non quotato, ai sensi degli articolo 81, comma secondo, 110 cod. penumero , 2637 cod. civ., di cui al capo A.1 dell'imputazione, e di ostacolo alle funzioni di vigilanza nei confronti della Banca d'Italia e della Consob, ai sensi degli articolo 81, comma secondo, 110, 2638, comma 3 cod. civ. , di cui ai capi B.1 , C.1 , D.1 , E.1 dell'imputazione. Esso era stato risolto nel senso della determinazione della competenza per territorio dell'Autorità giudiziaria vicentina. La Corte di Appello, con la sentenza impugnata, ha ritenuto che, nella vicenda in esame, non operasse la preclusione di cui all' articolo 25 cod. proc. penumero per la diversità delle parti del procedimento cautelare rispetto a quello di merito, nonché per la presenza dell'ulteriore prospettazione della competenza dell'A.G. romana. Essa ha, tuttavia, comunque concluso per la competenza territoriale dell'autorità giudiziaria vicentina. L'approdo decisorio della Corte territoriale va sicuramente condiviso, sulla scorta del principio illustrato dalle Sezioni Unite, numero 18621 del 23/06/2016, dep. 2017, Zimarmani, Rv. 268586, poi richiamato da Sez. 5, numero 11715 del 29/11/2019, dep. 2020, Rasom Stefano, Rv. 278858, secondo cui la pronuncia risolutiva del conflitto di giurisdizione, così come quella di competenza, è decisione incidentale dotata di effetti preclusivi nei limiti del thema decidendum del conflitto e delle questioni da questo presupposte. Invero, l' articolo 25 cod. penumero stabilisce espressamente che [l]a decisione della Corte di cassazione sulla giurisdizione o sulla competenza e vincolante nel corso del processo, salvo che risultino nuovi fatti che comportino una diversa definizione giuridica da cui derivi la modificazione della giurisdizione o la competenza di un giudice superiore . La disposizione, quindi, codifica un principio di perpetuatio jurisdictionis per la quale nel corso del processo non è possibile rimettere in discussione la competenza per territorio, posto che la rilevanza dell'emergenza di fatti nuovi è limitata alla loro incidenza, derivante da una conseguente diversa definizione giuridica, che incida necessariamente sulla giurisdizione o sulla competenza di un giudice superiore . Si tratta di un principio che attiene al significato fondamentale delle norme sulla competenza del giudice - che è quello di garantire la predeterminazione del giudice per legge -, in modo da evitare di consegnare i procedimenti a situazioni di instabilità ed incertezza, a maggior ragione ove si consentissero precisazioni e adattamenti delle eccezioni sino all'appello ciò contrasterebbe insanabilmente con il significato minimo ed essenziale da attribuire all' articolo 25, primo comma, Cost. che è quello di garantire una sicura individuazione ex ante del giudice naturale precostituito dalla legge, non certo quella di condizionare gli esiti del processo al progressivo affinamento delle risultanze dello stesso. Resta da vedere, tuttavia, se la nuova prospettazione difensiva relativa alla consumazione in Roma, anziché in Vicenza, come contestato, del reato di cui al capo B.1 sia tale da integrare quella macroscopicità di errore nella prospettazione d'accusa, che consente di rivisitare le determinazioni della Corte di cassazione sulla competenza per territorio. Secondo la difesa di Zo.Gi., nella determinazione della competenza si sarebbe dovuto tenere conto, in riferimento al capo B.1 , aggravato ex articolo 2638, terzo comma, cod. civ. , di un fatto la comunicazione ICAAP inviata alla Banca d'Italia in Roma nell'aprile 2012 che, pur non descritto espressamente nel capo d'imputazione, sarebbe rientrato nell'alveo della stessa, in quanto pacificamente documentato e risultante dagli atti delle indagini preliminari, non potendosi ammettere alcun arbitrio nella selezione delle condotte compiuta dall'organo della pubblica accusa. Orbene, la giurisprudenza di legittimità invocata dai ricorrenti conferma che la competenza per territorio si determina avendo riguardo alla contestazione formulata dal pubblico ministero, a meno che la stessa non contenga rilevanti errori, macroscopici ed immediatamente percepibili v., ad es. Sez. 1, numero 31335 del 23/03/2018, Giugliano, Rv. 273484 - 01 . Quest'ultima puntualizzazione rappresenta una valvola di sicurezza del sistema, ricostruita dalla giurisprudenza per consentire un controllo sulla correttezza dell'imputazione formulata rispetto alle risultanze che ad essa si riferiscono. In altri termini, essa non comporta un sindacato del giudice, ai fini della verifica della competenza, sulle scelte del pubblico ministero nell'esercizio dell'azione penale sindacato demandato ad altri istituti che qui non assumono rilievo e che sollevano delicati problemi di bilanciamento rispetto alle prerogative dello stesso pubblico ministero, in relazione al principio di obbligatorietà dell'azione penale per alcuni profili, v., ad es., Sez. U, numero 10728 del 16/12/2021, dep. 2022, Fenucci, Rv. 282807 - 01, punto 4 del Considerato in diritto . Ciò posto, risulta indiscutibile che la descrizione fattuale contenuta nel capo d'imputazione sub B.1 è circoscritta temporalmente e spazialmente all'attività ispettiva condotta dalla Banca d'Italia presso l'ente, in Vicenza. Inoltre, le condotte concorsuali, ivi compresa quelle del Pe.Ma., sono ricondotte al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia durante l'attività ispettiva compiuta dalla stessa Autorità presso la sede sociale in Vicenza la stessa aggiunta e comunque omettevano di dare comunicazione di tali circostanze è riportata ancora una volta a conseguenti approfondimenti conoscitivi che, per le precedenti delimitazioni spaziali e temporali, concernono inevitabilmente le comunicazioni in costanza di ispezione. D'altro canto, il valore decettivo della comunicazione ICAAP - che riguarda un eventuale reato non compreso nella descrizione del capo d'imputazione - è tutt'altro che idoneo ad evidenziare un macroscopico errore nella prospettazione dell'accusa. Il valore da dare a tale fatto implica, invece, delicate valutazioni - da ritenersi inibite in questa sede, in quanto contra reum e tali da ampliare contro l'imputato l'accusa rispetto alla cognizione dei precedenti gradi - del contenuto della comunicazione che lo stesso ricorso non offre, specie nei termini