Pubblicità del gioco d’azzardo su Facebook: responsabilità del provider e probatio diabolica della revisione umana

Divieto di pubblicità del gioco d’azzardo su Facebook. Meta, sanzionata per 750mila euro da AGCOM, ottiene l’annullamento in sede amministrativa TAR Lazio 1393/2024 in quanto non è qualificabile come “provider attivo”. Il sistema delle inserzioni FB funziona in modo interamente automatico. La conoscenza dell’illecito si avrebbe solo con la “revisione umana” di cui AGCOM non ha dato prova.

Come si fa a portare in giudizio la prova della revisione umana che avviene su una piattaforma ovvero su uno spazio inaccessibile, precluso perfino allo Stato? Non si tratta forse di una sorta di probatio diabolica? Il fatto ACGOM con delibera numero 422/22/CONS del 14 dicembre 2022 sanziona Meta Platforms Ireland ltd per euro 750.000,00 aveva violato l'articolo 9 del Decreto Dignità DL numero 87 del 2018 , convertito con legge 9 agosto 2018, numero 96 che vieta la pubblicità del gioco d'azzardo. A seguito di un controllo sul social network Facebook, nell'ambito dell'attività di vigilanza d'ufficio, la Direzione Servizi Digitali di AGCOM nelle date del 2, 3 , 12 e 23 maggio 2022, ha rilevato la presenza di contenuti riferiti a vincite in denaro in apparente violazione del divieto italiano di pubblicità di giochi con vincite in danaro. Stilato il rapporto di tali rilievi, è stata redatta e notificata la contestazione a Meta Platforms Ireland ltd che, ricevuto la notifica, ha prontamente rimosso tutti i contenuti. Essenzialmente AGCOM contesta alla piattaforma di essere “ consapevole ” dell'attività illecita canalizzata tramite le sponsorizzate del servizio Facebook. La prova della conoscenza, secondo l'Authority, si rileva dal fatto che «l'inserzione pubblicitaria non è immediata ma viene resa pubblica solo dopo almeno 24 ore, tempo necessario a Meta per effettuare un controllo della stessa per assicurarsi che rispetti le Normative pubblicitarie della piattaforma” e dal fatto che Meta consente la pubblicità delle scommesse e del gioco d'azzardo solo “previa autorizzazione scritta da parte nostra”. In merito a quest'ultimo punto AGCOM osserva altresì che “oltre ad essere consentita tale attività, non viene in alcun modo previsto nemmeno il rispetto di talune leggi regionali come, ad esempio, in Italia in cui tale attività è chiaramente vietata … [pertanto il] fatto stesso che siano ammesse questo tipo di inserzioni – in palese violazione del divieto sancito dal Decreto Dignità – prova la responsabilità della piattaforma. … La conoscenza effettiva dell'illiceità dei contenuti trasportati rende, infatti, responsabile la piattaforma stessa a prescindere dalla segnalazione derivante dall'autorità amministrativa o giudiziaria competente » . In definitiva, sulla scorta di quanto sopra esposto, AGCOM inquadra Meta nella categoria del “ provider attivo ” e dunque esclude che possa invocare l'esenzione di responsabilità riconosciuta al “provider passivo” in quanto è «invece, ampiamente “edotta” dei contenuti sponsorizzati e veicolati presso la piattaforma digitale Facebook al punto da consentirne la diffusione». La qualifica di “provider attivo” nel caso concreto Il TAR Lazio sez. IV nella pronunzia in esame sent. 24 gennaio 2024, numero 1393 condivide con l'Autorità opposta la ricostruzione giuridica della responsabilità del “provider attivo” però non rileva nel caso concreto la prova della conoscenza dell'illecito . In punto di diritto la sentenza si colloca nell' orientamento ermeneutico consolidato corti interne e corti europee riconducibile alla ricostruzione del Cons. Stato Sezione VI, Sent. 18 maggio 2021, numero 3851 già riferita in Cons. Stato, sez. IV, nnumero 4359/2019 , 1217/2020 confermata da Cons. Stato, Sez. VI, sentenze 13/09/2022, numero 7949 e 27 gennaio 2022 numero 592 «la giurisprudenza europea distingue due figure di hosting provider . La prima figura è quella di hosting