L’ordinanza della Corte Suprema desta particolare interesse perché affronta una tematica frequentemente dibattuta fra correntista e banca il dies a quo del termine di prescrizione in relazione alle rimesse di natura solutoria.
La ricerca dei versamenti di natura solutoria deve essere preceduta dall'individuazione e dalla successiva cancellazione dal saldo di tutte le voci o competenze accertate come illegittime e in concreto applicate dalla banca. Il dies a quo della prescrizione inizia a decorrere per quella parte delle rimesse sul conto corrente la cui funzione solutoria sia individuabile dopo la rettifica del saldo. Questo l'approdo raggiunto dalla Prima Sezione Civile con l'ordinanza numero 5064 del 26 febbraio 2024. I fatti dibattuti in giudizio La lite risolta dalla Corte Suprema trae origine dall'iniziativa giudiziaria di una società nei confronti della banca presso la quale aveva acceso un rapporto di conto corrente. La correntista contestava l'applicazione di illegittimi addebiti. La banca eccepiva la prescrizione in relazione agli addebiti aventi natura di rimesse solutorie effettuati sul conto in data anteriore al decennio dalla notifica della citazione. Il Tribunale rigettava l'eccezione della banca ritenendo che la stessa non avesse indicato le rimesse solutorie. La decisione veniva riformata in appello sul presupposto che incombesse sulla correntista produrre in giudizio tutti gli estratti conto per consentire l'integrale ricostruzione dei rapporti di dare-avere fra le parti, non essendo sufficienti gli estratti conto scalari. Di qui il ricorso della società correntista incentrato, per quanto di interesse, sui seguenti motivi a erroneità della sentenza per violazione del principio dell'onere della prova con riferimento all'eccezione di prescrizione b erroneità della sentenza per avere la Corte distrettuale ritenuto non idonea la documentazione prodotta dalla correntista. Saldo rettificato e rimesse solutorie il dies a quo della prescrizione La Prima Sezione Civile accoglie i suddetti motivi di ricorso. In merito al primo ricorda la Corte che, in tema di prescrizione estintiva, l'onere di allegazione gravante sulla banca che abbia sollevato l'eccezione di prescrizione è soddisfatto con l'affermazione dell'inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l'indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte Cass. S.U. numero 15895/19 . Siffatto principio opera, avverte la Corte, soltanto sul versante dell'onere di allegazione e postula la seguente simmetria così come il correntista può limitarsi a indicare l'esistenza di versamenti indebiti e chiederne la restituzione previa verifica del saldo del conto, così anche la banca può a sua volta limitarsi ad allegare l'inerzia dell'attore per il tempo necessario alla prescrizione. Spostandosi poi sul piano della prova, spetta al giudice valutare le tesi contrapposte secondo le ordinarie regole di riparto anche mediante una consulenza tecnica. Ciò chiarito, la Prima Sezione non condivide la sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato la natura solutoria di tutte le rimesse muovendo dalla mera constatazione della mancanza di affidamenti e di prova contraria da parte del correntista. Secondo la Corte Suprema questa impostazione è minata da un'incongruenza logica perché, ove sia stata proposta dal correntista una domanda di ripetizione di indebito conseguente alla declaratoria di nullità di clausole contrattuali e/o all'esistenza protratta nel tempo di prassi bancarie contrarie a norme imperative e inderogabili, la ricerca dei versamenti di natura solutoria deve essere preceduta dall'individuazione e dalla successiva cancellazione dal saldo di tutte le voci o competenze accertate come illegittime e in concreto applicate dalla banca. In breve, conclude sul punto la Corte di Legittimità, il dies a quo della prescrizione non può iniziare a decorrere se non per quella parte delle rimesse sul conto la cui funzione solutoria – finanche dinanzi a un conto non affidato – sia individuabile dopo la rettifica