della macroscopicità richiesta per ravvisare un arbitrio della pubblica accusa, tenuto conto che l'ICAAP è un documento, previsto da una fonte regolamentare, di autovalutazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria, realizzata attraverso un rendiconto, laddove, al contrario, il legame tra l'acquisto di un'azione ed un finanziamento ricevuto a fronte di esso non risulta rilevabile, in generale, su base cartolare in forza della semplice rendicontazione. Conclusivamente sul punto, le valutazioni connesse alla mancata contestazione di illeciti, correlati alla comunicazione ICAAP del 2012, non presentano elementi di evidenza e macroscopicità di errore, immediatamente percepibili nella contestazione dell'accusa, tali da consentire di superare la prospettazione del pubblico ministero ai fini della delibazione di competenza territoriale tanto meno risulta alcuna arbitraria selezione dei fatti da parte del pubblico ministero, che possa ritenersi strumentale alla sottrazione degli imputati al loro giudice naturale , tenuto conto che - già in base agli atti offerti dal pubblico ministero addirittura nel procedimento cautelare - si era determinato un conflitto di competenza che aveva comportato l'intervento della Corte di cassazione. Il fatto, poi, che la delibazione sulla competenza territoriale venga effettuata sulla base della contestazione dell'accusa, salvi errori macroscopici immediatamente percepibili, non può ritenersi contrastare con il quadro costituzionale. Il percorso seguito dai ricorsi sul punto, in realtà, collide con i principi cardine del nostro ordinamento processuale, che riserva al pubblico ministero l'individuazione del tema dell'accusa e la sua perimetrazione contenutistica. In particolare, la prospettazione difensiva implica una sorta di sovrapposizione funzionale del giudice in tema di individuazione della condotta oggetto di imputazione, qualora dagli atti emerga un segmento di condotta non esplicitato dalla descrizione del fatto operata dal pubblico ministero. 4. La rilevanza della questione dii legittimità costituzionale della sproporzione della confisca per equivalente disposta in primo grado. Ciò detto con riguardo a quanto qui rileva in tema di affermazione di responsabilità, ritiene il Collegio di esaminare il terzo motivo del ricorso del Procuratore Generale, con il quale, come detto, si lamenta violazione di legge, in riferimento agli articolo 2641 cod. civ. , 101, secondo comma, e 25, secondo comma, Cost., nonché con riguardo ai principi di legalità della pena e di separazione dei poteri. In particolare, si contestano le argomentazioni utilizzate dalla Corte territoriale per giustificare la revoca della confisca per equivalente che era stata disposta dal giudice di primo grado, ai sensi dell' articolo 2641, secondo comma, cod. civ. , nei confronti di tutti gli imputati con la sola eccezione, per quanto qui rileva, del Pe.Ma., assolto dal Tribunale e nei cui confronti, per questa ragione, il giudice di primo grado non aveva disposto alcuna misura ablatoria , in ragione dell'affermazione di responsabilità per i reati di cui agli articolo 2637 e 2638 cod. civ. , sino all'importo di 963.000.000,00 Euro. Si osserva a che l' articolo 2641, secondo comma, cod. civ. prevede la confisca anche per equivalente dei beni utilizzati per commettere i reati - nella specie, ravvisati nelle somme di denaro investite nelle operazioni di finanziamento illecito -, senza introdurre correttivi di tipo quantitativo correlati alle peculiarità del caso concreto b che la valutazione di s proporzione espressa dalla Corte d'appello, che ha ritenuto idonea la pena detentiva prevista dagli articolo 2637 e 2638 cod. civ. ad esaurire adeguatamente la risposta punitiva , finisce per impedire l'applicazione della confisca, che il legislatore ha costruito come obbligatoria c che la valorizzazione, da parte della sentenza impugnata, dell'assenza di un profitto individuale, introduce un parametro normativo non previsto da parte dell' articolo 2641 cod. civ. ed estraneo alla natura dell'istituto, che attinge non il profitto, ma i beni utilizzati per commettere i reati. Con specifico riguardo all'ammissibilità di una disapplicazione parziale della previsione normativa, con la conseguente possibilità di disporre, in coerenza con il principio di proporzionalità, una confisca non estesa all'intero ammontare delle somme di denaro utilizzate per commettere i reati, il ricorrente, richiamando le garanzie e i principi costituzionali di cui sopra e le conclusioni di Corte cost., ord. numero 24 del 2017 , sollecita un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, al fine di chiarire, tramite una interpretazione della sentenza Grande Sezione, 08/03/2022, in C-205/20, se la normativa nazionale debba essere disapplicata anche quando tale risultato, in assenza di una base legale sufficientemente determinata, finisca, in violazione del principio di legalità e di separazione dei poteri, per attribuire al giudice valutazioni discrezionali in tema di politica criminale, rimesse dalla nostra Costituzione al legislatore. 4.1. La decisione della Corte territoriale. La Corte di Appello di Venezia ha affrontato la questione, esaminando, in particolare, il settimo motivo di appello articolato dalla difesa dell'imputato Zo.Gi., che aveva dedotto l'illegittimità della confisca per equivalente, disposta dal Tribunale per un ammontare pari all'entità dei finanziamenti erogati per le operazioni incriminate, considerandoli come beni utilizzati per commettere il reato, ai sensi dell' articolo 2641 cod. civ. in relazione alla mancata preventiva verifica della concreta praticabilità della confisca diretta, posto che a la procedura concorsuale non sarebbe stata affatto ostativa alla confisca diretta, considerata la prevalenza del sequestro rispetto alla procedura concorsuale, come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, e che b l'istituto di credito, nel caso in esame, aveva tratto sicuramente profitto dalla commissione dei reati di cui agli articolo 2637 e 2638 cod. civ. In secondo luogo, l'appellante aveva dedotto che la confisca disposta, di indubbia natura sanzionatoria, confligge con i principi costituzionali, come già evidenziato da Corte cost., sent. numero 112 del 2019 e dal successivo intervento del