provider passivo , il quale pone in essere un'attività di prestazione di servizi di ordine meramente tecnico e automatico, con la conseguenza che detti prestatori non conoscono né controllano le informazioni trasmesse o memorizzate dalle persone alle quali forniscono i loro servizi. La seconda figura è quella di hosting provider attivo , che si ha quando, tra l'altro, l'attività non è limitata a quanto sopra indicato ma ha ad oggetto anche i contenuti della prestazione resa C.G.U.E., 7 agosto 2018, punti 47 e 48 si v. anche Cass. civ., Sez. I, 19 marzo 2019, numero 7708 ” […] “3.8. In tale contesto, se si guarda al regime di responsabilità degli internet service providers, oggi in vigore nel nostro ordinamento, la scelta operata dal legislatore europeo e, conseguentemente, nazionale è stata quella di affiancare alle normative già esistenti - la disciplina generale sulla responsabilità da fatto illecito di cui all' articolo 2043 c.c. e, più in generale, le ordinarie regole della responsabilità civile - alcune norme speciali, ad alto contenuto tecnico, sulla responsabilità dei prestatori di servizi nella società dell'informazione. Tali norme, secondo la prospettazione accolta anche dalla giurisprudenza civile cfr. ad es. Cass. civ., Sez. I, 19 marzo 2019, nnumero 7708 e 7709 , dettano il criterio di imputazione della responsabilità della colpa, che viene ad essere dotato di un contenuto di specificità, e, ad un tempo, conformato e graduato, ex lege, per così dire, ritagliato, a misura dell'attività professionale svolta dai prestatori dei servizi internet». Secondo tale condiviso orientamento – conclude il Cons. Stato Sezione VI, Sent. 18 maggio 2021, numero 3851 -va esclusa la responsabilità in caso di mancata manipolazione dei dati memorizzati mentre invece si individua la responsabilità quando gli elementi individuati per il criterio di imputazione della stessa emergono nell'attività del provider e sono «idonei a delineare la peculiare figura dell'hosting attivo , comprendente attività di filtro, selezione, indicizzazione, organizzazione, catalogazione, aggregazione, valutazione, uso, modifica, estrazione o promozione dei contenuti pubblicati dagli utenti, operate mediante una gestione imprenditoriale del servizio, come pure l'adozione di una tecnica di valutazione comportamentale degli utenti per aumentarne la fidelizzazione. Trattasi all'evidenza, anche dinanzi all'evoluzione tecnologica, di indici esemplificativi e che non debbono essere tutti compresenti. Ciò che rileva è che deve trattarsi, in ogni caso, di condotte che abbiano in sostanza l'effetto di completare ed arricchire in modo non passivo la fruizione dei contenuti da parte degli utenti, il cui accertamento in concreto non può che essere rimesso al giudice di merito». Nel caso concreto in esame, il Giudice Amministrativo non ha ravvisato la prova di questi elementi nel sistema delle inserzioni di Facebook che AGCOM aveva invece individuato nel preventivo controllo di 24 ore e nella previa autorizzazione scritta. Il sistema di controllo delle inserzioni di Meta Il sistema di controllo delle inserzioni di Meta viene ripercorso e ricostruito sia dalla delibera ACGOM numero 422/22/CONS sia dalla sentenza in esame di cui si riportano i passaggi più significativi «Il sistema prevede che gli annunci vengano creati in piena autonomia dall'inserzionista, il quale ne determina il contenuto tramite un processo automatizzato. L'annuncio viene così sottoposto all'esame di un software che, con modalità automatiche , ne verifica la rispondenza ai termini e condizioni contrattuali e che consente di bloccare, sempre tramite tecniche automatizzate, i messaggi che rechino un contenuto illecito. Inoltre, è previsto anche il controllo da parte di persone fisiche, sia addette all'analisi finalizzata a migliorare il software sia direttamente incaricate, in alcuni casi, dell'analisi manuale delle inserzioni» Tar Lazio, sez. IV, 24 gennaio 2024, numero 