del saldo. Per ricostruire il saldo di conto corrente si possono utilizzare anche gli scalari La Corte di Cassazione non condivide la sentenza impugnata neppure nella parte in cui ha ritenuto che il mancato deposito degli estratti conto integrali impedisse la ricostruzione dei rapporti dare-avere fra le parti. I Giudici di Legittimità ricordano al riguardo che nel rapporto di conto corrente, una volta esclusa la validità della pattuizione di interessi ultralegali o anatocistici a carico del correntista, ed eventualmente riscontrata la mancanza di una parte degli estratti conto, occorre distinguere il caso in cui il correntista sia convenuto da quello in cui egli sia invece attore in giudizio. Nel caso della domanda proposta dal correntista, l'accertamento del dare e dell'avere può attuarsi con l'utilizzo di prove che forniscano indicazioni certe e complete tese a dar ragione del saldo maturato all'inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto, perché l'estratto è un documento formato e proveniente dalla banca. Ne consegue che, innanzi a documenti esibiti dal correntista e provenienti dalla banca, è ben possibile ricostruire l'effettività del saldo finale partendo da questi, e anche movendosi mediante elaborazioni tecniche dei dati emergenti dagli scalari. Pertanto, qualora sia il correntista ad agire in giudizio per la rideterminazione del saldo e la correlata ripetizione delle somme indebitamente considerate, e il primo degli estratti prodotti rechi un saldo iniziale a suo debito, è legittimo ricostruire il rapporto con le prove che offrano indicazioni o diano giustificazione di un saldo diverso nel periodo di riferimento per effetto della eliminazione delle voci o delle competenze illegittimamente applicate a quel momento. Conclude, pertanto, la Corte Suprema ritenendo che la base del calcolo può attestarsi proprio sul saldo iniziale del primo degli estratti conto acquisiti al giudizio, visto che questo costituisce un documento redatto dalla banca in funzione riassuntiva delle movimentazioni del conto corrente, e rimane, nel quadro delle risultanze di causa, il dato più sfavorevole al correntista. Qualche precedente in materia In tema di accertamento della natura delle rimesse solutorie v. Cass. numero 7721/23, secondo cui «nelle controversie aventi a oggetto la domanda di ripetizione di indebito conseguente alla declaratoria di nullità delle clausole contrattuali e delle prassi bancarie contrarie a norme imperative e inderogabili, la ricerca dei versamenti di natura solutoria deve essere preceduta dall'individuazione e dalla successiva cancellazione dal saldo di tutte le competenze illegittime applicate dalla banca e dichiarate nulle dal giudice di merito, di talché il dies a quo della prescrizione dell'azione inizia a decorrere soltanto per quella parte delle rimesse sul conto corrente eccedenti il limite dell'affidamento determinato dopo aver rettificato il saldo» Cass. numero 9141/20, alla cui stregua «in tema di apertura di credito in conto corrente, ove il cliente agisca in giudizio per la ripetizione di importi relativi ad interessi non dovuti per nullità delle clausole anatocistiche e la banca sollevi l'eccezione di prescrizione, al fine di verificare se un versamento abbia avuto natura solutoria o ripristinatoria, occorre previamente eliminare tutti gli addebiti indebitamente effettuati dall'istituto di credito e conseguentemente rideterminare il reale saldo passivo del conto, verificando poi se siano stati superati i limiti del concesso affidamento ed il versamento possa perciò qualificarsi come solutorio». Sull'utilizzo degli estratti scalari, v. Cass. numero 1763/2024 Cass. 10293/23, ove statuito che «la produzione dell'estratto conto, quale atto riassuntivo delle movimentazioni del conto corrente, può offrire la prova del saldo del conto stesso, in combinazione con le eventuali controdeduzioni di controparte e delle altre risultanze processuali là dove tali movimentazioni siano ricavabili anche da altri documenti, come i cosiddetti riassunti scalari, attraverso la ricostruzione operata dal consulente tecnico d'ufficio, secondo l'insindacabile accertamento in fatto del giudice di merito, ciò è sufficiente alla integrazione della prova di cui il correntista richiedente è onerato».