legislatore in relazione all' articolo 187 TUF , laddove, per effetto della legge Europea numero 238 del 2021 , il provvedimento ablatorio è stato limitato al solo profitto dell'illecito, con esclusione dei beni strumentali ciò avrebbe imposto l'adozione di un'interpretazione costituzionalmente orientata dell' articolo 2641 cod. civ. , in riferimento gli articolo 3 e 27 Cost. , considerato che l'attuale formulazione dell' articolo 2641 cod. civ. si fonda su di un criterio rigido di quantificazione dell'oggetto della confisca, non commisurato alla condotta del reo e non proporzionato al profitto da quest'ultimo eventualmente conseguito. A fronte di tali deduzioni, la Corte di merito ha ritenuto infondato il primo argomento difensivo - aderendo alla tesi della indisponibilità delle somme a seguito della sottoposizione della Banca Popolare di Vicenza a procedura concorsuale - ed ha accolto, invece, il secondo. Su tale aspetto, in particolare, la sentenza impugnata ha ricordato come, per giurisprudenza di legittimità consolidata, nei reati finanziari i beni utilizzati per commettere i reati siano costituiti dalle somme di denaro investite nelle operazioni finanziarie incriminate, nella specie di entità particolarmente elevata nel caso in esame, tali somme, pur non nella originaria disponibilità degli imputati, bensì di un soggetto terzo, ossia la banca, dovrebbero essere oggetto di confisca per equivalente nei confronti degli imputati. Siffatto provvedimento ablatorio sarebbe evidentemente connotato da una manifesta sproporzione, oltre che essere del tutto disancorato dalla valutazione del concreto contributo concorsuale, in virtù dell'automaticità del relativo criterio di commisurazione, con conseguente violazione anche dei principi costituzionali inerenti alla funzione rieducativa della pena, di cui all' articolo 27, primo e terzo comma, Cost. , come di recente ribadito dalla citata Corte cost., sent. numero 112 del 2019 . Nel caso di specie, aggiunge la Corte di merito, la condotta posta in essere dagli imputati, per quanto grave, è già stata adeguatamente punita dall'apparato sanzionatorio detentivo di riferimento, che prevede un'ampia forbice edittale del tutto idonea a calibrare la sanzione in riferimento all'entità dell'offesa arrecata, con conseguente ancor maggiore sproporzione della portata afflittiva del provvedimento ablatorio adottato, posto che, inoltre, nel caso di specie gli imputati non hanno tratto alcun profitto economicamente valutabile dalla commissione dei reati, avendo operato mediante l'utilizzazione di risorse dell'istituto di credito ed avendo agito nell'interesse esclusivo dello stesso, ancorché radicalmente contrario alle regole di sana e prudente gestione. Se anche si ipotizzasse - prosegue la Corte di merito - la possibilità di convertire l'ammontare della confisca adottando il criterio di cui all' articolo 135 cod. penumero , si perverrebbe ad un risultato ancor più sproporzionato, in quanto l'entità della reclusione risulterebbe già pari ad anni trenta in riferimento ad una somma pari ad Euro 2.700.000,00, largamente inferiore alla somma di Euro 960.000.000,00 di cui alla disposta confisca, con un esito, quindi, non solo evidentemente irrazionale, ma anche inesigibile in riferimento alla durata della pena detentiva che verrebbe ad essere individuata in tal modo. Tanto premesso, la Corte di merito ha ritenuto pratica bile la strada della revoca della confisca, la cui applicazione non solo risulterebbe contrastante con i richiamati principi costituzionali, ma anche con l' articolo 49, PAR. 3, della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea d'ora innanzi, CDFUE -, la quale prevede, per l'appunto, che le pene debbano essere proporzionate rispetto al reato. Al contrario, secondo la Corte di merito, l'incidente di costituzionalità non appare praticabile, alla luce sia della giurisprudenza della Corte costituzionale in particolare la sentenza numero 30 del 2021 , sia in ragione del contenuto della sentenza della Grande Sezione della Corte GUE emessa in data 08/03/2022 nel procedimento C-205/20, che, a sua volta, ha ribaltato il precedente orientamento della Corte di Lussemburgo, cristallizzato nella sentenza C-334/17 nel caso Link Logistic. La sentenza impugnata osserva che, secondo la Corte di Lussemburgo, qualora le disposizioni nazionali contrastino con il principio di proporzionalità della sanzione, avente valore imperativo , spetta al giudice nazionale garantire la piena efficacia di tale principio, con la conseguenza che, ove non vi sia spazio per procedere ad un'interpretazione della normativa nazionale conforme a tale requisito, il giudice dovrà disapplicare, di propria iniziativa, le disposizioni nazionali incompatibili con il citato principio tale modus operandi, inoltre, non contrasta in alcun modo né con la certezza del diritto - certamente non compromesso dall'esigenza di adeguare la sanzione ad esigenze di proporzionalità -, né con la legalità della pena, che costituisce un limite invalicabile unicamente a favore del reo. In ogni caso, nella vicenda in esame, ritiene la sentenza impugnata che l'integrale disapplicazione della confisca, piuttosto che una riduzione della stessa, si imponga sia per la piena idoneità del trattamento sanzionatorio principale ad esaurire adeguatamente la risposta punitiva dello Stato, sia per l'assenza di qualsivoglia profitto in capo agli imputati, suscettibile di valutazione economica, al quale ancorare l'importo da sottoporre a confisca. Tale interpretazione - conclude la Corte di merito - ha ricevuto conferma anche dalla più recente evoluzione normativa sovranazionale, con riferimento al regolamento 1805/18 UE - come tale self-executing -, applicabile dal 19/12/2020, che, intervenendo in materia di cooperazione internazionale, ha stabilito un principio di portata generale in tema di confisca, richiamando, nel considerando numero 21, nell'articolo 1, PAR. 3 e nell'articolo 41, il rispetto dei principi di necessità e di proporzionalità nell'emettere provvedimento di congelamento o di confisca. La Corte di appello, pur ritenendo che tale regolamento offra un riscontro circa la praticabilità della disapplicazione diretta della norma interna, avverte che siffatta soluzione potrebbe essere foriera, nell'immediato, di incertezze e disparità di trattamento inevitabilmente conseguenti a decisioni adottate da singole autorità giudiziarie, laddove la sottoposizione della questione al vaglio della Corte costituzionale consentirebbe di intervenire, eventualmente, direttamente sulla disposizione di cui all' articolo 2641 cod. civ. 4.2. La questione di legittimità. Tanto premesso, ritiene il Collegio, come già detto, che il ricorso del procuratore Generale presso la Corte di Appello di Venezia presenti profili di fondatezza che rendono rilevante la questione di legittimità che si va a prospettare. Infatti, ove non si ricorresse all'incidente di costituzionalità dell' articolo 2641, secondo comma, cod. civ. , l'accoglimento delle censure del P.G. impugnante riguardo alla mancata applicazione della confisca comporterebbe un mandato, al giudice del rinvio, per la disposizione di una misura ablatoria che si sospetta di manifesta sproporzione, come si vedrà. 