1393 . AGCOM nella sua istruttoria ha studiato il funzionamento delle sponsorizzate su Facebook . Si distingue una disciplina generale e tante discipline specifiche quanti sono i settori reclamizzabili. In generale, il sistema di analisi delle inserzioni provvede in automatico a verificare che queste non violino le normative pubblicitarie spulciando i contenuti specifici della pubblicità come immagini, video, testo o anche le informazioni relative alla targhettizzazione o alla destinazione dell'inserzione. Ultimato questo processo, scattano le 24 ore del controllo preliminare il cui esito può portare all'autorizzazione oppure al rifiuto della pubblicazione della pubblicità. Le varie discipline settoriali completano il regolamento generale. La disciplina specifica sulle «inserzioni che promuovono gioco d'azzardo e gaming online» stabilisce che queste «sono consentite solo previa autorizzazione scritta da parte nostra». Pertanto AGCOM deduce che durante il controllo preventivo delle 24 ore e durante la valutazione per il rilascio dell'autorizzazione scritta vi sia la possibilità di una verifica umana sui contenuti dell'inserzione. Sulla scorta di tale deduzione intercetta la responsabilità di Meta che, in quanto provider attivo, era a conoscenza della pubblicità illecita e nulla ha fatto per eliminarla. Di diverso avviso è stato invece il TAR Lazio. Secondo questo Giudice le deduzioni di AGCOM non hanno trovato corrispondenza in prove concrete della conoscenza dei contenuti illeciti da parte di Meta che quindi viene inquadrato come “provider passivo”. Il Giudice Amministrativo osserva «- il sistema di controllo delle inserzioni non ha comportato, nel caso di specie, alcuna manipolazione dei dati memorizzati - l'unica manipolazione che può derivare dall'attivarsi dello strumento automatico di controllo adottato dalla ricorrente è il “rifiuto” dell'inserzione da parte del sistema, sicché l'eventuale ruolo attivo svolto dalla ricorrente [Meta] è volto ad impedire - e non ad agevolare, come nel caso dell'hosting provider attivo - la fruizione dei contenuti da parte della generalità degli utenti […] - gli utenti che hanno immesso le inserzioni contestate non avevano ricevuto l'autorizzazione scritta prevista dagli standard pubblicitari come dedotto dalla ricorrente [Meta] a pagine 2 e 3 della memoria depositata ex articolo 73 c.p.a . . Ne deriva che difetta il presupposto fattuale - il rilascio di una simile autorizzazione da parte della ricorrente - valorizzato dall'Autorità per concludere che la ricorrente fosse a conoscenza del contenuto sponsorizzato» Tar Lazio, sez. IV, 24 gennaio 2024, numero 1393 . La responsabilità del provider e la probatio diabolica della “revisione umana” Preme evidenziare che il Giudice Amministrativo, al termine della valutazione in concreto del caso sottoposto, segnala all'AGCOM la sua mancata produzione di prove «Né l'Autorità ha dimostrato che il gestore della piattaforma fosse a conoscenza del comportamento illecito dell'utente del servizio. A tal fine avrebbe dovuto allegare e dimostrare che, nel caso di specie, ricorresse uno di quei casi limitati in cui a seguito del controllo automatico effettuato dal software interviene una verifica da parte di una persona fisica c.d. “revisione umana” , posto che solo il contatto di una risorsa umana con il contenuto vietato può implicare la condizione di effettiva conoscenza idonea a giustificare un addebito in capo al provider a titolo di concorso nella commissione dell'altrui illecito». In definitiva, in questo caso specifico, la responsabilità del provider in quanto “provider attivo” si dimostra soltanto se si riesce a portare in giudizio la prova della revisione umana . Sia consentito di interrogarsi sul punto come faccio a provare un fatto revisione umana che avviene su una piattaforma ovvero su uno spazio inaccessibile, precluso perfino allo Stato? Non si tratta forse di una sorta di probatio diabolica ?