Presidente Di Marzio – Relatore Terrusi Fatti di causa La OMISSIS s.numero c. ha proposto ricorso per cassazione, in cinque motivi, contro la sentenza della corte d'appello di Milano, notificata il 29-10-2019, che in accoglimento del gravame del OMISSIS s.p.a. ne ha respinto le domande finalizzate alla rideterminazione del saldo di un conto corrente aperto fin dall'anno 1981, con le conseguenti restituzioni e previo accertamento della illecita capitalizzazione degli interessi passivi in epoca precedente e successiva all'intervento della delibera del Cicr del 9-2-2000 e dell'applicazione di interessi, commissioni di massimo scoperto e spese superiori al pattuito. La banca ha replicato con controricorso. Le parti hanno depositato memorie. Ragioni della decisione I. - La sentenza ha sviluppato le seguenti argomentazioni. La domanda era stata supportata dalla mera produzione del contratto e degli estratti scalari relativi al periodo dal primo trimestre 1993 al 30-9-2013, con lacune relative al 1° trimestre 1994, al 4° trimestre del 1997, a tutti i trimestri degli anni 1999, 2000, 2001 e 2002 e al 4° trimestre del 2005. Su tale documentazione contabile era stata ammessa una c.t.u. in esito alla quale la domanda era stata accolta dal tribunale di Lecco per l'importo conseguente alla rideterminazione del saldo. Sennonché la banca aveva eccepito la prescrizione decennale in relazione a tutti gli addebiti asseritamente illegittimi che fossero stati fatti mediante rimesse in conto anteriori al decennio dalla notifica della citazione, poiché da intendere, quelle rimesse, di natura solutoria e la sentenza di primo grado aveva errato nel rigettare l'eccezione per il sol fatto che la banca non avesse indicato le rimesse aventi tale natura. In vero il c.t.u. aveva evidenziato di non essere in grado, in mancanza di idonea documentazione, di indicare eventuali rimesse solutorie, ma sarebbe stato onere del correntista, al fine di superare l'eccezione, fornire di contro la prova dell'asserita natura ripristinatoria delle rimesse, poiché in assenza di affidamenti tutte le rimesse sono da reputarsi solutorie. In questa prospettiva l'eccezione della banca, respinta in primo grado, è stata accolta in appello. Dipoi - e per la parte che in effetti maggiormente rileva - la sentenza ha condiviso le censure della banca all'operato del c.t.u. quanto alla rideterminazione del saldo del conto, poiché l'attrice aveva prodotto documentazione inadeguata e incompleta, costituita dai soli estratti scalari, neppure continuativi, relativi agli anni dal 1993 al 2013, pur essendo stato il conto aperto nel 1981. Secondo la corte d'appello soltanto la produzione degli estratti conto a partire dalla data di apertura del contratto avrebbe consentito di pervenire, attraverso l'integrale ricostruzione dei rapporti di dare/avere tra le parti, alla determinazione dell'eventuale credito del correntista e alla quantificazione degli importi da espungere, non essendo sufficienti a tale fine gli estratti conto scalari in quanto rappresentativi dei soli conteggi degli interessi attivi e passivi, senza possibilità di individuare le operazioni alla base delle annotazioni degli interessi e dei movimenti effettuati nell'arco di tempo considerato. Da ciò la conseguenza che il metodo utilizzato dal c.t.u. per la ricostruzione del saldo non poteva considerarsi affidabile, essendosi trattato di metodo di calcolo sintetico o del tasso medio non scientificamente esatto, ancorché in uso dalla maggioranza della dottrina tecnica e dalla stessa Banca d'Italia per mere rilevazioni statistiche. II. - La società OMISSIS fonda il ricorso sui seguenti motivi i violazione o falsa applicazione dell'articolo 2697 cod. civ. per aver la corte d'appello erroneamente statuito in punto di ripartizione degli oneri