4.2.1. Occorre premettere che la norma di cui all' articolo 2641, primo comma, cod. civ. prevede la confisca dei beni utilizzati per commettere i reati. Secondo la condivisa giurisprudenza espressa da questa Corte Sez. 5, numero 1991 del 29/11/2018, dep. 2019, Consoli, Rv. 274437 - 0 Sez. 5, numero 42778 del 26/05/2017, Consoli, Rv. 271440 - 0 costituiscono beni utilizzati per commettere il reato di cui all' articolo 2638 cod. civ. , confiscabili ai sensi dell' articolo 2641, primo e secondo comma, cod. civ. , anche mediante l'apprensione di beni per valore equivalente, i finanziamenti concessi da un istituto di credito a terzi per l'acquisto di azioni ed obbligazioni dello stesso istituto e finalizzati a rappresentare una realtà economica del patrimonio di vigilanza dell'ente creditizio diversa da quella effettiva, con ostacolo delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza. L' articolo 2641 cod. civ. , sia con il primo comma, sia con il secondo comma - nel presente procedimento direttamente rilevante -, che prevede la confisca per equivalente, non introduce alcun parametro di tipo quantitativo correlato alle peculiarità del caso concreto. Rispetto al percorso argomentativo della Corte territoriale, quale sopra riassunto, si rileva che il Procuratore generale non ha impugnato la sentenza della Corte di Appello di Venezia, quanto al profilo della rilevanza preclusiva che avrebbe, rispetto alla possibilità di disporre la confisca diretta, la sottoposizione della banca a liquidazione coatta amministrativa con conseguente spossessamene dell'istituto di credito. In altri termini, non è stata sollevata la questione della applicabilità alla vicenda in esame dell'orientamento espresso dal massimo consesso nomofilattico di questa Corte, a partire da Sez. U, numero 29951 del 24/05/2004, Focarelli, Rv. 228165, sino alle più recenti Sez. U, numero 40797 del 22/06/2023, Fallimento Lavanderia Giglio Snc, Rv. 285144, secondo cui l'avvio della procedura concorsuale non preclude l'adozione o la permanenza del sequestro preventivo finalizzato alla confisca. Né, considerato il principio devolutivo, la questione può essere rilevata d'ufficio da questa Corte. Va aggiunto, al riguardo, che le superiori considerazioni non comportano profili di inammissibilità del ricorso del Procuratore generale, poiché il tema della sottoposizione della banca a procedura concorsuale non costituisce una autonoma ratio decidendi della disposta revoca della confisca, ma la premessa giuridica della possibilità di disporre la confisca per equivalente, alla luce della non praticabilità della confisca diretta, secondo le conclusioni del costante orientamento di questa Corte v., ad es., Sez. 5, numero 6391 del 04/02/2021, Jacobini, Rv. 280535 - 0 si tratta, pertanto, di un presupposto che il ricorrente condivide per poter contestare la disapplicazione dell' articolo 2641, secondo comma, cod. civ. , cui la sentenza impugnata è giunta per la sproporzione dell'effetto sanzionatorio. 4.2.2. La confisca in primo grado è stata disposta nei confronti di tutti gli imputati salvo, come detto, che nei confronti di Pe.Ma., che, invece, è stato condannato in secondo grado, per cui non è mai stato destinatario di un provvedimento di confisca in ogni caso il ricorso del P.G. è indirizzato anche nei confronti di quest'ultimo a seguito della condanna per i reati di cui agli articolo 2637 e 2638 cod. civ. Per le ragioni che si diranno, è rilevante il tema della prescrizione. Con riguardo all' articolo 2638 cod. civ. , il terzo comma, introdotto dall'articolo 39, comma 2, lett. c della I. 28 dicembre 2005, numero 262 il che ne implica l'applicabilità ratione temporis , prevede il raddoppio della pena, se si tratta, come nella specie, di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione Europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell' articolo 116 TUF . Ne discende che il termine di prescrizione, determinate ai sensi degli articolo 157, primo comma, e 161, secondo comma, cod. penumero , va individuato in dieci anni, ai quali vanno aggiunti 87 giorni di sospensione registrati nel corso del giudizio di merito. Pertanto, i capi E.1 data del commesso reato 15 marzo 2014 , F.1 data del commesso reato 15 aprile 2014 G.1 data del commesso reato 4 novembre 2014 , N.1 data del commesso reato 15 ottobre 2014 non sono estinti per prescrizione il primo reato destinato ad estinguersi è, pertanto, quello di cui al capo E.1 che si prescriverà in data 10 giugno 2024 e per il quale è contestata l'omessa considerazione di elementi negativi per un importo di circa 700 milioni di Euro ciò per intendere come la questione dell'ammontare della confisca conserva integra la sua rilevanza. Il mancato decorso del termine di prescrizione in relazione ad alcuni dei reati per i quali la confisca è stata disposta assume rilievo, poiché si verte in tema di una confisca per equivalente dalla indiscussa natura sanzionatoria. Al riguardo, Sez. U, numero 4145 del 29/09/2022, dep. 2023, Esposito, Rv. 284209 - 01, hanno puntualizzato che la disposizione di cui all' articolo 578-bis cod. proc. penumero , introdotta dall'articolo 6, comma 4, D.LGS. l marzo 2018, numero 21, ha, con riguardo alla confisca per equivalente e alle forme di confisca che presentino comunque una componente sanzionatoria, natura anche sostanziale e, pertanto, è inapplicabile in relazione ai fatti posti in essere prima della sua entrata in vigore. Le citate Sez. U, numero 4145 del 2023, in motivazione, hanno, altresì, confermato il proprio orientamento, quanto al fatto che al richiamo contenuto nell' articolo 578-bis cod. proc. penumero , alla confisca prevista da altre disposizioni di legge , deve riconoscersi una valenza di carattere generale, capace di ricomprendere, siccome formulato senza ulteriori specificazioni, anche le confische disposte da fonti normative poste al di fuori del codice penale Sez. U, numero 13539 del 30/01/2020, Perroni, in motivazione Sez. U, numero 6141 del 25/10/2018, dep. 2019, Milanesi, in motivazione . 4.2.3. Esclusa la sussistenza di preclusioni all'applicazione, nel caso di specie, dell' articolo 2641, primo e secondo comma, cod. civ. , osserva il Collegio che il ricorso del Procuratore generale, come sopra evidenziato, solleva una questione meritevole di accoglimento, che, tuttavia, induce a ritenere, sul presupposto della non manifesta infondatezza della questione v., infra sub 5 , necessario percorrere d'ufficio la via dell'incidente di costituzionalità v. infra sub 6 profilo che, in questa sede, si esamina, in vista della argomentata verifica della rilevanza della questione. La Corte di giustizia Ue, Grande Sezione, 8 marzo 2022, in causa C-205/20 ha chiarito che il principio del primato del diritto dell'Unione deve essere interpretato nel senso che esso impone alle autorità nazionali l'obbligo di disapplicare una normativa nazionale, parte della quale sia contraria al requisito di proporzionalità delle sanzioni nel caso di specie, previsto all'articolo 20 della direttiva 2014/67/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014 , nei soli limiti necessari per consentire l'irrogazione di sanzioni proporzionate . La limitazione da ultimo menzionata dalla Corte di giustizia impone una verifica calibrata sulla struttura dell'apparato sanzionatorio e sulla funzione da esso perseguita, che non può essere occultata, con una risposta totalizzante, dalla manifesta sproporzione della confisca disposta e anche da quella che si andrebbe a correlare alla luce dei reati sopravvissuti per il mancato decorso del termine prescrizionale . Il rilievo della manifesta sproporzione, invero, si accompagna, nella motivazione della Corte territoriale, alla puntualizzazione secondo la quale le condotte sono adeguatamente punite dall'apparato detentivo di riferimento tale da prevedere una ampia forbice edittale del tutto idonea ad assicurare che la risposta punitiva sia doverosamente calibrata rispetto all'entità dell'offesa arrecata dal reato al bene giuridico presidiato dalla fattispecie incriminatrice e al contributo offerto da ciascun correo alla perpetrazione dei delitti . Proprio il fatto che la Corte di giustizia imponga una valutazione della proporzionalità intrinseca della misura e colga la possibilità, attraverso la disapplicazione della norma nei limiti in cui ciò si necessario ad assicurare l'adeguatezza della risposta punitiva, pone il problema dei casi nei quali la norma interna prevede una misura obbligatoria e correlata soltanto ad un criterio che conduce ad uno e un solo risultato. Su queste basi, come detto, il Procuratore generale ricorrente sollecita il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, al fine di ottenere una interpretazione delle ricadute della menzionata sentenza della stessa Corte in causa C-205/20, rispetto all'ordinamento nazionale italiano, in special modo con riguardo alla possibilità di disapplicare la normativa nazionale anche quando tale soluzione sia priva di una base sufficientemente determinata. Ora, secondo la Corte territoriale, sempre e in ogni caso, la confisca dei beni utilizzati per commettere il reato, ai sensi dell' articolo 2641, secondo comma, cod. civ. rappresenta un quid pluris sovrabbondante rispetto all'apparato sanzionatorio detentivo ciò che sottende una valutazione di sproporzione della confisca per equivalente in sé considerata, anche nell'ipotesi di applicazione del minimo edittale, con la conseguenza che, a ben vedere, la motivazione, più che argomentare in ordine all'individuazione di un limite della risposta sanzionatoria e alla predeterminazione dei criteri che devono orientare, nel contesto del principio di legalità, la valutazione di sproporzione, si traduce, e in termini assertivi correlati solo all'entità della sanzione detentiva prevista, nella prospettazione di una interpretazione abrogatrice della previsione. Ora, ad avviso del Collegio, le critiche indirizzate dal ricorrente Procuratore generale a siffatta impostazione, sono fondate, dal momento che l'apparato motivazionale che accompagna la decisione della Corte giunge alla conclusione della necessità di disapplicare la norma indicata, ossia l' articolo 2641, secondo comma, cod. civ. , in relazione al primo comma dello stesso articolo sempre e comunque. Si tratta, come detto, di una conclusione fondata sulla mera valorizzazione dell'entità della pena detentiva prevista dal legislatore, ma senza alcuna indicazione delle ragioni e dei criteri valutativi che la sorreggerebbero. Ciò posto, il terzo motivo del ricorso del Procuratore generale appare, pertanto, meritevole di accoglimento e tanto rende rilevante la questione di legittimità che si va a prospettare. 5. Della non manifesta infondatezza della questione. Il Collegio, nella valutazione della soluzione da adottare, deve necessariamente considerare i principi ribaditi da Corte cost., sent. numero 112 del 2019 , con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell' articolo 187-sexies TUF , nel testo originariamente introdotto dall'articolo 9, comma 2, lett. a , della legge 18 aprile 2005, numero 62 Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità Europee. Legge comunitaria 2004 , nella parte in cui prevedeva la confisca obbligatoria, diretta o per equivalente, del prodotto dell'illecito e dei beni utilizzati per commetterlo, e non del solo profitto, riferita all'aggiotaggio manipolativo quando integra illecito amministrativo. Tale pronuncia, quindi, in estrema sintesi e salvo quanto si dirà infra, ha affermato che solo la confisca del profitto del reato ha una funziona ripristinatoria, mentre la confisca del prodotto o dei beni utilizzati per commettere