probatori con riferimento alla eccezione di prescrizione si assume che per le stesse decisioni di legittimità citate dalla corte territoriale non sarebbe onere della correntista dare la prova della esistenza delle rimesse - né di natura ripristinatoria né ancor meno di natura solutoria - atteso in consolidato principio per cui l'onere probatorio di un fatto estintivo incombe al soggetto che lo abbia eccepito ii violazione o falsa applicazione degli articolo 2697 cod. civ. e 115 cod. proc. civ. per avere la corte d'appello erroneamente valutato e statuito sull'onere della prova del correntista quanto ai fatti costitutivi della sua domanda in particolare, la sentenza avrebbe errato nel dichiarare inidonea la documentazione prodotta dalla correntista assumendo la necessità a che la stessa dovesse comprendere anche gli estratti mensili, e avrebbe altresì errato nel sottolineare l'impossibilità di individuare in base agli estratti scalari le operazioni storiche determinative dell'andamento del conto, visto che la stessa c.t.u. aveva motivatamente stabilito la compiutezza dei documenti contabili ai fini della ricostruzione del saldo e comunque essa correntista aveva prodotto gli estratti conto con riferimento a un limitato periodo di tempo della vita del conto perché la sua domanda era stata limitata in riferimento al detto intervallo temporale, con esplicita rinuncia a qualsiasi contestazione quanto ai periodi per i quali non era in possesso di documentazione contabile iii violazione o falsa applicazione degli articolo 132 cod. proc. civ. e 118 att. cod. proc. civ. per avere la sentenza omesso di valutare la c.t.u. e comunque omesso di motivare sulle ragioni di non recepimento delle risultanze di essa iv violazione o falsa applicazione degli articolo 2697 cod. civ. e 112 cod. proc. civ. per avere la corte d'appello dichiarato inammissibile la domanda sulla errata valutazione dell'onere della prova, e per essersi pronunciata su un capo della sentenza non oggetto di gravame, non avendo la banca proposto alcuna eccezione di inammissibilità v violazione o falsa applicazione degli articolo 120 T.u.b., 7 delibera del Cicr del 9-2-2000 e 1283 cod. civ., per avere la sentenza dichiarato erroneamente la natura migliorativa della capitalizzazione degli interessi introdotta dalla delibera suddetta rispetto alla clausola anatocistica precedentemente applicata. III. - Il primo motivo è fondato nel senso che segue. E' certamente vero, come ricorda la corte d'appello, che in tema di prescrizione estintiva, l'onere di allegazione gravante sull'istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l'eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l'azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente è soddisfatto con l'affermazione dell'inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l'indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte Cass. Sez. U numero 15895-19 . Questo principio opera, tuttavia, sul solo versante dell'onere di allegazione e postula una simmetria, nel senso che così come il correntista può limitarsi a indicare l'esistenza di versamenti indebiti e chiederne la restituzione previa verifica del saldo del conto, così anche la banca può a sua volta limitarsi ad allegare l'inerzia dell'attore per il tempo necessario alla prescrizione. Dopodiché il problema della indicazione delle rimesse solutorie si sposta sul piano della prova, e presuppone che il giudice debba valutare le tesi contrapposte secondo le ordinarie regole di riparto anche ed eventualmente facendo luogo a una c.t.u. La corte d'appello ha affermato che la c.t.u. era stata in effetti espletata, ma che per la mancanza di documentazione non era stata in grado di evidenziare l'esistenza di rimesse con funzione solutoria. Ha aggiunto che comunque il conto era risultato contraddistinto dalla mancanza di affidamenti, e da ciò ha ricavato che in definitiva tutte le rimesse erano da reputare solutorie, salvo prova contraria a onere del correntista. Questa considerazione, per quanto possa trovare