il reato riveste una natura sanzionatoria-punitiva che può rivelarsi - come nel caso in esame - senza alcun dubbio di gran lunga superiore all'effetto della mera ablazione dell'ingiusto vantaggio economico ricavato dall'illecito. A ciò deve aggiungersi l'intervento del legislatore, che, con l'articolo 26, comma 1, lett. e della legge 23 dicembre 2021, numero 238 recante Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione Europea , ha apportato modifiche al TUF una di queste riguarda l'articolo 187 norma che prevede la confisca in caso di aggiotaggio manipolativo costituente reato , il cui comma 1 è stato riformulato nel senso che In caso di condanna per uno dei reati previsti dal presente capo e sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto. Il secondo comma dell'articolo citato, inoltre, prevede che Qualora non sia possibile eseguire la confisca a norma del comma 1, la stessa può avere ad oggetto una somma di denaro o beni di valore equivalente . È stata cioè espunta la previsione della confisca di beni strumentali. In sostanza, quindi, entrambi gli interventi, quello della Corte costituzionale e quello del legislatore, risultano chiaramente ispirati al principio secondo cui, nei casi di reati concernenti gli abusi di mercato, la confisca deve essere limitata al solo profitto, in quanto tale ablazione garantisce appieno la funzione ripristinatoria. In altri termini, si intende restringere l'intervento ablatorio connotato da componenti punitivo-sanzionatorie, poiché esso, se fosse esteso al prodotto ed ai mezzi utilizzati per commettere il reato, potrebbe assumere carattere sproporzionato. Al contrario, limitando la confisca al profitto del reato, si realizza una proporzione sostanzialmente automatica tra il vantaggio scaturente dalla commissione dell'illecito e l'ammontare della confisca, anche per equivalente, senza alcun riverbero sull'entità del trattamento sanzionatorio. Tali principi sembrano dover essere applicati anche all' articolo 2641 cod. civ. , norma che concerne la confisca nel caso di reato di aggiotaggio, come pure nel caso del delitto di ostacolo alla vigilanza, data l'identità della ratio applicativa e della portata di tale disposizione rispetto a quelle sin qui citate. Infatti, alla luce del principio di proporzionalità sotteso alla dichiarazione di illegittimità costituzionale pronunciato da Corte cost., sent. numero 112 del 2019 , emerge che è proprio un meccanismo di confisca per equivalente strutturalmente correlato ai beni utilizzati per commettere il reato ad essere costruito dal legislatore in termini che non garantiscono in astratto, al di fuori dei casi dei tradizionali instrumenta sceleris, in genere rappresentati da cose intrinsecamente pericolose se lasciate nella disponibilità del reo, la proporzionalità della risposta sanzionatoria, intesa come quella della necessaria adeguatezza al fatto, considerato nelle sue componenti oggettive e soggettive, che rappresenta la giustificazione retributiva della pena. Proprio il raffronto con la pena detentiva che scaturirebbe dal ragguaglio dell'importo oggetto della confisca della quale si discute, operato alla luce dei criteri di cui all' articolo 135 cod. penumero appena 2.737.500 corrispondono a trent'anni di reclusione , dimostra che, anche indipendentemente dal cumulo con la pur severa pena detentiva applicabile da due a otto anni di reclusione , la risposta sanzionatoria - valutata in relazione alla più severa pena detentiva temporanea prevista dall'ordinamento, in una prospettiva di verifica della proporzionalità in termini cardinali , secondo l'espressione adoperata da parte della dottrina - mostra la completa assenza di qualunque razionale correlazione con il fatto. E ciò senza dire che l'inesigibilità di importi di tale fatta - la valutazione dovendo essere operata con riguardo a ciascuno dei destinatari della misura - comporta solo il risultato di realizzare, in linea generale, un permanente vincolo obbligatorio sul patrimonio dei soggetti condannati, senza comportare alcun reale vantaggio per il creditore. In altri termini, è la struttura della norma a collocare il rimedio al di fuori di qualunque parametro di razionale adeguatezza. Può aggiungersi che le superiori considerazioni mostrano, in realtà, come le peculiarità strutturali della confisca, prima ancora che un problema di proporzionalità rispetto alla complessiva risposta sanzionatoria, pongano un problema di proporzionalità intrinseca alla misura, ossia di razionale costruzione dei suoi presupposti al fine di individuare una risposta adeguata al fatto considerato nella complessità dei suoi elementi costitutivi, altrimenti finendo per perdere ogni legame con la persona del colpevole. Opina, pertanto, il Collegio che l'unica strada praticabile v., in particolare infra sub 6 sia quella della rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità dell' articolo 2641, secondo comma, cod. civ. , in relazione al primo comma dello stesso articolo, sotto il profilo del contrasto di tale norma con gli articolo 3, 27, commi primo e terzo, 42, 117 della Costituzione, quest'ultimo in riferimento all'articolo 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU, nonché agli articolo 11 e 117 della Costituzione, con riferimento agli articolo 17 e 49 CDFUE. Invero, come osservato da Corte cost., sent. numero 112 del 2019 , l'ampia discrezionalità riconosciuta al legislatore, nell'ambito del diritto penale, quanto alla determinazione delle pene da comminare per ciascun reato, è soggetta ad una serie di vincoli derivanti dalla Costituzione, tra i quali il divieto di comminare pene manifestamente sproporzionate per eccesso. Siffatto divieto viene in considerazione in questa sede, alla luce dell'evoluzione della giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha, al riguardo, ampliato il proprio spettro valutativo dall'ambito individuato dall'articolo 3 sino a giungere ad un diretto apprezzamento, nel quadro dell' articolo 27, terzo comma, Cost. , dei casi nei quali la pena comminata dal legislatore appaia manifestamente sproporzionata, non tanto in rapporto alle sanzioni previste per altre figure di reato, quanto, piuttosto, in rapporto - direttamente - alla gravita delle condotte abbracciate dalla fattispecie astratta, senza che sia più necessaria