riscontro l'assunto generale secondo cui non è configurabile un onere a carico della banca di dedurre e dimostrare quali rimesse abbiano avuto carattere solutorio v. Cass. Sez. 1 numero 19812-22 , è tuttavia minata da un'incongruenza logica potrebbe dirsi di metodo decisionale , perché, ove sia stata proposta dal correntista una domanda di ripetizione di indebito conseguente alla declaratoria di nullità di clausole contrattuali e/o all'esistenza protratta nel tempo di prassi bancarie contrarie a norme imperative e inderogabili, la ricerca dei versamenti di natura solutoria deve esser preceduta dall'individuazione e dalla successiva cancellazione dal saldo di tutte le voci o competenze accertate come illegittime e in concreto applicate dalla banca. Altrimenti non ha senso discorrere di versamenti in funzione solutoria. In altre parole, il dies a quo della prescrizione non può iniziare a decorrere se non per quella parte delle rimesse sul conto corrente la cui funzione solutoria - finanche dinanzi a un conto non affidato - sia in effetti individuabile dopo la rettifica del saldo v. Cass. Sez. 1 numero 7721-23, Cass. Sez. 1 numero 9141-20 . IV. - Pure il secondo e il terzo motivo, unitariamente esaminabili, sono fondati. L'impugnata sentenza ha fatto leva sulla mancata produzione, da parte della correntista, degli estratti integrali dall'inizio del rapporto per affermare l'inattendibilità della c.t.u., che pure aveva concluso nel senso favorevole all'attrice. È principio consolidato che è consentito al giudice di merito disattendere le argomentazioni tecniche svolte dalla c.t.u. nella propria relazione, sia quando le argomentazioni siano intimamente contraddittorie, sia quando il giudice possa sostituirle con altre tratte da cognizioni tecniche. E però in ambedue i casi resta l'onere del giudice di fornire un'adeguata motivazione del giudizio reso, esente da errori logici e giuridici tra le moltissime, Cass. Sez. L 17757-14, Cass. Sez. 3 numero 200-21, Cass. Sez. 3 numero 27411-21 . Ora l'affermazione previa dell'impugnata sentenza in ordine alla necessità della produzione integrale degli estratti da parte del correntista fin dall'inizio del rapporto, anche quando sia quest'ultimo ad agire in giudizio alla quale essenzialmente è stata affidata la critica all'operato del c.t.u. , è - nella sua assolutezza - errata. Nel rapporto di conto corrente, una volta esclusa la validità della pattuizione di interessi ultralegali o anatocistici a carico del correntista, ed eventualmente riscontrata la mancanza di una parte degli estratti conto, occorre distinguere il caso in cui il correntista sia convenuto da quello in cui egli sia invece attore in giudizio v. Cass. Sez. 1 numero 11543-19, Cass. Sez. 1 numero 22290-23 . Nel caso della domanda proposta dal correntista, l'accertamento del dare e dell'avere può attuarsi con l'utilizzo di prove che forniscano indicazioni certe e complete tese a dar ragione del saldo maturato all'inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto, perché l'estratto è un documento formato e proveniente dalla banca. Ne segue che dinanzi a documenti esibiti dal correntista e provenienti dalla banca è ben possibile ricostruire l'effettività del saldo finale partendo da questi, e anche movendosi mediante elaborazioni tecniche dei dati emergenti dagli scalari v. in motivazione Cass. Sez. 1 numero 16837-22 e v. pure Cass. Sez. 1 numero 10293-23, Cass. Sez. 6-1 numero 1538-22, fino alla recentissima Cass. Sez. 1 numero 1763-24 . Ove sia il correntista ad agire in giudizio per la rideterminazione del saldo e la correlata ripetizione delle somme indebitamente considerate, e il primo degli estratti prodotti rechi un saldo iniziale a suo debito, è legittimo ricostruire il rapporto con le prove che offrano indicazioni o diano giustificazione di un saldo diverso nel periodo di riferimento per effetto della eliminazione delle voci o delle competenze illegittimamente applicate a quel momento. La base del calcolo può attestarsi, in questa prospettiva, proprio sul saldo iniziale del primo degli estratti conto acquisiti al giudizio, visto che questo costituisce un documento redatto dalla controparte in funzione riassuntiva delle movimentazioni del conto corrente, e rimane, nel quadro delle risultanze di causa, il dato più sfavorevole allo stesso attore. In questo senso devono essere fissati i principi idonei a definire la controversia. V. - Il quarto motivo resta assorbito. VI. - Il quinto motivo è infondato. Costituisce affermazione pacifica che, dopo la sentenza della Corte costituzionale numero 425 del 2000, che ha dichiarato illegittimo, per violazione dell'articolo 76 cost., l'articolo 25, comma terzo, del d.lgs. numero numero 342 del 1999, le clausole anatocistiche stipulate prima della nota delibera del Cicr del 9-2-2000 sono nulle perché stipulate in violazione dell'articolo 1283 cod. civ. e basate su un uso negoziale anziché su un uso normativo Cass. Sez. U numero 21095-04 e successive conf. . In questo caso il giudice, dichiarata la nullità della predetta clausola per contrasto con il divieto di anatocismo, deve calcolare gli interessi a debito del correntista senza operare alcuna capitalizzazione v. Cass. Sez. 1 numero 17150-16, Cass. Sez. 1 numero 24153-17, Cass. Sez. 1 numero 24156-17 . Ciò non toglie però che per il periodo successivo alla delibera sopra citata possa e debba trovare applicazione la regola di eguale periodicità stabilita dalla ripetuta delibera del Cicr in attuazione dell'articolo 120 del T.u.b. testo pro tempore , alla condizione che vi sia stato l'adeguamento dei contratti anteriormente stipulati alle previsioni della delibera stessa entro il 30-6-2000, senza peggioramento delle pattuizioni precedentemente applicate. La corte d'appello ha affermato che questa circostanza si era verificata, e ciò costituisce esito di un accertamento di fatto. Pertanto, a partire da tale adeguamento era ed è divenuta legittima la capitalizzazione trimestrale, proprio perché contraddistinta da eguale periodicità a credito e a debito. La critica della ricorrente è incentrata sul rilievo che le nuove condizioni applicate dalla banca si sarebbero dovute considerare peggiorative se riferite come la ricorrente assume dovuto alla mancanza totale di capitalizzazione come esito della nullità della clausola originaria. Ma si tratta di affermazione, da un lato, non giustificata dal precedente di questa Corte richiamato in ricorso Cass. Sez.1 numero 26779-19 , che è volto a confutare un argomento finalizzato a sovvertire la soluzione degli effetti della nullità della clausola per il periodo anteriore alla delibera del Cicr, e dall'altro comunque errata. La condizione prevista dalla delibera Cicr quale limite della possibilità della banca di operare un valido adeguamento delle condizioni contrattuali alle disposizioni della delibera attuativa del T.u.b. è incentrata sul fatto che “le nuove condizioni contrattuali non comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate”. Ciò implica una valutazione relazionale tra le nuove e le vecchie condizioni del contratto, non anche invece – come capziosamente pretende la ricorrente – tra le nuove condizioni e quelle anteriori epurate da ogni forma di capitalizzazione. A seguire la tesi, la stessa previsione di una possibilità di adeguamento sarebbe priva di senso logico, visto che, rispetto a un effetto di nullità del tipo di quello sopra considerato incentrato sul correttivo del calcolo degli interessi a debito senza alcuna capitalizzazione , mai si potrebbe discorrere di prassi anatocistica non peggiorativa. VII. – In conclusione, la sentenza è cassata in relazione ai primi tre motivi. Segue il rinvio alla medesima corte d'appello, in diversa composizione. La corte d'appello si uniformerà ai principi esposti e provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie i primi tre motivi di ricorso, rigetta il quinto e dichiara assorbito il quarto, cassa l'impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia alla corte d'appello di Milano anche per le spese del giudizio di cassazione.