l'evocazione di alcuno specifico tertium comparationis ciò nella consapevolezza che pene eccessivamente severe tendono a essere percepite come ingiuste dal condannato, e finiscono così per risolversi in un ostacolo alla sua rieducazione Corte cost., sent. numero numero 68 del 2012 . In siffatta valutazione svolge un ruolo determinante anche l' articolo 27, primo comma, Cost. , con riguardo al principio di personalità della responsabilità penale, da correlarsi alla necessaria funzione rieducativa della pena di cui al terzo comma dello stesso articolo 27 Cost. , che contrasta, in linea generale, con la previsione di pene fisse . Ora, pare al Collegio che la sanzione della quale si tratta collida anche con gli articolo 3 e 42 Cost. , poiché incide in senso limitativo sul diritto di proprietà dell'autore dell'illecito allo stesso risultato conduce la considerazione degli articolo 1 Prot. addiz. CEDU e dell'articolo 17 CDFUE, che rappresentano i fondamenti, rispettivamente, nel diritto della Convenzione Europea per i diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e dell'Unione Europea v. i precedenti richiamati da Corte cost., sent. numero 112 del 2019 Corte EDU, sentenze 31 gennaio 2017, Boljevic c. Croazia 26 febbraio 2009, Grifhorst c. Francia, PAR. 87 e seguenti 5 febbraio 2009, Gabric c. Croazia, PAR. 34 e seguenti 9 luglio 2009, Moon c. Francia, PAR. 46 e seguenti 6 novembre 2008, Ismayilov c. Russia , del principio in questione, in quanto riferito ad una sanzione patrimoniale. A tali parametri deve poi aggiungersi l'articolo 49, PAR. 3, CDFUE, in relazione agli articolo 11 e 117 Cost. , alla luce delle conclusioni raggiunte dalla Corte di giustizia Corte di giustizia, 20 marzo 2018, Garisson Real Estate SA e altri, in causa C-537/16, PAR. 56 . Siffatta conclusione si giustifica tenendo conto del principio di proporzionalità che informa la disciplina eurounitaria delle misure ablatorie di carattere patrimoniale sin dal 2003 decisione quadro 2003/577/GAI del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa all'esecuzione nell'Unione Europea dei provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro probatorio , nel contesto della regolamentazione finalizzata a garantire il riconoscimento reciproco e, quindi, la circolazione e l'esecuzione delle decisioni delle autorità nazionali oltre alla decisione quadro citata, si vedano la decisione quadro 2006/783/GAI del Consiglio, del 6 ottobre 2006, relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca la direttiva 2014/42/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 3 aprile 2014, relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell'Unione Europea il regolamento Ue 2018/1805 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 14 novembre 2018, relativo al riconoscimento reciproco dei provvedimenti eli congelamento e di confisca . Ne discende che i parametri sopra menzionati, anche nel diverso ambito qui rilevante della confisca per equivalente di importo corrispondente ai beni utilizzati per commettere il reato , non consentono di giustificare la norma qui censurata, alla luce della componente afflittiva derivante dallo sproporzionato - perché non correlato ad alcun reale vantaggio conseguito - peggioramento della situazione dei destinatari della misura rispetto a quella conseguente all'applicazione di strumenti di carattere meramente ripristinatorio e tenuto conto della forbice edittale prevista dalla fattispecie incriminatrice. Va aggiunto per completezza che l'impostazione seguita da Corte cost., sent. numero 112 del 2019 , muta il quadro nel quale si era mossa Sez. 5, numero 1991 del 29/11/2018, dep. 16/01/2019, Consoli cit., la quale aveva concluso per la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell' articolo 2641, secondo comma, cod. civ. , rilevando che l'indagato aveva compiuto una serie di operazioni al capo 1 su obbligazioni della banca, agli altri capi sulle azioni della stessa sempre al fine di simulare un apprezzamento nel mercato di tali strumenti finanziari, il cui riacquisto veniva invece garantito dal Consoli, in nome della banca. È allora evidente che il disvalore, di rilievo penale, di tali condotte trovi la sua più corretta quantificazione proprio nella misura, complessiva, delle somme in esse impiegate. Una misura che io stesso indagato ha determinato. Quindi, non vi è alcuna sproporzione fra i fatti illeciti compiuti e le somme sottoposte al vincolo, che, anzi, sotto il profilo monetario, coincidono perfettamente . Non si tratta, infatti, di interrogarsi sull'attribuibilità agli imputati delle condotte aventi ad oggetto i beni strumentali dei quali si tratta e che, nel caso di specie, rappresentano il parametro di commisurazione dell'importo confiscato , ma di confrontarsi con il diverso problema della proporzionalità della risposta sanzionatoria. 6. La doppia pregiudiziale. L'opzione dell'incidente di costituzionalità. Da tempo la Corte costituzionale sent. numero 269 del 2017 ha chiarito i confini dell'assetto remediale scaturito dall'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che modifica il Trattato sull'Unione Europea e del Trattato che istituisce la Comunità Europea e alcuni atti connessi, concluso a Lisbona il 13 dicembre 2007, ratificato ed eseguito dalla legge 2 agosto 2008, numero 130 , che, tra l'altro, ha attribuito effetti giuridici vincolanti alla CDFUE, equiparandola ai Trattati articolo 6, paragrafo 1, del Trattato sull'Unione Europea . Fermi restando i principi del primato e dell'effetto diretto del diritto dell'Unione Europea come consolidatisi nella giurisprudenza Europea e costituzionale, la Corte costituzionale ha preso atto che la citata Carta dei diritti costituisce parte del diritto dell'Unione dotata di caratteri peculiari in ragione del suo contenuto di impronta tipicamente costituzionale. I principi e i diritti enunciati nella Carta intersecano in larga misura i principi e i diritti garantiti dalla Costituzione italiana e dalle altre Costituzioni nazionali degli Stati membri . Sicché, può darsi il caso che la violazione di un diritto della persona infranga, ad un tempo, sia le garanzie presidiate dalla Costituzione italiana, sia quelle codificate dalla Carta dei diritti dell'Unione, come è accaduto in riferimento al principio di legalità dei reati e delle pene Corte di giustizia dell'Unione Europea, grande sezione, sentenza 5 dicembre 2017, nella causa C-42/17, M.A.S, M.B. . Pertanto, le violazioni dei diritti della persona postulano la necessità di un intervento erga omnes della Corte costituzionale, anche in virtù del principio che situa il sindacato accentrato di costituzionalità delle leggi a fondamento dell'architettura costituzionale articolo 134 Cost. . La Corte costituzionale e, in conseguenza, chiamata a giudicare alla luce dei parametri interni ed eventualmente di quelli Europei ex articolo 11 e 117 Cost. , secondo l'ordine di volta in volta appropriato, anche al fine di assicurare che i diritti garantiti dalla citata Carta dei diritti siano interpretati in armonia con le tradizioni costituzionali, pure richiamate dall'articolo 6 del Trattato sull'Unione Europea e dall'articolo 52, comma 4, della CDFUE come fonti rilevanti in tale ambito. Il tutto, peraltro, in un quadro di costruttiva e leale cooperazione fra i diversi sistemi di garanzia, nel quale le Corti costituzionali sono chiamate a valorizzare il dialogo con la Corte di giustizia da ultimo, ord. numero 24 del 2017, sulla quale si tornerà infra , affinché sia assicurata la massima salvaguardia dei diritti a livello sistemico articolo 53 della CDFUE . In altri termini, la sopravvenienza delle garanzie approntate dalla CDFUE a quelle previste dalla Costituzione italiana può generare un concorso di rimedi giurisdizionali v., di recente, Corte cost., sent. numero 15 del 2024 , PAR. 8.2. del Considerato in diritto Le ragioni che inducono a privilegiare la scelta di sollevare questione di legittimità costituzionale rispetto alla disapplicazione si raccordano ai rilievi svolti supra sub 4, tenendo conto delle puntualizzazioni espresse da Corte cost., ord. numero 24 del 2017 . Indipendentemente dalle considerazioni svolte dalla Corte territoriale, quanto al fatto di rappresentare la disapplicazione un rimedio foriero, nell'immediato, di incertezze e disparità di trattamento inevitabilmente conseguenti a decisioni adottate da singole autorità giudiziarie, si osserva che la citata Corte cost., ord. numero 24 del 2017 ha chiarito come il riconoscimento del primato del diritto dell'Unione è un dato certamente acquisito, ai sensi dell' articolo 11 Cost. , ferma restando la necessità di garantire l'osservanza dei principi supremi dell'ordine costituzionale italiano e dei diritti inalienabili della persona, tra i quali si colloca il principio di legalità in materia penale. Esso esprime un principio supremo dell'ordinamento, posto a presidio dei diritti inviolabili dell'individuo, per la parte in cui esige che le norme penali siano determinate e formulate in termini chiari, precisi e stringenti, sia allo scopo di consentire alle persone di comprendere quali possono essere le conseguenze della propria condotta sul piano penale, sia allo scopo di impedire l'arbitrio applicativo del giudice. Si tratta di un principio che, come è stato riconosciuto dalla stessa Corte di giustizia, appartiene alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri quale corollario del principio di certezza del diritto Corte giust, Ue, sentenza 12 dicembre 1996 in cause C-74/95 e C-129/95, punto 25 . In altri termini, le esigenze di certezza del diritto penale e quelle correlate di predeterminazione, quantomeno dei criteri di riferimento ai quali il giudice deve attenersi per apprezzare l'esistenza o non ed eventualmente in che misura della sproporzione, inducono ad escludere la possibilità di dare un'applicazione, prevedibile negli esiti, del principio di proporzionalità della risposta sanzionatoria, quando ciò possa condurre a non applicare una misura che il legislatore interno prevede come obbligatoria, senza lasciare al giudice interno alcuno spazio di graduazione. Quanto alla preferenza accordata al percorso individuato rispetto al rinvio pregiudiziale, si tratta di decisione motivata dal concorso di rimedi giurisdizionali indicato, come sopra detto, da Corte cost., sent. numero 269 del 2017 e da allora progressivamente raffinato negli esiti, ma senza scalfire la regola, condivisa dalla Corte di giustizia, per la quale il carattere prioritario del giudizio di costituzionalità di competenza delle Corti costituzionali nazionali non collide con il sistema normativo eurounitario, purché i giudici ordinari restino liberi a di sottoporre alla Corte di giustizia, in qualunque fase del procedimento ritengano appropriata e finanche al termine del procedimento incidentale di controllo generale delle leggi, qualsiasi questione pregiudiziale a loro giudizio necessaria b di adottare qualsiasi misura necessaria per garantire la tutela giurisdizionale provvisoria dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico dell'Unione c di disapplicare, al termine del giudizio incidentale di legittimità costituzionale, la disposizione legislativa nazionale in questione che abbia superato il vaglio di costituzionalità, ove, per altri profili, la ritengano contraria al diritto dell'Unione tra le altre, Corte di Giustizia dell'Unione Europea, quinta sezione, sentenza l L settembre 2014, nella causa C-112/13 A contro B e altri Corte di Giustizia dell'Unione Europea, grande sezione, sentenza 22 giugno 2010, nelle cause C-188/10, Melki e C-189/10, Abdeli . P.Q.M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell 'articolo 2641, primo e secondo comma, cod. civ ., nella parte in cui assoggetta a confisca per equivalente anche i beni utilizzati per commettere il reato, in relazione agli articoli 3, 27, primo e terzo comma, 42 e 117 Cost ., quest'ultimo con riferimento all'articolo 1 del primo Protocollo addizionale alla Ced u, la cui ratifica è stata autorizzata con I, 4 agosto 1955, numero 848 che ad esso ha dato esecuzione, nonché agli articoli 1 1 e 117 Cost ., con riferimento agli articoli 17 e 49, PAR. 3, Cdfue, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 dispone la sospensione del presente giudizio ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti del giudizio di cassazione, al Presidente del consiglio dei ministri ordina, altresì, che l'ordinanza venga comunicata ai presidenti delle due Camere del Parlamento dispone l'immediata trasmissione degli atti, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale.